ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo III
Testimonianze

Donata Ciliberto, 2005

3.1 La legge n. 189/2002 e la legge n. 30/2003 a confronto

Nei primi due capitoli sono stati approfonditi gli aspetti giuridici della disciplina del lavoro dei lavoratori extracomunitari, contenuti nella legge n. 189/2002; quindi è stata sviluppata l'analisi della legge n.30/2003 focalizzando l'influenza che questa legge potrà avere sui rapporti di lavoro dei cittadini extracomunitari. Continuiamo ora il nostro studio con una serie di testimonianze raccolte tra soggetti che, a vario titolo, svolgono rilevanti ruoli nel campo dell'immigrazione o che ne hanno diretta esperienza.

Per avere il panorama più ampio possibile abbiamo ritenuto interessante raccogliere le opinioni di rappresentanti delle istituzioni, come Lucia de Siervo, Assessore del Comune di Firenze al Terzo Settore, Accoglienza e integrazione; di avvocati la cui attività professionale concerne principalmente l'immigrazione, come l'Avv. Mughini del Foro di Firenze e l'Avv. Paggi del Foro di Padova, che è anche un membro direttivo dell'Asgi - Associazione studi giuridici sull'immigrazione.

Abbiamo tentato di illustrare anche il punto di vista del sindacato, intervistando la Responsabile regionale sull'immigrazione, della Cgil Toscana, Tidila Hako. Infine abbiamo raccolto la testimonianza del dirigente Questura di Firenze, divisione polizia amministrativa sociale e dell'immigrazione, ex dirigente dell'ufficio stranieri della Questura di Firenze, il dott. Pomponio.

Sicuramente interessanti e necessarie sono le esperienze raccontate da lavoratori extracomunitarie inseriti, con vari tipi di contratti di lavoro, nel mondo del lavoro italiano.

Procederemo quindi con le singole testimonianze, focalizzando i temi principali trattati.

3.1.1 La legge n. 30/2003 e la legge n. 189/2002 secondo la CGIL Toscana

Iniziamo a trattare questo importante argomento dal punto di vista di uno dei soggetti che stanno assumendo sempre più importanza nello scenario migratorio italiano, nello specifico in quello toscano: il sindacato.

Tidila Hako, responsabile regionale per l'immigrazione della Cgil Toscana, nell'intervista resa nel suo studio presso la sede della Cgil a Firenze, ha proposto un'analisi precisa dell'influenza che la legge n. 30/2003 ha sulla vita degli immigrati.

Hako divide le conseguenze a lungo termine da quelle a breve termine e ritiene che la legge Biagi abbia: "spezzettato il mondo del lavoro", determinando per l'immigrato un aumento di instabilità, di lavoro nero, e creando quella che lei definisce: "una guerra tra poveri" in cui il lavoratore immigrato si trova ad essere più ricattabile sia per un bisogno economico, sia per un bisogno di migliorare o conservare la propria posizione giuridica. Sono conseguenze aggravate dal fatto che, a suo parere, l'immigrato, a differenza del lavoratore italiano, non ha "il concetto di diritto e del richiedere questo diritto".

Le conseguenze a breve termine sono quelle cui ho accennato nel secondo capitolo: contratti di lavoro di durata ridotta che hanno come conseguenza una maggiore difficoltà nell'organizzazione della vita per gli immigrati. Facendo un esempio pratico Hako afferma che se un lavoratore ha un contratto di lavoro di un anno, il permesso di soggiorno avrà, come previsto dalla legge, una durata equivalente, mentre la richiesta di rinnovo dovrà essere fatta due mesi prima: "ma il contratto di lavoro non te lo rinnoveranno due mesi prima della scadenza, se oltretutto il tuo contratto è a progetto, ancor meno avrai una vaga idea del rinnovo o meno" (1).

Hako nota che le conseguenze del combinato disposto della legge Biagi e della legge Bossi-Fini, quali in particolare i contratti anche di breve durata, andranno a ricadere su tutti gli aspetti della vita degli immigrati. Nel T.U. sull'immigrazione prima della legge n. 189/2002 l'art. 40 co. 6 prevedeva che gli stranieri titolari di carta di soggiorno e quelli regolarmente soggiornanti, sia che fossero iscritti alle liste di collocamento, sia che svolgessero attività di lavoro autonomo o subordinato, avessero diritto di accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziali pubblici. Con la legge Bossi- Fini sono stati esclusi gli stranieri iscritti alle liste di collocamento ed è stato introdotto il requisito per gli stranieri regolarmente soggiornanti di dover essere "in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale". Hako ne trae come conseguenza l'estrema difficoltà per l'immigrato di accedere all'edilizia pubblica, visto che in questo momento non è comune che vengano stipulati contratti di lavoro di durata biennale che permettano permessi di soggiorno di equivalente durata.

Questo stesso ragionamento è stato proposto anche dall'Avv. Paggi, membro direttivo dell'ASGI nel colloquio avuto l'8 febbraio 2005 nel suo studio di Padova, di cui avremo modo di parlare più approfonditamente nel prossimo paragrafo. Paggi individua nella rilevante combinazione delle disposizioni della legge Biagi e della Bossi- Fini un'"ulteriore precarizzazione" (2) della vita degli immigrati, proprio per il collegamento che viene stabilito fra la durata del contratto di lavoro e la durata del permesso di soggiorno.

L'avv. Paggi ritiene che applicando alla lettera la legge n. 189/2002 si vengono a produrre delle restrizioni di diritti fondamentali, come quello che ho appena ricordato del diritto di accesso all'edilizia pubblica. In particolare Paggi sostiene:

il punto più rilevante del combinato disposto delle due leggi sta nell'ulteriore precarizzazione della vita degli immigrati. È chiaro che estendendosi le possibilità di lavoro precario, gli immigrati saranno quelli che pagheranno di più in questo nuovo quadro normativo, specie se si considera che la legge Bossi- Fini invece ricollega la durata del contratto di soggiorno alla durata del permesso di soggiorno; quindi chi svolgerà attività di lavoro somministrato piuttosto che interinale si vedrà costretto a cambiare continuamente permesso di soggiorno/contratto di soggiorno con lunghi tempi di attesa. Applicando alla lettera la 189/2002 si produrrà una restrizione dei diritti fondamentali per il migrante, per esempio per l'accesso agli alloggi popolari il permesso di soggiorno deve essere almeno biennale e un lavoratore che continuerà a fare lavori precari non avrà mai forse più di un permesso di soggiorno semestrale continuamente rinnovato" (3)

Tale ragionamento è condiviso anche da Ginevra Demaio della Caritas (4) che, compiendo un'analisi sulla questione abitativa degli immigrati, rileva che la casa continua a essere uno dei problemi principali per lo straniero, a causa di un'offerta di edilizia pubblica insufficiente e di difficile accesso, mentre è presente una forte speculazione nel campo dell'edilizia privata. Demanio nota come il diritto di accesso all'edilizia pubblica sia stato fortemente ridotto mentre il requisito previsto dalla Bossi- Fini della durata "almeno biennale" del permesso di soggiorno conduce ad affermare che:

Se si considera che la maggior parte dei permessi di soggiorno ad oggi rilasciati sono quasi sempre di durata annuale, se non inferiore, si coglie in tutta la sua portata la condizione di precarizzazione esistenziale cui la normativa condanna un immigrato regolarmente presente sul territorio. (5)

Hako, nel nostro colloquio, nota inoltre una contraddizione che si sta creando nel "mondo migrante", visto che a questa progressiva precarizzazione dell'immigrato si accompagna un andamento verso la stabilità, deducibile dalle stime che testimoniano un aumento di permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare. A livello nazionale infatti i due terzi cioè il 66,1% di tutti gli immigrati regolarmente soggiornanti sono venuti per lavoro e circa un quarto, il 24,3%, per motivi di famiglia, per lo più per ricongiungimenti familiari. Addirittura si registra nel 2004 un incremento di 53.340 casi (6) di permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare rispetto al 2003. Secondo un'analisi compiuta dal Dossier Caritas sull'immigrazione questo dato va interpretato come un chiaro indice di inserimento stabile dell'immigrato nella realtà italiana, un radicamento a lungo termine, strutturale, nel tessuto sociale del Paese. In Toscana sono significativi anche a livello regionale i dati messi a disposizione dal Comune di Firenze su elaborazione di dati della Questura di Firenze: il lavoro resta il motivo principale di soggiorno (66,5%), seguito dai permessi di soggiorno per motivi familiari (23,1%).

In questo stesso senso si esprime la responsabile immigrazione regionale della Cgil, anche se non manca di notare la contraddizione, cui si accennava in precedenza, dice infatti:

da una parte si constata una andamento verso la stabilità e effettivamente vi è una situazione reale dove c'è questa esigenza;questo è possibile vederlo anche dall'aumento di permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare; se il migrante chiama la famiglia vuol dire che sta facendo un progetto di vita in Italia, dall'altra parte però accorciando i contratti di lavoro si abbrevia anche il permesso di soggiorno;

Tale condizione di instabilità viene in qualche modo favorita anche dalla riduzione a sei mesi del permesso di soggiorno per attesa occupazione, secondo l'opinione della Hako:

se fosse stata formulata la tesi secondo cui se un lavoratore perde il lavoro perde anche il permesso sarebbe stata una cosa inaccettabile. Ora il permesso di attesa occupazione ha una durata di 6 mesi; da uno studio fatto dalla Cgil Toscana risulta che c'è un aumento della disoccupazione, per l'immigrato questo vuol dire clandestinità, se dopo i 6 mesi il migrante non ha trovato un nuovo lavoro non vede rinnovato il suo permesso; sono meccanismi molto semplici, arrivando alla cui fine il lavoratore si ritrova nella situazione incubo di ogni straniero.

