ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
Dal patrocinio gratuito al patrocinio retribuito dallo Stato

Grazia Macrì, 2003

2.1. Il patrocinio a spese dello Stato nella legge 11 agosto 1973, n. 533 relativa alle controversie di lavoro

L'ispirazione sociale della legge 11 agosto 1973, n. 533, recante la disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, era posta in evidenza - tra le altre - in particolare anche dalle disposizioni sulla gratuità del giudizio e sul patrocinio statale (artt. 10 -16).

Il legislatore tenne presente, alla luce dei principi di cui agli artt. 3, 2º comma, e 24, 3º comma, della Costituzione, l'esigenza di una piena gratuità dei giudizi di lavoro, come indispensabile condizione affinché tutti i lavoratori avessero la possibilità di adire l'autorità giudiziaria (1). Egli intese predisporre il logico completamento della gratuità del giudizio con le norme sul patrocinio a carico dello Stato, anch'esse rivolte a garantire l'accesso alla tutela giudiziaria, eliminando disparità di trattamento dei cittadini in conseguenza del costo del processo (2).

Affermava Perone:

Quelle sulla gratuità del giudizio e sul patrocinio statale vanno, dunque, inquadrate tra le più significative norme della citata legge n. 533 del 1973 intese a realizzare l'effettività della tutela giurisdizionale del lavoratore, il quale, parte più debole del rapporto, si avvantaggia di un favor dell'ordinamento non circoscritto al solo piano sostanziale, ma appunto riflesso pure su quello processuale (3).

La legge 11 agosto 1973 n. 533 (anche se applicabile al solo processo del lavoro), rappresentò l'occasione per l'introduzione di un nuovo sistema di tutela dei non abbienti profondamente innovativo rispetto alle previsioni del '23, di rottura quindi di una lunga tradizione mai intaccata nella storia del nostro ordinamento giuridico (4).

La novità più saliente di questa disciplina, riguardava il superamento dell'idea di munus onorificum dell'istituto, ossia il superamento della concezione del patrocinio dei non abbienti come ufficio onorifico ed obbligatorio, gratuitamente assicurato dalla classe forense oltre che da tutti coloro (consulenti, notai) che nel processo sono tenuti a prestare la propria opera.

Seguendo l'esempio di altri ordinamenti europei, il legislatore del 1973 accolse il principio della remunerazione, dei soggetti di cui sopra, attraverso l'assunzione da parte dello Stato di tutte le spese necessarie per lo svolgimento del procedimento (spese sostenute dai difensori, consulenti tecnici anche di parte, notai, spese e indennità per l'audizione di testimoni, ecc.), nonché il pagamento di diritti, competenze ed onorari di difensori, consulenti ed ausiliari (da liquidarsi con il con il provvedimento che definiva il giudizio) sulla base delle tariffe professionali ordinarie (5). L'art. 11 della legge di cui si parla prevedeva, infatti, che, per le cause di lavoro e quelle concernenti i rapporti di pubblico impiego presso enti pubblici non economici, «erano ammesse al patrocinio a spese dello Stato le parti non abbienti, le cui ragioni risultavano non manifestamente infondate...».

Contrariamente alla disciplina legislativa del 1923, nella logica della riforma del processo del lavoro (6) attuata con la legge n. 533, la difesa dei non abbienti, si doveva fondare non più sul lavoro forzato, ma, in seguito all'intervento dello Stato, sulla parità di retribuzione - per tempi, qualità e durata - tra prestazioni professionali normali e prestazioni professionali a favore dei non abbienti. Ciò proprio al fine di evitare che, come spesso accadeva, con il sistema di gratuito patrocinio, il difensore non retribuito, difendesse senza impegno o facesse di tutto per non difendere, un cliente certamente non desiderato (7). La ratio legislativa suindicata emergeva da tutto il complesso degli artt. 11 e segg. della legge n. 533, sicché sia il procedimento, sia gli effetti che conseguivano all'ammissione del non abbiente al patrocinio a spese dello Stato si diversificavano profondamente dalla disciplina prevista nel R.D.L. n. 3282 del 1923.

Il nuovo sistema, benché introdotto per un determinato tipo di processo, era già allora considerato come modello che avrebbe dovuto soppiantare il sistema precedente, per tutti i processi. La disciplina dettata in materia aveva quindi carattere dichiaratamente temporaneo, poiché si disponeva la sua applicazione «sino all'entrata in vigore delle norme di legge che assicureranno ai non abbienti, per le controversie avanti ad ogni giurisdizione, il patrocinio a spese dello Stato» (8).

La speranza era quindi che il Parlamento, contemporaneamente alla nuova disciplina del processo del lavoro discutesse la menzionata riforma generale del patrocinio statale. In realtà, sappiamo che per la tanto auspicata riforma, abbiamo dovuto attendere per altri trenta anni, sino all'avvento della legge del 2001. E ciò non soltanto perché le speranze di una celere definizione della riforma generale dell'istituto sono andate deluse, ma perché, come in seguitò chiarirò, neppure la più limitata riforma voluta dal legislatore del 1973 ha sortito apprezzabili risultati pratici (9).

La legge n. 533, ebbe però, almeno il merito di aver (seppure parzialmente) riportato l'ordinamento ad un livello di parità rispetto agli altri paesi occidentali, nei quali negli anni settanta si registrarono profonde riformulazioni legislative in materia di assistenza gratuita ai non abbienti, e consentì all'Italia di rientrare in parte, nella legalità rispetto ai principi sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo del 4 novembre 1950 (10).

