ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusioni

Maria Rosaria Calderone, 2005

Concludendo questo mio lavoro di tesi, vorrei fare alcune osservazioni sulla situazione dei regimi penitenziari esistenti attualmente.

Con la novella 279/2002 il regime penitenziario più duro, ovvero quello previsto dall'art. 41 bis, 2º comma O.P. è diventato definitivo. Questa legge ha sicuramente dato concretezza a una norma troppo indeterminata, infatti, proprio perché questo regime costituisce un'eccezione alle ordinarie regole di trattamento, c'era la necessità di determinare i limiti della sua applicazione e predisporre opportuni controlli azionabili dai soggetti. La l. 279/2002 definisce i presupposti del decreto ministeriale che applica il particolare regime detentivo, il procedimento di adozione e la durata del decreto, l'eventuale revoca, il sistema di impugnazione e il contenuto del regime speciale. Bisogna dire che la Corte Europea ha avuto già modo di condannare la poca incisività del controllo offerto ai destinatari del decreto ministeriale.

Dopo l'emanazione di questa legge, l'art. 41 bis O.P. non si può più considerare un temporaneo strumento di lotta alla criminalità organizzata, il legislatore rendendo questo strumento definitivo ha confermato la tendenza, assunta già da vari anni, sulle politiche penitenziarie. Sin dall'entrata in vigore della legge di riforma del 1975, c'è stata l'esigenza di trovare un giusto equilibrio tra le esigenze di rieducazione del reo e quelle di difesa sociale. Sicuramente la novella del 2002 rappresenta una tendenza a soddisfare le esigenze di difesa sociale, spingendo verso una maggiore chiusura del carcere. Questa legge ha consolidato il regime penitenziario di massimo rigore, a cui vengono assegnati i detenuti maggiormente pericolosi, lasciando fuori dalla disciplina gli altri regimi penitenziari. Mentre ci si è preoccupati di dare garanzie e legittimare il regime penitenziario di massimo rigore, ovvero, quello preposto per i così detti boss mafiosi, per gli altri detenuti assegnati ai circuiti penitenziari di "Alta sicurezza" ed "Elevato indice di Vigilanza", nonostante la loro minore pericolosità, non è stato sollevata alcuna esigenza di legalizzare questi regimi penitenziari o quanto meno predisporre un adeguato controllo giudiziario su di essi.

Come ho sottolineato durante questo lavoro, la decretazione d'emergenza degli anni '90 ha portato alla creazione di una differenziazione dei detenuti basata sulla pericolosità dei fatti di reato, questa situazione è stata creata non da una legge, ma da circolari ministeriali. La conseguenza è che l'assegnazione dei detenuti è lasciata alla decisione dell'amministrazione penitenziaria, i contenuti di questi regimi restrittivi sono disciplinati dalle circolari. Inoltre, spesso, non c'è un provvedimento di assegnazione conoscibile da parte del detenuto, che gli permetta di attivare un controllo giudiziario su quest'assegnazione.

La mia ricerca, mi ha portato a constatare come nonostante il legislatore si sia sforzato di regolamentare, con il regime di "sorveglianza particolare", l'assegnazione dei detenuti pericolosi, questo strumento è praticamente inutilizzato. Infatti, riguardo al regime penitenziario per i detenuti pericolosi, l'amministrazione preferisce usare mezzi che non permettano un controllo della magistratura penitenziaria sulle sue decisioni. Invece, si effettua l'assegnazione dei detenuti senza alcun provvedimento e i contenuti dei regimi penitenziari di "Alta sorveglianza" ed "Elevato indice di vigilanza" sono fortemente indeterminati. Chiaramente, è facile immaginare gli abusi che si verificarono in questa situazione. Negli ultimi anni si è assistito all'assegnazione nel circuito di E.I. V. di soggetti per cui era presumibile un pericolo di fuga. In questi casi, l'assegnazione è avvenuta non in conformità a singoli provvedimenti ministeriali, ma invece su generiche e meno precisate circolari dell'amministrazione penitenziaria, che individuavano determinate categorie di soggetti come predisposti ad un'eventuale evasione (1). Naturalmente, provare queste affermazioni è molto difficile, ma quello che può supportare quest'ipotesi è che dopo le clamorose evasioni dal carcere fiorentino di Sollicciano (2) da parte di detenuti albanesi si è potuto assistere, ad una decisione assunta discrezionalmente da parte dell'amministrazione penitenziaria, che raggruppava i detenuti albanesi in una stessa sezione, applicando in questa sezione un regime penitenziario maggiormente restrittivo (3). Da un giorno all'altro questi detenuti si sono visti sospendere dal lavoro che svolgevano all'interno del carcere e per un periodo limitato anche dalla frequenza alla scuola, potevano svolgere attività solo all'interno della sezione. Da successivi colloqui con alcuni agenti di polizia penitenziaria ho appreso che dato il pericolo di fuga di questi detenuti erano non solo nel carcere di Sollicciano, ma anche negli altri istituti penitenziaria della Toscana, venivano raggruppati nei circuiti di E. I. V.

Ancora, al detenuto non è offerto un adeguato mezzo di reclamo contro l'assegnazione disposta dall'amministrazione penitenziaria, infatti, abbiamo notato l'insufficienza del reclamo ex art. 35 O. P. La stessa Corte Costituzionale proprio rilevando la mancanza di garanzie procedimentali dell'art. 35 O. P. ha invitato il legislatore a predisporre un'adeguata procedura di reclamo con cui i detenuti possano tutelare i loro diritti. Anche la stessa Corte Europea ha sottolineato che, nonostante la materia di assegnazione dei detenuti ai diversi circuiti penitenziari sia di competenza dell'amministrazione penitenziaria, al detenuto deve in ogni caso essere riconosciuta la possibilità di azionare un controllo effettivo al giudice ordinario.

Note

1. Informazioni, ottenute da colloqui con detenuti e agenti del corpo di polizia penitenziaria.

2. La Repubblica 31 marzo 2004, cronaca Firenze, Firenze caccia ai cinque albanesi evasi dal carcere di Sollicciano. Corriere della sera 31 marzo 2004, In cinque evadono con le lenzuola.

3. Queste informazioni sono state ottenute dai colloqui con detenuti del carcere di Sollicciano e volontari operanti nello stesso carcere. Vedi anche la rassegna stampa del 7 luglio 2004 in Ristretti.