ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo III
I nodi problematici posti dalla riforma

Leonardo Bresci, 2006

1. Questioni di diritto intertemporale

a. La disciplina transitoria. L'art. 10 della legge 251/2005

Il primo comma dell'art. 10 della legge 251/06, derogando all'art. 10 delle "preleggi", prevede che le nuove disposizioni entrino in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (1). Anziché al termine del decorso dei consueti quindici giorni, si prevede infatti che la norma in esame abbia operatività immediata, entrando in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

La ragione della deroga ai quindici giorni di vacatio legis deve essere ricollegata all'esigenza di ridurre al minimo i problemi intertemporali che la nuova legge avrebbe potuto porre, già acuite dalla complessità delle disposizioni transitorie dettate.

Segue, negli altri due commi dello stesso articolo, la disciplina del regime intertemporale valido per le nuove disposizioni e che può essere così sintetizzato:

  1. nella prima parte del secondo comma, sono fatte salve le disposizioni di cui all'art. 2 c.p., ossia i principi di irretroattività delle disposizioni penali più sfavorevoli e, quindi, la ultrattività o retroattività delle disposizioni più favorevoli;
  2. nella seconda parte del primo comma, si afferma che le disposizioni in tema di prescrizione non si applicano ai procedimenti ed ai processi in corso, nel caso in cui i nuovi termini di prescrizioni risultino più lunghi di quelli previdenti
  3. infine, al terzo comma si afferma, in deroga all'art. 2 del c.p., che se i termini di prescrizione risultano più brevi non si applicano ai processi in corso in primo grado, se già dichiarato aperto il dibattimento, nonché se in fase di appello o cassazione.

Dalla lettura della norma si evince pertanto una fondamentale distinzione tra le nuove previsioni in tema di prescrizione, e tutte le altre norme della riforma tra le quali si annoverano quelle che qui interessano da vicino, ossia quelle relative alla recidiva e ai benefici penitenziari.

In relazione al secondo gruppo di disposizioni (2), l'art. 10 della legge si limita dunque ad operare un rinvio alle regole generali fissate nell'art. 2 c.p. in tema di successione di norme penali sostanziali.

Per molte delle disposizioni considerate il richiamo alla disciplina dell'art. 2 appare addirittura superfluo, giacché siamo in presenza di norme che incidono sulla determinazione della pena o della punibilità del reo. Mi riferisco alle disposizioni relative agli aumenti di pena per i reati di associazione mafiosa ed usura, al divieto di prevalenza delle attenuanti di cui al comma IV dell'art. 69 c.p., all'inasprimento degli aumenti di pena per i recidivi ecc., rispetto alle quali varrà alternativamente il principio di irretroattività o retroattività delle nuove disposizioni a seconda che, rispetto alla previgente disciplina, comportino un trattamento deteriore ovvero un trattamento favorevole al reo.

b. Segue: la successione nel tempo delle disposizioni penitenziarie

Sennonché qualche incertezza interpretativa permane in proprio in relazione alle nuove disposizioni introdotte dagli artt. 8 e 9 della legge 251che escludono o limitano la possibilità di concessione di benefici e misure alternative alla detenzione.

Se il legislatore ha disciplinato l'applicazione transitoria di queste disposizioni dando per scontata la loro essenza di norme penali sostanziali, è altresì vero che la questione sulla natura delle norme penitenziarie è oggetto di un forte dibattito in dottrina e, almeno in parte, in giurisprudenza.

Da una parte si è infatti sostenuta la natura sostanziale delle disposizioni dell'ordinamento penitenziario, perché incidendo sui modi di privazione della libertà apparterrebbero "alla dinamica normativa dell'esser puniti, con la conseguenza inevitabile di soggiacere al divieto di applicazione retroattiva sfavorevole". I sostenitori di questa interpretazione sostanzialistica del concetto di legge penale concludono poi che la nuova normativa si applicherà soltanto ai delitti commessi dopo l'entrata in vigore della legge "essendo l'esser puniti di quel delitto normativamente definito in funzione di presupposti esistenti e noti già al momento della condotta criminosa"; viceversa, "il recidivo reiterato autore di un delitto commesso prima dell'entrata in vigore della legge (anche se giudicato dopo), beneficerà del regime delle misure alternative precedente, più favorevole". (3) Di fronte ad una siffatta interpretazione tuttavia si schiera un consolidato orientamento, compatto nel negare la natura di norme penali sostanziali alle disposizioni in tema di benefici penitenziari e misure alternative alla detenzione (4). Posto che il principio enunciato agli artt. 25, comma 2, Cost e 2 c.p. riguarda solo il diritto sostantivo, ne deriva la non applicazione alle disposizioni penitenziarie del principio di irretroattività della disciplina sopravvenuta più sfavorevole. Ne deriva che la successione nel tempo di tali norme sarà regolata dal criterio del tempus regit actum, in base al quale la validità di un atto è regolata dalla legge vigente al momento della sua formazione, restando lo jus superveniens ininfluente (5). Il ricorso al principio selettivo della successione delle norme processuali comporta due conseguenze applicative:

  1. la non irretroattività della legge processuale sopravvenuta
  2. l'efficacia immediata della nuova disposizione.

Interpretando la norma (cioè, l'art. 10, comma 2, prima parte) alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, si dovrebbe dunque concludere che in tema di benefici penitenziari e misure alternative, l'applicazione degli uni e delle altre dovrebbe essere regolata dalla norma vigente al momento in cui il reo avanza l'istanza volta al rilascio del provvedimento. Di converso non sarebbero invece applicabili i principi di irretroattività della disciplina sopravvenuta più sfavorevole e di retroattività della lex mitior espressi dall'art. 2 c.p. ai quali, però, la disciplina transitoria fa espresso rinvio.

c. La prassi applicativa del Tribunale di Sorveglianza di Firenze e i principi espressi dalla Corte Costituzionale

Sul piano della prassi applicativa, l'interpretazione formale del concetto di legge penale è quella seguita anche Tribunale di Sorveglianza di Firenze che applica la nuova disciplina restrittiva prevista per la recidiva alle istanze proposte dopo l'entrata in vigore della legge ex Cirielli, indipendentemente dal momento della commissione del fatto (6).