D'altra parte Hako compie un'analisi lucida anche della precedente normativa, ritenendo che la Bossi- Fini si configuri come un 'peggioramento' della Turco-Napolitano ma che la struttura portante del sistema sia riconducibile a questa. Afferma infatti:

Questa non è flessibilità, non essendo flessibilità diventa instabilità per gli immigrati

Mi sento di dire un'altra cosa, a parte il discorso sulla Bossi-Fini e sulla legge 30, che indubbiamente aiutano a creare queste difficoltà, bisogna tenere presente che la Bossi-Fini non ha stravolto la legge come era prima, i problemi esistevano già; nella Turco-Napolitano c'era l'istituto dello sponsor che era un buon meccanismo per limitare il numero di clandestini e che è stato soppresso con la Bossi-Fini; un anno di attesa occupazione è stato diminuito 6 mesi; i permessi di soggiorno sono stati collegati ai contratti di soggiorno; la carta di soggiorno viene rilasciata non più dopo da 5 anni bensì dopo 6 anni; le richieste per l'edilizia pubblica sono cambiate. In realtà però hanno peggiorato una situazione che già era brutta, è dal 1998 che c'è questa situazione e nel '98 c'era stata una sanatoria che è durata un anno, un anno e mezzo. La Bossi-Fini è la legge di prima un pò peggiorata, la struttura è rimasta la stessa. Riguardo alla concomitanza della Bossi- Fini e della legge 30, è vero che la legge 30 sta creando dei danni ma aggrava una situazione che già esisteva.

La domanda che sorge è quali siano i progetti del sindacato, visto il giudizio che viene dato della combinazione delle due leggi. Hako afferma che il sindacato ha iniziato da anni un percorso di sindacalizzazione dei migranti, e non è sempre facile, soprattutto per i lavoratori che hanno alle spalle un passato storico-politico che porta a diffidare del sindacato, per esempio i paesi dell'est Europa. Il sindacato contestualmente sta proseguendo un percorso di formazione dei vari uffici che si occupano di vertenze legali sulla questione immigrazione, anche degli uffici di categoria, e questo porta a un maggior numero di iscritti. Hako afferma che:

È vero che anche il lavoratore deve avvicinarsi e non è facile perché ha delle condizioni abbastanza critiche e abbastanza precarie ma dall'altra parte è necessario che anche il sindacato faccia la sua parte: si deve avvicinare ai migranti, altrimenti gli immigrati non si avvicineranno.

3.1.2 La legge n. 189/2002 e la legge n. 30/2003: il punto di vista dell'ASGI

Uno dei temi principali del nostro studio riguarda il rapporto eventualmente esistente fra l'attuale politica del lavoro, di cui l'ultimo esempio è la legge n. 30/2003 e la politica dell'immigrazione, che abbiamo analizzato con la legge n. 189/2002 e con il suo regolamento di attuazione, il D.P.R. n.334/2004. Il tema dell'eventuale incompatibilità fra queste due politiche è stato il fulcro delle domande che abbiamo posto agli intervistati. A questo proposito si erano espressi Ambrosini e Berti nel loro libro Immigrazione e lavoro, definendo il mercato del lavoro italiano 'particolare' proprio per la divaricazione tra il lavoro richiesto e quello offerto, spazio nel quale si colloca il lavoratore immigrato. Notano infatti come mentre il lavoratore italiano medio sta ridefinendo il proprio livello di coinvolgimento nel lavoro, agli immigrati si richiede un coinvolgimento totalizzante e si pretende che per loro il lavoro sia tutto, addirittura il vincolo che legittima la loro presenza sul territorio italiano (7).

Abbiamo ritenuto importante ascoltare anche l'opinione dell'avv. Marco Paggi, membro del direttivo dell'ASGI, l'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione, nata nel 1990, che riunisce avvocati, docenti universitari, operatori del diritto e giuristi con uno specifico interesse professionale per le questioni giuridiche connesse all'immigrazione.

L'avv. Paggi, di fronte alla domanda su come si conciliassero le due politiche, del lavoro e dell'immigrazione, ha definito 'strano' il fatto che quasi ci si voglia convincere che i lavoratori provenienti dall'estero debbano arrivare solo per le forme di lavoro più tipiche; mentre una volta entrati nel territorio italiano, e assunta la posizione giuridica di regolarmente soggiornanti essi possono cambiare il lavoro per passare ad uno più flessibile, di cui c'è maggior richiesta nel mercato. Nell'esperienza di Paggi quindi è normalissimo che molti soggetti una volta entrati nel territorio con contratto autorizzato, lavorino sotto il contratto per pochi giorni e poi, vuoi per dimissioni o per licenziamento, oppure perché non va a buon fine il periodo di prova, si sciolgano, o vengano sciolti, dal vincolo contrattuale. Rileva che per avere un corretto utilizzo dell'autorizzazione al lavoro occorre che il rapporto di lavoro oltre ad essere stato stipulato, sia stato anche eseguito, seppur per un tempo minimo; in seguito però il lavoratore può accedere a tutte le forme di lavoro, almeno secondo l'interpretazione della Convenzione O.I.L. n. 143/1975 più volte ricordata nel secondo capitolo.

Secondo una valutazione 'tecnica' della legge n. 189/2002, da una parte l'avv. Paggi evidenzia come le nuove tipologie introdotte dalla legge n. 30/2003 daranno vita a interpretazioni differenti e saranno necessarie delle 'cause pilota' perché la normativa internazionale, nello specifico la Convenzione O.I.L. n. 143/1975 che sancisce la parità di trattamento e pari opportunità di accesso al lavoro per tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti, abbia ragione sul nuovo Regolamento di Attuazione del T. U. sull'immigrazione che, come abbiamo tante volte ricordato, pone il vincolo della sussistenza di un rapporto di lavoro, a tempo pieno o determinato, ma comunque di 20 ore settimanali.

Dal momento che la durata del permesso di soggiorno viene collegata al contratto di lavoro, sono possibili permessi di soggiorno di estrema brevità, come per esempio nel caso dei lavori somministrati, già lavori interinali.

È importante però dire che tali opinioni dell'avv. Paggi sono state espresse precedentemente all'uscita della circolare n. 9/2005 del Ministero del Lavoro dove si specifica che la disciplina prevista dal nuovo regolamento di attuazione opera per il momento limitatamente alla "sottoscrizione del contratto di soggiorno per lavoro necessaria per l'instaurazione del rapporto lavorativo nei confronti di cittadino extracomunitario già munito di permesso di soggiorno per lavoro (art. 36-bis, comma 1, nuovo regolamento) e per far luogo, da parte della Questura, al rinnovo del permesso di soggiorno (art. 13, comma 2-bis, nuovo regolamento).", in questo modo facendo intendere a una prima lettura che il contratto di soggiorno dovrebbe essere stipulato anche dai lavoratori extracomunitari già regolarmente soggiornanti per integrare il loro titolo di soggiorno.

La tesi, che abbiamo già sostenuto nel secondo capitolo, però, è quella secondo cui la Convenzione O.I.L., ratificata in Italia, ha forza di legge a tutti gli effetti, garantendo la pari opportunità di accesso al lavoro da parte dei lavoratori extracomunitari, al pari degli italiani: né il nuovo regolamento di attuazione né la suddetta circolare possono inficiare tale principio, prevedendo limitazioni che configurerebbero comportamenti discriminatori da parte delle Amministrazioni.

L'avv. Paggi evidenzia come in Italia ci sia la tendenza a:

pretendere che ogni qualsivoglia norma di diritto di lavoro abbia scritto in fondo "si applica anche allo straniero". Si parte dall'esatto contrario del presupposto anziché partire dal presupposto che lo straniero regolarmente soggiornante ha lo stesso diritto alla parità di trattamento e pari opportunità si parte invece dal presupposto che tutto ciò che non è espressamente applicabile allo straniero è escluso. (8)

Ogni volta che ci sono stati ricorsi giudiziari ai Tribunali competenti ci sono state conferme di un orientamento che tutelava la parità di diritti, mentre l'Amministrazione si orienta in modo diverso, esprimendo una sorta di protezionismo nei confronti del mercato del lavoro nazionale. In questo senso trova spazio il problema della ' tempistica del permesso di soggiorno', e di quali siano i diritti del lavoratore nelle more del rinnovo.

Per l'avv. Paggi infatti nel momento in cui lo straniero ha chiesto il rinnovo nei termini previsti dalla legge ha diritto di conservare lo status giuridico precedente, perché gli eventuali ritardi non sono ascrivibili ad una sua responsabilità. Rispetto ai datori di lavoro la legge è stata chiara e il datore non commette reato se instaura o prosegue un rapporto di lavoro con un lavoratore straniero che ha chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno.

Nella pratica tuttavia sorgono problemi con i singoli uffici del lavoro a livello burocratico; è stato previsto che i lavoratori che avessero chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno nei termini di legge potessero uscire e fare reingresso nel territorio italiano con la circolare del Ministero dell'Interno n. 400/A/2004/1244/12.214.3.2 del 17 dicembre 2004, e che potessero iscriversi al Sistema Sanitario Nazionale; è pero anche vero che il ' cedolino' rilasciato dalle Questure al momento della richiesta di rinnovo non è ritenuto sufficiente per l'esercizio di tutta una serie di diritti civili, come per esempio per la rinnovazione dell'iscrizione anagrafica in molti Comuni o per poter avere la patente di guida; l'avv. Paggi rileva che

quando un lavoratore ha la ricevuta di prenotazione quello che poteva fare lo ha fatto; non è colpa sua se la Questura non gli rinnova il permesso di soggiorno tempestivamente o nei tempi previsti dalla legge, ma addirittura in ogni caso -a mio parere- in ogni situazione in cui lo straniero è in attesa di determinazione, ha diritto di conservare tutto lo status giuridico antecedente; non si può partire dalla considerazione per cui lo straniero con il permesso di soggiorno scaduto è un presunto clandestino fino a prova contraria, almeno fino a quando non ha ottenuto il permesso, come se lo straniero in attesa di rinnovo sia un pericolo nei confronti dello Stato almeno fino a quando non avrà ottenuto il permesso, e solo allora riotterà credito (9).

