ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo III
Isole - carcere

Alfredo Gambardella, 2006

1 Motivi che hanno determinato la progressiva chiusura delle colonie. L'esperienza dell'isola di Gorgona

Col passare del tempo, gli istituti penitenziari presenti sulle isole sono stati progressivamente chiusi. Per quanto riguarda la realtà toscana, la casa di lavoro all'aperto di Capraia è stata chiusa col decreto del Ministero di Grazia e Giustizia del 27 ottobre 1986, mentre l'istituto di Pianosa è stato definitivamente soppresso con la legge del 23 dicembre 1996 n. 652; nell'isola di Gorgona, invece, a tutt'oggi è presente una casa di reclusione.

I motivi principali che hanno determinato la chiusura di questi stabilimenti vanno ricercati nelle maggiori difficoltà di gestione legate alle realtà isolane. Anzitutto da menzionare è il problema dei colloqui, resi estremamente incerti e dispendiosi per le famiglie dei detenuti, che spesso dovevano affrontare lunghi e costosi viaggi per poter parlare con i propri familiari (1). Problemi di natura simile doveva affrontare anche il personale civile e di custodia degli stabilimenti, il quale era spesso costretto a trasferirsi sull'isola con l'intera famiglia, dovendo affrontare numerosi disagi quali la mancanza di servizi (scuola, ospedale, negozi di generi di conforto...) (2), difficoltà di collegamento con la terraferma etc. Come afferma il Dott. Ciccotti

"[il personale militare viveva in] un notevole stato di disagio e di abbandono, privo di possibilità di comunicazione fuori l'ambiente carcerario. Le giovani leve che giungevano in isola, dopo poco tempo di contatto con l'ambiente, già assorbivano gli aspetti più deteriorati e negativi. [...] Il disagio dell'isola, con la compressione che esercita sui più umani desideri e logiche necessità, è sentito in maniera così intensa e determinante da tutto il personale civile e militare da condizionare il loro umore, l'ansia, l'aggressività e tutto il comportamento e, quindi, conseguentemente il servizio da esso espletato. A volte sembra percepire che 'il ristretto' sia proprio il personale, perché forse in maniera più intensa sente il sacrificio della lontananza dal continente, in quanto non riesce ad avere adeguate compensazioni di continue frustrazioni che l'isolamento comporta. [...] Tutti desiderano abbreviare la loro permanenza sull'isola, e quando non riescono a realizzare ciò attendono con impazienza il loro turno di avvicendamento che avviene, di solito, dopo due anni. Per questo motivo è difficile avere il personale specializzato nei vari servizi. Quando a fatica si è riusciti a specializzarne qualcuno in qualche specifico settore, ecco che giunge il suo turno di avvicendamento. [...] Il personale con la famiglia deve inoltre affrontare il grave problema degli alloggi che in questa isola sono scarsissimi, ed i pochi disponibili sono angusti, vecchi e antigenici ed inoltre il loro canone di affitto è elevatissimo (...). I loro figli non crescono in un sano ambiente perché trascorrono molte ore del tempo libero e quelle della scuola, assieme ai figli di ex detenuti, qui residenti, molti dei quali mostrano evidenti segni di disadattamento e anomalie della personalità. Le scuole, inoltre, non funzionano regolarmente perché anche gli insegnanti ad esse preposti non rimangono a lungo in questa sede. [...] Per molti agenti non sposati, invece, si affaccia vivo e pressante il problema sessuale, specialmente per i meno dotati intellettualmente, i quali non riuscendo a sublimare i propri istinti e quindi a trovare compensazioni, condizionano la vita di relazione della collettività isolana; infatti questa molto spesso è turbata, specie nell'intimità familiare, da dissidi e conflitti originati da comportamenti, più o meno nascosti, pienamente immorali" (3).

Anche la situazione dei costi di gestione ha influito sulla scelta di chiudere gli stabilimenti nelle isole. L'istituto di Capraia, per esempio, durante il 1969 registrava circa 32.627.000 Lire di entrate economiche (energia elettrica prodotta anche per il Comune, vendita di prodotti agricoli etc.) e ben 228.439.000 Lire di spese. Su tutto gravavano anche i trasporti marittimi che influivano per circa il 20% sulla merce trasportata (4).

Secondo l'indagine di Ciccotti, i motivi che sono alla base della chiusura degli istituti sulle isole possono essere così riassunti:

  1. Prevalenza di lavori manuali ormai superati e non accettati;
  2. Scarsissime possibilità di fornire specializzazioni lavorative moderne, idonee per un migliore inserimento del detenuto nella società;
  3. Notevole lontananza del detenuto dalla famiglia che determina in lui maggiore senso di abbandono;
  4. Difficoltà, causata dal frazionamento dell'istituto in diramazioni, con la conseguente mancanza di una unità di indirizzo, di un efficace controllo, di una migliore conoscenza dei singoli, necessaria per l'impostazione di un valido rapporto;
  5. Mancanza di disponibilità di un personale psicologicamente disteso, qualificato e che a lungo rimanga in sede;
  6. Costo di esercizio molto elevato.

Oltre a ciò va evidenziato come alcuni istituti, ad esempio quello di Capraia, si trovassero in condizioni pessime. Una testimonianza ci è fornita dalla lettera nella quale il dottor De Vizia, direttore della casa di reclusione di Capraia (5), descrive le quattro diramazioni dell'istituto (Centrale, Aghiale, Ovile e Porto Vecchio - Stalla Vecchia, Mortola e Porto risultano abbandonate) e presenta una situazione molto critica. Nel lungo e dettagliato elenco viene evidenziato il pessimo stato di conservazione delle strutture ospitanti i detenuti, gli agenti di custodia e il personale direttivo e amministrativo. Innanzi tutto si lamenta la mancanza di un adeguato e funzionale impianto di riscaldamento (in pratica vengono utilizzate antigieniche stufe a carbone), di elettrodomestici per la cucina (quelli esistenti sono fuori uso), di telefoni nelle diramazioni e nelle caserme, di servizi igienici decorosi nelle caserme agenti. Viene inoltre lamentata la difficoltà di comunicazione tra le varie diramazioni per la pessima condizione delle strade esistenti. Numerose le opere in muratura da realizzare secondo il direttore, il quale pone l'accento sulla necessità di rendere più decorose le caserme, così da invogliare gli agenti a restare sull'isola. Anche gli uffici risultano in pessime condizioni (alcuni addirittura pericolanti), mancano locali per i magistrati, una foresteria, una sala avvocati e una per gli ufficiali del corpo AACC. Nella relazione si mette inoltre in evidenza il pessimo stato della lavanderia, la scarsità di segnali di allarme e l'insufficiente illuminazione. Anche la naturale vocazione lavorativa della casa di lavoro viene, secondo lo scrivente, disattesa a causa della mancanza o della scarsa efficienza di moltissimi utensili necessari alle varie lavorazioni presenti nell'istituto. La stessa chiesa della colonia è inagibile, dunque il cappellano si deve recare in ogni diramazione con un altare portatile. Insufficiente per i motivi sanitari appare anche l'unica sala ambulatorio, e mancano locali per degenti. In pessimo stato risultano infine gli unici alloggi di servizio, destinati al direttore e al maresciallo, anch'essi privi di riscaldamento.

Inoltre, vi era anche da parte dell'amministrazione penitenziaria la consapevolezza che i principali presupposti che suggerirono le isole come luogo di pena (sicurezza, allontanamento del detenuto dal continente, lavoro di dissodamento agricolo etc.) erano venuti a mancare. A tutto ciò bisogna aggiungere che sia Capraia sia Pianosa sono due isole con una spiccata vocazione turistica, e la presenza di istituti penali certamente non favorisce lo sviluppo di tale settore. Forti dunque sono state le pressioni di enti pubblici (amministrazioni comunali, enti per il turismo etc.) e privati per la loro chiusura (6).

Come abbiamo detto unica eccezione in Toscana riguarda l'isola di Gorgona, nel Comune di Livorno, sede di una casa di reclusione. Tale istituto è molto interessante, non solo perché si tratta di un'isola esclusivamente penitenziaria (in quanto il personale civile è composto solamente dalle famiglie degli agenti e da pochi pescatori locali), ma anche perché si differenzia nettamente dal punto di vista strutturale e architettonico dalle altre carceri "chiuse" presenti nel continente.

