ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Considerazioni conclusive

Stefania Menicali, 2003

La sperimentazione sugli animali, spesso impropriamente associata alla vivisezione strettamente intesa, raggruppa tutte quelle pratiche, operatorie e non, che producono lesioni o alterazioni anatomiche e funzionali (ed eventualmente la morte) nei cosiddetti "animali da laboratorio". Questo antico metodo di conoscenza scientifica ha subito sorti alterne nel panorama legislativo, procedendo di pari passo con l'evoluzione del più generale rapporto uomo-animali.

Solo verso la metà degli anni settanta del secolo appena concluso, sulla spinta di crescenti istanze animaliste, si è proceduto ad un aggiornamento delle precedenti normative, approdando al Decreto Legislativo n. 116 del 27 gennaio 1992, attuativo della Direttiva 86/609/CEE. Occorre, peraltro, precisare che i predetti Atti non entrano nel merito degli aspetti tecnico-procedurali della sperimentazione sugli animali dei quali, viceversa, si occupano le cosiddette linee guida di Buona Pratica di Laboratorio, elaborate da vari organismi internazionali, europei e non.

La comunità scientifica ufficiale si scontra, però, con i cosiddetti "antivivisezionisti" che si battono per l'abolizione della sperimentazione inter-species. Sul Web esistono moltissimi siti dove animalisti e ecologisti fanno sentire la loro voce, indicando anche istituzioni scientifiche, mediche e universitarie, alle quali riferirsi per reperire documenti in cui si discute la validità etica e scientifica dell'impiego degli animali, soprattutto, nel campo della ricerca biomedica.

Ritenendo il metodo sperimentale su animali scientificamente valido si aprono, infatti, questioni etiche che possono essere affrontate solo dopo aver individuato il ruolo dei biomedici nella nostra società. A tal proposito, non c'è alcun dubbio circa lo straordinario potere di trasformazione della moderna biologia e dei suoi corollari tecnologici; un potere che sta plasmando nuovi rapporti economici e definendo inedite sinergie. La biologia dei nostri tempi non è più un'affascinante avventura scientifica, o almeno non è più solo questo. Ma se la biologia diviene un motore dell'economia e l'economia si candida a gestire le società occidentali (e l'intero pianeta), ne discende che la prima (e le altre scienze che attorno ad essa ruotano) diviene strumento di un progetto politico nel quale i biologi sono chiamati ad agire. Per dirla con Ernesto Landi, direttore dell'organo ufficiale dell'ordine nazionale dei biologi,

le scelte che sono davanti a noi [biologi] sono chiare: o ci rifugiamo nel tecnicismo della nostra professione, reclamando una velleitaria neutralità, oppure dichiariamo con onestà le nostre opinioni circa il ruolo della biologia nel nostro complesso e contraddittorio mondo (1).

