ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Maria Rosaria Calderone, 2005

Un giorno Beppe (1) mi chiese perché avevo scelto questo titolo di tesi, io gli detti una risposta molto generica dicendogli che, dato che avevo cominciato a conoscere il mondo del carcere mi incuriosivano le sezioni in cui non potevo accedere. È stata una risposta molto sintetica e frutto della poca conoscenza che c'era fra di noi, infatti, questa è stata solo una delle motivazioni che mi ha spinto a svolgere questo lavoro, ce ne sono altre che derivano dall'ambiente in cui sono cresciuta e dall'avere purtroppo dovuto assistere a troppi fatti di sangue.

Le conversazioni con Beppe mi hanno fatto capire l'importanza che hanno avuto le diverse riforme dell'ordinamento penitenziario, ma anche le numerose interruzioni che queste riforme hanno subito a causa delle vicende storiche. A volte i suoi racconti mi sembravano fantasiosi, come quando narrava di essersi trovato in una piccola cella in cui era costretto a dormire in un letto di cemento, con cuscino di cemento. O quando, mi raccontava che dopo un tentativo di fuga dal carcere delle Murate venne trasferito nel vecchio carcere di Spoleto e rimase una settimana, in completo isolamento, in una cella semi interrata senza che nessuno si preoccupasse di registrare il suo ingresso nell'istituto. Naturalmente oggi le condizioni di vita nelle carceri sono cambiate, ma i problemi non mancano.

In questo lavoro di tesi esamino le forme di trattamento penitenziario e come, prima le esigenze di ordine e sicurezza delle carceri, dopo le esigenze di sicurezza sociale, abbiano influito sulle sue modalità di esecuzione.

Per diverse motivazioni, ho limitato il campo della mia ricerca solo agli aspetti giuridici dei regimi particolari di detenzione e non, invece, a capire la loro effettiva utilità ad arginare la pericolosità dei soggetti che sono sottoposti a questi regimi.

La prospettiva della riforma del 1975 era quella di adeguare l'esecuzione della pena al principio di rieducativo e umanitario sancito dall'art. 27 Cost. e dalle convenzioni internazionali. Proprio l'adeguamento al principio Costituzionale ha portato all'introduzione della concezione di trattamento penitenziario individualizzato, che doveva offrire al detenuto un alternativa al crimine, attraverso il graduale reinserimento nella società.

In quest'ottica la riforma prevedeva la creazione di nuove figure di operatori penitenziari, la previsione di collegamenti tra il carcere e il mondo esterno, l'introduzione di misure alternative alla detenzione e infine la giurisdizionalizzazione dell'esecuzione penale, che viene affidata alla magistratura di sorveglianza. L'ordinamento penitenziario del '75, nonostante le critiche di cui è stato oggetto, costituisce una pietra miliare nella storia delle istituzioni penitenziarie italiane, ma le innovazioni introdotte comportavano tempi di realizzazione molto lunghi.

I principi che ispirano l'esecuzione penitenziaria si possono riscontrare nell'art. 1 della l. 354/75 in cui viene affermato il principio che "il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità umana", al 3º comma il legislatore si è preoccupato di sottolineare che negli istituti devono essere garantiti l'ordine e la disciplina. Così facendo, il legislatore ha affermato che per perseguire il fine della rieducazione della pena è necessario che all'interno degli istituti siano garantite la sicurezza e la disciplina.

L'ordine e la disciplina sono considerati esigenze necessarie per il regolare svolgimento della vita all'interno delle carceri, proprio per questo motivo si prevede la predisposizione di una serie di norme di comportamento, la cui violazione è punita con il regime disciplinare più duro. È sempre l'art. 1 a stabilire che in ogni caso le restrizioni all'ordinario regime penitenziario, non possono che essere ispirate alla soddisfazione delle esigenze di ordine e sicurezza e non può essere inflitta nessuna sanzione diversa da quella prevista dalla legge.

Nel primo capitolo ho esaminato anche le modalità di censura della corrispondenza dei detenuti e la disciplina dei trasferimenti che sono stati strumenti importanti o per limitare i contatti fra i detenuti pericolosi e il mondo esterno al carcere o, come è successo per i trasferimenti, strumenti di punizione per quei detenuti che non si conformavano alle regole.