Dall'analisi degli articoli 10-15, della legge n. 533, notiamo, che anche per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, il sistema del '73 era profondamente mutato. Non si richiedeva più lo stato di povertà, ma piuttosto una situazione di non abbienza. Al di là delle differenze terminologiche, il R.D. del 1923 faceva riferimento ad una situazione che, benché attestata e suffragata da varie certificazioni, doveva comunque essere apprezzata e valutata da un punto di vista discrezionale: era la Commissione che decideva se nel caso concreto vi era o meno lo stato di povertà, facendo una comparazione tra lo status economico del soggetto ed il presumibile impegno di spesa richiesto per attivare l'autorità giudiziaria competente (11).

Ai sensi dell'art. 11 legge 533/73, invece, lo stato di non abbienza era stabilito dal legislatore in virtù di un criterio oggettivo, costituito dal possesso di un reddito annuo non superiore ad un certo ammontare, che non lasciava spazio ad alcuna valutazione discrezionale. La nuova disciplina sostituiva dunque alla condizione di povertà prevista dal R.D. 3282, cit., lo stato di non abbienza e, al requisito della probabilità dell'esito favorevole della causa o dell'affare il requisito della non manifesta infondatezza della pretesa vantata.

La legge n. 533, considerava non abbienti coloro che potevano contare su un reddito annuo non superiore a due milioni, al netto di imposte, tasse, contributi previdenziali e assistenziali, premi di assicurazioni sulla vita, quote di aggiunte di famiglia o assegni familiari. La sussistenza del requisito di cui trattasi veniva desunta da una dichiarazione dell'interessato stesso, che doveva contenere l'indicazione «del reddito di lavoro», «delle risorse di qualunque natura, diverse da quelle di lavoro», di cui l'istante avesse «direttamente o indirettamente la libera disponibilità o comunque il godimento», «dei beni immobili, anche se non produttivi di reddito», dei quali egli avesse «la proprietà o altro diritto reale», «dei beni mobili registrati» (12). La legge prevedeva inoltre, che la firma di tale dichiarazione doveva essere autenticata e che «la dichiarazione mendace, tale da incidere sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato», fosse punita «ai sensi del codice penale ed importasse in ogni caso la decadenza dal beneficio ed il recupero di quanto anticipato dallo Stato» (13). Per tali motivi era previsto espressamente che il pubblico ufficiale che autenticava la sottoscrizione o redigeva il processo verbale, ammonisse il dichiarante sulle responsabilità penali e sulle conseguenze civili cui poteva andare incontro in caso di dichiarazione mendace (14). In proposito anche la legge del 1973, similmente al R.D. del 1923, prevedeva la possibilità per l'Intendente di finanza, in ogni stato della causa o del procedimento, di chiedere la revoca del provvedimento di ammissione qualora ritenesse «inesistente lo stato di non abbienza o mutata la condizione economica della persona ammessa al beneficio» (15).

È interessante notare come, la legge autorizzasse la presentazione della domanda di ammissione in carta semplice (art. 13, primo comma), superando in tal modo "l'intima contraddizione logico-giuridica del R.D. del 1923 (art. 18) nel voler pretendere una domanda assoggettata ad oneri fiscali (la cui osservanza importa pesanti pene pecuniarie) in una procedura che ha ad oggetto il patrocinio ai poveri" (16).

Anche con riguardo ai contenuti dell'istanza si poteva notare un certo miglioramento. Se infatti, la posizione dell'aspirante al beneficio poteva apparire pregiudicata dalle norme del '23 che, come sappiamo, esigevano dal povero una richiesta scritta di gratuito patrocinio con illustrazione anche delle ragioni di fatto e di diritto e delle prove poste a sostegno della domanda, adempimento il quale richiedeva precise conoscenze tecnico-giuridiche che spesso la parte non possedeva, nel sistema introdotto dal legislatore del '73 si richiedeva solo la presentazione di una istanza con le dichiarazioni di natura economica sopra evidenziate.

A questo proposito Canonico affermava:

Ciò è possibile anche in virtù del fatto che l'altra condizione di ammissibilità non è più, il probabile esito favorevole della causa o affare previsto dal R.D. del 1923 - ciò che richiede una valutazione abbastanza approfondita da parte della Commissione, alla quale il ricorrente deve pertanto offrire tutto il supporto tecnico e probatorio necessario, perché si tratta di una sorta di anticipazione del giudizio di merito - ma è piuttosto la non manifesta infondatezza della pretesa, che comporta una più semplice e distaccata considerazione da parte dell'organo chiamato a decidere sull'ammissione, e non richiede necessariamente la prospettazione di tutte le ragioni e prove, non essendo necessario compiere un primo sommario giudizio del merito, ma solo stabilire che la pretesa non è manifestamente, cioè ictu oculi, infondata (17).

Un'altra rilevante novità della disciplina che stiamo considerando, era rappresentata dal soggetto cui era affidato il compito di decretare l'ammissione al beneficio, che era direttamente il giudice competente a conoscere la controversia, cioè il giudice del lavoro, anziché le Commissioni. Tale sistema, pur avendo i suoi inconvenienti (perché costringeva ad una valutazione preventiva della lite, quello stesso giudice che poi doveva deciderla), assicurava maggiore rapidità, non dovendosi attendere per la decisione una delle periodiche sedute dell'organo collegiale (18).

Con il decreto d'ammissione veniva anche nominato il difensore. A differenza del regime del 1923, costui era «scelto tra gli avvocati e procuratori iscritti nell'Albo del Tribunale nel cui circondario ha sede il giudice competente per territorio, indicati dall'istante nella domanda» e, ma solo «in mancanza di tale indicazione, dal locale Consiglio dell'Ordine» (19). Si dava quindi, la possibilità al soggetto interessato di poter designare il professionista che doveva difenderlo, mentre nel sistema del gratuito patrocinio come ufficio onorifico, la scelta veniva effettuata dalla Commissione, prescindendo, almeno formalmente, dalla volontà e dalle aspirazioni del soggetto ammesso al beneficio.

