ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusione

Leonardo Bresci, 2004

La scelta del legislatore italiano di introdurre strumenti sostitutivi rispetto alla tradizionale pena detentiva breve rientra, abbiamo visto, nel più ampio contesto del movimento internazionale di riforma che, nella seconda metà del secolo scorso, ha attraversato tutta l'Europa. La legge del 1981 accoglieva, con qualche anno di ritardo, le stesse preoccupazioni espresse da quel movimento circa la validità della carcerazione di breve periodo (v. cap. 1 par. 1). S'affidava quindi alle nuove sanzioni il compito di eliminare le conseguenze dannose prodotte dal carcere, in primo luogo la desocializzazione dello stesso reo. Inoltre, la riforma avrebbe dovuto realizzare anche l'altra finalità (eventuale) espressamente dichiarata nelle relazioni al progetto di legge, ossia dare una risposta al problema del sovraffollamento carcerario.

Rispetto alle riforme adottate in Europa, e in particolare rispetto a quella della Germania occidentale, la scelta italiana si è caratterizzata però per una maggiore cautela innovativa.

In primo luogo a fianco della pena pecuniaria vengono previste altre due misure limitative della libertà personale, tra le quali spicca la semidetenzione a dimostrazione delle difficoltà ad abbandonare in radice il tradizionale strumento carcerario.

Inoltre, non è stata introdotta quella clausola di extrema ratio della detenzione breve, tipica invece nelle riforme sopra menzionate, capace d'incidere in maniera determinante nella pratica giudiziaria. Anzi, il legislatore regolando il potere discrezionale del giudice tramite il generico richiamo all'art. 133 c.p., ha lasciato totalmente impregiuticata la tematica relativa all'an della sostituzione (v. cap. II, par. 5). Nonostante gli sforzi della dottrina rivolti ad inquadrare il ricorso alle sanzioni sostitutive come regola, di fatto tale opzione è rimessa all'intuito personale del giudice proprio a causa della mancanza di espressi criteri legali che guidino l'esercizio del potere discrezionale.

Ma il principale difetto della riforma attiene, come visto, al rapporto tra le sanzioni sostitutive e l'istituto sospensivo previsto dall'art. 163 del codice penale. La sospensione condizionale ha infatti mantenuto un vastissimo ambito di operatività, relegando le sanzioni sostitutive non patrimoniali ad un ruolo marginale.

In realtà questo è il risultato, oltre che di una cattiva formulazione legislativa (1), di una pratica giudiziaria che ha sempre mancato di prendere seriamente in considerazione la semidetenzione e la libertà controllata come veri e propri strumenti penali di lotta alla criminalità. La loro reputazione di benefici concessi al reo e la coincidenza (pressoché totale) con i presupposti applicativi della sospensione condizionale, hanno determinato nella prassi il permanere dell'automatismo applicativo di quest'ultima.

Questa situazione normativa ha portato due diversi risultati contrastanti: un sostanziale fallimento delle sanzioni sostitutive non patrimoniali (in particolare della semidetenzione); un abbondante ricorso alla pena pecuniaria sostituiva. Questo diverso successo può essere spiegato, si è detto, in relazione al modo d'essere della pena pecuniaria.

Anzitutto, all condannato il pagamento di una somma di danaro rappresenta certamente una richiesta più "accettabile" rispetto ad una misura restrittiva della libertà personale. Di conseguenza la pena pecuniaria diventa uno strumento molto usato, chiaramente nei casi in cui la sostituzione è possibile, per concludere i procedimenti penali col rito del patteggiamento o del decreto penale. A proposito di quest'ultimo rito, la circostanza che la condanna a pena pecuniaria (sostitutiva della detenzione) sarà il più delle volte non opposta da parte del condannato, spinge le varie Procure italiane a promuovere l'utilizzazione del decreto penale al fine di smaltire i pesanti carichi di lavoro. Altro motivo determinante la larga utilizzazione della pena pecuniaria sostitutiva è dato dalla circostanza che nella pratica giudiziaria la sospensione condizionale è poco utilizzata in relazione alle condanne a pena pecuniaria. Sembra dimostrato, pertanto, che il successo applicativo della pena pecuniaria non sia riconducibile allo "spirito" della legge, volto ad offrire strumenti penali non desocializzanti, bensì a motivi estranei alla legge, in particolare attinenti l'esigenza di economia dei giudizi.

Inoltre, non può considerarsi un grande risultato di politica criminale la fortuna applicativa della pena pecuniaria, dal momento che tale sanzione rappresenta uno dei nodi più problematici del nostro diritto puntivo.

