ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Marika Surace, 2005

Milioni di dati informatici, milioni di bit che compongono parole, immagini, contratti ed informazioni di ogni genere, viaggiano velocemente, ogni giorno, attraverso i canali della rete globale conosciuta come Internet. Nel 1851 Nathaniel Hawthorne immaginava il mondo del futuro, facendone una descrizione non troppo dissimile da quella che è la realtà contemporanea: "Il mondo della materia è diventato un nervo enorme, vibrante per migliaia di miglia in un battibaleno [...] il globo è una testa enorme, un cervello pervaso di intelligenza". (1)

I progressi tecnologici compiuti in più di un secolo e mezzo danno ragione allo scrittore americano: la rete telematica che unisce i computer di tutto il mondo, annullando confini e distanze tra gli stati, è realmente dotata di una propria vitalità, poiché si forma e si nutre di tutto ciò che i navigatori mettono on line. Internet ha tradotto il desiderio di comunicazione globale in realtà, divenendo negli ultimi dieci anni uno strumento indispensabile. Le banche dati contengono una quantità enorme di informazioni, continuamente in crescita, a cui chiunque sia dotato di un modem e di un processore può accedere.

Proprio il carattere di accessibilità praticamente universale rende la Rete un fenomeno in cui la democrazia pare realizzarsi nel migliore dei modi auspicabili. Ma la tecnologia e il progresso, si sa, non possiedono mai un volto solo. Se Internet, ai più e dopo un'analisi superficiale, può apparire come il più esemplare modello di democraticità del pianeta, quello che avviene realmente è tutt'altro che la realizzazione di principi di uguaglianza e partecipazione.

In un famoso articolo comparso sul giornale inglese The Economist, nel 1999, si mettevano all'erta i lettori, annunciando un futuro molto poco rassicurante per i diritti civili di ognuno. (2) Unico imputato di un processo impossibile: il progresso tecnologico. Vittima più colpita: il diritto alla privacy. Non è un problema che riguarda solo cibernauti abituali, gente che frequenta chat o forum, persone che concludono quotidianamente contratti telematici. Siamo tutti coinvolti, perché i dati di ognuno di noi sono raccolti in molti più database informatici di quanti potremmo immaginare. Basti considerare la quantità di informazioni che, tutti i giorni, immettiamo nel sistema: uso di carte di credito, chiamate attraverso il telefono cellulare, acquisti al supermercato con l'utilizzo delle carte fedeltà. (3) Per non parlare di dati personali raccolti in archivi anagrafici, scolastici, sanitari. Tutta una serie di informazioni molto private che, incrociate tra loro, ci rendono più trasparenti del vetro. E, soprattutto, fa sì che siamo ovunque rintracciabili, come se lasciassimo dietro noi tante piccole molliche di pane.

Il processo è talmente in espansione da sembrare inarrestabile, ed è nettamente percepito da tutti coloro che amano ancora pensare di possedere un loro spazio inviolabile, strettamente privato, che non può costituire il prezzo da pagare per comodità e facilitazioni create dalla c.d. "Società dell'Informazione".

La mia ricerca analizzerà innanzitutto l'evoluzione di quella che è attualmente definita "Società della Sorveglianza", partendo dalla consapevolezza che, a partire dall'epoca moderna, ogni forma di potere, statale e non, si è servita delle informazioni sugli individui per controllarne i comportamenti, sorvegliarne le attitudini e condizionarne le azioni future. In particolare, nel primo capitolo, la mia analisi si soffermerà innanzitutto sulle più importanti scuole di pensiero sociologico che hanno considerato il complesso rapporto tra le metodologie di sorveglianza e l'esercizio del potere, grazie alle teorie di tre differenti autori: Marx, Weber e Foucault. Partendo da questi studi storico-sociologici che appartengono all'epoca moderna, ho cercato di individuare il passaggio, cruciale, ad una forma di società completamente diversa, caratterizzata da altre istanze di potere e da nuove necessità di controllo sociale: la postmodernità.

Una delle caratteristiche fondamentali di questo passaggio è l'introduzione delle tecnologie informatiche, che permettono di applicare metodologie di sorveglianza nuove, più subdole ed inafferrabili, rese tali dalla loro natura elettronica. Basandomi sulle impostazioni sociologiche considerate nella prima parte del capitolo, ho analizzato gli effetti della sorveglianza computerizzata su tutti gli individui, le nuove forme di catalogazione delle persone attraverso i database digitali e le potenziali discriminazioni derivanti da un uso spregiudicato del controllo elettronico. Per evidenziare le reali caratteristiche dei nuovi apparati di intercettazione globale che mirano ad una sorveglianza onnicomprensiva, ho infine analizzato tre tra i più invasivi sistemi di controllo delle comunicazioni e di raccolta dei dati personali: Echelon, Enfopol ed il Sistema Informativo Schengen.