La legge del 1973 voleva, almeno in apparenza, garantire un rapporto del non abbiente con il suo difensore il più possibile simile a quello di chi può ricorrere a proprie spese ad un normale professionista. Si pensa che il legislatore abbia voluto privilegiare, prima di ogni altro aspetto, la fiducia dell'assistito nei confronti del suo difensore, consentendo al primo un'ampia possibilità di scelta, solo temperata dall'intervento del giudice diretto ad evitare eventuali accaparramenti di cause. Nella logica della legge, pertanto, il difensore non diventava un professionista di Stato. Egli rimaneva invece professionista privato legato da un normale rapporto di prestazione d'opera intellettuale con l'assistito (art. 2229 e segg. Cod. civ.).

La particolarità del rapporto risiedeva non certo nel suo contenuto o nella sua funzione, ma unicamente nel fatto che lo Stato si assumeva l'onere della difesa del non abbiente, impegnandosi a pagare gli onorari per l'opera prestata ed a subire tutte le spese del giudizio. Su tale finalità della legge introduttiva del patrocinio a spese dello Stato era unanime il consenso della dottrina (20).

A questo proposito, dobbiamo però ricordare che, la Cassazione in una sua pronuncia, è stata di contrario avviso, essa ha escluso che l'indicazione del difensore da parte del ricorrente, desse luogo ad un rapporto diretto di carattere professionale tra i due soggetti. La Corte ritenne, infatti, che «l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato esclude ogni rapporto di incarico professionale tra la parte a favore della quale è stato emesso il provvedimento e il difensore nominato dal giudice, sia in caso di vittoria, sia in caso di soccombenza, in quanto il rapporto si costituisce esclusivamente tra il difensore nominato e lo Stato» (21).

La legge in esame nulla disponeva sulla obbligatorietà o meno dell'assunzione dell'ufficio da parte dell'avvocato a seguito della nomina contenuta nel decreto di ammissione. Si poteva ipotizzare l'applicazione in via analogica delle disposizioni contenute nel R.D. del 1923, ma con la considerazione che quelle regolavano una fattispecie notevolmente diversa da quella di cui trattasi e quindi non adattabili ad essa sic et simpliciter (22).

L'aspetto forse più innovativo della legge del 1973 concerneva gli effetti dell'ammissione al beneficio. L'art. 14 disponeva, in proposito, la difesa gratuita dell'interessato per la causa, «salvo il diritto dello Stato alla ripetizione degli onorari dalla parte contraria non ammessa al patrocinio a carico dello Stato e condannata alle spese con sentenza passata in giudicato». Era inoltre prevista l'anticipazione da parte dello Stato delle spese vive che dovevano sostenere il difensore, i consulenti tecnici o periti, sia d'ufficio, che di parte, gli ausiliari del giudice, i notai e i pubblici funzionari. Erano altresì annotati a debito i diritti, le competenze, gli onorari spettanti ai soggetti predetti, in base alla liquidazione che era effettuata, a norma delle leggi e delle tariffe professionali, «dal giudice con il provvedimento che decide la causa» (23).

Per quanto riguarda i rapporti tra l'art. 14 della legge n. 533 e la legge n. 3282, i problemi potevano sorgere su un piano strettamente tecnico-interpretativo, specie se non si teneva conto della completa eterogeneità dei due complessi normativi. Nel sistema del R.D.L. del 1923, come abbiamo prima ricordato, l'opera dei difensori era gratuita, sicché solo in caso di vittoria della parte da loro difesa essi potevano ripetere i propri onorari dalla parte soccombente e soltanto nei limiti della soccombenza. Nell'ambito di questo sistema, pertanto, la sentenza con la quale si condannava alle spese il soccombente non ammesso al gratuito patrocinio costituiva titolo perché i difensori potessero in conseguenza richiedere ex art. 40 R.D.L. del 1923 l'iscrizione dei propri onorari e dei propri diritti nel registro delle spese a debito in modo da ottenere poi la riscossione nel modo stabilito per le spese così prenotate.

Contrariamente al meccanismo suindicato, l'art. 14 della legge n. 533 mirava a garantire in ogni caso al professionista la retribuzione per l'opera di difesa prestata. In tale sistema l'annotazione a debito dei diritti, competenze e onorari avveniva prima del provvedimento che decideva la causa ed in base non già alla soccombenza dell'altra parte, ma alla semplice ammissione del non abbiente al beneficio. Nel decidere la causa pertanto il giudice in ogni caso - fosse stata o meno soccombente la parte non ammessa al patrocinio a spese dello Stato - era tenuto a liquidare gli onorari a carico dello Stato (24), visto che il lavoro dei professionisti doveva essere sempre retribuito.

Secondo la logica suesposta, la ripetizione degli onorari nei confronti della parte non ammessa al beneficio, era considerato un diritto appartenente allo Stato, ma non doveva mai incidere sulla retribuzione dell'opera del professionista, che era invece sempre dovuta e che, come sottolinearono alcune decisioni della Commissione Europea dei Diritti dell'Uomo, doveva essere sempre a lui direttamente liquidata, perché solo in tal modo si poteva garantire la ratio del patrocinio a spese dello Stato (25).

Era questo in sintesi, il sistema delineato dalla legge del 1973, il quale avrebbe voluto realizzare un radicale miglioramento del trattamento giuridico dell'ammesso al gratuito patrocinio, rispetto al R.D. del 1923, e, come sopra accennato, nelle intenzioni del legislatore rappresentava l'embrione per una futura riforma dell'assistenza giudiziaria dei non abbienti. La riforma generale, è stata però realizzata dal nostro legislatore solo con l'intervento del 2001, in quanto fino a questa data ci siamo dovuti accontentare solo di limitati interventi di settore che hanno ripreso come modello la legge n. 533.