Abbiamo ampiamente riportato le posizioni dell'avv. Paggi sui singoli temi trattati nel secondo capitolo, cui rimandiamo per un ulteriore confronto.

3.1.3 La legge n. 189/2002 e la legge n. 30/2003: il punto di vista dell'avvocato Mughini del Comune di Firenze

Nel corso della tesi abbiamo intervistato anche l'avv. Mughini, incaricato dal Comune di Firenze di occuparsi di questioni e cause pertinenti l'immigrazione. Parlando con lui, nel suo studio, ci ha espresso una valutazione non positiva della legge n. 189/2002. Nel nostro colloquio, infatti, l'avvocato sottolinea come questa legge lega, come abbiamo ripetutamente detto, il contratto di lavoro al permesso di soggiorno sul piano giuridico, ma di fatto "tende a disumanizzare l'immigrato", considerandolo essenzialmente solo come forza-lavoro; a supporto della sua affermazione l'avv. Mughini richiama la sua esperienza di tutti i giorni che lo porta a confrontarsi con persone straniere che, presenti in Italia regolarmente da periodi molto lunghi, anche 10 o 15 anni, non hanno pensato o, più frequentemente, non erano a conoscenza della possibilità di richiedere la carta di soggiorno, che costituisce "lo strumento che permette di superare tutta questa precarietà"; quando hanno perso il lavoro, se non ne trovano un altro entro il periodo di scadenza del loro permesso di soggiorno o entro i 6 mesi del permesso di attesa occupazione, rischiano concretamente di essere allontanati dal territorio dello Stato, senza contare che tali lavoratori, a volte proprio perché sono in Italia da molti anni e quindi non più giovanissimi, sono anche difficilmente collocabili.

Proseguendo nell'intervista abbiamo riportato il dato della presenza nel decreto flussi del 2002 dei collaboratori coordinati e continuativi nelle quote per lavoro autonomo, fatto mai più ripetuto negli ultimi decreti; questo mi ha portato a formulare la domanda a proposito di una possibile divergenza tra le politiche lavorative e le politiche migratorie espresse dal Parlamento.

L'avv. Mughini, nella sua risposta, fa riferimento al cambio di governo avvenuto fra i decreti flussi del 2002 e quelli degli anni successivi, esprimendo però un'opinione solo parzialmente positiva sulla legge Turco-Napolitano; nonostante ciò, nota un evidente cambio di tendenza fra la Turco -Napolitano e la legge n. 189/2002.

noi che viviamo nella quotidianità dell'applicazione della legge per quanto il T.U. del '98 non fosse eccezionale certo era impostato in un certo modo; la riforma del 2002 ha voluto sterzare in una maniera completamente diversa e via via gli interventi successivi hanno seguito questa direzione (10).

3.1.4 La legge n. 189/2002 e la legge n. 30/2003: il punto di vista del Comune di Firenze

Abbiamo intervistato, a proposito dell'inserimento del lavoratore extracomunitario nel mercato del lavoro italiano, e comunque più in generale sulla condizione dei lavoratori stranieri, anche l'Assessore al Terzo Settore, Accoglienza e Integrazione del Comune di Firenze, la d.ssa Lucia De Siervo. La d.ssa individua una divergenza fra le due politiche, dell'immigrazione e del lavoro, mentre andrebbe, a suo avviso, pensata una nuova legge sull'immigrazione, in un'ottica più generale. Analizzando i dati demografici della Toscana l'assessore ci faceva notare l'evidente bassa natalità dei cittadini italiani e la sempre più necessaria apertura della società verso gli immigrati, nell'attenzione sempre a rispettare le regole e soprattutto "le tendenze sociali che la società fa emergere".

Lamentava inoltre l'Assessore una visione dell'immigrato troppo limitatamente legata al suo apporto lavorativo, e proprio a proposito di questa visione del lavoratore immigrato come pura forza-lavoro esprimeva il convincimento che sia necessario superarla, per "arrivare, da parte della società e di coloro che governano, a un'idea per cui gli immigrati portano sviluppo" (11).

3.1.5 La legge n. 189/2002 e la legge n. 30/2003: il punto di vista della Questura di Firenze

Proseguiamo questo panorama di interviste con quella, sicuramente fondamentale visto il ruolo che assume nella vita del lavoratore extracomunitario, della Questura di Firenze, nella persona del dott. Pomponio, ex dirigente dell'ufficio stranieri della Questura di Firenze.

Nell'intervista che il dott. Pomponio mi ha rilasciato nel suo studio presso la Questura, è emersa, nei confronti del tema affrontato, un'ottica differente; il dott. Pomponio da una parte concorda col fatto che le due normative, la legge Biagi e la Bossi-Fini, hanno tratti che si contrappongono in quanto:

in un'economia del lavoro fondata sempre più sulla flessibilità cioè sulla possibilità di cambiare lavoro, e dettata dalla possibilità per gli imprenditori di non vincolarsi troppo con i propri collaboratori sotto il profilo contrattuale, troviamo però una normativa che prevede che il permesso di soggiorno abbia una durata pari al rapporto di lavoro, ed è chiaro che la norma sia tassativa; la previsione che il permesso di soggiorno abbia durata pari al rapporto di lavoro o comunque non superiore a un anno, comporta un certo margine di manovra a colui che istruisce la pratica e che deve firmare questi permessi di soggiorno in relazione alla durata dello stesso, per cui è prevista la possibilità di agganciarsi al dettato letterale e rilasciare un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno. (12)

Viene evidenziata quindi la necessità di un intervento interpretativo della Questura per rendere 'accettabile' tale dettato normativo, come già abbiamo visto accadere anche in altre Questure, ad esempio quella di Padova.

Dall'altra parte, a opinione del dott. Pomponio, se le obiezioni riportate in precedenza sono da accogliersi deve essere anche messo in evidenza come si tratti di questione di scelte da parte del legislatore. In quest'ottica si giustifica la scelta del Governo a proposito della richiesta di un permesso di soggiorno di almeno due anni per poter accedere all'edilizia residenziale pubblica, cui abbiamo accennato in precedenza, in quanto:

Viene garantito l'accesso all'extracomunitario, perché è giusto che abbia anche lui le sue chances, però deve garantire un minimo di stabilità, sennò si rischia di dare la casa tramite l'edilizia pubblica a chi, al momento in cui la ottiene, potrebbe anche non lavorare più. Si tratta di scelte.

Inoltre la posizione del dott. Pomponio evidenzia come fra le scelte possibili dei Governi abbiano una posizione preminente quelle che avvantaggiano il lavoratore italiano, Pomponio si esprime infatti in questi termini

Bisogna considerare quanti italiani stanno nella medesima situazione, e potrebbero accedere all'edilizia pubblica; essere in concorrenza con persone che stanno da pochissimo tempo in Italia con un'attività lavorativa estremamente ballerina, sarebbe indubbiamente fastidioso

Coincidente con questa posizione è quella riportata da Ambrosini e Berti nel loro libro (13) in cui, parlando di un eventuale ingresso di lavoratori stranieri in occupazione qualificate, si afferma che questo può creare tensioni sociali e resistenze. In particolare

Per diversi aspetti, l'inserimento degli immigrati nella società italiana è avvenuta all'insegna di un patto implicito (e a volte anche esplicito) di 'trattamento differenziale': gli immigrati possono essere ammessi, nel lavoro, nel mercato abitativo, nel sistema dei servizi, solo dopo che i cittadini italiani hanno avuto la precedenza e se restano spazi liberi. (14)

Il dott. Pomponio in un seminario tenuto all'Università di Firenze all'interno del corso di Sociologia del Diritto, ha inoltre sostenuto che in realtà l'80% della struttura della Bossi- Fini appartiene alla Turco-Napolitano mentre 'originale' è solo il restante 20%; in particolare la materia dell'effettività dell'espulsione e quella che comunque riguarda la fondamentale materia dell'accesso al lavoro. A opinione del dott. Pomponio, nel colloquio che abbiamo avuto, la Bossi-Fini e in particolare il nuovo D.P.R. n. 334/2005, non incidono sui principi generali ma sicuramente assumerà un ruolo di fondamentale importanza lo Sportello Unico sull'immigrazione. In particolare, analizzando le innovazioni introdotte dalla Bossi-Fini, il dott. Pomponio afferma che:

Cosa ha voluto fare la Bossi- Fini? Cambiare sistema, per essere certi che appena il lavoratore straniero arriva vada poi a lavorare dal datore di lavoro che l'ha fatto entrare; il migrante entra, e non si reca più in Questura, bensì allo Sportello Unico, insieme al datore di lavoro, per poi sottoscrivere insieme il contratto di soggiorno, in seguito avrà il permesso di soggiorno, ed è in quel momento partono i contributi. Nell'altro modo erano mesi di contributi che lo stato perdeva (15).