Occorre ricordare tuttavia che una interpretazione attenta agli insegnamenti della Corte Costituzionale imporrebbe un correttivo alla rigorosa applicazione del criterio del tempus regit actum consistente nel principio della non regressione del trattamento rieducativo. In applicazione di tale principio dovrebbe pertanto essere ammessa l'ultrattività della disciplina previgente nei confronti di quei soggetti che, al momento dell'entrata in vigore della legge, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato per essere ammessi ai benefici e alle misure alternative già concedibili secondo la normativa previgente.

In passato infatti la Corte Costituzionale aveva più volte avuto modo di pronunciarsi su un'analoga questione di diritto intertemporale relativa all'innovazione in senso peggiorativo di cui all'art. 4-bis ord. pen. In quella occasione la Corte con due diverse sentenze ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che il beneficio possa essere concesso ai condannati che, prima dell'entrata in vigore della legge (art. 15, 1ºco., d.l. 306/1992; conv. L. 356/1992), "abbiano raggiunto un grado di educazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata" (7).

Viene quindi sancito il principio della non regressione del trattamento rieducativo, in contemperamento appunto del rigoroso principio che regola la successione delle legge processuali penali, ammettendo accanto alla regola della efficacia immediata della nuova disposizione penitenziaria, l'eccezione della ultrattività della vecchia normativa più favorevole qualora dall'applicazione delle nuove disposizioni derivasse un'interruzione o una regressione del trattamento risocializzativo già intrapreso dal condannato.

L'applicazione di tale principio anche al regime transitorio della legge ex Cirielli imporrebbe, in termini molto concreti, l'applicazione delle nuove disposizioni più rigorose all'istanza di permesso premio (piuttosto che di semilibertà o detenzione domiciliare) presentata dal condannato dopo l'entrata in vigore della legge sempreché, avendo l'istante già ottenuto il beneficio ai sensi della normativa antecedente, non sia necessaria l'applicazione di quest'ultima proprio in ossequio al principio espresso dalla Corte costituzionale.

Segnaliamo che anche questo temperamento derivante dai principi indicati dalla Corte costituzionale è scrupolosamente seguito dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze che nell'applicare il criterio selettivo del tempus regit actus ai fini della valutazione delle istanze di benefici, tiene conto dei progressi risocializzativi già compiuti dal soggetto richiedente (8).

Ricordiamo infine che è pur sempre possibile pervenire ad una conclusione diversa rispetto a quella raggiunta dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze che interpreta la norma transitoria partendo dalla premessa, consolidata in giurisprudenza, dell'estraneità delle disposizioni penitenziarie alla natura di norme penali sostanziali

In definitiva, è stato sostenuto sia che il generale richiamo effettuato dalla norma transitoria all'art. 2 c.p. si risolverebbe nel recepirne i principi, a prescindere dalla natura penale o meno delle varie disposizioni della novella; sia che con tale norma il legislatore abbia implicitamente riconosciuto l'appartenenza alla legge penale sostanziale delle norme che regolano l'esecuzione in quanto attinenti al modo in cui si è puniti. Secondo questo ultimo assunto si avrebbe una sorta di interpretazione autentica circa la natura delle disposizioni penitenziarie (9).

d. Segue: un nuovo recentissimo intervento del Giudice delle Leggi

La stretta attualità della questione illustrata mi costringe a soffermarmi ulteriormente sull'argomento. Mentre scrivo queste pagine, infatti, la Consulta si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Magistrato di Sorveglianza di Livorno (V. nota n. 47), dichiarando la parziale incostituzionalità dell'art. 30-quater nella parte in cui limita i permessi premio ai condannati recidivi che, alla data di entrata in vigore della legge, avevano maturato i relativi requisiti.

Con ordinanza del 7 gennaio 2006 il Magistrato di Sorveglianza aveva sollevato l'eccezione di incostituzionalità di detto articolo sotto due profili, ossia in riferimento all'art. 25, secondo comma e 27, terzo comma. In tesi il giudice a quo deduceva, in contrapposizione con la prevalente giurisprudenza di legittimità, che il principio di irretroattività della legge penale si applicasse anche in tema di benefici penitenziari. In ipotesi, sollevava comunque questione di legittimità costituzionale della norma ex art. 27, terzo comma nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso in favore dei condannati che, prima dell'entrata in vigore della legge, abbiano raggiunto un grado di educazione adeguato al beneficio richiesto.

La Corte costituzionale eludendo ancora un volta la questione della irretroattività delle norme penitenziarie (10), ha accolto il secondo rilievo così pervenendo alla dichiarazione di parziale incostituzionalità dell'art. 30-quater in riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost. Viene rafforzato ancora una volta il principio rieducativo nella fase dell'esecuzione penale.

2. Problemi giuridici: ambito di applicabilità della disciplina restrittiva

a. L'incertezza dei confini applicativi della disciplina restrittiva prevista per il recidivo reiterato

Gran parte delle modifiche apportate all'ordinamento penitenziario hanno come comune denominatore il fatto di riferirsi al soggetto al quale "sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale" (11). La legge, nonostante alcune imprecisioni nella formulazione, appare quindi chiara nel richiedere che la recidiva sia stata dichiarata. È da escludere pertanto che la disciplina restrittiva scatti in mancanza di una espressa contestazione della recidiva reiterata nel corso del giudizio e della conseguente espressa sua dichiarazione nella sentenza emanata dal giudice (12).

Maggiori dubbi sono stati manifestati rispetto ad un'altra questione sempre riguardante l'estensione dell'ambito applicativo della disciplina restrittiva: essa è applicabile al soggetto solo con riferimento alla pena inflitta nella condanna in cui la recidiva reiterata è stata accertata ovvero si estende anche ad altre pene relative a titoli esecutivi sopravvenuti alla predetta condanna?