Una delle più invocate forme di difesa nei confronti della sorveglianza, soprattutto quella elettronica, è la tutela del diritto alla privacy. E' sempre più difficile e complesso raggiungere un equilibrio tra le due istanze, quella di un monitoraggio che supporti le nuove esigenze economiche, di sicurezza e di mantenimento dell'ordine, e quella che mira invece a difendere il patrimonio più intimo dell'individuo, le sue opinioni, le sue scelte personali. Nel secondo capitolo, dunque, l'analisi sarà finalizzata a comprendere meglio l'essenza del concetto di privacy, partendo da come esso ebbe origine alla fine del XIX secolo. Per acquisire una vera consapevolezza di ciò che il diritto alla privacy mira a tutelare, è assolutamente necessario sapere come e quando nacque l'esigenza di riconoscerlo e farne uno dei diritto fondamentali della personalità. L'analisi avrà un carattere socio-giuridico, ed esaminerà innanzitutto lo sviluppo del diritto alla privacy attraverso provvedimenti legislativi e casi giurisprudenziali che hanno avuto luogo negli Stati Uniti d'America. Successivamente lo studio prenderà in considerazione il concetto di riservatezza così come esso è stato interpretato in Europa, e come abbia acquisito il rango di diritto fondamentale dell'individuo nel Vecchio Continente e, in particolare, in Italia.

La comparazione tra la legislazione di data protection negli Stati Uniti e in Europa mi è sembrata fondamentale per la comprensione delle diverse tendenze dei due continenti in ambito di tutela dei dati personali. L'Europa non è affatto rimasta immune alla tendenza di imbastire una rete di controllo sui suoi cittadini, e le necessità politiche si rivelano, a volte, più forti di quelle della salvaguardia dei diritti individuali. E sebbene sia indiscusso che l'Unione europea abbia una maggiore attenzione all'utilizzo che si fa dei dati personali, e soprattutto alla raccolta di questi nei database elettronici, i recenti eventi internazionali l'hanno messa a volte con le spalle al muro.

Nel terzo capitolo prenderò in considerazione proprio la difficoltà che sia Stati Uniti che Europa hanno dovuto affrontare nello scegliere tra la tutela della privacy dei loro cittadini ed un controllo indiscriminato sulle comunicazioni elettroniche dopo gli attentai al World Trade Center di New York l'11 Settembre 2001. La sicurezza nazionale e la difesa dai terroristi che operano all'interno dei confini dello stato hanno generato un clima di sospetto totale, che ha messo in discussione, attraverso provvedimenti eccezionali come il Patriot Act statunitense, le libertà individuali. La diatriba sul trasferimento dei dati dei passeggeri europei agli Stati Uniti ha visto questi ultimi troppo spesso ostinati e vincenti, ponendo in serio rischio la libertà di circolazione dei cittadini. E l'Europa ha cercato di adeguare le sue politiche di controllo alle nuove necessità, gettando un'ombra su alcune delle conquiste legislative più importanti degli ultimi anni, come la firma della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Gli attentati del Luglio 2005, a Londra e Sharm el Sheik, hanno infine costituito una spinta decisiva verso l'adozione di legislazioni più restrittive in ambito di sorveglianza ed intercettazione, ponendo in essere uno scenario in cui le vie d'uscita sembrano meno facilmente raggiungibili.

Nonostante ciò, non credo che una reale tutela della riservatezza personale sia una battaglia persa in partenza. La struttura sociale, negli ultimi anni, è mutata in maniera radicale, poiché l'utilizzo spregiudicato di tecnologie informatiche altamente invasive porta inevitabilmente ad una suddivisione dei cittadini, catalogati e quindi trattati a seconda del reddito, delle opinioni, dello stato di salute. Ma è proprio per questo motivo che, a fronte di un tale cambiamento, sarebbe auspicabile una presa di coscienza da parte delle assemblee legislative degli stati. Non solo delle singole nazioni: se Internet e le nuove tecnologie hanno annullato i confini territoriali, transnazionali dovrebbero essere anche i provvedimenti normativi che le riguardano. L'Unione europea, dove la necessità di tutela della privacy è sentita con maggiore sensibilità che altrove, dovrebbe diventare l'area da cui far partire più efficaci politiche sulla protezione dei dati. Si dice che il ricordo delle Torri Gemelle che crollano nel cuore di Manhattan, o delle metropolitane esplose nella City di Londra, siano ancora troppo impressi nella memoria collettiva per poter pensare che la privacy costituirà una priorità nei programmi legislativi degli stati. Ma forse è proprio questo il punto: non si può credere davvero che privacy e sicurezza siano concetti contraddittori. Né avere talmente fede negli strumenti di sorveglianza elettronica da poter credere che riusciranno a far scomparire ogni forma di criminalità dalle nostre città e a prevenire ogni forma di terrorismo. Anche perché sarebbe davvero paradossale una protezione che prevedesse, in cambio di una presunta sicurezza, il sacrificio della nostra libertà, sottoponendoci alla continua, dilagante sorveglianza di un occhio elettronico.

Note

1. N. Hawthorne, La casa dei sette abbaini, Einaudi, Torino, 1993, p.287.

2. The End of Privacy, in The Economist, 1 Maggio 1999, p. 15.

3. The End of Privacy, art. cit., p. 21.