2.1.1. Difetti e limiti della disciplina delineata dalla legge del 1973

Dopo aver analizzato il contenuto della legge del 1973, vediamo quali furono i suoi tratti salienti e verifichiamo inoltre i suoi lati negativi e i suoi limiti.

Rammentiamo ancora una volta quali furono gli scopi che gli artt. da 11 a 14 della legge n. 533, vollero realizzare: a) retribuzione da parte dello Stato del difensore libero professionista e dei consulenti di parte; b) anticipazione da parte dello Stato delle spese sostenute dai difensori e dai consulenti di parte; c) presentazione in carta semplice della domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato al giudice della causa, unitamente al ricorso introduttivo del giudizio o alla memoria difensiva; d) requisiti per l'ammissione consistenti nella non abbienza (individuata nella percezione di un reddito annuo non superiore a lire due milioni al netto di contributi fiscali e previdenziali) e nella non manifesta infondatezza della pretesa; e) scelta del difensore tra quelli indicati nella domanda dal richiedente; f) liquidazione delle competenze e degli onorari di difensori e consulenti di parte ad opera del giudice con il provvedimento che decide la causa.

La nuova disciplina (nuova rispetto al vetusto decreto del 1923), pur non priva di elementi di indubbio progresso, conteneva, tuttavia, al suo interno, insufficienze, lacune, contraddizioni che ne riducevano fortemente la portata innovativa e le possibilità di concreta attuazione (26).

Ancora una volta, infatti, mancava ogni previsione in ordine ad una qualsiasi forma di consulenza ed assistenza pregiudiziale o stragiudiziale, che come giustamente sottolinea Cappelletti, «è un elemento essenziale di ogni serio sistema di protezione legale del non abbiente. Essa è indispensabile per offrire al non abbiente un primo orientamento circa i suoi diritti e doveri, per offrirgli un criterio sicuro di comportamento; per sottrarlo al destino di ignoranza che, assai spesso, è triste compagna della povertà e che, nel campo del diritto, si traduce in ulteriori elementi di diseguaglianza ed inferiorità»; questa grave lacuna induceva l'autore a parlare di «riforma dimezzata...quasi decapitata» (27).

Come Airoldi ha affermato:

La gravissima lacuna non poteva essere casuale, date le conclusioni raggiunte in materia dal dibattito precedente alla discussione e all'approvazione della legge; in realtà ciò che, presumibilmente, ha impedito l'introduzione di un'assistenza stragiudiziale è il fatto che tale introduzione avrebbe messo in discussione una delle scelte di fondo contenute nella legge 533, cioè quella di una soluzione del problema della difesa dei non abbienti affidata in via esclusiva alla libera professione legale (28).

Una concezione dinamica dell'eguaglianza, quale emerge in maniera storicamente differenziata nei moderni ordinamenti giuridici, richiede invece, un intervento estremamente ampio e articolato, tale da poter incidere prima di tutto sulla diseguaglianza culturale e quindi sul livello di informazione circa le possibilità di tutela offerte dal diritto positivo agli interessi soggettivi. È evidente, infatti, come già abbiamo avuto modo di constatare, che proprio a tale livello, prima forse che nel momento dell'esercizio del diritto di difesa, operano quegli ostacoli di ordine economico e sociale, i quali, come ricorda l'art. 3 co. 2º della nostra Costituzione, vanificano di fatto l'eguaglianza formale sancita dagli ordinamenti borghesi.

Era questo il motivo principale, per cui un'assistenza stragiudiziale era necessaria. A questo proposito poteva essere interessante dare uno sguardo alle esperienze di paesi stranieri, che già avevano fatto numerosi passi avanti in questo senso dimostrando, come l'esigenza di garantire un'uguaglianza effettiva di tutte le classi sociali nell'accesso alla giustizia non poteva essere soddisfatta pienamente soltanto attraverso prestazioni di liberi professionisti retribuiti dallo Stato. Ecco perché in molti paesi l'intervento dello Stato, diretto a garantire l'accesso dei non abbienti alla giustizia conosceva e conosce tuttora, scelte di natura diversa, a volte anche coordinate tra loro, che comprendono non solo la retribuzione delle prestazioni professionali a carico dello Stato, ma anche la creazione di veri e propri uffici di assistenza operanti nella realtà di quartiere e nelle campagne con una pluralità di iniziative, che vanno ben al di là della difesa giudiziale e dell'assistenza stragiudiziale, come può essere praticata dal libero professionista. Inoltre, la particolarità di tale esperienza, non è limitata solamente agli operatori tecnici in senso proprio, ma riguarda il contenuto della stessa prassi giuridica e persino del tipo di dialettica processuale che viene a crearsi su tale base. Lo scopo di tale sistema non è soltanto quello di tutelare interessi individuali nell'ambito della lite tradizionale, ma di far valere molte volte anche a livello di processo interessi comuni ad una pluralità di persone, che alterano profondamente la classica dicotomia tra interessi privati e interessi pubblici (29).

Queste esperienze straniere erano state più volte indicate come possibili modelli per creare anche in Italia un moderno sistema di patrocinio a spese dello Stato, sulla base di quanto stava accadendo in molti paesi socialmente evoluti, soprattutto Trocker, ha fermamente insistito su questi punti in numerose occasioni, auspicando la creazione di uffici pubblici per la consulenza e l'assistenza dei non abbienti, che servissero ad integrare l'attività degli avvocati privati (30).