In effetti non è raro che alla sentenza di condanna che applica la recidiva sopraggiungano titoli esecutivi antecedenti ovvero condanne successive che di fatto non contengano la dichiarazione di recidiva. Tale problema è inoltre accentuato dal funzionamento di alcune Procure che, per carenze di risorse e per la mole di lavoro cui sono sottoposte, certo non eccellono in tempismo ed efficienza (13).

Questo interrogativo riveste una notevole importanza per le sorti del nostro ordinamento penitenziario, poiché dal tipo di risposta dipende la misura del ridimensionamento delle misure alternative. Questo è tanto vero che taluni parlando delle modifiche apportate hanno soprannominato la legge 251 come la ammazza Gozzini.

Seguendo l'interpretazione letterale delle nuove disposizioni, il condannato è un soggetto al quale "è stata applicata la recidiva reiterata". Quindi anche se la recidiva non è applicata al titolo in esecuzione ma dichiarata in un'altra sentenza antecedente, dovrebbe applicarsi il regime restrittivo introdotto con la novella della legge ex Cirielli. Così inteso il requisito della recidiva reiterata atterrebbe ad uno stato soggettivo del reo completamente distaccato dal fatto criminoso posto in essere.

Ma per risolvere la questione in modo più convincente occorre affidarsi anche all'interpretazione sistematica, guardando quindi alla ratio della disposizione considerata; occorre insomma stabilire se il regime restrittivo si fondi sulla pericolosità sociale della persona (determinata dal fatto di essere stato dichiarato recidivo) ovvero alla particolare gravità di un fatto commesso da chi è stato dichiarato recidivo reiterato. Nel primo caso viene in rilievo la pericolosità sociale della persona come maggiore capacità a delinquere e maggiore inclinazione al delitto; nel secondo rileva la pericolosità sociale intesa invece come espressione di una maggiore colpevolezza di chi ha commesso il nuovo reato.

Se si opta per la prima soluzione, in sostanza considerando il regime restrittivo fondarsi su uno status soggettivo del reo scisso dal fatto di reato, deve ritenersi che le limitazioni introdotte valgano per tutte le condanne, facciano o meno riferimento alla recidiva.

Laddove si opti, invece, per una ratio della disposizione ancorata alla particolare gravità del fatto, che è tale perché commesso da un soggetto cui sia stata applicata la disposizione di cui all'art. 99, comma 4, c.p., allora le limitazioni varranno solo con riferimento alle pene inflitte con le condanne che abbiano accertato tale condizione. (14)

Certo è che una valutazione del trattamento sanzionatorio ed esecutivo correlato con il singolo fatto e la singola pena è più in armonia con la tradizionale impostazione dell'esecuzione penale, che tendenzialmente rifugge da qualità soggettive scollegate dall'accertamento di singoli fatti. Tale soluzione è peraltro quella seguita dalla giurisprudenza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze che nelle applicazione del nuovo regime restrittivo accerta la sussistenza della recidiva reiterata dall'esame non del certificato del casellario giudiziale, bensì della sentenza di condanna in esecuzione.

b. Il grave problema interpretativo del comma 7-bis dell'art. 58-quater

Un altro grave interrogativo, in parte collegato con la soluzione di quello precedentemente esaminato, è relativo al nuovo comma 7- bis dell'art. 58- quater del quale abbiamo già parlato al paragrafo 4 del capitolo 2.

Qui il problema non è quello di stabilire se il divieto in esso contenuto si applica solo se la recidiva è dichiarata nella sentenza di condanna in esecuzione; tale quesito lo assumiamo come risolto nel senso seguito dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze. Si tratta invece di capire se il numero massimo di misure alternative concedibili si riferisca alla pena applicata con la recidiva reiterata ovvero abbia una portata assoluta nel senso che il divieto di concessione si estende all'intera vita del soggetto (dichiarato, s'intende, recidivo reiterato).

L'esegesi di questa norma, che probabilmente è stata formulata senza la consapevolezza delle probabili conseguenze applicative, può infatti portare a diversi risultati interpretativi.

Sinteticamente, occorre capire se norma consenta al recidivo reiterato:

  1. una sola misura alternativa per tutta la vita;
  2. una sola di ciascuna delle misure alternative per tutta la vita (quindi tre misure: affidamento in prova; detenzione domiciliare; semilibertà);
  3. un solo beneficio sulla singola pena, potendo concedersi ulteriori benefici nelle successive condanne.

La lettera della norma che si riferisce al condannato e non alla pena, dovrebbe far protendere per l'interpretazione restrittiva. Il legislatore, se avesse voluto, avrebbe infatti potuto fare espresso riferimento alla pena. Tuttavia questa tesi prova troppo: la dizione utilizzata ("..non possono essere concessi più di una volta al condannato..") è frutto di una scelta espressiva, laddove il riferimento al condannato rimane pur sempre collegato alla pena contenuta nella singola condanna.

È altresì vero che l'altra interpretazione della norma, che circoscrive il numero di misure alternative concedibili sulla singola pena, riduce notevolmente la portata della riforma e si pone in contrasto con l'intenzione del legislatore. Bisogna tener conto, infatti, dell'esistenza del comma 2 dell'art. 58- quater che prevede il divieto triennale di concessione di un nuovo beneficio nei confronti di coloro che se lo sono fatto revocare. L'interpretazione da ultimo prospettata attribuirebbe pertanto alla riforma il significato di eliminare per il recidivo reiterato il limite triennale del divieto: in caso di revoca del beneficio il divieto di nuova concessione varrà senza limiti di tempo nei confronti del recidivo reiterato, mentre avrà durata triennale per il condannato ordinario.

Una tale interpretazione è tuttavia poco percorribile non solo perché contrasta con il tenore letterale della norma, ma perché confligge con tutta probabilità con la volontà del legislatore.