Di fronte all'assenza esplicita della categoria dei collaboratori coordinati e continuativi, adesso a progetto, negli ultimi decreti flussi, e quindi di un evidente 'strabismo' delle due politiche del lavoro, teso ad una sempre maggiore flessibilità, e dell'immigrazione, concentrato in forme di lavoro 'tradizionali', il dott. Pomponio ritiene che il non aver ricompreso all'interno dei decreti flussi degli ultimi anni i collaboratori coordinati e continuativi non sia esclusivamente segno di due politiche inconciliabili, bensì il risultato di una scelta ragionata che porta a far sì che:

eventualmente le chances di accedere le lasciano a immigrati già titolari di permessi di soggiorno, mentre per gli stranieri al primo ingresso in Italia si cerca di fare in modo che non entrino senza un futuro certo ma attraverso un datore di lavoro che offra condizioni lavorative stabili almeno per un anno (16); quel poco di lavoro certo e stabile che c'è sul mercato è già stato soddisfatto e garantito da quei lavoratori stranieri che sono al primo ingresso e che si trovano in una situazione di maggiore debolezza rispetto agli altri. Chi deve arrivare è meglio che si trovi in una situazione più tranquilla, non può improvvisarsi una vita, mentre invece chi già è in Italia, magari da parecchio tempo, già conosce l'ambiente, il modo di fare, il modo di comportarsi, ed è avvantaggiato. Probabilmente il legislatore o il politico che deve decidere ragiona nel senso di considerare che c'è un'ampia fetta di lavori saltuari, non stabili, mentre c'è una fetta un pochino più piccola di lavoro duraturo: secondo tale ragionamento il lavoro duraturo deve essere garantito a coloro che devono entrare e che sono in una situazione di maggiore debolezza; il lavoro meno duraturo, anche se poi è possibile che si trovino bene e lo facciano diventare stabile, riserviamolo o agli italiani o a coloro che si trovano in una situazione di interruzione da un punto di vista lavorativo (17).

In realtà, come abbiamo ricordato già altre volte, il non aver espressamente previsto i collaboratori a progetto nel decreto flussi potrebbe non impedire che i lavoratori che esercitano le professioni del decreto flussi stipulino contratti di collaborazione, visto che la collaborazione è una forma contrattuale non una professione, ma, come abbiamo visto, tale interpretazione non è condivisa unanimamente.

A questo argomento era logicamente collegata anche l'altra problematica che abbiamo più volte ricordato: come far convivere le nuove (e vecchie) forme di lavoro improntate sulla flessibilità con il presupposto necessario per il rilascio di un valido titolo di soggiorno sul territorio di un contratto di soggiorno che preveda 20 ore settimanali. Abbiamo già più volte ricordato, nel secondo capitolo, quali problemi possono sorgere nonché la Convenzione O.I.L. n. 143/1975 che stabilendo parità di trattamento e di opportunità, escluderebbe tale limite per gli stranieri regolarmente soggiornanti. Abbiamo quindi rivolto tale quesito anche al dott. Pomponio che si esprime in maniera favorevole alla tesi sostenuta nel secondo capitolo, secondo la quale la limitazione delle 20 ore legata al contratto di soggiorno può essere applicata soltanto ai lavoratori che devono ancora fare ingresso in Italia e non a quelli già regolarmente soggiornanti. Si esprime infatti in questi termini:

il discorso delle 20 ore è un discorso sperimentale; tutti i contratti di lavoro dovranno essere sottoscritti presso lo sportello unico dell'immigrazione, sportelli che devono in alcune parti di Italia ancora essere creati, non so poi coloro che fanno parte dell'ufficio del lavoro, che sono coloro che sono i tecnici della materia, come gestiranno una situazione di questo tipo; personalmente a fronte di uno straniero che sottoscrive un contratto di lavoro di inserimento, se questo contratto è sottoscritto per un certo periodo di tempo, e constatiamo come Questura che è un contratto che non ha alcuna censura, viene recepito positivamente; questo in assenza di direttive che ci vengono dai nostri uffici centrali o dagli uffici del lavoro. Sarà quindi un contratto che riterremo valido, come riteniamo valido il lavoro a progetto e tutte quelle forme di lavoro che sono uscite con la legge Biagi.

Quello che rileva è verificare quanto il lavoratore ha guadagnato. Perché c'è questa rigidità o questa necessità di controllo? Per vedere se ci sono effettivamente delle forme di sostentamento che gli consentono di poter vivere una vita dignitosa.

Bisogna capire se è limitato a quelli che devono fare il primo ingresso o anche a quelli che sono già qui, la mia impressione è che quella parte modificativa delle 20 ore sia limitata a quelli delle quote, per i lavoratori che sono stati chiamati dai datori di lavoro all'interno della quota.

Successivamente al nostro colloquio è uscita la circolare n.9/2005, che prevederebbe, come già ricordato, l'integrazione del contratto di soggiorno anche per gli stranieri già regolarmente soggiornanti. Tale circolare, se da un lato non inficia il principio che abbiamo sostenuto nella tesi, avendo sicuramente maggiore forza normativa una Convenzione O.I.L. ratificata in Italia, dall'altro nei moduli che allega per l'integrazione dei permessi di soggiorno, non prevede esplicitamente il limite delle 20 ore settimanali; tale circolare potrebbe invece porre problemi di interpretazione sotto il profilo della garanzia alloggiativa richiesta al datore di lavoro come condizione fondamentale per la validità del contratto di soggiorno.

3.2 Lavori dequalificati

Un'altra tematica emersa sia dai dati raccolti a livello nazionale e a livello regionale, sia da alcune interviste, riguarda il fatto che i lavoratori stranieri iniziano il loro percorso lavorativo in Italia molto spesso con mansioni poco qualificate.

In questo senso è importante 'ascoltare' direttamente le voci dei lavoratori stessi, cosa che faremo in un paragrafo successivo, ma anche la valutazione data dalla D.ssa De Siervo che afferma la necessità di ingresso di manodopera qualificata, non solo di lavoratori quindi che facciano lavori 'base'.

A questo proposito può essere interessante citare alcuni dati che emergono dal Dossier Caritas sull'immigrazione del 2004; nella tabella 1 risulta evidente come fra le professioni richieste sul mercato occupazionale italiano abbiano un ruolo di estrema rilevanza le "Professioni specialistiche e tecniche" (672.472 assunzioni) mentre al livello più basso delle professioni ricercate troviamo le 'Professioni operative di bassa qualifica" (91.783):

Tab 1. Le professioni più richieste nel mercato occupazionale: indagine Excelsior (2003)
Professioni richieste Totale assunzioni % prof. di difficile reperimento
Professioni specialistiche e tecniche 672.472 41,0
Professioni operative dell'amministrazione 43.119 22,0
Professioni operative dei servizi e delle vendite 201.258 35,4
Professioni operative della produzione industriale 220.987 55,7
Professioni operative di bassa qualifica 91.783 32,6

FONTE: Dossier Statistico Caritas/Migrantes. Dati Sistema Informativo Excelsior

L'Assessore De Siervo ricordava un suo colloquio con un'organizzazione di imprenditori veneti che spinti dalla necessità di un maggior numero di lavoratori specializzati avevano pensato di predisporre, tramite l'organizzazione stessa, dei corsi di formazione nei loro paesi di origine così da poter procedere con la richiesta nominativa di quei lavoratori stessi.

Nel libro Immigrazione e lavoro di Ambrosini e Berti viene, a tale proposito, messo in evidenza come gli immigrati riescano ad essere ammessi se accettano lavori rifiutati da italiani mentre nel momento in cui si mostrano competitivi, concorrendo quindi con gli italiani per occupare dei posti di lavoro più pregiati, rappresentano agli occhi degli italiani una minaccia e un fattore problematico (18).

I due autori rilevano come manchi da questo punto di vista una riflessione adeguata su questo aspetto, il fatto cioè che anche dal punto di vista della società che riceve, a livello macroeconomico:

un sottoutilizzo delle capacità e competenze degli immigrati significa uno spreco di capitale umano, che potrebbe essere meglio impiegato, accrescendo la concorrenzialità del sistema economico. Non è un caso che i principali paesi di immigrazione puntino ad attrarre soprattutto immigrati altamente qualificati, e che anche l'Europa abbia iniziato a muovere in questa direzione. (19)

Questa stessa analisi è resa anche dalla D.ssa Paola Spina (20) che in suo studio sul sindacato e l'immigrazione afferma che gli immigrati in Italia svolgono attività che appartengono al cosiddetto 'mercato secondario del lavoro', fatto di occupazioni saltuarie, precarie, mal pagate. In nord Italia, in città campione come Brescia e Modena, gli immigrati svolgono principalmente occupazioni 'povere', operaie e simili. Secondo uno studio svolto da Zanfrini (21) sulla discriminazione nel mercato del lavoro, fra i giovani stranieri si sta abbassando anche il livello di istruzione, come se i giovani stranieri già presagendo il livello lavorativo richiesto preferissero abbandonare presto gli studi e partire alla prima occasione. (22)

Questa tendenza può essere confermata anche dai dati messi a disposizione dal Comune di Firenze che testimoniano come sulla base dei dati degli avviamenti al lavoro di cittadini non comunitari nei Centri per l'Impiego nella provincia di Firenze (riportati nella tabella 2) nei 4 trimestri del 2003 la stragrande maggioranza non ha titolo di studio e la qualifica del lavoro sia maggiormente quella di operai generici.