Oltre alle critiche finora elencate, mosse contro la legge n. 533, vi è poi da segnalare che, numerosi inconvenienti sono sorti anche a causa del farraginoso ed imperfetto meccanismo di riscossione delle spese, competenze ed onorari di giudizio previsto dall'art. 14 co. 2º della legge, il quale ha causato la nascita di alcune controversie tra alcuni difensori e il Ministro di Grazia e Giustizia, citato in giudizio da questi al fine di ottenere il soddisfacimento delle loro pretese (31). Tutto ciò, forse, si sarebbe potuto evitare se, una volta devoluta la difesa dei non abbienti a liberi professionisti retribuiti dall'erario fosse stata garantita l'effettività delle retribuzioni dell'opera prestata, eventualmente prevedendo forme di anticipazioni parziali. La legge n. 533, non prevedeva invece alcun fondo spese a favore dell'avvocato, fatto che spesso ha causato la mancata riscossione degli onorari da parte dei difensori incaricati della difesa di un non abbiente. Tucci a questo proposito rileva:

Per ciò che riguarda il pagamento dei diritti onorari e competenze si parla, soltanto di annotazione a debito. Questa però, avvenendo con la registrazione nel cosiddetto campione civile, è uno strumento di esazione di somme dovute all'erario da soggetti tenuti a tale pagamento, cioè per la legge sul gratuito patrocinio, di solito il soccombente. L'annotazione a debito non può quindi costituire uno strumento di pagamento da parte dell'erario e per tale ragione diventa praticamente impossibile oggi riscuotere spese ed onorari di difesa (32).

Decisamente criticabile, poi, è la disposizione che prevedeva che la domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato doveva essere presentata contestualmente al ricorso introduttivo del giudizio o alla memoria difensiva, a seconda che il richiedente fosse stato l'attore o il convenuto. È evidente, infatti, che la redazione del ricorso o della memoria difensiva richiedeva l'opera professionale di quel difensore...di cui si chiedeva la nomina mediante la contestuale domanda di patrocinio a spese dello Stato. Si trascurava così la possibilità di presentazione orale della domanda e si presupponeva che la parte si fosse già avvalsa delle prestazioni del difensore per la redazione di tali atti iniziali, con una vistosa incongruenza rispetto alla finalità del patrocinio statale.

Dal tenore letterale dell'art. 13 della legge n. 533, emerge subito qualche dubbio sulla sua aderenza al dettato costituzionale, dal momento che, come prima precisato, il non abbiente doveva avvalersi dell'opera dell'avvocato prima ancora della concessione del beneficio (33). Lo stridente pasticcio riproponeva, ancora una volta, l'ineludibile problema dell'assistenza pregiudiziale al non abbiente!

Ancora: l'identificazione del requisito della non abbienza con la percezione di un reddito netto annuo non superiore ai due milioni (con la ulteriore statuizione della considerazione cumulativa dei redditi dei coniugi non separati (34)), costituiva a ben vedere, un regresso rispetto a quello della «povertà» previsto dal R.D. del 1923.

La legge sul gratuito patrocinio, pur affidando alla paternalistica valutazione della commissione o del giudice, il giudizio relativo alla sua esistenza, presentava pur sempre un certo grado di elasticità, consentiva valutazioni complessive della situazione familiare, sociale ed economica del richiedente e permetteva di accertare sulla scorta di tali valutazioni la capacità dello stesso di affrontare lo specifico costo della singola lite.

Il sistema delineato dalla legge n. 533 era invece assolutamente rigido, sia perché non consentiva la presa in considerazione di altri fattori (ad esempio il numero delle persone a carico) relativi alla posizione economica del richiedente e sia, perché non permetteva in alcun modo di tenere conto del costo della lite da promuovere, costo che poteva notevolmente variare a seconda dei casi (35). Proprio il limite di reddito - che, presto diventò nettamente inferiore al livello delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti sia del settore privato, sia di quello pubblico - rese subito, praticamente inoperante la nuova legislazione sul gratuito patrocinio per le controversie proposte dalla maggior parte dei lavoratori dipendenti aventi per oggetto adeguamenti salariali (ad esempio ferie non godute, riconoscimento della qualifica, gratifiche, indennità, ecc.) o il diritto alla conservazione del posto di lavoro. Il limite di reddito di due milioni, già modesto nel 1973, avrebbe dovuto essere successivamente adeguato ai mutamenti della capacità d'acquisto della moneta!

Possiamo infine considerare, che in tutti gli anni della sua vigenza, la legge n. 533, a causa dei motivi dianzi elencati, ma anche grazie alla forte presenza dei sindacati e degli enti di patronato nel settore lavoristico ed in quello previdenziale, è stata raramente applicata. Il suo sostanziale fallimento è dimostrato dalla raccolta dei dati statistici, concernenti l'incidenza dell'istituto nelle controversie di lavoro e previdenziali presso la Pretura unificata di Genova ed il Tribunale di Genova, uffici presso i quali si concentrava in via quasi esclusiva il contenzioso di lavoro e previdenza nel circondario. L'arco temporale considerato è quello che va dal 1974 a tutto il 1984, ovvero, i primi dieci anni di esistenza della legge n. 533.

Tav.1. Controversie di lavoro e previdenziali sopravvenute, richieste di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e loro esito presso la Pretura unificata e il Tribunale di Genova
Pretura unificata Tribunale
Cause richieste accolte respinte Cause richieste esito
1974 1.442 1 1 - 243 - -
1975 2.226 3 2 1 261 - -
1976 2.356 1 1 - 444 1 (abbandonata) -
1977 2.909 - - - 316 - -
1978 3.132 - - - 471 - -
1979 2.539 - - - 493 - -
1980 2.274 - - - 333 - -
1981 2.276 - - - 280 - -
1982 2.641 - - - 338 - -
1983 3.224 - - - 387 - -
1984 1.970 - - - 621 - -
totale 26.989 5 4 1 4.187 1 (abbandonata) -

Le rilevazioni esposte nella tav. 1, evidenziano qualche isolato ricorso al patrocinio a spese dello Stato nei primi anni successivi all'entrata in vigore della legge n. 533. Risulta inoltre, che fino ai primi anni novanta, non sia più stata presentata alcuna richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato tanto che l'istituto divenne praticamente inoperante (36).