A tal proposito merita attenzione l'articolo di Sonia Paone (7), nel quale viene evidenziato come "il carcere è pensato e organizzato in relazione al fine che la pena persegue. Pertanto lo studio degli spazi carcerari diviene un'importante prospettiva dalla quale guardare diacronicamente la storia dell'ideologia carceraria, e far emergere il passaggio dalla sua prima funzione rieducativa e meramente contenitiva a quella moderna di risocializzazione". Tutto questo è particolarmente significativo se riferito a Gorgona, dove esistono delle strutture carcerarie costruite in epoca diversa e inoltre, il fatto che si tratti di un'isola, aggiunge una particolarità non riscontrabile altrove.

Del suo passato come colonia agricola, ritroviamo la suddivisione dell'istituto di Gorgona in diramazioni, ognuna delle quali è praticamente autosufficiente, disponendo di un refettorio, una cucina, una sala hobby, una sala musica, un campetto di bocce e uno da tennis (8); inoltre, il fatto che le diramazioni siano prive di imponenti mura di recinzione, fa sì che a Gorgona manchi quel senso di oppressione tipico di strutture carcerarie.

Le diramazioni di costruzione più recente, si trovano nei pressi del piccolo villaggio, mentre quelle ottocentesche sono ubicate sulle alture dell'isola. Tutto questo denota diverse forme di progettualità del carcere, ispirata, nell'epoca più recente, a volontà di risocializzazione ed integrazione che si realizza anche con una vicinanza "fisica" tra strutture detentive e contesto urbano (9).

La vita sull'isola è regolata in base alle esigenze lavorative, ed anche i detenuti vengono assegnati a tale istituto seguendo criteri particolari. Come prima condizione essi devono avere una condanna definitiva, e il residuo di pena non deve essere superiore a dieci anni. Per motivi di sicurezza, non possono essere ospitati i detenuti per reati di tipo mafioso e neppure coloro che abbiano compiuto reati sessuali. Nella scelta vengo preferiti i condannati con determinate competenze lavorative, ed in generale è richiesta la buona condotta durante il periodo di detenzione precedente (in sostanza che non ci siano state sanzioni disciplinari negli ultimi due anni) (10).

Il lavoro può essere considerato il perno attorno al quale gira tutta l'organizzazione del carcere. Soprattutto negli ultimi anni sono aumentate le attività presenti nell'isola, ed all'agricoltura, all'edilizia ed alla zootecnia si è aggiunta nel 2001 un'attività di acquicoltura. Sono stati ristrutturati degli edifici presenti a Cala Scirocco, nella parte sud orientale dell'isola, ed è stato creato il Laboratorio di Biologia Marina e Maricoltura (LaBIMM), il quale oltre a svolgere attività di ricerca, è dotato di un'unità d'allevamento larvale e pre - ingrasso, che fornisce avannotti di specie pregiate (orate, spigole, ombrine), che saranno poi collocate sul mercato esterno per la vendita (oltre una piccola parte che viene naturalmente destinata al consumo interno) (11). L'allevamento vero e proprio dei pesci avviene in gabbie off shore situate nella Cala Bellavista, e tutto ciò è accompagnato da corsi che forniscono ai detenuti la competenza necessaria per portare avanti il progetto (12).

Oltre a ciò è presente l'agricoltura e, benché il territorio sia totalmente montuoso, molte sono le attività che negli anni sono state realizzate. Anzitutto vengono coltivati alcuni vitigni autoctoni (Sangiovese, Fermentino, Trebbiano, Verdello e Ansonica) per circa due ettari, ed è inoltre presente una cantina di vinificazione. Importante è anche il settore zootecnico e caseario, in cui vengono allevati bovini, suini, ovi-caprini, conigli e volatili, tutti rigorosamente curati con rimedi omeopatici. Il caseificio produce due tipologie di formaggi, la provola di latte e il pecorino.

Per quanto riguarda l'agricoltura, vengono coltivati numerosi ortaggi, tutti destinati al consumo interno, mentre dal 1998 è iniziata la coltivazione di piante aromatiche (salvia comune, rosmarino, origano, maggiorana, santoreggia, timo) riqualificando gli antichi terrazzamenti presenti sull'isola. Le oltre mille piante di olivo producano una quantità di circa 10000 litri annui di olio (13).

Le altre attività lavorative presenti sull'isola, nelle quali sono impegnati i detenuti, riguardano l'edilizia, grazie alla quale sono stati ristrutturati e riadattati molti vecchi edifici, le officine meccaniche ed elettriche e una carpenteria per le esigenze interne. L'isola è autonoma anche per quanto riguarda la realizzazione di opere lignee, la panificazione, la raccolta e trattamento differenziato di rifiuti (esistono impianti di fito - depurazione dei liquami prima di essere scaricati in mare). Infine bisogna ricordare che alcuni detenuti sono impegnati nel gestire l'impianto di produzione dell'energia elettrica, nella pesca e, negli ultimi anni, in attività legate al turismo didattico riguardante l'ambiente naturale dell'isola (14).

La giornata "tipo" dei detenuti prevede la sveglia alle ore 6.30 e, dopo la colazione, alle 7.30 inizia il turno lavorativo fino a mezzogiorno per la pausa pranzo. Il turno pomeridiano è dalle 14.00 alle 16.00. La restante parte della giornata viene impiegata per l'attività scolastica oppure per il tempo libero (è presente una biblioteca, una palestra, un campo da calcetto). Come sottolinea l'ex direttore Mazzerbo in una recente intervista (15), a Gorgona, unico esempio in tutta Europa, tutti i detenuti lavorano, e "il lavoro quotidiano, oltre ad avere un effetto positivo sulla riduzione dei costi da parte della stessa amministrazione, costituisce il primo mezzo di recupero e di reinserimento dei detenuti stessi".

L'istituto di Gorgona è dunque definibile "un istituto a trattamento avanzato", sia perché, come detto, il lavoro costituisce l'elemento cruciale e fondamentale del trattamento stesso, ma anche per "l'acquisizione di una capacità professionale da utilizzare sul momento ma soprattutto per l'acquisizione del lavoro come valore portante del proprio vivere, attraverso il quale acquistare dignità, autosufficienza, autostima, e, non ultimo e di grande importanza, essere d'aiuto economico ai propri familiari" (16).

Il fatto che la popolazione carceraria sia composta di detenuti con basso indice di pericolosità, ha favorito la creazione di un positivo modello di convivenza, il quale è spesso difficilmente riscontrabile nella società libera (17). Tutto questo favorisce, a differenza delle carceri "chiuse", la conoscenza dei detenuti, che possono essere osservati nel loro modo di lavorare, di interagire con i compagni e con gli agenti di polizia (18).

Ovviamente anche il carcere di Gorgona non è immune da problemi e difficoltà da affrontare quotidianamente. Innanzitutto la lontananza dalla terra ferma comporta numerosi disagi per tutta la popolazione (detenuta e non), inoltre i collegamenti marittimi per Livorno non sono sempre possibili causa le avverse condizioni del mare. Questo comporta che l'isolamento sia più marcato che altrove, e molti disagi sono sopportati anche dal personale di polizia penitenziaria. Per molti di loro essere assegnati a Gorgona, comporta un grande disagio, soprattutto per quanto riguarda i rapporti familiari. Inoltre sull'isola, essendo presente la sola realtà penitenziaria, manca tutta una serie di servizi e di comodità presenti invece sulla terra ferma. Solo parzialmente tutto ciò è compensato dal fatto di prestare servizio all'aria aperta e a stretto contatto con la natura, situazione difficilmente realizzabile altrove. Mazzerbo è quindi dell'idea che il personale di polizia penitenziaria di Gorgona dovrebbe essere scelto solamente su base volontaria, per evitare i profondi disagi che potrebbero nascere da una permanenza forzata (19). Detto questo molti sono gli agenti di polizia che hanno deciso di stabilirsi anche con la propria famiglia sull'isola, preferendo il tipo di vita all'aperto e i particolari rapporti umani (anche con la popolazione detenuta) presenti a Gorgona (20).