Tab. 2 N. avviamenti al lavoro di cittadini stranieri non comunitari nei Centri per l'impiego della Prov. di Firenze, 4 trimestri 2003. Specifiche di avviamento
Specifiche 1 trim 2 trim 3 trim 4 trim Totale %
Tipo di avviamento Numerico 189 2 1 - 192 1,1
Nominativo 2.180 2.784 5.481 4.949 15.394 88,2
Assunzione diretta 428 294 514 626 1.862 10,7
Totale avviamenti 2.797 3.080 5.996 5.575 17.448 100,0
Titolo di studio nessuno 2.586 2.891 5.743 5.283 16.503 94,6
obbligo 175 159 176 213 723 4,1
diploma 20 19 54 61 154 0,9
laurea 16 11 23 18 68 0,4
Qualifica Apprendisti 135 114 124 205 578 3,3
Operai generici 2.033 2.428 4.906 4.504 13.871 79,5
Operai qualificati 324 382 722 595 2.023 11,6
Operai specializzati 82 60 46 57 245 1,4
Impiegati 86 96 198 214 594 3,4
Contratti particolari a tempo parziale 752 1.036 1.862 2.179 5.829 33,4
a tempo determinato 1.592 1.487 2.072 2.500 8.283 47,5
formazione-lavoro 26 22 35 31 114 0,7

Fonte: Provincia di Firenze - Direzione Politiche del Lavoro

Analizzando la tabella non si può non notare che la maggioranza di cittadini stranieri non sono in possesso di un titolo di studio e hanno la qualifica di operaio generico; sicuramente interessante ai fini del nostro studio sono i dati che riguardano i 'contratti particolari': la maggioranza dei quali sono a tempo determinato, e collegando tale dato con lo stretto legame che intercorre fra permesso di soggiorno e contratto di lavoro si intuisce la difficoltà che incontra il cittadino straniero a conseguire una situazione di stabilità.

Anche nello studio condotto da Ambrosini e Berti si evidenzia come nella domanda di lavoro emergente dai dati di molti Centri per l'impiego, soprattutto nelle regioni di centro-nord, rimane una forte richiesta di operai generici assunti con contratti non standard ma disposti però, nei fatti, a garantire un impegno di tipo tradizionale:

Così la flessibilità è solo a senso unico, è quella che proviene da parte della domanda che non è in grado di assumersi una responsabilità di tipo 'tradizionale' e utilizza tutti gli strumenti disponibili in tema di contratti di lavoro che si allontanano dal vecchio modello a tempo pieno e indeterminato. (23)

Già nelle ricerche del 2001 emergevano delle notevoli differenze fra i lavoratori immigrati e quelli italiani, evidenziando come fossero molte più alte le assunzioni come operai generici fra i lavoratori stranieri rispetto alla media nazionale. Tendenza che si è confermata anche negli anni successivi.

Inoltre a proposito della formazione è sicuramente interessante quello che notano i due autori, infatti secondo i loro studi mentre la formazione professionale sta assumendo un ruolo sempre più importante nelle politiche del lavoro, per quanto riguarda i lavoratori stranieri, il processo è inverso nel senso di una progressiva de-qualificazione, in quanto è complicato vedersi riconosciuti i titolo di studi compiuti nel paese d'origine.

Tutto questo troverà conferma anche dalle interviste fatte ai lavoratori extracomunitari riportate al paragrafo successivo.

L'appartenenza del lavoratore extracomunitario ad un gruppo nazionale e etnico da una parte può favorire la sua integrazione con la società e anche il collocamento, dall'altra parte il lavoratore rischia di vedersi attribuiti dei ruoli e lavori sulla base non delle proprie capacità professionali bensì sulla base della sua appartenenza o meno ad un determinato gruppo etnico.

Una 'discriminazione', questa volta di genere, viene applicata in maniera più rilevante nei confronti delle donne immigrate, in quanto viene loro attribuita, in quanto donne, una capacità di prendersi cura di persone che si trovano in situazioni di debolezza, come i malati o gli anziani, venendo più o meno automaticamente inserite nel ruolo di 'colf' o badanti. come affermano Ambrosini e Berti nel loro libro (24):

Tutto ciò che sanno o sanno fare in più delle normali incombenze ' femminili' non ha semplicemente rilevanza, non è richiesto e neppure tenuto in considerazione

Nell'analisi condotta dai due autori si rileva, giustamente a mio parere, che da questo fenomeno derivano due conseguenze, cui abbiamo già accennato in precedenza. La prima è la "saldatura tra uno stereotipo etnico e uno di genere" (25) e la seconda è che visto che il mercato del lavoro offre alle donne principalmente occupazioni di assistenza o pulizie, queste rinunciano a migliorare la propria condizione; di conseguenza arrivano, col passare del tempo, persone 'meno istruite e volitive, consapevoli di avere di fronte un destino da collaboratrice familiare o assistente di anziani'. (26)

Quello che può essere significativo mettere in evidenza è che ci sono comunque molti lavoratori immigrati che partendo da una situazione di lavoro occasionale o con mansioni meno qualificate, con un orario di lavoro pesante e una retribuzione non adeguata, sono riusciti, nel corso degli anni, a cambiare tipo di lavoro, come ci dice Hako, responsabile immigrazione regionale della CGIL:

Anche per quegli immigrati che sono riusciti a fare un salto di qualità e sono passati da un lavoro per es. di colf a un lavoro un pò più organizzato, istituzionale si ritrovano con contratti di collaborazione coordinata e continuativa. (27)

A opinione della Hako non è tanto una questione di mansioni, comunque, bensì il vero problema è rappresentato dal fatto che il lavoratore straniero rimane in una situazione precaria.

In questo senso si esprime in parte anche il dott. Pomponio quando ritiene che normalmente la situazione per lo straniero lavoratore di avere contratti a breve termine o di livello non alto può essere oggetto di cambiamento ad opera del lavoratore stesso in quanto:

Quando si trova una risorsa umana particolarmente meritevole per l'imprenditore la ricchezza umana è ricchezza, è quello che mi consente di spiccare il volo oppure di affossarmi, se vedo il lavoratore particolarmente preparato non gli farò più un contratto di tre mesi bensì un contratto a tempo indeterminato. È vero che quelli che sono in Italia sono spesso in una situazione di transitorietà ma tocca anche a loro darsi da fare per poter aspirare a qualcosa di meglio, come avviene per gli italiani. (28)

Ditila Hako prende invece come esempio il caso frequente di un lavoratore straniero regolarizzato con l'ultima sanatoria: fino al momento della sanatoria il datore di lavoro non ha pagato alcun contributo per il lavoratore; quando a seguito della sanatoria, come spesso è accaduto il lavoratore abbia instaurato un rapporto di collaborazione, i contributi della gestione separata Inps per questi lavoratori non sono elevati. Secondo quello che afferma Hako "il lavoratore in questa condizione si sta costruendo un oggi, ma il futuro è nero".

3.3. Le interviste con lavoratori stranieri

In questo paragrafo riporteremo le testimonianze di lavoratori stranieri con differenti contratti di lavoro, offrendo quindi un punto di vista diverso sugli stessi temi che abbiamo avuto modo di trattare fino ad ora.

In particolare nelle mie domande ho cercato di mettere in luce alcuni temi; ho cercato di capire se il lavoratore intervistato stava svolgendo in Italia il lavoro per il quale aveva studiato, eventualmente, nel suo paese; se avesse un progetto di vita a lungo termine o se ci fosse comunque l'intenzione di tornare a vivere nel paese di origine; quali tipi di lavori fossero più comuni, anche fra le persone di sua conoscenza; come e se ritenesse possibile l'integrazione nel nostro paese e quali difficoltà avesse incontrato. A queste domande standard si sono poi aggiunte le esperienze personali e particolari delle singole persone.

3.3.1 La testimonianza di Viola

La prima testimonianza che riportiamo è quella di una badante e infermiera albanese, Viola, giunta in Italia sei mesi prima della regolarizzazione del 2002. Sono andata a intervistarla presso l'abitazione della signora da cui presta servizio ed è stata indubbiamente interessante.

Viola mi dice subito che all'inizio è venuta in Italia comprando il visto in Albania, e che inizialmente prestava servizio ' a nero', cioè irregolarmente; in particolare mi fa notare che l'Albania ha una situazione diversa rispetto a paesi come la Romania o la Polonia che ritiene molto più agevolate (quantomeno dal suo punto di vista) e che è generalizzata la consuetudine fra gli albanesi di comprare il visto ma che una volta arrivati in Italia, diventa difficile tornare e che coloro che non trovano lavoro tendono ad uscire dal circuito della regolarità e ad iniziare attività illecite, in particolare mi dice:

all'inizio sono stata irregolare; quando è uscita la regolarizzazione mi sono messa in regola; ho fatto sette mesi senza permesso, come tutti gli altri stranieri; per il nostro paese, l'Albania, è un po' più difficile perché la gente spende molti soldi per arrivare in Italia, poi però non trovano una sistemazione e rimangono senza permessi di soggiorno; per gli albanesi non è come per polacchi o rumeni che ogni tre mesi tornano a casa, fanno un timbro sul passaporto e tornano in Italia. Nel nostro paese non si può, devi comprare il visto, la gente arriva con la nave o con qualunque altro mezzo e spende tanti soldi per il viaggio, così non possono nemmeno tornare a casa perché non ne hanno più. Per me sarebbe meglio se una persona viene per due, tre mesi e se non trova la sistemazione, torna a casa; invece molti albanesi rimangono qui, rubano o fanno altre cose brutte per vivere. Questo può essere normale perché se non trovano sistemazione, dove dormono? dove vivono? (29)

Viola presta servizio anche come assistente per anziani presso vari datori di lavoro per un totale di 25 ore settimanali; in Albania ha conseguito il titolo professionale di infermiera ma ha trovato difficoltà a vederlo riconosciuto in Italia a meno che non frequenti per un anno la scuola professionale a Roma, questo però non è possibile in quanto:

sono infermiera ma lavoro come domestica, perché non riconoscono il titolo professionale; ho domandato anche qui e c'è una scuola a Roma dove dovrei frequentare un anno ma non posso perché mio marito è malato, e allora lavoro così (30).

La difficoltà ad avere riconosciuto qualifiche e professionalità da parte di lavoratori stranieri ricorre anche in altre interviste ed è uno dei motivi cui abbiamo in precedenza ricondotto il fatto che i lavoratori stranieri occupano principalmente posti ' dequalificati'.