Ho prima accennato, al ruolo svolto dai sindacati e dagli enti di patronato, nell'ambito delle controversie di lavoro e nel settore previdenziale.

In Italia, per tutto l'arco di tempo in cui è rimasta in vigore la legge n. 533 (e, probabilmente anche in futuro, nonostante l'entrata in vigore nel luglio 2002 della nuova legge sul patrocinio a spese dello Stato), a causa dell'assenza dello Stato nel settore lavoristico, l'accesso dei non abbienti alla giustizia è stato garantito dalle organizzazioni sindacali, le quali, vantano tuttora in questo campo, una lunga tradizione, almeno per le controversie e l'assistenza stragiudiziale connesse con i problemi del lavoro (37). Tale ruolo del sindacato si è ampliato notevolmente negli anni sessanta durante il periodo delle lotte operaie, sia sul piano quantitativo che per il tipo di controversie trattate.

Il modello organizzativo con cui il sindacato italiano ha fatto fronte alla nuova domanda di giustizia, ha utilizzato in maniera tutta particolare la figura del libero professionista. In generale, il sindacato ha offerto l'assistenza stragiudiziale ai lavoratori, nella sede del sindacato di categoria, con l'ausilio, naturalmente, di legali di cui il sindacato stesso si serve. L'assistenza giudiziaria si svolge (38), sulla base del mandato alle liti conferito dal lavoratore o dai lavoratori al singolo professionista, anche se, è il sindacato che, sotto tale profilo svolge un ruolo essenziale, poiché, specie per le controversie di maggiore rilevanza, è determinante la scelta, che esso fa, del legale o dei legali ai quali la pratica deve essere affidata. Afferma Tucci:

In questo ambito lo schema della libera professione risulta modificato completamente, prima di tutto nella sua logica sostanziale. Infatti, il legame tra professionista e sindacato non è assolutamente occasionale, sia perché esso si fonda di solito sulle scelte politiche del professionista, sia perché il rapporto fiduciario col sindacato rappresenta il canale quasi esclusivo del lavoro professionale di quest'ultimo. Inoltre quanto all'aspetto retributivo, l'assistenza stragiudiziale, è assolutamente gratuita, quella giudiziale è regolata dal principio generale della soccombenza nel senso che il professionista riceve gli onorari - e molte volte recupera le spese anticipate - solo in caso di vittoria del suo cliente. L'unica garanzia del professionista è costituita dalla continuità e dalla quantità della domanda professionale che a lui si indirizza tramite il sindacato (39).

Questo modo di agire dei sindacati, potrebbe somigliare ad una forma particolare di gratuito patrocinio, basata però, non sul munus honorificum, ma sul rapporto politico e fiduciario che lega il professionista al sindacato (40).

Dato il quasi fallimento dello Stato in questo settore, possiamo riconoscere che "l'intervento del sindacato, è stato il solo strumento attraverso il quale è stata garantita una tutela giuridica dei lavoratori, per cui, nei settori nei quali esso non è riuscito ad incidere, la tutela dei non abbienti è stata del tutto inesistente nella nostra esperienza" (41).

Nel settore previdenziale invece, il problema si fa più complesso, sia perché l'attività stessa di tutela dei soggetti privati acquista in tale settore particolare contenuto, svolgendosi nei confronti di enti pubblici preposti alla gestione di rilevanti servizi sociali, sia perché le stesse esigenze storiche del movimento operaio organizzato, hanno creato in questo campo forme del tutto peculiari di assistenza e di tutela dei lavoratori.

Rispetto a quest'ultimo problema è da considerare che l'iniziativa delle organizzazioni sindacali e delle associazioni dei lavoratori ha dato luogo al sorgere degli 'enti di patronato', che, in piena autonomia di struttura e di funzioni, svolgono istituzionalmente il compito di tutela gratuita degli interessi dei non abbienti nelle loro richiesta del servizio previdenziale.

La nascita di questi enti, ha posto un problema di coordinamento e di compatibilità con la legge n. 533. Dal parere di alcuni giudici risulta che il lavoratore assistito dal patronato non avrebbe alcun diritto a domandare il patrocinio a spese dello Stato visto già il beneficio che gli viene concesso gratuitamente dall'ente di patronato, il quale per questa opera viene sovvenzionato dallo Stato. Questi giudici hanno inoltre sostenuto che, ammettere al patrocinio a spese dello Stato chi è già assistito da uno di quegli enti, significherebbe in definitiva riconoscere ingiustamente un beneficio per l'ente di patronato o per il legale con esso convenzionato, ma non già, per il non abbiente.

Da queste tesi appare chiaro come la giurisprudenza in questione non possedeva né un'esatta conoscenza delle funzioni e dell'operatività pratica degli enti di patronato, né aveva ben individuato la logica dell'istituto del patrocinio a spese dello Stato. Basti tenere in considerazione infatti che, in base alla stessa disciplina legislativa, gli enti di patronato sono riconosciute come autonome persone giuridiche e ricevono particolari contributi economici per fornire gratuitamente assistenza agli iscritti in sede amministrativa e non contenziosa (42). Nulla vieta naturalmente che lo statuto di questi enti possa prevedere l'assistenza gratuita in giudizio tra i compiti istituzionali del patronato.

Da quanto è finora emerso, e da quanto detto nel primo capitolo risulta abbastanza chiaro che l'Italia è stata finora il paese dell'area occidentale più arretrato dal punto di vista legislativo, in materia di garanzie di accesso dei non abbienti alla giustizia. Se però l'intervento dello Stato è stato quasi del tutto carente in questo settore, a livello politico e sindacale, sia pure nel limitato ambito del processo del lavoro e dell'assistenza stragiudiziale in tale settore, si sono create condizioni tali da soddisfare adeguatamente la domanda di giustizia proveniente dalle classi lavoratrici.