2 L'utilizzo delle colonie come "istituti di massima sicurezza" durante le emergenze legate al terrorismo e alla mafia

2.1 La nascita degli istituti di massima sicurezza

Gli anni Settanta del secolo scorso, sono caratterizzati da una forte conflittualità a livello politico e sociale, e il sistema carcerario non rimane estraneo a tutto ciò. Nel 1975, con il nuovo regolamento penitenziario (21), come abbiamo visto nel capitolo precedente, si cerca di cancellare il grande divario che sino allora era stato presente tra i nuovi principi costituzionale e il vecchio regolamento carcerario del 1931 (22), soprattutto per quanto attiene al fine rieducativo che deve avere la pena detentiva (23). Oltre a ciò, la situazione in quegli anni, all'interno degli istituti di pena, era particolarmente complessa, in particolare aumentò molto la conflittualità interna, e le rivolte, sommosse e agitazioni furono molto frequenti. Come riporta Salvatore Verde, "si formarono nelle carceri i primi collettivi di detenuti comuni che avevano maturato una coscienza politica della loro condizione" ed inoltre "man mano che il conflitto cresce[va], la risposta istituzionale si estremizza[va] progressivamente sulle tradizionali modalità di intervento repressivo: massiccio ricorso all'arma dei trasferimenti, irrigidimento delle condizioni di vita interne, intervento delle forze dell'ordine dentro gli istituti" (24). Viene così inaugurata una nuova fase, denominata "dell'emergenza" che parte proprio dal nuovo regolamento penitenziario del 1975 (25) e si conclude con la creazione di carceri speciali, destinate principalmente ai detenuti politici. In sostanza, si crea nel sistema penitenziario una tripartizione, per cui abbiamo: "Il carcere riformato, destinato alla vasta area della criminalità comune, dove si sperimentano le nuove forme del controllo premiale: territorializzazione dell'esecuzione, scambio pena - comportamento; l'area dei detenuti a medio indice di pericolosità; le carceri speciali, destinate ai militanti della lotta armata, alle avanguardie del movimento carcerario e ai vertici della criminalità organizzata, nelle quali si realizza una vera e propria politica di guerra" (26).

La contrapposizione dunque tra la riforma del 1975, ispirata a principi di individualizzazione della pena e di rieducazione del condannato, e le successive "leggi d'emergenza", è solo parzialmente vera, infatti i contenuti della riforma vengono pienamente attuati per i "detenuti comuni", cioè per coloro che hanno in qualche misura accettato la logica della "contrattazione della pena" (27), mentre la riforma rimane praticamente inattuata per coloro che non hanno voluto stringere questo "accordo" con lo Stato, ma che anzi con la loro criminalità di stampo politico, hanno dichiarato guerra a quest'ultimo.

Nel 1977 viene emanato un decreto interministeriale (Ministero di Grazia e Giustizia, dell'Interno e della Difesa) recante delle norme per il "coordinamento del servizio di sicurezza esterna degli istituti penitenziari" (28). In poche parole, viene preso atto che il fenomeno delle evasioni pregiudica il mantenimento dell'ordine pubblico, quindi gli ordinari compiti di sicurezza portati avanti dall'amministrazione penitenziaria all'interno degli istituti debbono essere affiancati temporaneamente (29) da controlli all'esterno effettuati da personale di polizia, per cui viene decretato che verrà nominato un generale dei carabinieri col compito di assicurare il necessario coordinamento tra forze di polizia e amministrazione penitenziaria e che "tutti i direttori (...) sono tenuti a dare immediata comunicazione all'ufficiale generale dei carabinieri, preposto al servizio, delle disposizioni adottate per il mantenimento della sicurezza, dell'ordine e della disciplina all'interno degli istituti" (art. 3) (30). Infine molto importante è l'attribuzione che viene data al generale dei carabinieri della facoltà di effettuare visite all'interno degli istituti penitenziari, così da rendersi conto di persona del livello di sicurezza delle varie carceri (art. 2). A ricoprire tale delicato ruolo, viene chiamato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, in quanto "a parte altri meriti più o meno conosciuti o memorabili, il generale aveva dato prova di certa esperienza carceraria in epoca recente, intervenendo nel 1974 (...) nell'operazione nota come la strage [del carcere] di Alessandria" (31).

Inizialmente, vi era un grande riserbo su quali fossero gli "istituti penitenziari speciali" che il generale Dalla Chiesa aveva in mente di realizzare, tanto che il giornalista Giancarlo Ghislanzoni riporta le parole di un alto funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia, il quale si rifiuta di fare i nomi delle "supercarceri", dicendo di mantenere il massimo riserbo a causa del "periodo di guerra" in atto in quel momento (32). Ben presto però si capì che i luoghi prescelti erano gli istituti penali di Favignana, Asinara, Cuneo, Fossombrone, Trani, a cui si aggiunsero presto Novara, Termini Imerese e Pianosa.

Per come vengono organizzati questi istituti penitenziari, in molti si chiedono se ormai in Italia si sia creato nei fatti un doppio sistema carcerario, composto da un circuito destinato ai prigionieri "normali" e un secondo destinato ai "pericolosi", ovvero detenuti (per la maggior parte terroristi) che sono catalogati come potenziali rivoltosi ed evasori. Molto interessante è al riguardo l'articolo di Gaetano Scardocchia sul "Corriere della sera" (33), il quale evidenzia come a livello formale non sia corretto parlare di "doppio sistema carcerario" in quanto negli "speciali" non viene mai derogata la legge penitenziaria, ma semplicemente viene applicata alla lettera; di conseguenza il differente trattamento è percepibile nel concreto, laddove per esempio, per quanto concerne "l'ora d'aria", sarà concessa negli istituti speciali nella misura minima di due ore al giorno stabilite dal regolamento penitenziario (art. 10), mentre nelle altre carceri ordinarie la permanenza all'aperto sarà superiore (34). Il giornalista conclude dicendo che, anche se il regolamento non viene violato formalmente, è legittimo porsi la domanda se queste prigioni "supersicure" non violino almeno il principio della assoluta imparzialità che deve avere il trattamento penitenziario (35), e riporta che "per assurdo, i difensori delle prigioni sicure affermano che l'isolamento dei brigatisti, dei nappisti, dei rivoltosi e degli agitatori è oggi il solo modo per salvare la riforma: precludendone il godimento ad alcuni detenuti, la riforma può essere applicata a tutti gli altri. È appunto la teoria del male necessario" (36).

La creazione di queste "carceri di massima sicurezza" accese anche un vivace dibattito politico, fra coloro i quali erano assolutamente contrari a tale tipologia di penitenziari, identificandoli addirittura a lager nazisti, e coloro che invece non accettavano assolutamente quest'ultimo termine di paragone e sottolineavano come questi istituti garantissero bene l'esigenza di sicurezza e custodia di determinate categorie di detenuti. Interessantissimo al riguardo è l'articolo di Paolo Guzzanti apparso su Repubblica (37) dove viene riportato il pensiero del parlamentare del P.C.I On. Trombadori, il quale si dichiara contrario a chi paragona il carcere dell'Asinara ad un lager nazista. Dice testualmente Trombadori:

"Neanche io ci metto la mano sul fuoco per l'Asinara. Mi rifiuto di credere, però, che, come ha detto Franca Rame, l'Asinara sia una Via Tasso. Dire questo, oltretutto, è offendere la memoria dei torturati delle SS. Può darsi pure, dico io, che in queste carceri ci siano residui di arretratezza che neppure la riforma riesce a rovesciare. Ma, d'altra parte: esistono documentazioni? Prove? Siano tirate fuori. Però stiamo attenti: io sono pronto, come parlamentare, a visitare queste carceri e vedere come stanno le cose. Ma compiere questa vigilanza non deve assolutamente voler dire smobilitare e indebolire la posizione di chi ha il duro compito di impedire le fughe e le evasioni".

A tali affermazioni, risponde, sempre sulle pagine del quotidiano Repubblica (38), l'On. Silverio Corvisieri, il quale invita l'On. Trombadori ad avvalersi del suo potere (in quanto parlamentare) di ispezionare gli istituti di pena, affinché possa (anche tralasciando le continue denunce dei detenuti e dei loro familiari) rendersi conto del "gravissimo attacco che con l'istituzione di questi lager era stato portato ai diritti umani dei detenuti e alla stessa riforma carceraria"; in quanto, prosegue il parlamentare "di questo si tratta e non di 'residui di arretratezza' che invece ci sono - e non come residui ma come norma - in tante altre carceri" (39). Conclude il parlamentare che probabilmente con l'istituzione di questi cinque "supercarceri" ancora non siamo arrivati all'annientamento psichico dei detenuti (40), ma "è stato compiuto il primo passo in una direzione inammissibile in uno Stato che si pretende di diritto", aggiungendo che "per questa via non si pone freno alle evasioni, le quali difficilmente potrebbero verificarsi senza la collaborazione dei carcerieri, ma, semplicemente, si ripristina il concetto della pena come vendetta sociale".