Viola porta come esempio non soltanto la sua esperienza ma anche quella di suoi familiari, che in Albania occupavano posti di un certo rilievo e che in Italia hanno dovuto adeguarsi ad altre occupazioni, in relazione al riconoscimento del suo titolo professionale mi dice:

non lo riconoscono, ho domandato ma mi hanno detto di frequentare a Roma; questo vale anche per i medici, gli ingegneri, per esempio mio fratello nel nostro paese era un ufficiale militare per navi, e qui lavora come manovale, perché non riconoscono i titoli. La mia cognata è farmacista e lavora come badante. Ma non ho niente contro di loro perché se tutto il mondo viene qui con titoli professionali gli italiani come lavorano? (31)

Va notato però che almeno nel caso di Viola, la decisione di venire in Italia è stata sicuramente sofferta, nel caso specifico tale decisione è stata dovuta alla necessità di rimanere con il figlio minorenne che l'aveva preceduta in Italia e che viveva con altri parenti; Viola però esprime chiaramente la sua intenzione di non rimanere in Italia in maniera stabile, seppure sia riuscita ad intrecciare anche relazioni sociali di amicizia con le persone con cui è entrata in contatto. La sua volontà è quella di tornare in Albania non appena il figlio sarà indipendente anche perché trova il costo della vita in Italia eccessivo; alla mia domanda se avesse o meno intenzione di rimanere in Italia mi ha risposto:

per ora, perché mio figlio è piccolo, ma ho lasciato la mia casa, non in affitto, l'ho comprata col sudore, l'ho lasciata per forza e lavoro qui come una bestia perché qui la vita costa, abbonamenti luce gas ..ogni passo: soldi.... per ora ci sto ma poi torno, quando mio figlio trova una sistemazione, si sposa e non ha più bisogno di noi, si torna in Albania. (32)

Né manifesta intenzione di cambiare tipo di lavoro, avendo incontrato delle difficoltà le volte che ha tentato di farlo. Quando le ho chiesto se le potesse interessare cambiare tipo di lavoro la risposta è stata:

no, mi trovo bene così, ho lavorato anche in fabbrica e ho iniziato lavori in altri posti, ma alla fine preferisco qui, sono fortunata con questa signora e sono abituata a lavorare con gli anziani. I primi due anni ho lavorato con signora che aveva un tumore e che mi ha regolarizzata (33).

Viola si ritiene comunque fortunata, nonostante il fatto che il marito sia malato e che quindi ricada essenzialmente su di lei il sostentamento della famiglia, in quanto essendo arrivata in corrispondenza dell'uscita della sanatoria prevista dalla Bossi-Fini è potuta rientrare nel circuito di regolarità dei permessi di soggiorno, da cui sarebbe stata altrimenti esclusa. Per mantenersi in questa condizione vengono messi 'in conto' anche molti sacrifici, mi dice infatti:

Dopo ci ha raggiunto mio marito malato, regolarmente, lui lavora un po' solo per rimanere in regola, e io lavoro di più, lui per ora non lavora. Anch'io devo operarmi, sono malata e continuo a lavorare..ma come lavori?... Lavoro troppo...così è la vita, non sono l'unica. Sono stata fortunata perché con la Bossi-Fini è uscita la regolarizzazione e io l'ho fatta, e ora lavoro 25 ore (34).

3.3.2 La testimonianza di Arnel

Abbiamo realizzato un'altra intervista con un collaboratore domestico, Arnel, filippino. Arnel, anche se è dal 2000 in Italia, parla molto male la nostra lingua e l'intervista è stata realizzata con l'apporto necessario della sua datrice di lavoro, Miriam.

Come ho già detto anche Arnel, come Viola, è in Italia dal 2000 e fino al 2003 è stato irregolare, al momento in cui ha potuto fare la richiesta di regolarizzazione. Similmente a Viola, anche nelle Filippine, almeno nel caso di Arnel, si verifica la situazione in cui bisogna pagare per ottenere il visto, in particolare Miriam ci dice che:

dice che è arrivato attraverso l'agenzia, lui ha pagato un quantitativo di milioni per entrare in Italia.

Nel proprio paese Arnel non faceva il collaboratore domestico; il suo lavoro principale era quello dell'autista ma ha trovato difficoltà a farsi riconoscere la patente. Ha iniziato tutte le pratiche necessarie e la sua intenzione è cambiare lavoro e tornare a quello originario.

Nel frattempo oltre alle 25 ore che fa da Miriam, Arnel fa anche altri lavori a nero, dice Miriam:

si da me lavora legalmente, e io gli ho potuto garantire 25 ore la settimana. Ha però anche una grande parte di lavoro sommerso, e gli altri giorni li fa ad un agriturismo, fa lavori di casa e in giardino e la sera va a lavorare in un negozio.

Tutti questi lavori sono necessari perché, come ci ha spiegato Arnel, nonostante abbia fatto il ricongiungimento familiare con la moglie e la figlia più piccola, che vivono adesso con lui a Firenze, nelle Filippine continuano ad esserci altri due figli entrambi minorenni, cui deve inviare i soldi mensilmente.

Questo provoca però un problema di integrazione in quanto Arnel è in contatto con la comunità di filippini e con la sua famiglia a Firenze; alla mia domanda se conoscesse gli altri filippini che vivono a Firenze, mi ha risposto:

si si li conosco e mi trovo bene

Arnel non ha il tempo per frequentare un corso di italiano, e avendo frequentato solo le elementari trova difficoltà ad imparare usando una grammatica, questo comporta che si esprima con molta difficoltà in italiano.

Una differenza che ho potuto rinvenire rispetto al colloquio avuto con la signora albanese è il fatto che Arnel mi testimoniava come è frequente la situazione per cui sia donne che uomini hanno molti figli nelle Filippine e nel caso in cui sono nati in Italia, spesso vengono portati a casa e lasciati con le nonne, sia per un eccessivo costo della vita sia perché non possono permettersi di non lavorare. In particolare, sempre grazie all'aiuto di Miriam ho potuto capire che:

Lui ha due cognate in Italia, entrambe sposate, e ha due figli nelle Filippine, l'altra coppia che ha una figlia piccolissima, nata il 22 febbraio, ha intenzione di tornare nelle Filippine e lasciarlo
D: e con chi stanno nelle Filippine?
A: con le nonne, sorella del marito
D: ma li faranno tornare in Italia?
A: rimarranno là, fino a quando i bambini sono piccoli, anche perché c'è un problema di abitazione perché costa a Firenze e poi la presenza dei figli impedisce di lavorare
D: ma sua moglie lavora?
A: si
D: e la bambina?
M: la bambina se la porta dietro al lavoro.

Non posso non riportare la testimonianza della sig.ra Miriam sulle difficoltà incontrate con la Questura:

bisognerebbe entrare nelle pieghe della Questura e ti trovano mille pretesti per rimandarti. Le pratiche alla Questura sono una cosa allucinante. Questa cosa l'ho sempre vista, io insieme a lui sono sempre andata, sono andata alle cinque a fare la coda per avere il permesso di soggiorno. Cose tremende. Cosa fanno loro? Vai lì e chiedi cosa è necessario per avere il permesso di soggiorno e loro ti danno il modulo, e te cerchi di interpretare al meglio tutte le voci scritte e finalmente vai lì, (prima c'era la coda ora c'è l'appuntamento telefonico, anche se è praticamente impossibile prendere la linea, io ho provato per una settimana di seguito) quando arriviamo con la documentazione, basta che ci sia anche un timbro che si vede male che loro mettono via tutto, ti ridanno tutto e ci devi tornare.

La sig.ra Miriam traccia però una differenza fra coloro che stanno allo sportello e coloro che lei chiama ' funzionari', in quanto in questo secondo caso afferma di aver trovato gente disponibile e sicuramente competente, ma che il problema risiede nel primo contatto che lo straniero ha con gli agenti allo sportello, soprattutto se ha difficoltà con la lingua, come nel caso di Arnel.

Sempre la sig.ra Miriam ci dice che:

La prima volta che mi misi in fila e stando tanto tempo parli con le persone che hai accanto, c'era un albanese dietro di me che diceva 'io non ne posso più, speriamo che oggi gli giri bene'. Io rimasi stupita pensando che non dipendeva dalla singola persona ma dalla documentazione se era giusta o sbagliata, non ci feci caso e pensai che avesse pregiudizi. E invece aveva ragione.

3.3.3 La testimonianza di Cassius

Per avere il più ampio panorama possibile di categorie di lavoratori e di nazionalità abbiamo intervistato anche un collaboratore a progetto, Cassius, senegalese.

Cassius ha in parte una storia simile a quella dei precedenti intervistati, è arrivato in Italia nel 2000 e dopo anni di lavori 'in nero' è stato regolarizzato con la sanatoria del 2002. A differenza però dei lavoratori precedenti nei due anni successivi al suo arrivo, Cassius ha frequentato una scuola di italiano, mentre viveva col fratello e la moglie del fratello già regolari in Italia. In seguito ha iniziato a fare una serie di lavori 'a nero'; mi ha detto:

ho iniziato a lavorare a nero, ho fatto il metalmeccanico per tre mesi, poi ho fatto il lavapiatti; Come collaboratore domestico ho lavorato con la persona da cui sono stato regolarizzato.