Inoltre, questa soluzione porta ad un risultato che lo stesso legislatore avrebbe potuto realizzare senza la costruzione del nuovo comma 7-bis, ossia attraverso un intervento sul comma 3 dell'art. 58-quater, prevedendo cioè per il recidivo reiterato una preclusione specifica senza limiti di tempo.

Percorrendo la linea interpretativa che ritiene il limite valido solo sulla singola pena, si potrebbe giungere, infine, anche al passaggio successivo di ritenere la limitazione riferita alla concessione di un solo beneficio per tipo. Si arriverebbe per questa strada all'assurda conclusione di un trattamento più favorevole nei confronti del recidivo: mentre il delinquente primario che subisce una revoca del beneficio non potrebbe ottenerne altri per tre anni, il recidivo avrebbe questa possibilità purché il nuovo beneficio sia di tipo diverso.

Anche l'altra soluzione secondo cui il recidivo reiterato può ottenere in vita una sola misura alternativa, per quanto maggiormente in armonia con la lettera della legge e rispondente alla volontà del legislatore, non è stata accolta con gran favore dalla dottrina.

Secondo la dottrina maggioritaria, infatti, l'aspetto meno convincente di tale interpretazione è l'eccessivo rigore che deriverebbe dall'applicazione del comma 7- bis. Un eccessivo rigore che, secondo alcuni, potrebbe violare il principio rieducativo in un sistema sanzionatorio come il nostro retto dalla teoria della polifunzionalità della pena; secondo altri, condurrebbe invece a censure di irragionevolezza della norma ai sensi dell'art. 3 della Costituzione (15).

Sotto il profilo del principio rieducativo, l'interpretazione prospettata condurrebbe in effetti alla perdita di qualsiasi tratto di flessibilità della pena nei confronti dei recidivi reiterati, trasformandosi in un mezzo di mero contenimento della pericolosità soggettiva che raccoglie soltanto le istanze retributive e specialpreventive volte alla neutralizzazione.

Sotto il profilo della ragionevolezza, le obiezioni mosse alla tesi restrittiva muovono invece dalla considerazione che la preclusione nei confronti del recidivo reiterato all'accesso ad una seconda possibilità di alternativa al carcere opera indipendentemente dal periodo di tempo trascorso dall'ultimo beneficio ottenuto e dalla causa della sua cessazione.

A queste ipotesi di dubbia razionalità deve aggiungersi quella in cui una nuova misura alternativa viene negata anche quando la nuova pena si riferisce ad un reato precedente alla prima misura.

In altre parole il nuovo comma 7- bis ha il difetto di non distinguere, nel vietare le misure alternative, la recidiva nel delitto dopo un primo beneficio, dalla semplice successione, a carico di un soggetto recidivo, di nuovi titoli esecutivi relativi a reati antecedenti alla prima concessione della misura alternativa. Al contrario, pone un divieto generalizzato che si estende alla categoria dei recidivi reiterati, all'interno della quale sono sussumibili le varie ipotesi che abbiamo descritto, dando origine a risultati aberranti poiché comportano trattamenti draconiani rispetto a situazioni prive di fondamento criminologico.

Ciononostante, l'interpretazione che limita a una sola misura alternativa concedibile in vita al recidivo appare quella voluta dal legislatore e quella più coerente con la lettera della norma. Lo stesso Tribunale di Sorveglianza di Firenze si è del resto allineato a quest'ultima interpretazione, nonostante i profili di illegittimità costituzionale che abbiamo sopra riportato. Questo Tribunale avanza tuttavia un'interpretazione correttiva della suddetta tesi che consente al recidivo reiterato di conseguire, nell'arco della vita, una sola volta ciascuna delle misure alternative (un affidamento in prova; una semilibertà; una detenzione domiciliare) (16).

Per dare concretezza al discorso fin qui svolto pare opportuno riportare brevemente un caso emblematico degli effetti aberranti del comma 7- bis che ho avuto modo di esaminare in occasione di una stage che ho svolto presso l'Ufficio di Sorveglianza di Firenze.

La Procura della Repubblica emana nei confronti del signor M un ordine di esecuzione per una condanna che si riferisce ad un reato del 1997. Nonostante che il signor M abbia alle spalle una lunghissima ma lontana carriera criminale, il pubblico ministero notifica all'interessato il decreto di sospensione dell'ordine di esecuzione poiché dal titolo esecutivo per cui si procede non risulta la recidiva reiterata.

Il signor M, che negli ultimi 10 anni si è "rifatto una vita" uscendo dalla tossicodipendenza e trovando un impiego stabile con cui soddisfa i bisogni della sua famiglia acquisita, presenta nei 30 giorni previsti dalla legge istanza al Tribunale di Sorveglianza al fine di ottenere l'affidamento in prova come modalità di esecuzione della pena residua di 5 mesi.

Ebbene, nonostante che dalle evidenze istruttorie l'affidamento si mostrasse la misura più idonea al caso concreto in quanto tendente ad evitare la desocializzazione del reo e lo stesso pericolo di recidiva (assunto dai giudici come inesistente), il collegio ha dovuto rigettare l'istanza di affidamento in applicazione del nuovo disposto di cui all'art. 58- quater, comma 7- bis. In effetti, il signor M aveva in passato già fruito di 2 affidamenti con ciò integrando la condizione ostativa prevista per i recidivi reiterati dalla nuova norma. Nemmeno poteva concedersi l'affidamento terapeutico in quanto l'interessato non versava più nella condizione di tossicodipendente. Tuttavia il Tribunale di Sorveglianza, accedendo all'interpretazione estensiva del limite di concessione, applicava al signor M. la semilibertà, evitando quantomeno uno dei peggiori effetti desocializzanti del carcere, ossia la perdita del lavoro.

L'esempio riportato vuole solo richiamare l'attenzione al rischio che il legislatore corre nel legiferare per categorie generali. In effetti, riferirsi alla recidiva reiterata per la produzione di una serie di effetti giuridici comporta, stante la genericità e la perpetuità della stessa, l'estensione di quest'ultimi a tutta una serie di soggetti che molto probabilmente neppure il legislatore aveva considerato.