Nel capitolo dedicato alla pena pecuniaria, abbiamo affrontato infatti tutte le implicazioni negative correlate all'esecuzione di tale sanzione. Dai problemi di costituzionalità attinenti gli strumenti per garantire l'effettività della pena pecuniara, ai problemi pratici coinvolgenti gli uffici che sono preposti all'attuazione della stessa. Dunque, un incremento delle pene pecuniarie non può che esaltare questi problemi e rendere più urgente l'esigenza di una loro soluzione.

Altre le considerazioni relative alle sanzioni sostitutive non patrimoniali, ossia la semidetenzione e la libertà controllata. Anzitutto, La prassi applicativa ha dimostrato che non hanno rivestito un ruolo determinante tra gli strumenti alternativi al carcere. Troppo vasta è in questo campo la presenza di istituti che permettono al reo di evitare una breve condanna detentiva: accanto al ruolo preponderante della sospensione condizionale, si sono affiancate dal 1998 anche le misure alternative ab initio.

Ed è proprio la riforma della legge Simeone che introduce la seconda conclusione: laddove applicate, le sanzioni sostitutive non patrimoniali hanno messo in evidenza un elemento di incoerenza nella sistematicità del diritto punitivo. Guardando la prassi applicativa abbiamo cercato di mostrare che l'applicazione della libertà controllata o della semidetenzione può risultare più gravosa rispetto ad una condanna a pena detentiva non sostituita. Questa situazione anzitutto è determinata dalla legge Simeone, il cui meccanismo sospensivo operando soltanto a favore del condannato alla pena detentiva e non anche nei confronti di chi subisce la semidetenzione (o la libertà controllata), rischia d'impedire l'accesso di quest'ultimo alle misure ab initio.

Abbiamo visto che un'altra situazione di svantaggio nei confronti del condannato alla sanzione sostitutiva, si realizza anche a seguito del sopravvenire di certe condanne a pena detentiva. Mentre l'affidato che esegue in regime alternativo la pena detentiva non sostituita, potrà ottenere la prosecuzione dell'affidamento dallo stato di libertà, uguale possibilità non si configura nei confronti di chi è sottoposto alla sanzione sostitutiva. Infatti la prassi applicativa dimostra che anche l'ordinanza di conversione della sanzione sostitutiva non può essere sospesa ex art. 656, quinto comma, del codice di procedura penale. Conseguenza: ancora una volta la sanzione sostitutiva porta ad un trattamento deteriore.

A questo punto sembra plausibile ritenere che la legge Simeone abbia stravolto la ratio originaria della legge del 1981, consistente nel garantire ai responsabili di reati minori un trattamento meno desocializzante. L'aver legittimato e facilitato l'accesso alle misure alternative limitatamente alle pene detentive, finisce con l'inquadrare le sanzioni sostitutive in una dimensione più afflittiva, stante la maggiore probabilità per il reo di dover sperimentare l'esperienza carceraria. In ultima analisi, questa situazione smentirebbe quella tentazione, prospettata all'inizio di questo lavoro, di vedere nella legge 689 del 1981 un ulteriore passo verso una piena attuazione del principio rieducativo sancito all'art. 27, terzo comma della Costituzione.

A totale spregio delle conclusioni da noi raggiunte, la legge 12 giugno 2003, nº 134 ha raddoppiato tutti i limiti di pena concreta entro i quali sostituire le pene detentive. Non possiamo davvero pensare che una simile scelta sia frutto dell'ignoranza del legislatore della prassi giudiziaria, quindi pensiamo abbia voluto perseguire l'obiettivo immediato di una riduzione della lentezza dei procedimenti allargando l'ambito dei procedimenti speciali del patteggiamento e del decreto penale.

Certamente la speditezza dei processi è un valore costituzionalmente riconosciuto (art. 111 della Costituzione) ed è pertanto ammirevole uno sforzo legislativo in tal senso. È altresì vero che la legge sul patteggiamento allargato avrebbe dovuto tener conto della complessità della disciplina delle sanzioni sostitutive, così da non limitarsi ad estenderne astrattamente l'ambito applicativo senza predisporre interventi correttivi alla problematica disciplina esecutiva.

Era auspicabile, pertanto, che tale innovazione fosse quantomeno accompagnata da una riforma della disciplina esecutiva della pena pecuniaria (2) e dall'ampliamento degli organici degli uffici della Magistratura di Sorveglianza.

Note

1. Con particolare riguardo alle norme sulla discrezionalità del giudice sull'an della sostituzione.

2. In realtà qualche positiva innovazione rispetto alla pena pecuniaria è stata introdotta dalla legge del 2003. Similarmente alla normativa francese in materia, viene finalmente introdotto limitatamente alla pena pecuniaria sostitutiva il sistema dei tassi giornalieri. V. art. 4 della legge 12 giugno 2003, nº134.