2.2. Il patrocinio a spese dello Stato nella legge n. 117 del 1988, sulla responsabilità civile dei magistrati

L'istituto del patrocinio a spese dello Stato, compare nuovamente sulla scena legislativa italiana grazie alla legge 13 aprile 1988 n. 117, sulla disciplina in tema di responsabilità civile dei magistrati. Questa legge offriva al Parlamento un'ulteriore occasione per mettere mano alla normativa del 1923.

In un unico articolo, il quindicesimo, il provvedimento legislativo in discorso delineava il sistema di tutela dei non abbienti nei procedimenti civili contro lo Stato per il risarcimento dei danni derivanti dall'operato dei magistrati, basandosi sul modello della legge n. 533 del 1973, le cui disposizioni erano anzi espressamente richiamate «in quanto applicabili» (43). L'articolo 15 infatti, si limitava a prevedere la possibilità di gratuità del giudizio e di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, senza peraltro specificare ulteriormente in cosa consisteva detto istituto. Di conseguenza, anche in forza dell'espresso rinvio, bisognava far riferimento alla già descritta legge del 1973.

Le uniche differenze potevano consistere nei requisiti di ammissibilità. Sotto tale aspetto, infatti, la legge del 1988 sembrava prescrivere esclusivamente un limite di reddito, prescindendo da ogni giudizio sulla fondatezza o meno della pretesa vantata dall'interessato (44). Di diversa opinione era però Alberto Giusti, il quale riteneva che, per quanto nella norma si parlasse espressamente del solo requisito reddituale, per la concessione del patrocinio a spese dello Stato, era necessario, evidentemente sulla base del rinvio alla fonte del 1973, che la parte interessata dimostrasse che le sue ragioni non fossero manifestamente infondate. Egli infatti afferma:

Quanto all'eccezione in cui va intesa la 'non manifesta infondatezza', si deve far riferimento ai risultati cui sono pervenute la dottrina e la giurisprudenza nell'interpretazione dell'art. 1, legge n. 1, del 9 febbraio 1948 e dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché dell'art. 152 disp. att. del c.p.c., dai quali è stata mutuata la formula legislativa dell'art. 11, legge n. 533. Occorre cioè escludere la possibilità di una preliminare istruttoria o comunque di un preliminare contraddittorio, giacché la valutazione del giudice postula una sommaria delibazione da compiersi allo stato degli atti, apprezzamento che può condurre soltanto al riconoscimento di elementi negativi che rendano evidente prima facie l'inaccoglibilità nel merito della domanda (45).

Una fondamentale differenza rispetto alla legge del 1973, riguarda il requisito reddituale. L'art. 15 della legge del 1998, richiedeva, infatti, ai fini dell'ammissibilità «un reddito imponibile risultante dall'ultima dichiarazione dei redditi presentata inferiore a lire dieci milioni», ovvero una condizione economica tale per cui l'interessato «non è tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi».

La differenza fondamentale, oltre all'elevazione dei limiti di reddito, riguardava proprio la seconda previsione della'art. 15 comma 1, grazie alla quale, venivano superate le possibili difficoltà di ammissibilità al beneficio che, potevano incontrare quei soggetti non tenuti per legge all'obbligo della dichiarazione annuale, per il basso limite di reddito o anche per il tipo di cespiti. In tali ipotesi, in effetti, risultava impossibile determinare la quota imponibile sulla base della denuncia annuale, come prescritto in linea generale, e quindi, per assurdo si sarebbe dovuto escludere dagli effetti del beneficio proprio il soggetto nullatenente (46).

A proposito del nuovo limite economico (nuovo rispetto alla legge n. 533, per la quale ricordiamo, venivano considerati non abbienti coloro che potevano contare su un reddito annuo non superiore a due milioni di lire), è necessario fare alcune osservazioni.

Innanzitutto possiamo notare la previsione di un ammontare prestabilito, come era già avvenuto nel 1973, attraverso il quale, il legislatore abbandonava definitivamente, quei 'criteri vaghi e generici' (come quello previsto dall'art. 16 del R.D. del 1923, che lasciava all'autorità chiamata ad applicare la legge una discrezionalità molto larga), ed ancorava l'individuazione della situazione in cui si poteva delineare uno squilibrio tra la capacità economica del soggetto ed il costo necessario per fruire del servizio legale, ad elementi oggettivi e predeterminati (47).

Parte della dottrina, tra cui Giusti e Canonico, accoglievano con favore, l'elevazione del limite annuo, ma soprattutto, al di là dell'aumento a dieci milioni annui, che già facevano assumere carattere di serietà e realizzabilità alla previsione legislativa, era importante il fatto che la legge disponesse l'aggiornamento annuale dell'importo predetto con decreto ministeriale sulla base degli indici di svalutazione monetaria (48). Grazie a questo meccanismo di adeguamento, si poteva evitare la progressiva inapplicabilità dell'istituto, già verificatasi nel campo del processo del lavoro per effetto della perdita di valore della lira.

Al riguardo Giusti rilevava che:

La cerchia degli aventi diritto all'ammissione al beneficio, individuata in coloro che dispongono di un reddito annuo non superiore ai due milioni, si è inevitabilmente ristretta a situazioni assolutamente marginali in conseguenza della costante flessione del valore effettivo del denaro, con grave pregiudizio per la stessa funzionalità dell'istituto (49).

Con questa importante novità, si potevano sempre garantire ai cittadini le stesse possibilità oggettive di ricorso al gratuito patrocinio. Esigenza questa che, invece, era stata del tutto trascurata dalla legge n. 533.