In relazione alla fattispecie preclusiva prevista al comma 7- bis il legislatore avrebbe potuto più opportunamente riferirsi non già alla recidiva quanto a determinati fatti di reati commessi dopo la fruizione dei benefici.

c. Applicazione del regime restrittivo nelle ipotesi di cumulo giuridico

L'avvento della legge ex Cirielli ripropone un problema applicativo già affrontato in sede di attuazione del regime restrittivo introdotto nel 1991 con l'art. 4- bis ord. pen.

L'applicazione del regime più severo stabilito per il recidivo reiterato in ordine ai permessi premio (art. 30- quater), alla semilibertà (art. 50- bis) e alla detenzione domiciliare (art. 47- ter, comma 1.1) mostra infatti dei profili problematici in ordine all'esecuzione di un provvedimento di cumulo relativo ad una pluralità di condanne, tra le quali una o alcune soltanto hanno applicato l'aggravante di cui all'art. 99, comma 4, c.p.

In tali ipotesi l'interrogativo è se il regime restrittivo debba essere applicato all'unica pena derivante dalla varie pene unificate nel cumulo ovvero sia possibile sciogliere il provvedimento di cumulo per applicare alla pena non aggravata dalla recidiva il regime ordinario.

Per rispondere all'interrogativo si deve verificare se siano applicabili al caso in esame i principi da tempo avanzati e accolti dalla giurisprudenza in tema di scioglimento del cumulo di pene, al fine di limitare l'impatto delle restrizioni previste per le condanne ex art. 4- bis, comma 1, ord. pen.

In un primo momento la Corte di Cassazione negava potersi procedere allo scioglimento del cumulo avente ad oggetto delitti unificati per la continuazione tra i quali fosse compreso un reato ostativo previsto dall'art. 4- bis. Come precisato dalla Suprema Corte "il reato continuato è di regola considerato come unico reato: esso può eccezionalmente essere scisso soltanto se ed in quanto previsto dalla legge. Ne consegue che laddove uno dei reati unificati sia ostativo dell'applicazione dei benefici di cui all'art. 4- bis - che nulla prevede in deroga al principio generale- il relativo regime si estende alla conseguente condanna" (17)

Di segno opposto sono, tuttavia, le recenti posizioni della I Sezione che propende in maniera sempre più netta per la tesi della dissoluzione, in base all'assunto che il cumulo delle pene "costituisce un beneficio per il condannato e tale deve permanere in tutta la fase esecutiva". In queste recenti sentenze la Cassazione ha quindi stabilito il principio di scindibilità del provvedimento di cumulo qualora questo si traduca, in sede esecutiva, in un danno per il condannato in modo tale da poter prendere in considerazione le singole condanne alle quali possono essere attribuite le pene già espiate che, in base al criterio del favor rei, devono essere riferite in primo luogo alle condanne ostative. In altre parole si crea un meccanismo in base al quale la quota di pena già espiata si imputa alla condanna ostativa, in modo che la restante parte rimane soggetta al regime più favorevole.

Ebbene, volgendo lo sguardo alla recentissima prassi applicativa, il Tribunale di Sorveglianza di Firenze segue il principio della scindibilità, attuando così lo scioglimento in bonam partem del cumulo. Con ordinanza 2029/06 detto Tribunale ha infatti applicato al signor N, detenuto dal 28 giugno 2003, la semilibertà dopo aver sciolto il provvedimento di cumulo che, riunendo 5 diverse condanne, lo condannava ad anni 6, mesi 7 e giorni 18 di reclusione. Restando la parte di pena aggravata dalla recidiva reiterata (5 mesi) imputata alla pena già espiata, la parte residua di pena da espiare rimaneva pertanto soggetta al regime ordinario che richiede per l'ammissione alla semilibertà la metà pena già scontata. Il signor N, avendo alle spalle tre anni e 10 mesi di reclusione, rimaneva così nei termini di legge.

Si noti che, accedendo al principio di inscindibilità del cumulo, l'intera pena unificata sarebbe rimasta aggravata dalla recidiva reiterata con la conseguente applicazione del regime speciale previsto dall'art. 50-bis ord. pen. In tale circostanza il signor N avrebbe dovuto aspettare ancora del tempo per la maturazione dei due terzi di pena espiata.

Questa rappresenta certamente una delle prime applicazioni giurisprudenziali in ordine alla possibilità di scioglimento per limitare il regime restrittivo della ex Cirielli, ma sulla soluzione prospettata non esistono unanimità di consensi.

Oltre alla già citata cassazione di senso contrario, altre voci critiche si sono infatti sollevate suggerendo cautela per una estensione totale della teoria dello scioglimento del cumulo al caso dei recidivi reiterati. Secondo questi autori una maggiore riflessione dovrebbe essere stimolata dalla diversa finalità dell'attuale riforma rispetto a quella del 4-bis. Mentre questo prevede un catalogo di illeciti per i quali si impone un regime di rigore non giustificato per i reati non tassativamente previsti, la riforma in commento invece fonda il regime deteriore su una categoria di soggetti il cui tratto unificante è l'esistenza di tre condanne per delitti non colposi. In sintesi, il legislatore, prendendo di mira non la particolare gravità di un fatto di reato bensì una sequela di tre o più condanne, ha voluto evidentemente punire tale situazione; ciò non consentirebbe pertanto una separazione delle varie pene poiché il disvalore attribuito dalla legge si riferisce all'insieme delle stesse.

3. Il problema del sovraffollamento carcerario

La mini-riforma penitenziaria esaminata pone anche urgenti questioni pratiche, poiché finisce con l'aggravare il perenne ed irrisolto problema del sovraffollamento delle carceri italiane. L'allarme dell'inadeguatezza dei nostro istituti penitenziari di fronte ad un ulteriore incremento delle popolazione detenuta è stato infatti lanciato da voci molto autorevoli già dal giorno stesso dell'entrata in vigore della legge 251.