In precedenza in Senegal aveva studiato come programmatore di computer e aveva fatto esperienze lavorative completamente differenti, attualmente lavora in una biblioteca con un contratto di collaboratore a progetto, come mi conferma:

D: ma tu hai studiato per?
R: informatico, come programmatore, ho fatto marketing e ho lavorato con un'azienda privata e facevo il rappresentante commerciale in Senegal e poi ho deciso di venire in Italia. Dopo la regolarizzazione ora lavoro in biblioteca con un contratto di co-co-pro che ho per quattro anni, fino al 2008
D: e come permesso di soggiorno?
R: me l'hanno rinnovato per due anni come lavoratore autonomo, sono collaboratore a progetto, perché ora con la legge anche se hai un contratto a tempo indeterminato al massimo ti danno due anni, se hai un contratto di un anno il permesso di soggiorno è di un anno e via via

Come già nelle interviste precedenti ho chiesto quali fossero i progetti per il futuro, se la sua permanenza qui fosse accompagnata dall'intenzione di rimanere in Italia, mi ha risposto che:

Dipende, il mondo è in crisi se trovo altre opportunità, posso lavorare anche di più. Voglio rimanere qui fino a quando sarò vecchio. Adesso per fortuna posso usare le conoscenze di informatica, ora sto facendo la catalogazione, è tipo programmazione

L'altra questione che mi interessava, anche da un punto di vista sociologico, era capire come e se fosse stata possibile un'integrazione, non basandosi soltanto sulla sua esperienza ma anche degli altri ragazzi senegalesi con cui era venuto in contatto. Alla domanda su come si fosse trovato in Italia ha detto:

Francamente bene, ho visto altre persone che hanno più difficoltà, che non conoscevano nessuno, non avevano lavoro, dormivano fuori per la strada alla stazione. Anche un amico è venuto a dormire da noi per tre mesi perché non aveva posto. Io con la polizia non ho mai avuto problemi, anche al momento del rinnovo ma altre persone hanno avuto problemi, tipo quelli che vendono, perché non gli danno il permesso di soggiorno perché hanno preso delle multe perché vendevano. Ad alcuni hanno ritirato il permesso di soggiorno, continuano a vendere ma senza permesso.
D: e come ti trovi con gli altri senegalesi?
R: ne conosco pochi ma ho buoni rapporti. Ora ho il contratto di affitto e sto facendo il ricongiungimento familiare per fare venire qui mia moglie dal Senegal. Ma diciamo che il 90% delle persone ha più difficoltà, per trovare lavoro, per trovare la casa, perché a volte ci vivono in 15 persone in una sola casa. Hanno problemi perché alcuni non vogliono spendere, e poi ci sono problemi con quelli che affittano case perché non vogliono affittare perché pensano che ci mettono troppe persone. Alcuni non lo possono fare perché non hanno stipendio né hanno persone che li aiutano e non possono prendere casa perché ci vuole un contratto di lavoro e permesso di soggiorno, ci vuole un amico o un parente. Ma adesso se uno viene a casa tua devi andare alla Questura e denunciarlo

In seguito abbiamo approfondito il tema del lavoro, e in particolare era sicuramente interessante capire se, come già era risultato dall'intervista con Viola, ci fosse un'oggettiva difficoltà nel reperire lavori maggiormente qualificati anche per persone che nel loro paese d'origine avevano conseguito titoli professionali o lauree; la risposta è stata di conferma e in particolare:

qui ci sono lavori che non danno agli stranieri; ci sono senegalesi che hanno studiato o sono laureati che anche se fanno domanda per un lavoro non glielo danno. Io sono andato a un supermercato per fare una domanda e ho detto a una ragazza che lavora lì e che conoscevo, che ero andato lì a fare domanda, ma lei mi ha detto "non ti stancare, qui non prendono neri", io l'ho fatta uguale ma non mi hanno chiamato.

Cassius mi conferma inoltre che i lavori più diffusi sono quelli come collaboratori a progetto e i lavoratori interinali, adesso lavoratori somministrati. Inoltre mi informa che molti senegalesi hanno l'abitudine di fare continui viaggi fra il Senegal e l'Italia, a intervalli di sei mesi, allo scopo di rivendere in Senegal a prezzo più alto merce comprata in Italia, anche usata, per esempio motorini.

In conclusione, tornando al problema della difficoltà di integrazione incontrata in Italia da molti suoi connazionali, delinea un'incomunicabilità riscontrata da entrambe la parti, in particolare:

Qui in Italia alcuni hanno problemi a trovare casa, magari vengono da fuori Dakar, hanno una mentalità diversa, è difficile integrarsi, loro vanno a vendere e poi tornano a casa; non vanno a scuola, non vanno al cinema né cercano di fare amicizia con altri italiani, stanno a casa a guardare videocassette senegalesi; ma non è facile integrarsi perché anche gli italiani hanno una mentalità chiusa, gli italiani che sono andati all'estero hanno una mentalità più aperta, ma quelli che non si sono mai mossi...In più c'è il problema che alcuni senegalesi non trovano lavoro, magari non hanno studiato nemmeno in Senegal ma andavano alla scuola coranica e quindi anche qui è più difficile trovare un lavoro migliore, possono solo vendere perché non sanno scrivere. Io all'inizio quando andavo alla scuola di italiano avevo anche intenzione di continuare con l'informatica ma volevano il permesso di soggiorno e io non ce l'avevo...

3.4 Riforma Biagi: i lavori più utilizzati, i lavori più utili per gli stranieri

In quest'analisi dei temi che maggiormente hanno attirato l'attenzione degli intervistati, ne affrontiamo adesso uno certamente fondamentale ai fini del nostro studio: quali forme di lavoro previste nella legge n. 30/2003, potrebbero essere più utili per i lavoratori extracomunitari e quali sono quelle già ampiamente utilizzate, anche secondo l'opinione di persone quotidianamente in contatto con la realtà lavorativa degli stranieri.

Hako, nel nostro colloquio, ha chiarito che nella sua esperienza non ha avuto ancora a che fare con i contratti intermittenti, né con il lavoro ripartito, mentre le forme di contratto sicuramente più diffuse sono le forme di lavoro autonomo come in passato la collaborazione coordinata e continuativa e adesso la collaborazione a progetto.

Un discorso a parte meritano invece i lavoratori che sono stati assunti con un contratto di appalto.

A questo riguardo è sicuramente utile l'intervista a Manola Cavallini della Fillea-Cgil, del 15 marzo 2004 che ci è stata messa a disposizione da Hako. Abbiamo visto nel secondo capitolo come si configura il contratto di appalto, quali importanti modifiche sono state effettuate in seguito alla legge Biagi, e, in riferimento ai lavoratori stranieri, abbiamo ricordato l'art. 27 lett. i) del T. U. sull'immigrazione che disciplina l'ingresso per lavoro in casi particolari, e nello specifico, per i lavoratori che hanno un contratto di appalto.

Adesso è interessante confrontarsi con questa realtà. Cavallini ci informa che la Fillea-Cgil (35) ha iniziato ad occuparsi di lavoratori provenienti dall'estero in coincidenza con la sanatoria del 2002, perché il sindacato era venuto a conoscenza, da varie testimonianze, di irregolarità che incidevano pesantemente sulla vita dei lavoratori (36): nota però che dopo più di un anno i fenomeni registrati dai loro uffici sono diversi ma "ugualmente indecenti, inaccettabili". Sono molti i lavoratori che rivendicano un salario giusto e regolare, ma che a causa di questa richiesta vengono allontanati dal lavoro, con la conseguenza di ritrovarsi nella condizione di precarietà cui abbiamo accennato prima, visto il collegamento fra permesso di soggiorno e il contratto di lavoro.

Similmente testimoniano i dati riportati da un'indagine della Fillea-Cgil della regione Lazio sulle vertenze di lavoro nei cantieri edili romani; la maggior parte delle vertenze, infatti, risultano promosse da lavoratori extracomunitari, pari al 54, 97% contro un 45,03% di presenza di lavoratori edili stranieri. L'identikit del lavoratore che promuove la vertenza, in base a quest'indagine, disegna un lavoratore romeno, che lavora in nero e che si appella al sindacato per protestare contro le differenze retributive rispetto a chi è in regola. Oltre ai rumeni, pari al 53,90% dei lavoratori che si presentano alla Fillea-Cgil, molti lavoratori provengono dalla Polonia e dalla Moldavia (7,81%), dall'Ecuador (5,34%) e dall'Albania (4,94%); la maggior parte delle vertenze vengono aperte da lavoratori che operano nel settore edile, addirittura il 95,47%. Quello che mi pare possa essere un dato interessante è il fatto che ben il 74,49% di lavoratori stranieri che nel 2004 si è appellato al sindacato per promuovere una vertenza di lavoro, lavora in nero o è solo parzialmente in regola, confinando a solo il 25,51% i lavoratori con regolare contratto.

Indiscutibilmente collegate a questa posizione di debolezza sono le rivendicazioni fatte dai lavoratori stranieri, indici di un trattamento peggiore rispetto a quello del lavoratore italiano proprio per la loro posizione di lavoratori irregolari. I motivi della vertenza infatti sono principalmente la differente retribuzione rispetto a chi è in regola (97,53%), il mancato versamento del TFR (5,76%), l'indennità di malattia non versata o l'infortunio.

La Fillea-Cgil assume un ruolo importante anche rispetto alla domanda di un parere in relazione alla richiesta di autorizzazione al lavoro per appalto ai sensi dell'art. 27, lett i) del T. U. sull'immigrazione formulata dalla Direzione Provinciale del Lavoro, come previsto dalla circolare n. 82 del 23/11/2000 del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali.

La Fillea-Cgil, insieme alle altre organizzazioni sindacali, si è incontrata con le aziende che richiedevano l'autorizzazione, con le aziende italiane e le aziende rumene disponibili a fornire manodopera, e anche con le Direzioni Provinciali del Lavoro per cercare di capire meglio il fenomeno. Al termine di questi incontri è stato dato il parere richiesto, e in tre circostanze diverse sono stati sottoscritti accordi, con tre aziende rumene.