A tale dibattito politico, i mezzi di informazione non rimangono affatto estranei, anzi numerose sono le inchieste giornalistiche sull'argomento. De Luca su "Repubblica", ad esempio, fa un'inchiesta intitolata Il bunker bianco chiamato carcere speciale (41), registrando il dibattito sull'Asinara proprio tra i parlamentari Corvisieri e Trombadori e lo psichiatra Giovanni Jervis. Il parlamentare del P.C.I. ribadisce come secondo lui "le carceri speciali non traggono origine da una volontà repressiva dello Stato, ma dall'attacco mortale che si è scatenato contro questo Stato con violenza terroristica, da varie ed opposte posizioni esterne, e anche dal suo stesso interno, e dal fenomeno massiccio delle evasione e delle rivolte carcerarie". Trombadori, inoltre, sottolinea la grande differenza che i detenuti ricevono all'Asinara nelle due diverse sezioni denominate "Centrale" e "Fornelli". In quest'ultima, infatti, i detenuti

"vivono all'interno del pugno di ferro senza esserne colpiti direttamente nelle persone o nello spazio che rimane a loro disposizione: spazio che è fisico ma insieme morale ed esistenziale. Parlo dello spazio proprio della cella, dei reparti, dei passeggi e dello spazio dei regolamenti per quanto riguarda i diritti sanciti dalla riforma: accesso alla stampa, alla televisione, ai libri, vitto, acqua, ecc. In questa diramazione (...) c'è uno spazio a misura di detenuto, certo non a misura di uomo libero, vi è molto da fare ancora per raggiungere i livelli indicati nella riforma".

Diverso è invece la situazione che Trobadori descrive nella diramazione "Centrale", dove sono ospitati esponenti importanti del terrorismo rosso e nero (42), i quali non sono ammessi al lavoro esterno e sono costretti a vivere in tre in una cella di circa quattro metri per quattro per quasi la totalità della giornata (43). Egli conclude ribadendo che, a suo parere, non esiste nessun disegno di annientamento delle persone, che anzi le condizioni fisiche dei detenuti erano apparse buone. Di diverso tenore è invece l'On. Corvisieri, il quale è dell'opinione che la diversità del trattamento riservato ai terroristi, "dipenda non dalla maggiore o minore pericolosità dei detenuti ma da valutazioni politiche o di altra natura" e che tutto ciò sia contrario alla riforma penitenziaria del 1975. Dello stesso avviso è lo psichiatra Jervis, il quale vede nel trattamento dei detenuti politici non solo la volontà di rendere loro estremamente difficoltosa la fuga, ma denuncia una volontà di "modificare la loro stessa capacità di proporsi affettivamente, intellettualmente e socialmente contro lo Stato", sottolineando che anche nel "vecchio" carcere venivano lesi i diritti umani, ma ciò era dovuto al clima caotico o anche di arbitrio e di sadismo presente nei vari istituti. Adesso, invece, è come se questo "annientamento" dell'individuo fosse pianificato: le sopraffazioni non sono più dovute "a complesse dinamiche sociali, fatte da centri di potere, di gerarchie, di gruppi mafiosi", ma da un rapporto diretto tra il carcere e il detenuto, il quale si trova ad essere "plasmato dall'istituzione attraverso le mura, gli orari, le privazioni, soprattutto attraverso la sottrazione di scambi personali, dato che si trova praticamente ad essere isolato".

Un'altra inchiesta giornalistica di denuncia sulle condizioni di vita dei detenuti politici nelle "supercarceri" viene fatta da Roberto Fabiani sull'"Espresso", con un articolo denominato Quell'Italia che sta dietro le sbarre (44). Il giornalista riporta le testimonianze di parenti e avvocati dei detenuti che hanno avuto modo di visitare questi istituti di pena, e anche in questo caso, emergono carceri dove viene praticata "la segregazione fine a se stessa e non per motivi di sicurezza", in cui il detenuto "è tagliato fuori da ogni possibilità di contatto con la famiglia" oltre a dover affrontare molte difficoltà legate ai bisogni primari quali il diritto alla difesa e ad essere curato, tanto che, conclude Fabiani, "in questi istituti sembra che la legge non valga".

Altro problema non indifferente sollevato dall'inchiesta dell'"Espresso", che concerne principalmente il carcere dell'Asinara ma comune a quasi tutte le isole-carcere fra cui anche Pianosa, riguarda la difficoltà dei familiari dei detenuti di raggiungere l'isola per i colloqui con i propri cari, impresa che si presenta spesso difficoltosa a causa delle avverse condizioni meteo-marine e soprattutto molto onerosa a livello economico (45); circostanza, quest'ultima, che rende ancora più difficile la vita dei detenuti nelle isole, che spesso debbono rinunciare ai colloqui loro garantiti dalla legge (46).

2.2 Funzionamento e organizzazione delle "super-carceri" di Pianosa e dell'Asinara

Non è un caso il fatto che fu deciso di realizzare su isole, già sedi di colonie agricole, alcuni istituti penali "speciali" sul finire degli anni '70 del secolo scorso per combattere il terrorismo. Esse, infatti, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, ben si prestavano alle esigenze di sicurezza e di custodia dei detenuti, poco importando se ciò andava a scapito di altre esigenze, in primis la possibilità di contatto dei reclusi con i propri familiari.

Il dato interessante è che soltanto alcune diramazioni vennero adibite ad ospitare i detenuti "politici" più pericolosi (47), i quali, però, a differenza dei detenuti comuni, restavano tutto il giorno chiusi nella loro cella senza avere la possibilità del lavoro all'esterno (48). A tal proposito merita citare la descrizione del carcere dell'Asinara riportata da Roberto Fabiani, nel già indicato articolo sull'Espresso. Dice il giornalista che

"se i contatti con l'esterno sono ridotti a zero, la vita all'interno della prigione dell'Asinara è tutta costellata di crudeltà inutili, grandi e piccole. I detenuti si dividono in due gruppi: quelli normali, che escono e vanno a fare un lavoro consistente nello spaccare le pietre con mazza e piccone, e i politici, che non escono mai. Abitano celle costruite apposta per loro su un pendio e che hanno un lato sotto il livello del suolo; misurano quattro metri per 2,60 e sulla parete lunga sono incastrati quattro letti a castello. Accanto alla porta il gabinetto alla turca. Rimane libero uno spazio sufficiente a fare due passi e mezzo in avanti e altrettanti indietro. E quando uno cammina, gli altri debbono stare a letto. Le mura della cella sono bianco-calce e guardando fuori dalla porta si vede a due metri di distanza un muro bianco. Dentro le celle una lampadina da 150 candele rimane accesa giorno e notte. L'acqua che esce dal rubinetto è fangosa, per cui si è costretti a comprare l'acqua minerale (...). Ai politici è vietato quello che è consentito a tutti gli altri detenuti, tenere un fornello. Quando lavano la biancheria la debbono mettere ad asciugare sulle brande: hanno chiesto uno spago per appenderla, negato. In questi buchi in genere ci sono chiusi in tre e non debbono avere nessun contatto visivo con i detenuti delle altre celle: infatti prendono l'aria a turno. Passeggiano un'ora la mattina e un'ora il pomeriggio, per le altre 22 ore stanno sempre a contatto di gomito. Tre volte la settimana, se il mare è calmo, arriva il battello e possono sperare di leggere un giornale. Se scrivono una lettera sanno già che arriverà a destinazione dopo 25 giorni. [...] Spesso gli agenti di custodia piombano nelle celle di notte, si portano via il detenuto senza dargli neppure il tempo di raccogliere le sue poche cose e lo caricano su un elicottero che lo aspetta col motore già acceso. [...] I trasferimenti sono talmente frequenti e improvvisi che avvocati e parenti hanno ormai preso l'abitudine di telefonare prima per sapere se il detenuto è ancora lì. Ma neppure questo basta, perché mentre loro arrivano arriva anche il trasferimento del detenuto e non lo trovano più".

Situazione del tutto simile a quella dell'Asinara venne creata nel carcere di Pianosa, dove fu scelta la diramazione "Agrippa" quale luogo dove ospitare i detenuti "politici". Essa si trovava all'interno dell'isola oltre il muro denominato "Dalla Chiesa", opera che fu voluta dal Generale quale mezzo di difesa ulteriore che separava l'abitato "civile" di Pianosa dal resto dell'Isola. L'"Agrippa" era un "carcere nel carcere", dotato di ingenti mura delimitanti che ne garantivano l'isolamento all'interno della struttura carceraria (49). I detenuti di questa "piccola fortezza", restavano tutto il giorno chiusi nella loro cella, e, a differenza di quanto avveniva rispetto ai condannati delle altre diramazioni, non era loro permesso lavorare all'esterno (50).