L'immagine delle "carceri che scoppiano" è ormai ben nota a tutti. Tuttavia il dibattito politico e mediatico che ha accompagnato l'iter formativo della legge non ha interessato le eventuali ricadute della stessa sui problemi di edilizia penitenziaria (18). Non è questa la sede per approfondire le ragioni di tale disinteresse, basti osservare che il carcere, nonostante i principi affermati dalla riforma del 1974 e dalla legge Gozzini, rappresenta ancora oggi un pianeta scollegato alla società esterna.

Le nuove disposizioni in tema di recidiva e la relativa disciplina restrittiva che abbiamo esaminato potrebbero avere dunque ricadute negative sulla già drammatica situazione carceraria.

L'inarrestabile aumento dei detenuti che da tempo ormai registra una crescita costante di 6.000 unità all'anno (19) sarebbe infatti ulteriormente alimentato grazie al "giro di vite" operato dal legislatore nei confronti dei recidivi.

Basti pensare a quanto abbiamo sottolineato nelle pagine precedenti circa l'impatto sul sistema penitenziario sia delle nuove disposizioni contenute negli artt. 656 c.p.p. e 58-quater, sia della nuova disciplina restrittiva in ordine alle misure alternative della detenzione domiciliare e della semilibertà.

In assenza di solidi di dati statistici, molti commentatori si sono lanciati in varie previsioni che annunciano aumenti fino a 20.000 detenuti in più quando la nuova normativa sarà a pieno regime.

Poiché il reale impatto delle nuove disposizioni dipenderà anche dal consolidamento della loro interpretazione in fase applicativa, rimane comunque difficile effettuare precisi pronostici sull'aumento della popolazione carceraria (20). Piuttosto occorre svolgere alcune considerazioni partendo da due dati: il primo, certo, di fonte ISTAT; il secondo meno attendibile ma sicuramente plausibile fondato su stime empiriche.

Anzitutto, l'unico dato ufficiale che fotografa la realtà del 2003 indica col 64% i condannati per delitto "con precedenti penali" (21). Sulla base di stime empiriche, invece, una quota non distante dal 50% dei soggetti attualmente in esecuzione pena esterna è nelle condizioni di recidiva richieste dalla legge (22).

Indipendentemente da ogni quantificazione, risulta comunque evidente il duro contraccolpo che la nuova disciplina sui recidivi avrà sull'incremento della popolazione detenuta, con probabile rischio di una vistosa attenuazione dello spirito della riforma del 1974.

Mi spiego meglio.

L'ordinamento penitenziario così come modificato dalla legge Gozzini, da un lato ha concepito il carcere come momento di opportunità per una eventuale risocializzazione del condannato, dall'altro ha previsto una serie percorsi alternativi al carcere imputando alla pena il carattere essenziale di flessibilità.

Ebbene, se i paventati dati sull'incremento demografico delle popolazione detenuta avranno nei prossimi anni conferma si avrebbero due conseguenze pratiche in aperta contraddizione con la politica penitenziaria espressa a partire dalla legge 354.

La prima è che nei confronti dei recidivi reiterati si ridurrebbe (fino in taluni casi a perdersi) il carattere flessibile della pena. La seconda è relativa all'incremento dei detenuti che, in un contesto già di sovraffollamento carcerario, comporterà inevitabilmente un peggioramento delle condizioni di vita all'interno degli istituti penitenziari, rendendo così il carcere sempre più un contenitore di marginalità sociale e su cui non investire se non in termini meramente custodiali.

Di fronte a tali prospettive abbiamo assistito, sia nella passata legislatura che nella nuova, a varie proposte di amnistia che, al di là delle argomentazioni politiche che le sorreggono, rappresentano sicuramente una valvola di sfogo per l'operatività, quanto meno a breve termine, della legge in commento.

La delicatezza della questione ha infine colpito anche il Ministro della Giustizia che all'indomani dell'approvazione della legge lanciava l'allarme carceri chiedendo al Governo di stanziare risorse al fine di finanziarie la costruzione di nuovi istituti penitenziari (23).

4. Note conclusive

Le pagine che precedono ci offrono lo spunto per avanzare qualche osservazione conclusiva.

Come abbiamo detto, la storia dell'esecuzione penale si caratterizza per l'alternanza tra interventi normativi di stampo rigorista ed altri di matrice clemenziale. Al fine di rispondere alle più variegate istanze, preoccupazioni o allarmismi di volta in volta emergenti dalla realtà sociale e penitenziaria, il legislatore ha più volte messo le mani sull'impianto normativo predisposto con la riforma del 1975, talvolta inserendo nuovi istituti, talaltra ricorrendo all'ortopedia delle regole esistenti.

Ebbene, la legge 251 del 2005 si iscrive a pieno titolo nel trend di un più accentuato rigorismo, in quanto frutto di una nuova istanza di severità nei confronti dei recidivi reiterati. Questi ultimi vengono dunque sottoposti ad un regime punitivo molto duro: aumenti di pena determinati in maniera rigida piuttosto consistenti (artt. 99, comma 4 e 81, comma 4, c.p.; art. 671, comma 2-bis c.p.p.); limitata applicazione delle circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis); divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti (art. 69, comma 4 c.p.); termini prescrizionali più lunghi (art. 161, comma 2 c.p.); divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione (art. 656, comma 9 c.p.p.); termini più lunghi per la concessione dei permessi premio (art. 30-quater ord. pen.); forti limitazioni all'accesso alle misure alternative (artt. 47- ter, comma 1.1; 50- bis; 58- quater, comma 1 e 7-bis).

Il legislatore avrebbe dunque optato per un logica così repressiva tanto che taluno ha evocato l'istituto di origine statunitense denominato three strikes and you're out (24); espressione di un principio in base al quale alla terza condanna scatta una punizione esemplare.