Ad entrambe le posizioni conseguono effetti "pericolosi". Se, nel primo caso, il ricercatore deve fare attenzione a non collocarsi al di fuori dei convincimenti dominanti, proponendo risultati anche solo parzialmente difformi da quelli fatti propri dalla comunità scientifica cosiddetta ufficiale; scegliendo la seconda strada, attraverso dichiarazioni completamente innovative, rischia la messa al bando (2). Alla luce di quanto precede, i ricercatori sono "invitati alla prudenza", senza scadere nella mortificazione del dibattito scientifico: piegare la scienza agli interessi delle imprese dominanti nel settore chimico-farmaceutico può giovare all'economia nel breve periodo, ma dubito faccia bene alla democrazia e ai diritti dei cittadini. La realtà è che per farsi un'idea suffragata da fatti e, quindi, prove, dovremmo avere una visione completa del settore e delle problematiche ad esso correlate. Invece, solo gli addetti ai lavori leggono pubblicazioni come il Bollettino d'informazione sui farmaci del Ministero della Salute. Ad esempio, il numero 8 dell'agosto 1983 ci informa che "dal 1972 al giugno 1983 è stata revocata la registrazione (cioè, vietata la vendita) di 22.621 confezioni di specialità medicinali" (3). Un altro comunicato ci informa che le cose non migliorano: dal 1984 al dicembre del 1987 gli effetti collaterali (e il riferimento è solo a quelli segnalati) provocati da farmaci sono stati 14.836, con centododici morti (4). E, comunque, posto che il settore biomedico è - più che in altri settori - l'ambito in cui le conoscenze scientifiche sono in una zona di chiaro-scuro, laddove si accolga il presupposto della ineliminabilità della sperimentazione animale, trovo corretto assumere una posizione "prudenziale", in base alla quale riconoscere e tutelare gli animali anche quando vi sia solo una certezza indiziaria circa le loro facoltà percettivo-cognitive (per l'esistenza di strutture neuronali a ciò atte). Personalmente ammiro la cultura indiana; vorrei vivere in un mondo di equilibri inalterati e, nel mio piccolo, cerco quotidianamente di muovermi in quella direzione. Non arrivo ad affermare che "preferirei che la civiltà non fosse giunta al punto da fare ammalare gli uomini per poi curarli attraverso i farmaci" (5). Sono per le critiche costruttive; pertanto non posso concordare con lo stile del professor Garattini, autore della frase appena citata, in quanto, pur ricoprendo un ruolo che gli avrebbe consentito di provare a cambiare le cose dall'interno, si è limitato ad affermare un principio senza da ciò far discendere alcuna applicazione pratica. Ha preso atto della situazione occidentale ma si è arreso: "davanti a ciò non si può rinunciare alla vivisezione senza alterare tutto il quadro"; ammette che potremmo farne a meno solo cambiando la società, ma continua a muoversi nella direzione tradizionale. Tutto ciò mi induce a pensare che questa secolare empasse dipenda, fortemente, da una carenza di coraggio dei medici nel tentare una strada non spianata da altri, precisando che questo discorso non può farsi per gli antivivisezionisti aderenti al Comitato Scientifico Antivivisezionista, ai quali mi sono riferita con la locuzione di "abolizionisti scientifici", i quali vanno contro la comunità scientifica al momento dominante, dimostrando di essere completamente svincolati da logiche di potere.

L'obiettivo da perseguire è, a mio avviso, quello di cercare un contatto, un punto di mediazione tra visioni discordanti ma, forse, non totalmente antitetiche, senza scadere in sterili sentimentalismi. Mi sento, infatti, di condividere la percezione degli scienziati in merito al fatto che gli animalisti "impediscono ai nostri ricercatori di cooperare al raggiungimento di conquiste scientifiche che potrebbero tra l'altro combattere gravi patologie e contribuire ad alleviare i problemi di alimentazione dell'umanità; la ricerca e l'esaltazione acritica di pratiche mediche miracolistiche che sono ritenute più affidabili solo perché alternative alla medicina scientifica" (dal manifesto del "Movimento Galileo 2001 per la libertà e la dignità della Scienza", redatto e sottoscritto da alcuni esponenti del mondo scientifico e universitario).

In conclusione, in questo lavoro ho cercato di descrivere il procedimento seguito da chi fa sperimentazione animale, fornendone regole e dati applicativi, talvolta annotando i commenti di coloro che tale metodologia contrastano, segnatamente, da un punto di vista scientifico. L'obiettivo era quello di fornire un quadro d'insieme, onde poter formare un giudizio, al fine, più generale, di orientare in coerenza con esso il proprio comportamento.

Note

1. E. Landi, Ricerca Scientifica e democrazia, in Biologi Italiani. Organo Ufficiale dell'Ordine Nazionale dei Biologi, Anno XXXII, n. 4, aprile 2002, p. 3.

2. Il rischio maggiore dal quale viene messo in guardia il biologo cosiddetto "alternativo" è quello della fine della carriera. Discostandosi dalla "scienza ufficiale" rischia di non veder pubblicare i propri lavori (il che per un ricercatore equivale a dire "stop alla carriera"). Cfr. P. Croce, Vivisezione o scienza, pp. 112 e ss.

3. Considerando che ogni specialità viene confezionata, in media, in quattro forme diverse, le "specialità" effettivamente ritirate diventano circa cinquemila.

4. J. Miceli, Morire in pillole, Epoca, n. 1981 del 25 settembre 1988, pp. 122-123.

5. S. Garattini, Problemi della vivisezione - Atti del convegno sul tema "Necessità e limiti della sperimentazione scientifica su animali. Aspetti etici e zoofili, tecnici, scientifici, didattici, legislativi", organizzato dall'Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" di Milano, Moneta, Milano 1972, pp. 13 e ss. Il professor Garattini, Direttore dell'Istituto, ha infatti manifestato le sue perplessità circa la civiltà scientifica occidentale, "la quale ha creato le premesse per far sì che l'uomo in questo nuovo contesto sia sempre più sottoposto a degli stress e a delle aggressioni anche artificiali, che minano la sua integrità".