In effetti risalta la differenza di trattamento tra i "comuni" ed i "politici", infatti per i primi la carcerazione sull'isola era caratterizzata da un regime detentivo abbastanza sopportabile, in quanto avevano la possibilità di lavorare per l'intera giornata, e la segregazione riguardava solamente il periodo notturno (51); i secondi, al contrario, vivevano un isolamento pressoché totale, aggravato anche in questo caso dal fatto della estrema difficoltà dei rapporti con i familiari (52).

Nella sostanza, benché tutto ciò riguardasse solo una diramazione, l'immagine e la specificità del carcere di Pianosa si modificarono irreparabilmente. Il fatto che al suo interno fossero presenti detenuti "di un certo calibro", quali terroristi ed in seguito i mafiosi, influì notevolmente su tutta la vita e l'organizzazione dell'isola, la quale subì una "militarizzazione" che era in contrasto con le idee originarie che furono alla base della istituzione della colonia e tutto ciò sicuramente velocizzò quel processo che si sarebbe concluso con la chiusura della colonia (53).

Isola di Pianosa (54)

3 Prospettive future

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l'esperienza di Gorgona rappresenta un'alternativa valida nel modo di gestire ed intendere la reclusione. I problemi che affliggono ormai da molti anni le carceri "chiuse" riguardano essenzialmente la questione del sovraffollamento, la mancanza di lavoro ed in genere la scarsa presenza di tutte quelle attività (sportive, ricreative, scolastiche etc.) essenziali per la risocializzazione del condannato (55). Per questi motivi, una strada da percorrere potrebbe essere proprio quella di ripensare ad un utilizzo degli istituti "aperti" come Gorgona, situati non necessariamente su di un'isola, ma magari nelle prossimità dei centri abitati. Chiaramente anche in questo caso la popolazione detenuta andrebbe scelta esclusivamente tra coloro i quali hanno un basso indice di pericolosità, proprio per evitare che la convivenza in comune all'aria aperta non sia motivo di tensione tra i detenuti.

In sostanza andrebbe completamente rivista la funzione attribuita ai lavori all'aperto, non più ovviamente considerati dal punto di vista ottocentesco di "lavori forzati", ma neppure come un semplice modo per togliere i detenuti dall'ozio della permanenza in carcere. Il lavoro dovrebbe essere considerato quale vera e propria opportunità per il detenuto di vivere la detenzione non come mera privazione della libertà, ma come periodo di riflessione attraverso il quale riguadagnarsi l'ingresso nella società (56).

Sulla stessa linea di pensiero è l'ex vice presidente della Regione Toscana Angelo Passaleva, il quale riferisce che la Regione ha in mente "un carcere che sia una pena, ma anche un luogo dove si forniscono gli strumenti utili per reinserirsi nella società" (57). Passaleva, al riguardo, giudica estremamente positivo il carcere di Gorgona, tanto che sarebbe auspicabile che fosse preso come riferimento per altre realtà carcerarie, in quanto questo tipo di detenzione "riduce (...) le recidive e consente di abbattere anche i costi di esercizio dell'Istituto" (58); egli inoltre pensa che "se un'esperienza simile alla Gorgona sarà realizzata anche a Pianosa (...) ben venga anche lì il ritorno del carcere" (59).

Per quanto riguarda Pianosa, la legge 23 dicembre 1996 n. 652 disponeva la definitiva cessazione delle finalità detentive dell'isola inderogabilmente entro il 31 ottobre 1997, concludendo peraltro quel periodo iniziato nel 1992 (60) che prevedeva l'utilizzo degli istituti di Pianosa e Asinara per gestire l'emergenza della criminalità mafiosa di quegli anni.

Particolarmente interessante è stato il convegno svoltosi a Pianosa il 16 e 17 maggio 1997, intitolato "Pianosa: passato, presente, futuro", i cui atti furono riportati in un libro a cura di Claudia Danesi (61). L'allora direttore della casa di reclusione di Pianosa dottor Pier Paolo D'Andria sottolineava la possibilità di molteplici prospettive future dell'isola. Una prima ipotesi poteva essere quella di conservare l'azienda agricola penitenziaria anche dopo il 31 ottobre 1997, prospettiva interessante in quanto, come è testimoniato dagli atti, "l'ecosistema della Pianosa si è evoluto nei secoli attraverso la coesistenza della flora e della fauna selvatica con elementi botanici e zoologici rispettivamente coltivati ed addomesticati attraverso l'attività agropastorale dell'uomo, [...] in caso di repentino azzeramento di tale attività, non possono escludersi gravi turbamenti dello stesso equilibrio ambientale dell'isola" (62).

D'altronde, il Dott. D'Andria riferiva che sul piano giuridico non era attuabile una eventuale proroga del mantenimento del carcere in quanto l'art. 6 della citata legge n. 652/'96, nella sua formulazione così ampia (cessazione della "utilizzazione, per finalità di detenzione, degli istituti di Pianosa e dell'Asinara") "sembra[va] non ammettere margini di impiego di lavoranti aventi lo status di condannato o di internato" (63). In ogni caso, un uso "alternativo" del carcere di Pianosa avrebbe comportato la chiusura della sezione speciale "Agrippa", il cui mantenimento, a causa dei pesanti vincoli legati alla sicurezza, avrebbe reso molto difficoltosa ogni altra attività.

Abbandonata quindi l'ipotesi di una eventuale proroga dell'utilizzo di Pianosa per finalità detentive, sempre da quanto emerse dagli atti del convegno, rimanevano altre due possibilità, che fra l'altro avrebbero garantito la manutenzione dei fabbricati, la sorveglianza costiera dell'isola e il collegamento marittimo con l'Elba.

La prima ipotesi riguardava la possibilità per l'amministrazione penitenziaria di istituire a Pianosa una colonia marina per brevi soggiorni destinati ai propri dipendenti, sull'esempio di Is Arenas in Sardegna, sperimentando anche la "compartecipazione di altri enti statali (es. Ministero degli Interni; arma dei carabinieri) eventualmente cointeressati ad una limitata e razionale utilizzazione della Pianosa per finalità legate al benessere dei propri dipendenti" (64).

Un secondo progetto, non alternativo ma complementare al primo, riguardava l'istituzione di una scuola di formazione del personale dell'amministrazione penitenziaria, destinato sia alla polizia penitenziaria che al personale civile. Chiaramente, considerate le caratteristiche geografiche del posto e le difficoltà di collegamento con la terra ferma, come sosteneva D'Andria, "appar[iva] difficile l'attuazione di un centro formativo destinato ad ospitare corsi periodici per un elevato numero di allievi, (...) più plausibile appar[iva] invece la possibilità di un centro idoneo a garantire brevi corsi residenziali" (65). Comunque, in entrambi i casi, veniva sottolineata l'esigenza di mantenere a Pianosa un distaccamento di agenti di polizia penitenziaria, insieme con il servizio navale, che avrebbe garantito una indispensabile presenza costante sull'isola e i collegamenti con la terraferma.

Un ultimo progetto, anch'esso illustrato durante il convegno sopramenzionato, riguardava l'istituzione di un ente scientifico, denominato "Centro Internazionale di Studi dell'Isola di Pianosa" (CISIP), senza alcuna attinenza con il passato penitenziario dell'isola, ma con uno specifico carattere scientifico, dovendo essere articolato secondo quattro laboratori permanenti riguardanti: 1) scienze naturali della terra e del mare; 2) scienze archeologiche, antropologiche e storiche; 3) scienze agrarie; 4) comunicazioni informatiche e telematiche (66). La cosa interessante era che nell'ambito delle attività del CISIP si sarebbe dovuto collocare anche il progetto di una Scuola di Formazione del personale di Polizia penitenziaria, in un'ottica di cooperazione tra il Ministero dell'Ambiente, della Giustizia e Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano (67). Inoltre era prevista la possibilità che nella diramazione "Sembolello" venissero ospitati dei detenuti ammessi al lavoro esterno ex art. 21 del Regolamento penitenziario (68) assieme al personale di vigilanza.

Ad oggi è stato attuato solo quest'ultimo progetto, sono infatti presenti sull'isola circa venti detenuti, provenienti dal carcere di Porto Azzurro (LI), i quali si occupano della manutenzione degli edifici presenti sull'isola.