Il senso politico della novella è pertanto quello di imprimere un "giro di vite" nella repressione penale del recidivo sulla base della considerazione che la perseveranza nel delitto è sintomo di inadeguatezza per il soggetto sia delle ordinarie sanzioni penali sia del trattamento extra-murario. Pertanto, il legislatore ritiene i recidivi tanto pericolosi da meritare un regime penale differenziato che viene attuato, ed è questo il punto, attraverso un sistema di presunzioni legali di pericolosità che investono tanto il trattamento sanzionatorio quanto l'esecuzione penitenziaria.

Lasciando a menti più esperte la formulazione di questioni di legittimità costituzionale, mi pare comunque opportuno esprimere alcune note critiche al congegno normativo approntato con la legge in esame.

Anzitutto, non convince il ricorso alla recidiva come fattispecie presuntiva della pericolosità sociale del reo, al fine di collegare i vari effetti sulla pena e sul trattamento penitenziario.

Si assiste, peraltro, ad un ripristino di quel sistema in cui il meccanismo delle presunzioni legali reggeva un intero settore dell'apparato repressivo: quello delle misure di sicurezza. Sistema che, come sappiamo, è stato prima attaccato dalla Corte costituzionale, poi definitivamente abolito dal legislatore nel 1986 (25). Un congegno che sarebbe opportuno respingere per due ragioni essenziali.

La prima ragione è di natura costituzionale. L'estremo rigore adottato dalla legge n. 251 nei confronti dei recidivi di cui all'art. 99 c.p. apre la strada alla formulazione di interrogativi sia sulla ragionevolezza del nuovo regime, sia sulla sua compatibilità con il fine rieducativo. Non posso affrontare in queste note conclusive la complessa questione, tuttavia mi preme richiamare l'attenzione sul fatto che siamo di fronte ad un sistema di presunzioni iuris et de jure di pericolosità che escludono in sede esecutiva un qualsiasi vaglio concreto della situazione del condannato. Ne deriva che "il giro di vite" è attuato nei confronti di chi è ritenuto astrattamente pericoloso, a prescindere quindi da un accertamento dell'effettiva pericolosità sociale. Parte della dottrina non ha, infatti, esitato a denunciare l'incompatibilità del sistema con i parametri di legittimità fissati agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione (26). La strada per l'accoglimento di tali censure non è, tuttavia, priva di ostacoli, tenuto conto della storia della giurisprudenza costituzionale in tema di ipotesi di pericolosità presunta.

A prescindere dagli eventuali dubbi di costituzionalità, la manovra sull'art. 99 desta molta preoccupazione per un secondo ordine di ragioni.

Abbiamo visto che il legislatore del 2005 non solo ha ripristinato ipotesi di obbligatorietà della recidiva, ma ne ha mantenuto anche i caratteri di genericità e perpetuità. Quindi, il regime restrittivo introdotto finisce con il collegarsi a presunzioni di pericolosità che, proprio per il carattere generico e perpetuo, possono accomunare variegate carriere criminali, nient'affatto assimilabili sul piano della gravità dei fatti commessi, del numero delle condanne subite, del tempo che separa i singoli episodi delittuosi. Non rimane che constatare con rammarico l'esistenza di un regime penitenziario ad hoc incentrato su un istituto (la recidiva) sotto il cui ombrello applicativo rientrano situazioni diversissime tra loro.

La genericità e perpetuità della recidiva comporta infatti che si ascriva alla carriera criminale del reo qualsiasi delitto non colposo compiuto nella vita; qualunque che sia l'intervallo cronologico tra i vari fatti.

Ecco che l'intervento del legislatore sarebbe stato maggiormente "ragionevole" se avesse riformato l'istituto della recidiva eliminando tali caratteri, retaggio ormai di un antico diritto penale: quindi avrebbe dovuto, da un lato, introdurre limiti temporali ben precisi; dall'altro, circoscrivere la recidiva a quelle forme che denotano una maggiore capacità criminale.

Oltretutto la novella si discosta dalla disciplina della recidiva delineata invece nel progetti di codice elaborati sia dalla "Commissione Grosso" che dalla "Commissione Nordio"; la prima prevedeva un duplice sbarramento alla dichiarazione di recidiva (27), la seconda l'abolizione della recidiva reiterata.

Concludo ricordando che la scelta politico-penale del legislatore di inasprire fortemente la risposta repressiva nei confronti del recidivo è espressione di un trend che, a livello internazionale, è tutt'altro che consolidato. Al contrario, la tendenza manifestata in altri ordinamenti è di segno opposto; si pensi alla Germania che ha addirittura abolito la recidiva, la quale assume solo rilevanza di ordinario criterio di commisurazione della pena all'interno della cornice edittale (28).

De iure condendo, è auspicabile infine che il legislatore rivolga la propria attenzione all'esecuzione penitenziaria attraverso una vera riforma organica della materia. Segnando così un punto di discontinuità rispetto all'esperienza degli ultimi trenta anni, caratterizzata dal ripetersi di interventi normativi disorganici che hanno minato la sistematica e la razionalità del progetto del 1974.

Note

1. La legge 251/2005 è, in concreto, entrata in vigore il giorno 8 dicembre 2005.

2. Mi riferisco a tutte le disposizioni non attinenti alla prescrizione: ossia concernenti le circostanze attenuanti generiche, l'associazione di tipo mafioso, l'usura, il giudizio di bilanciamento, il concorso formale, la continuazione di reati, la recidiva e i benefici penitenziari.

3. In tal senso v. Padovani, Disparità di trattamento sui termini abbreviati, in Guida dir, 1 (dossier)., 2006, p. 36.

4. Per l'interpretazione formalistica del concetto di legge penale si vedano, Cass., sez. I, 17 dicembre 2004, Goddi, in Guida dir., 2005, 7, p. 71; Cass., sez. I, 14 gennaio 1997, Dessolis, in Cass. Pen., 1997, p. 3591; Cass., sez. I., 23 settembre 1994, Rossi, in ivi, 1996, p. 1288; Cass, sez. I, 21 marzo 1994; Tassane, ivi, 1995, p. 3529; Cass. Sez. I, 8 ottobre 1993, Carannante, ivi, 1995, p. 286; Cass. Sez. I, 14 giugno 1993, Avolio, ivi, 1995, p. 704; Cass sez. I, 15 aprile 1993, Staltari, in C.E.D. Cas, n. 194409.