Come verrà analizzato nel secondo capitolo, il problema della sicurezza negli istituti penitenziari ha caratterizzato tutto il dibattito parlamentare della riforma del '75. Inoltre, dopo l'entrata in vigore dell'ordinamento penitenziario è stata subito evidenziata la sua poca incisività ad arginare alcune situazioni che si erano create fuori e dentro il carcere, in seguito all'esplosione di un nuovo tipo di criminalità a carattere organizzato.

È proprio la novità del trattamento penitenziario a causare i maggiori problemi, poiché la l. 354/95 non prevedeva una differenziazione del trattamento in base alla pericolosità dei detenuti. A questa carenza si pose rimedio con la creazione delle carceri speciali e la successiva applicazione dell'art. 90 O. P., ovvero la sospensione dei diritti sanciti dall'ordinamento penitenziario negli istituti ove erano raggruppati i detenuti ritenuti maggiormente pericolosi. Proprio l'applicazione dell'art. 90 O.P. e il ruolo che ha ricoperto nella vicenda delle "carceri speciali" costituisce il nucleo principale del secondo capitolo.

Il terzo capitolo è dedicato alle modalità di assegnazione e trattamento del detenuti così come prevista oggi nell'ordinamento penitenziario. Dopo un primo accenno alla necessità di una differenziazione dei detenuti sulla base della loro effettiva pericolosità sono esaminate le novità introdotte dalla legge Gozzini, riguardanti la differenziazione dei detenuti.

La legge Gozzini costituisce una vera e propria riforma dell'ordinamento penitenziario, in un'ottica di continuità con i principi che avevano ispirato la riforma del '75, introducendo il regime di "sorveglianza particolare" per i detenuti pericolosi, ma anche rinnovando le misure alternative di detenzione e la struttura e la competenza della magistratura di sorveglianza. Riguardo al regime di "sorveglianza particolare" si potrà notare la volontà del legislatore di coniugare le esigenze di sicurezza penitenziaria con la massima legalità. Infatti, vengono descritti in maniera più o meno dettagliata i soggetti da sottoporre a detto regime penitenziario i contenuti che questo può avere e, non meno importate, viene previsto un controllo successivo all'assegnazione da parte della magistratura di sorveglianza.

Nello stesso capitolo sarà analizzata la decretazione d'urgenza degli anni '90 che ancora una volta stravolge la concezione del trattamento penitenziario.

Il dilagare del fenomeno mafioso ha portato all'emanazione dei decreti legge 152/91 e 306/92 che modificano la possibilità di usufruire dei benefici penitenziari, ma modificano, anche, le modalità del trattamento inframurario dei detenuti condannati, o comunque presumibilmente collegati, per reati di associazione mafiosa. Infatti, con questi decreti vengono introdotti all'interno dell'ordinamento penitenziario gli art. 4 bis e il secondo comma dell'art. 41 bis. Il primo di questi articoli comporta una differenziazione dei detenuti, condannati per reati di associazione mafiosa o terroristico eversiva, alla fruizione dei benefici penitenziari. Prevede diverse categorie di detenuti che, a seconda del reato commesso, possono usufruire dei benefici penitenziari o collaborando con la giustizia o attraverso l'accertamento dell'insussistenza di collegamenti con il crimine organizzato. Mi soffermerò in particolare sul fatto che l'introduzione dell'articolo 4 bis ha permesso una differenziazione dei detenuti anche nel trattamento inframurario, aprendo la strada a tutta una serie di circolari che hanno creato per i detenuti pericolosi il circuito della "Alta sicurezza" e quello di "Elevato Indice di Vigilanza". La tesi si conclude con l'esame del secondo comma dell'art. 41 bis che ha introdotto un ulteriore regime penitenziario per gli esponenti di spicco della criminalità organizzata. Quest'ultimo regime comporta un totale isolamento del detenuto non solo dalla comunità esterna al carcere, ma anche dalla vita interna dell'istituto penitenziario.

Note

1. Beppe era un ex detenuto, che ho incontrato durante la mia attività di tutor, svolta presso l'Univesità degli Studi di Firenze.