Da tutto ciò si evince che il minimo comune denominatore dei vari progetti per l'isola di Pianosa, è costituito essenzialmente dalla duplice volontà di preservare l'ambiente floro - faunistico e di mantenere una presenza dell'amministrazione penitenziaria. Tutto questo emerge dalle parole del dott. Giovanni Tinebra, capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il quale auspica il riutilizzo delle dismesse isole di Pianosa e Asinara in quanto ciò rappresenterebbe una preziosa opportunità di recupero per i detenuti, i quali "dovrebbero lavorare per il bene delle isole, riparando le strade e i fabbricati, disboscando la sterpaglia, aiutando la fauna locale, accompagnando comitive di turisti" (69).

Nel mese di giugno 2004 è stato firmato un protocollo d'intesa tra il Ministero dell'Ambiente e il Ministero della Giustizia, nel quale le parti "si impegnano a promuovere l'utilizzo della popolazione in esecuzione di pena, al fine di favorire la reintegrazione sociale dei condannati e diminuire il rischio di recidiva con particolare riguardo al sistema delle aree protette" (70), e un terreno di prova, a detta del Ministro Roberto Castelli, potrebbe essere proprio l'isola di Pianosa (71).

Note

1. ASF, Fondo Ispettorato Istituti Prevenzione e Pena, busta 74, fasc. 3 Capraia 1973. Molto interessante è la lettera scritta dal direttore della casa di lavoro dottor Gambardella il 25 luglio 1973 (prot. 7515) avente ad oggetto "Detenuti sfollati da altri istituti" diretta al Ministero di Grazia e Giustizia, nella quale si evidenzia che "continuano a giungere detenuti dalle carceri giudiziarie di Milano per sfollamento per motivi di ordine e disciplina e dalla posizione giuridica di 'imputati'. Sotto anche il profilo disciplinare pervengono detenuti che hanno tentato di EVADERE da altri istituti e con segnalazioni di 'grandissima sorveglianza'./ Gli imputati protestano - essi dicono - perché hanno necessità istruttorie, di conferire con i legali di fiducia e con i vari magistrati adempimenti questi che a Capraia non possono effettuare con grave pregiudizio - essi affermano - sul diritto di difesa./ Ad evitare situazioni di tensione - già in atto - si prega codesto Ministero affinché siano assegnati possibilmente condannati e con pena non superiore agli anni 5 di buona condotta e salute, contadini mestieranti e che desiderano lavorare in una colonia agricola./ Tanto si segnala per il buon andamento del servizio specie in questo istituto penale situato in un centro abitato e dalle molte difficoltà specie in ordine alla mancanza d'acqua".

2. Ad esempio, un problema tipico di Capraia, ma che riguarda la maggioranza delle isole, è la mancanza di acqua. A tal proposito Cfr. ASF, Fondo Ispettorato Istituti Prevenzione e Pena, busta 74, fasc. 3 Capraia 1973, lettera direzione casa di lavoro di Capraia del 12 maggio 1973, prot. 3517. "Alla data odierna sono ristretti n. 133 detenuti./ Alla stessa data trovansi in altri istituti per motivi vari (giustizia - cure - colloqui) complessivamente n. 26 detenuti./ Altri n. 28 detenuti sono stati assegnati e non ancora giunti./ In totale n. 186 detenuti e internati su una capienza di n. 154./ Poiché nel periodo estivo sorgono problemi sulla mancanza d'acqua, si prega codesto Ministero di voler soprassedere - almeno per tre o quattro mesi - alle assegnazioni di altri detenuti e sfollamenti da altre carceri".

3. Raffaele Ciccotti, La casa di lavoro all'aperto di Capraia - isola, in "Rassegna di studi penitenziari", II vol., fasc. 4-5, 1970, pag. 745-771.

4. Ibidem.

5. ASF, Fondo Ispettorato Istituti Prevenzione e Pena, busta 121, fasc. 11. Dati di cui alla circolare fonogramma n. 16639 del 07/10/'76 direzione casa reclusione di Capraia prot. 9765 bis con oggetto "Relazione dello stato attuale dei vari servizi della casa penale di Capraia isola".

6. ASF, Fondo Ispettorato Istituti Prevenzione e Pena, busta 35, fasc. 8 Personale civile di Capraia, 1970. Nel documento della direzione della casa di lavoro all'aperto di Capraia, prot. 5490 del 14 giugno 1970 riguardante la "verifica amministrativo - contabile alla casa di lavoro all'aperto di Capraia Isola (Livorno) effettuata dal 13 giugno al 2 luglio 1969 dall'Ispettore Capo di Finanza Dottor Bartolomeo Firulle" (Ministero del Tesoro, ragioneria centrale dello Stato), nella quale viene sottolineato come numerose siano state le ostilità tra l'amministrazione comunale e alcuni direttori della casa di lavoro.

7. Sonia Paone, Il carcere come dimensione comunitaria: il caso dell'isola di Gorgona, in "La rivista di scienze sociali", n.2, 2003.

8. Ivi, pag. 91. Paone sottolinea l'importanza della presenza a Gorgona di spazi in comune per favorire la socialità dei detenuti, in particolare la grande occasione di convivialità offerta dai luoghi di refezione, aspetto purtroppo raramente presente nelle altre carceri.

9. Ibidem. Gorgona, al pari delle altre isole toscane, è stata scelta dai monaci sin dalle epoche più remote come luogo di ritiro spirituale, ma "il senso di segregazione connaturato alla posizione dell'isola ne favorì anche un'altra destinazione d'uso: la Gorgona divenne dimora di correzione per ecclesiastici che non avevano rispettato le regole della Chiesa. A partire dal VI secolo d.C. in ambito ecclesiastico, i chierici colpevoli di gravi mancanze erano costretti a trascorrere un periodo di penitenza e solitudine nelle celle segregative appositamente costruite nei monasteri. La meditazione, la preghiera e le privazioni corporali avrebbero ricondotto il peccatore sulla via della redenzione".

10. Ibid.

11. Le attività dell'istituto, in "Le Due Città", novembre - dicembre, 2003.

12. La sfida dell'acquicoltura, in "Le Due Città", aprile, 2001. Nell'articolo l'ex direttore Mazzerbo dichiara che è stato creato "un canale di ricerca e strumentazione che vede coinvolto il C.I.B.M (Centro Interuniversitario di Biologia Marina di Livorno)" ed inoltre che è stata creata un'intesa con la Lega delle Cooperative della Pesca e con il Comune di Livorno per trovare dei canali di vendita.

13. Le attività dell'istituto, in "Le Due Città", novembre - dicembre, 2003.

14. Ibidem.

15. Giuseppe Mazzella, La forza del lavoro, in "Le Due Città", aprile, 2001.

16. Carlo Mazzerbo, Gorgona: un laboratorio replicabile, in "Le Due Città", novembre - dicembre, 2003.

17. Emilio Rigatti, Le due Gorgone, in "Le Due Città", novembre - dicembre, 2003.

18. Giuseppe Mazzella, opera citata.

19. Il difficile compito degli agenti, in "Le Due Città", aprile, 2001.

20. Assunta Borzacchiello, Vivere a Gorgona, in "Le Due Città", luglio - agosto, 2001. In tale articolo sono riportate numerose interviste ad agenti di polizia penitenziaria i quali riportano le loro esperienze attuali e prospettive future circa la loro attuale vita a Gorgona.

21. Legge 26 luglio 1975, n. 354.

22. Regio decreto 18 Giugno 1931, n. 787.

23. Art. 27 Cost.

24. Salvatore Verde, Massima sicurezza, Roma, Odradek, 2002, pag. 44. Lo studioso aggiunge che tali "dannati della terra" (i reclusi), si costituirono con il "duplice obiettivo di costruire e diffondere tra i reclusi una coscienza critica della propria condizione di classe, e di promuovere movimenti aggregativi e strutture organizzative capaci di superare la frammentarietà delle esplosioni ribellistiche". Importante fu l'appoggio materiale e morale dato dall'area di Lotta Continua, che oltre a curare una rubrica fissa intitolata appunto "I dannati della terra", ebbe il merito di "svelare l'impresentabile realtà delle carceri di questo paese, di rendere pubblica la condizione di quanti vi erano rinchiusi, di dargli voce e sostenere, non per ultimo, le spinte riformiste che nel suo interno si agitavano".