5. In argomento v, O. Mazza, La norma processuale penale nel tempo, Milano, 1999, p. 91 ss.

6. V. per tutte Trib. Sorv. Firenze, ordinanza del 4.aprile 2006, reg. nº 3647/2006.

7. Relativamente al beneficio della semilibertà v., Corte cost., sentenza 30 dicembre 1997, n. 445; relativamente al beneficio del permesso premio v., Corte cost. 22 aprile 1999, n. 137.

8. V. Trib. Sorv. Firenze, ord. 16 maggio 2006, n. 56451. Occorre segnalare inoltre che il Magistrato di Sorveglianza di Livorno con ordinanza del 7 gennaio 2006 ha sollevato questione di legittmità costituzionale dell'art. 30- quater in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.

9. V. Marzaduri, Prescrizione: dimenticati i giudizi abbreviati, in Guida dir., 1 (dossier), p. 88; Padovani, E' indulto il solo "lieto" fine possibile per la tragedia delle nostre galere, in Il foglio, 6, dicembre 2005, n.. 288, p. III.

10. Come in una precedente sentenza sulla liberazione condizionale (273/2001), la Corte ha mostrato cautela rispetto all'applicabilità dell'art. 25 C. alle norme penitenziarie evidenziando la difficoltà, se non l'inopportunità, di operare avventurose scelte di campo che ovviamente non potrebbero che essere irreversibili. La Corte ha evitato di pronunciarsi sul punto giudicando "apparente" la gerarchia secondo la quale il giudice rimettente ha formulato le questioni. Ritenendo quindi sussistere la formulazione di due distinti e autonomo profili di incostituzionalità, la Corte ha così accolto la seconda questione limitandosi a dichiarare assorbita, perché irrilevante, la prima.

11. Mi riferisco cioè agli artt. 656, comma 9, c.p.p.; 30-ter; 47-ter, comma 1.1 e 1- bis; 50- bis e 58- quater, comma 7- bis

12. In questo senso v. A. Marcheselli, Permessi premio con il contagocce ai recidivi, in Guida al dir., 2006, 1 (dossier) p.79; D'Agnolo, Novità su detenzione domiciliare ed ordine esecuvito, cit.

13. Ormai nota è l'urgenza in cui versano numerosi uffici della Procura che non riescono a smaltire gli incombenti di legge. Il problema è tanto evidente che lo stesso legislatore (tramite la conversione di un decreto legge del luglio 2005) ha delegato le funzioni di pubblico ministero a magistrati non togati in relazione ai procedimenti penali celebrati di fronte al giudice di pace.

14. V. A. Marcheselli, I permessi premio..., cit., p. 79.

15. V. Marra, Le modifiche apportate all'ordinamento penitenziario. Uno sguardo di insieme, in Nuove norme su prescrizione del reato e recidiva, Cedam, 2006.

16. In questo senso, si veda per tutte Trib. Sorv. Firenze, ord. 18 maggio 2006, r.g. 5490/05; Trib. Sorv. Firenze, ord. 16 maggio 2006, r.g. 5428/06.

17. Cass. Sez. I, 22 agosto 1994, Cella, in Arch. N. proc. Pen., 1995, p. 302; Cass. Sez. I, 5 maggio 1994, Gilona, in Cass. Pen., 1995, p. 2687.

18. Contro la proposta si segnalano soltanto alcune isolate voci da parte di docenti universitari e associazioni di volontariato che operano attorno al "pianeta carcere".

19. V. L. Solvetti, a cura di Il sistema penitenziario italiano. Dati e analisi, Ministero della Giustizia, Roma, 2003.

20. Si pensi ad esempio a quanto abbiamo detto in relazione alle ipotesi di obbligatorietà della dichiarazione di recidiva ovvero circa l'ambito di applicabilità della disciplina restrittiva.

21. ISTAT, Annuario statistico italiano, Roma, 2005, p. 140.

22. Neppure il Dipartimento dell'Ammnistrazione Penitenziaria è in possesso di numeri relativi alla recidiva; per le ricerche empiriche v. Marcheselli, I permessi premio..., cit., p. 80.

23. Sull'opportunità di costruire ben 30 nuovi istituti penitenziari v. sempre Marcheselli, I permessi premio..., cit., p. 80.

24. L'analogia tra le novità della l. 251 relative al recidivo reiterato e la logica sottostante al principio del "tre colpi e sei fuori" è stata messa in evidenza da Dolcini, Le due anime della legge "ex Cirielli", in Corriere del merito, 2006, p. 55.

25. V. Legge 10 ottobre 1986, n. 663. Inoltre, la riforma del codice di procedura penale ha confermato il rifiuto del nostro ordinamento per le presunzioni legali, screditando all'art. 679 la tesi secondo cui la legge Gozzini avrebbe lasciato intatto il sistema di presunzioni di pericolosità in sede esecutiva.

26. V. Padovani, Una novella piena di contraddizioni, in Guida dir., 1 (dossier), p. 32 ss.; Cardile, L'ex Cirielli e la pena: rischi di abnormità, in Diritto e Giustizia, num. 6, p. 55; in senso contrario Salerno, Un intervento..., cit., p. 45 ss.; Blasi, Ex Cirielli, ridotti i benefici carcerari. La stretta sui recidivi punto per punto, in Diritto e Giustizia, num 3, p. 101.

27. In particolare si preveda un sbarramento temporale, dovendo la commissione del nuovo reato intervenire entro dieci anni dalla precedente sentenza irrevocabile; e uno sbarramento relativo alla tipologia di reati considerati, ristretta ai delitti o alle contravvenzioni della stessa indole.

28. L'art. 23 StAndG del 13 aprile 1986 ha abrogato il 48 StGB, che prevedeva in caso di recidiva un aumento del minimo edittale.