I sindacati hanno preteso, oltre alla disciplina prevista dalla legge, anche l'iscrizione in cassa edile, come previsto dal contratto collettivo di lavoro. Negli accordi è stato inoltre prevista la garanzia di un pagamento delle buste paga con assegno circolare, per rispondere al legittimo dubbio su quale possa essere il vantaggio economico della ditta ad assumere, piuttosto che un italiano, un lavoratore straniero al quale vada garantito vitto e alloggio. Cavallini rileva che al momento non hanno riscontrato violazioni ma che permane un'evidente difficoltà di comunicazione con i lavoratori, in quanto parlano solo rumeno e sempre in presenza di un mediatore dell'azienda, inoltre (37)

pretendiamo di vedere il contratto di appalto fra le due imprese, ma questo ci dice soltanto che c'è un lavoro da fare e a quali condizioni lo fa l'impresa rumena, insomma abbiamo la netta sensazione che quanto facciamo non sia sufficiente.

Nel precedente capitolo ho già riportato nelle sue linee essenziali l'intervento dell'avv. Paggi a proposito degli appalti che metteva in chiaro la preliminare e, probabilmente, più importante questione della possibilità per i lavoratori regolarmente soggiornanti di svolgere qualsiasi forma di lavoro prevista dalla legge Biagi, in base alla Convenzione O.I.L. n. 143/1975 che sancisce la parità di trattamento e pari opportunità con i lavoratori italiani; ricordando che in quanto norma internazionale ratificata dall'Italia è diritto vigente in Italia a tutti gli effetti, e ha forza di legge maggiore rispetto alle limitazioni poste dal D. P. R. n. 334/2005 di modifica del D. P. R. n. 394/99, che stabilisce il limite delle 20 ore settimanali, abbiamo affrontato l'argomento della durata dei permessi di soggiorno.

Paggi però ha chiarito che in base alla sua esperienza 'stanno passando di moda' i contratti di lavoro interinale, e del suo perfezionamento, il lavoro somministrato, per un motivo economico, in quanto questi contratti costano di più che assumere in proprio. Quello che veramente conviene alle imprese è il contratto di appalto, anche grazie a una modifica apportata dalla legge Biagi, su cui ci siamo più approfonditamente soffermati nel capitolo sulle nuove forme di lavoro.

La legge n. 1369/1980 stabiliva l'applicazione di un trattamento economico e normativo non inferiore a quello spettante ai lavoratori dipendenti dell'appaltante.

La riforma comporta che l'impresa non ha più l'obbligo di applicare ai propri dipendenti occupati nell'appalto lo stesso trattamento economico previsto per i dipendenti della committente bensì unicamente il trattamento economico minimo previsto dal contratto collettivo della categoria cui appartiene l'impresa appaltatrice; riprendendo l'esempio già fatto in precedenza, se un'impresa metalmeccanica artigiana va a eseguire un appalto all'interno di un'impresa metalmeccanica industriale, ai lavoratori dell'impresa metalmeccanica artigianale si applicherà il contratto collettivo nazionale per la categoria degli artigiani che è meno vantaggioso per i lavoratori, così si spiega il vantaggio che possono trarre le industrie da questi tipi di contratti.

Vantaggio che viene a mancare, sempre nell'ottica dei datori di lavoro, con la forma di lavoro somministrato, visto che è rimasta invariata la garanzia della parità di trattamento riconosciuta ai lavoratori "somministrati" rispetto ai dipendenti, di pari livello, dell'utilizzatore, e il diritto, quindi, di fruire di tutti i diritti sociali e assistenziali.

Hako, responsabile Cgil, mi ha indicato il lavoro interinale, ora somministrato, come un'altra delle forme di lavoro più frequenti fra i lavoratori extracomunitari; non ne ha un giudizio completamente positivo, proprio per la caratteristica di estrema brevità dei contratti di lavoro, anche di 15 giorni e infatti si esprime così:

Situazioni antipatiche si creano con le agenzie interinali, anche perché ci sono agenzie interinali che spesso lavorano principalmente con gli immigrati, però almeno hanno il contratto nazionale, dal punto di vista di tutele che derivano quando c'è un contratto, quelle ci sono. (38)

Abbiamo già citato la soluzione adottata da molte Questure che a fronte dell'inevitabile aumento di lavoro che sarebbe loro derivato da questi contratti di lavoro di durata molto breve, anche di 15 giorni, hanno ritenuto di concedere a tali lavoratori permessi di soggiorno di durata pari a quelli di attesa occupazione; si è inteso anche rispondere a un'esigenza di equità perché altrimenti lavoratori disoccupati avrebbero avuto permessi di attesa occupazione di 6 mesi, mentre lavoratori assunti da agenzia interinali che lavoravano senza soluzione di continuità avrebbero avuto permessi di 15 giorni.

Anche il dott. Pomponio ci ha confermato che la Questura di Firenze ha prevalentemente richieste di rinnovi di permessi di soggiorno da lavoratori aventi un contratto con un'agenzia interinale. La soluzione adottata per ovviare al problema di eventuali permessi di soggiorno con durata estremamente breve, con inevitabile carico di lavoro per la Questura è stata, secondo la testimonianza del dott. Pomponio (39), la seguente:

la mia esperienza (io sono andato via dall'ufficio immigrazione nell'ottobre 2004) è che ci sono molti lavoratori stranieri che venivano a chiedere il permesso di soggiorno a seguito di un'assunzione con lavoro interinale. Noi non abbiamo mai discriminato nessuno; quando abbiamo visto che un lavoratore aveva avuto delle interruzioni nel periodo lavorativo ma si vedeva che si dava da fare per lavorare, per nostra scelta si dava il permesso massimo possibile, cioè quello di un anno.

3.5 Conclusioni

Al termine di questo capitolo può essere interessante trarre alcune conclusioni. Dalle testimonianze è emersa una realtà che conferma la tesi sostenuta nel corso dell'intero lavoro. Infatti, alla domanda di fondamentale importanza che abbiamo rivolto a tutti i soggetti, di vari livelli, sulla possibile divergenza fra la direzione assunta dalla politica del lavoro attuale e la direzione assunta da quella dell'immigrazione, la risposta è stata affermativa.

D'altra parte abbiamo avuto conferma, anche da dati statistici nonché dalla Questura, anche del fatto che, nonostante questo "strabismo" fra le due politiche, le professioni più frequentemente svolte dai lavoratori migranti sono quelle che si allontanano da un modello classico di rapporto di lavoro subordinato, quali ad esempio il lavoro interinale.

Inoltre sono emersi dati interessanti dalle interviste dei lavoratori extracomunitari che testimoniano una difficoltà ad accedere a mansioni di livelli superiori, nonostante spesso i lavoratori siano dotati di competenze professionali elevate.

Emerge anche il dato che ad eccezione di Viola, c'è una volontà di rimanere in Italia per un periodo abbastanza lungo, elemento testimoniato anche dall'aumento di permessi per ricongiungimento familiare. Questo si scontra invece con una precarizzazione della vita dei lavoratori, anche a causa di contratti di lavoro a termine sempre più breve, che, a causa del legame instaurato nella legge n. 189/2002, fra la durata del contratto di lavoro e la durata del permesso di soggiorno, comportano per l'immigrato una serie di difficoltà, in ogni campo della sua vita.

Note

1. Intervista 24 febbraio 2005 a Tidila Hako.

2. Intervista 8 febbraio 2005 all'avv. Marco Paggi.

3. Ibidem.

4. Dossier Caritas, Immigrazione 2004, Idos, Roma, 2004.

5. Ibidem.

6. Dossier Caritas Immigrazione 2004, Idos, Roma, 2004.

7. M. Ambrosini e F. Berti, Immigrazione e lavoro, FrancoAngeli, Milano, 2003, pp. 31.

8. Intervista all'avv. Marco Paggi.

9. Intervista all'avv. Marco Paggi.

10. Intervista avv. Mughini, 18 febbraio 2005.

11. Intervista Assessore al Terzo settore Lucia de Siervo.

12. Intervista dott. Pomponio.

13. M. Ambrosini e F. Berti, op. cit., pp. 17.

14. Ibidem.

15. Intervista dott. Pomponio.

16. Ibidem.

17. Ibidem.

18. M. Ambrosini e F. Berti, op. cit., pp. 17.

19. M. Ambrosini e F. Berti, op. cit., pp. 15.

20. P. Spina, Sindacato e immigrazione in Italia: un'"esperienza" divenuta realtà, "Gli stranieri" 2 (2003) Roma, pp. 72.

21. L. Zanfrini, La discriminazione nel mercato del lavoro, Quinto rapporto sulle migrazioni, Fondazione Cariplo- ISMU, F. Angeli, Milano 2000.

22. P. Spina, art. cit.

23. M. Ambrosini e F. Berti, op. cit., pp.30.

24. M. Ambrosini e F. Berti, op. cit., pp.18.

25. M. Ambrosini e F. Berti, op. cit., pp.18.

26. M. Ambrosini e F. Berti, op. cit., pp.18.

27. Intervista Ditila Hako.

28. Intervista dott. Pomponio.

29. Intervista Viola.

30. Intervista Viola.

31. Intervista Viola.

32. Ibidem.

33. Ibidem.

34. Intervista Viola.

35. Federazione italiana lavoratori legno edili e affini.

36. Cavallini riporta: "hanno pagato loro la quota prevista per accedere alla sanatoria, non sempre corrispondeva al vero che l'impresa metteva a disposizione l'alloggio, non venivano pagati o venivano pagati con una quota di salario ridotta (era a loro carico la quota contributiva e la cassa edile)".

37. Intervista Cavallini.

38. Intervista Tidila Hako.

39. Intervista dott. Pomponio.