25. Proprio nel 1975, quasi in concomitanza con il nuovo ordinamento penitenziario, viene emanata la legge 22 maggio 1975, n. 152 (c.d. "legge Reale"), recante "disposizioni a tutela dell'ordine pubblico". Sarà proprio tale norma ad aprire la fase della "legislazione dell'emergenza" in Italia; in particolare la legge Reale prevede dei casi in cui non è ammessa la liberazione condizionale (omicidio doloso, attentato contro il Presidente della Repubblica, attentato contro la Costituzione dello Stato, insurrezione armata, devastazione, saccheggio strage, guerra civile, banda armata, disastro ferroviario, avvelenamento di acque, rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persone etc.), vengono modificati i criteri per il conteggio della durata massima della custodia preventiva (art. 2), viene vietata la partecipazione a pubbliche manifestazioni con caschi protettivi che rendono difficile l'identificazione (art. 5), oltre che vengono aumentati i poteri delle forze di polizia con minori controlli da parte della magistratura (art. 4). Inoltre nel 1977 entrò in vigore la c.d. legge Cossiga (decreto legge15 dicembre 1979, n. 625) la quale prevede l'aggravante per finalità di terrorismo (art. 1), nonché viene previsto all'art. 3 il reato di "associazioni con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico (art. 270 bis c.p.)" per cui "chiunque (...) promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni".

26. Salvatore Verde, opera cit., pag. 51.

27. In sostanza si passava da un sistema segregativo tipico della vecchia concezione di carcere, ad un sistema di tipo correzionale, ove la pena, in fase esecutiva, diventava "elastica", in quanto le numerose misure alternative che furono previste, permettevano, a determinate condizioni, che il soggetto scontasse la propria pena in modo diverso dai classici regimi detentivi.

28. Decreto 4 maggio 1977 (in Gazzetta Ufficiale 12 maggio 1977 n. 128).

29. Il decreto in esame, all'art. 1, prevede in modo molto generico che tale disciplina temporanea dovrà durare "fino a quando non sarà disponibile un adeguato numero di istituti penitenziari rispondenti ai requisiti dalla legge 26 luglio 1975, numero 351, e comunque fino al 31 dicembre 1980".

30. L'art. 4 del presente decreto precisa che "i direttori degli istituti penitenziari (...) devono comunicare immediatamente al responsabile delle forze di polizia preposte al servizio di sicurezza esterna ogni notizia concernente la sicurezza, l'ordine e la disciplina all'interno degli istituti".

31. Igino Cappelli, in AA.VV, Il carcere dopo le riforme, Milano, Feltrinelli, 1979.

32. Giancarlo Ghislanzoni, Amnistia per i reati meno gravi. Pene più severe agli speculatori, "Corriere della Sera", 23 luglio 1977.

33. Gaetano Scardocchia, Cinque fortezze da cui non si evade. Verso un doppio sistema carcerario?, "Corriere della Sera", 22 agosto 1977.

34. Come altro esempio Scardocchia riporta il caso dei colloqui che all'Asinara o Fossombrone durano massimo un'ora (conformemente con l'art. 35 del regolamento di esecuzione 29 aprile 1976 n.431) ma "in altre carceri si ha notizia di famiglie intere che restano per tutta la giornata a tener compagnia al parente detenuto". Inoltre nelle "supercarceri" la vita è resa molto più difficile a causa delle disposizioni volute dallo stesso Dalla Chiesa per rendere maggiore la sicurezza interna: ecco che "sono stati eliminati tutti gli oggetti metallici che potevano essere usati come armi. I coltelli e le forchette sono di plastica, i piatti e i bicchieri sono di carta, le forbici per le unghie sono state sostituite da tronchesini. E poi i letti di metallo saldati al pavimento, le reti di metalli saldate ai letti, i sedili rifatti in muratura".

35. Art. 12 Legge 26 luglio 1975, n. 354.

36. Tale principio viene riportato anche nel già citato articolo di Ghislanzoni ("Corriere della Sera" del 23 luglio 1977) dove riporta che "del trasferimento degli elementi più turbolenti e pericolosi trarrà beneficio la gran massa dei detenuti i quali, nelle restanti carceri, potranno così avere una vita più tranquilla con l'alleggerimento delle restrizioni che forzatamente si sono dovuti adottare in questi ultimi tempi".

37. Paolo Guzzanti, Non confondiamo tritolo e dissenso, "Repubblica", 1 settembre 1977.

38. Silverio Corsivieri, Ma perché Trombadori non viene all'Asinara?, "Repubblica", 2 settembre 1977.

39. Per sottolineare la terribile vita all'interno di questi istituti, L'On. Corsivieri riporta il caso del carcere di Fossombrone dove "sono stati installati i più sofisticati macchinari per il controllo dei visitatori e dei pacchi, è stato rifatto il parlatorio in modo che i colloqui possono svolgersi soltanto attraverso raggelanti citofoni, nelle celle i detenuti devono assistere alle trasmissioni televisive avendo apparecchi accesi e spenti centralmente azionando un altro costoso e modernissimo apparecchio. Resta da spiegare perché quei detenuti devono restarsene in isolamento per 22 ore su 24 in una cella che io definirei come un cesso con un letto, senza poter possedere uno specchio e un'altra infinità di oggetti indispensabili alla vita quotidiana degli esseri umani che ormai da qualche millennio sono usciti dalle caverne. Come resta da spiegare perché all'Asinara i detenuti devono stare divisi in gruppi di due o tre, e isolati da tutti gli altri (anche l'aria devono prenderla, nel totale isolamento in un cortiletto senza protezioni per il sole cocente o sotto la pioggia). Nelle celle lo spazio è così ridotto che soltanto uno dei tre può muoversi a turno".

40. Corsivieri riporta quanto scrive Giovanni Jervis in "Psichiatria e tortura", dove si afferma che modernamente la tecnica denominata "deprivazione sensoriale" si è sostituita, nel campo della tortura, a vecchie quanto rozze procedure quali lo strappare le unghie. In particolare viene riportato l'esempio di come in Germania "i detenuti per terrorismo (che non sono però i Kappler o gli altri criminali di guerra nazisti da tempo in libertà o, addirittura, reintegrati nell'esercito) sono chiusi in celle privi di stimoli e completamente isolate dall'esterno. 'Il silenzio è assoluto - scrive Jervis - la finestra schermata, la luce forte e diffusa giorno e notte, non vi sono contatti con gli altri prigionieri. Il sistema può essere perfezionato riducendo il mobilio al minimo e dipingendo tutto di bianco, togliendo gli orologi, rendendo irregolari gli orari dei pasti e così via' Per questa via si punta all'annientamento psichico dei detenuti".

41. Fausto De Luca, Il bunker bianco chiamato carcere speciale, "Repubblica", 9 settembre 1977.

42. Il parlamentare riporta che sono presenti 24 detenuti, tra cui Renato Curcio. Sulla permanenza di Renato Curcio all'Asinara e sulla "battaglia di Fornelli", ovvero la tentata fuga dall'isola. Vedi: R. Curcio, A viso aperto, Milano, Mondadori, 1993.

43. Molto interessante è la descrizione che il giornalista De luca fa della diramazione "Centrale", la quale si presenta come "un fortino bianco, alla messicana, e tutt'intorno al muro esterno tanti fiori, sopra il muro le sentinelle coi mitra. Trafila di cancelli e di chiavi nelle serrature. All'interno c'è un cortile e nel cortile un blocco di muratura, otto celle, tre uomini in ogni cella, spazio ristrettissimo, la finestra per l'aria sullo stesso lato della porta (a fianco). La porta è interna, non a persiana, non passa l'aria; dietro la porta il cancello di ferro, sbarre doppie alle finestre, dentro la cella letti a castello, molte, troppe cose, libri, radio, giornali, frutta, file e file di bottiglie di acqua minerale: soffocante".

44. Roberto Fabiani, Quell'Italia che sta dietro le sbarre, "Espresso" n.36, anno XXIII, 11 settembre 1977.

45. Fabiani nel suo articolo riporta l'esempio che "partendo dal centro Italia per arrivare all'Asinara ci vogliono due giorni di viaggio"; inoltre viene riportato il caso della famiglia dei fratelli Antonio e Pasquale De Laurentis, nappisti in carcere all'Asinara, la quale "per una sola visita si è dovuta indebitare per 300 mila lire prendendo i soldi in prestito dagli strozzini dei vicoli napoletani". Viene sottolineato che tale problema "non esiste per i giudici, che vanno a interrogare i detenuti servendosi di aerei ed elicotteri; ma spesso fanno delle gite a vuoto perché gli avvocati, avvertiti con 24 ore di anticipo come vuole la legge, non fanno in tempo ad arrivare e in loro assenza i detenuti non parlano".

46. Le continue polemiche circa la difficoltà dei familiari dei detenuti per raggiungere le isole, sortiscono qualche effetto; infatti sul quotidiano "Repubblica" del 11 settembre 1977, appare un articolo intitolato Inaugurato il traghetto che collega il carcere dell'Asinara, in cui viene auspicato che il nuovo super traghetto che collega l'isola con Porto Torres "dovrebbe risolvere i problemi dei familiari dei detenuti che spesso, a causa del mare grosso, non potevano incontrare i propri congiunti".

47. Interessante è l'articolo Isola dell'Asinara da colonia agricola a lager di stato, apparso sul giornale "Lotta Continua" luglio-settembre 1977.

48. Ibidem. I 700 detenuti che nella settimana tra il 13 e 20 luglio 1977 vennero trasferiti nelle cinque superprigioni di Cuneo, Fossombrone, Trani, Asinara e Favignana troviamo: 128 brigatisti rossi (accusati complessivamente di 37 omicidi, 3 stragi, 26 sequestri di persona, 13 tentati omicidi, 11 attentati, 15 rivolte carcerarie, 10 estorsioni, 60 azioni sovversive, 62 detenzioni abusive di armi); 123 nappisti (accuse complessive: 16 omicidi, 19 tentati omicidi, 57 rapine, 20 sequestri di persona, 14 attentati, oltre naturalmente azioni sovversive, rivolte carcerarie e detenzioni di armi); 343 fascisti (16 omicidi, 23 tentati omicidi, 9 concorsi in omicidio, 20 stragi, 2 sequestri, nove attentati dinamitardi, otto incendi, tre devastazioni, 6 rapine, 11 furti aggravati), oltre che mafiosi, rapinatori, sequestratori, omicidi senza nessuna fede politica.

49. Luigi Cicogni, L'isola del Diavolo. Cronache dal carcere di Pianosa, Livorno, Editrice Nuova Fortezza, 1989, pag. 107, descrive l'Agrippa come "una barriera altissima, alle cui estremità spiccavano le garitte delle guardie. Filo spinato, spiazzo assolutamente spoglio, una jeep dei carabinieri a girare in continuazione attorno al perimetro. Estremo controllo, estrema attenzione". Lo scrittore inoltre aggiunge che per i detenuti politici, non esisteva "nessuna possibilità di uscire dal parallelepipedo, nessuna occasione di lavoro nella colonia, nessun tipo di contatto con gli altri detenuti, un lazzeretto sotto i riflettori costantemente accesi dalle guardie, perché si sapesse tutto di tutti. [...] Tutti erano al corrente che c'era [la diramazione Agrippa, nrd.], ma era isolata, relegata quasi al centro dell'isola, staccata dalle altre. Una specie di sanatorio da tenere a debita distanza perché l'epidemia non si spargesse. Razza diversa, colta".

50. Intervista al Dott. Alfredo Gambardella, Direttore di Pianosa e Capraia sul finire degli anni Settanta del XX secolo, rilasciata il 6 novembre 2005.

51. A tal proposito Ludovico Dworzak, "l'organizzazione degli stabilimenti penitenziari agricoli", cit., pag. 240, disse espressamente che "la costruzione, nelle colonie agricole, di edifici di 'massima sicurezza' non avrebbe alcuno scopo, perché il detenuto che avesse velleità d'evasione dalla colonia, metterebbe certamente in atto i suoi tentativi di fuga, sfruttando le molteplici occasioni che gi si offrono durante le ore di lavoro all'aperto, senza bisogno di difficili effrazioni notturne".

52. Intervista al Dott. Alfredo Gambardella, cit.

53. Ibidem.

54. Immagine dell'isola di Pianosa tratta dal sito internet Il Genio del Bosco.

55. Un prospetto circa le attività di tempo libero presenti negli istituti sulle isole lo troviamo in ASF, Fondo Ispettorato Istituti Prevenzione e Pena, busta 6, fasc. Attività di tempo libero./ PIANOSA: direzione stabilimenti penali di Pianosa prot. 2813 del 7 dicembre 1967. "In relazione della circolare n. 9394 del 22/11 u. sc., di codesto Ispettorato Distrettuale, si comunica che in questi Stabilimenti Penali l'unica attività di tempo libero sin ora attuata consiste nell'attività calcistica che si manifesta in competizioni tra squadre di detenuti appartenenti alle Diramazioni di cui l'Istituto stesso consta (Centrale Nuova, Diramazione Giudice, Agrippa). Per quanto riguarda, invece, altre attività, è doveroso evidenziare che le medesime, almeno allo stato attuale, sono di difficile attuazione, in quanto mancano gli operatori idonei che diano impulso alle medesime./ Comunque, per quanto riguarda i centri di lettura e le sale di studio, in particolare, questa Direzione ha in animo di organizzarli, conferendo il relativo incarico ai maestri carcerari qui in servizio, i quali ben potranno organizzare tali attività nelle ore in cui sono liberi dall'insegnamento./ Questa direzione, pertanto, si riserva di comunicare a codesto On.le Ispettorato ulteriori notizie concernenti la programmazione e l'attuazione delle attività in oggetto indicato."/ CAPRAIA: direzione della casa di lavoro all'aperto di Capraia n. 273 del 13 gennaio 1968. "In relazione alla circolare n. 29 del 22/11/1967 questa direzione nel ritenere estremamente utile e producente, ai fini rieducativi che attualmente la pena si propone di raggiungere, l'organizzazione più razionale delle attività di tempo libero, ha iniziato ad organizzare attività ricreative e sportive più rispondenti alle attuali esigenze. È infatti in via di ultimazione un campo da foot ball (ricavato in mezzo alle rocce con il sacrificio ma l'entusiasmo di tutti). È prossima l'ultimazione di un campo polivalente che sarà utilizzato per il giuoco della palla al volo e del tennis. Analogo campo a quello sopradescritto è attualmente in progettazione. Si è anche organizzato, in una sala appositamente approntata, un ping - pong. Campi da giuoco per bocce, già esistenti, sono stati sistemati in modo adeguato. Questa direzione ha già notato che tali iniziative di carattere sportivo e ricreativo ha influito positivamente in modo diretto e indiretto sul comportamento e sulla disciplina dei singoli e dell'intera collettività; pertanto questa direzione ritiene di incrementare ancor di più queste attività e di organizzare in maniera sempre più rispondente ai nuovi orientamenti penitenziari tutte le attività di tempo libero"./ GORGONA: direzione di Gorgona n. 155 del 12 gennaio 1968./ "In relazione alla nota sopra distinta, si fa presente che presso questa casa di lavoro all'aperto funzionano le seguenti attività di tempo libero:/ attività sportiva (gioco del calcio)/ centro di lettura/ conferenze varie/ rappresentazioni teatrali (protagonisti gli stessi detenuti)".

56. Intervista al Dott. Alfredo Gambardella, cit.

57. W. Fortini, Gorgona, un carcere che deve diventare modello, in"Prima Pagina", Quotidiano telematico dell'Ufficio stampa Giunta Regionale Toscana, del 03/09/2004.

58. Ibidem.

59. Ibid.

60. Legge 30 ottobre 1992, n. 422.

61. Claudia Danesi (a cura di). Pianosa: passato, presente, futuro, Portoferraio, Edizioni CSDE, 1997.

62. Ivi, pag. 160.

63. Ibidem. Al riguardo, D'Andria spiega che "anche ammettendo altre formule rispetto all'attuale regime detentivo da espiare all'interno della casa di reclusione (es. assunzione, da parte di datore di lavoro privato, di detenuti in regime di semilibertà con pernottamento degli stessi negli edifici sparsi sul territorio insulare; ammissione ai centri dell'azienda agrozootecnica di condannati sottoposti al regime di lavoro all'esterno ex. art. 21 ord. penit.; trasformazione dello stabilimento penale in 'Colonia agricola' o in 'Casa di lavoro' per l'esecuzione di misure di sicurezza detentive), verrebbe in ogni caso a configurarsi un'utilizzazione, per finalità di detenzione, della Pianosa, e pertanto non sarebbero ammissibili spese per il mantenimento o per la liquidazione di mercedi a favore di soggetti comunque privi dello status libertatis".

64. Ibid.

65. Ibid.

66. Ivi, pag. 134.

67. Comune di Campo nell'Elba. Documento programmatico di istituzione del CISIP.

68. Legge 26 luglio 1975, n. 354.

69. Tre strade, due isole, in "Le Due Città", novembre - dicembre 2003.

70. Protocollo d'intesa tra il Ministero della Giustizia e il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio, firmato a Roma, 8 giugno 2004. Un'intesa per l'ambiente, in "Le Due Città" giugno 2004.

71. Un'intesa per l'ambiente, cit.