Inoltre, nell'ambito dei procedimenti civili contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da responsabilità civili dei magistrati, era anche più semplice, rispetto alla disciplina lavoristica, verificare l'esistenza dei requisiti per l'accoglimento della domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in quanto, il reddito veniva accertato sulla base della (eventuale) dichiarazione dei redditi, senza che l'interessato (e il giudice) dovessero preoccuparsi di ricavare e dichiarare determinati tipi di reddito in forma distinta.

L'accertamento che avveniva quindi in maniera ancora più automatica, a vantaggio della rapidità del giudizio, non poteva però, non comportare anche dei risvolti negativi. Poteva, infatti, presentarsi il caso di un soggetto con livelli di reddito anche elevati ma non risultanti dalla dichiarazione perché soggetti ad esempio a tassazione alla fonte (si pensi ad esempio, ai depositi bancari o alle rendite mobiliari in genere). In simili situazioni, stando alla lettera della legge, avrebbe potuto godere del beneficio anche un soggetto con notevoli disponibilità economiche!

Cosa che sarebbe andata contro le finalità dell'istituto (50).

La cosa più grave, è che un comportamento del genere da parte dell'interessato, essendo considerato pienamente legittimo anche sotto il profilo fiscale, non poteva comportare la non ammissione al beneficio, né tantomeno si poteva sanzionare l'operato del soggetto.

Situazioni come questa descritta, erano più difficilmente prospettabili, sia con l'applicazione della legge del 1923, in cui era prevista la certificazione da parte del Sindaco dello stato di povertà, la possibilità di indagini da parte della Commissione per il gratuito patrocinio, il contraddittorio con la controparte anche sulla situazione economica e ampi poteri ispettivi e di controllo dell'Intendenza di finanza, sia nel sistema adottato per il processo del lavoro, allorché al di là di analoghi poteri dell'intendente, il reddito annuo era determinato comprendendo anche le «risorse di qualunque natura, diverse da quelle di lavoro, di cui l'istante abbia direttamente o indirettamente la libera disponibilità o comunque il godimento» (51), espressione che poteva comprendere verosimilmente qualsiasi cespite, anche se sottratto all'obbligo di dichiarazione annuale: il tutto stabilito poi sulla base di una dichiarazione dell'interessato cui la legge ricollegava precise sanzioni civili e penali per l'ipotesi di non veridicità (52).

Nonostante che, per certi suoi aspetti, questa legge suscitò un'accoglienza positiva, Giusti non ha mancato di notare che:

È difficile invero sfuggire all'impressione che ci si trovi di fronte ad un episodio normativo isolato, non in grado di fornire segnali di una ripresa di attenzione al problema della introduzione in via generale dell'istituto: la stessa circostanza che il patrocinio a spese dello Stato non sia autonomamente disciplinato, ma venga sostanzialmente modellato (salva la novità dell'elevazione del limite di non abbienza) attraverso il richiamo alle disposizioni del processo del lavoro è indice, in realtà, di un'occasionale e fuggente interesse al tema, e, al contempo, di una carente riconsiderazione di esso in una più ampia prospettiva (53).

2.3. Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nel processo penale. La legge 30 luglio 1990 n. 217

2.3.1. Osservazioni introduttive

Il fallimento del patrocinio a spese dello Stato nel processo del lavoro, ha acuito la gravità del problema della tutela dei non abbienti in Italia. La situazione era talmente pesante, da rendere urgente la riforma.

Nel 1990, infatti, quando, la Corte Europea dei diritti dell'uomo, condannò lo Stato italiano per l'inefficienza del suo sistema di assistenza giudiziaria ai non abbienti (54), il legislatore, disattendendo per via della «tenace opposizione» della classe forense (55), la proposta di istituire uffici pubblici per il patrocinio dei non abbienti (56), ha previsto il patrocinio a spese dello Stato nel processo penale (ordinario, militare e minorile) e in quello civile per il risarcimento dei danni e le restituzioni derivanti da reato.

Tale istituto fu introdotto con la legge 30 luglio 1990 n. 217 (integrata dal regolamento approvato con d.m. 30-11-1990, n. 327) (57).

Fino a tale data, la procedura applicabile nei casi in cui il povero aveva a che fare con la giustizia, era quella prevista dall'«obsoleto e inadeguato» istituto quale era il gratuito patrocinio disciplinato dal R.D. del 1923.

Grazie a quest'ultimo intervento, il campo di applicabilità dell'antico istituto del gratuito patrocinio si andava sempre più rimpicciolendo, mentre il patrocinio a spese dello Stato si andava sempre più dilatando, tanto che Cipriani, ha osservato che era difficile dire se i due istituti stavano in rapporto di regola ed eccezione o di alternatività (58). Certo era però, che, mentre il gratuito patrocinio non aveva più estimatori ed era quindi destinato a scomparire, il patrocinio a spese dello Stato aveva dalla sua il futuro. Non a caso, come ricordato, il nostro legislatore, già nel 1973, quando lo previde nel processo del lavoro e di previdenza, ebbe cura di avvertire che le relative norme sarebbero rimaste in vigore sino all'approvazione «delle norme di legge che assicureranno ai non abbienti, per le controversie avanti ad ogni giurisdizione, il patrocinio a spese dello Stato» (59).

La strada per giungere a questa importante riforma, fu lunga e travagliata. La classe politica, la scienza giuridica e gli operatori del diritto, discussero molto della possibilità di istituire: da un lato pubblici uffici di assistenza, con avvocati che sarebbero diventati funzionari, dipendenti della pubblica amministrazione, destinati a svolgere la loro attività, in via stabile, a favore del non abbiente, dall'altro, secondo l'orientamento già scelto nel '73, di attribuire questo compito ai liberi professionisti remunerati dallo Stato (60), ma come Amodio ha sostenuto:

Di questa alternativa si è discusso molto in questi anni ed a me pare che la discussione abbia portato a radicalizzare la divergenza tra le due strade collocandole agli antipodi. Si è venuta così a creare l'impressione che ci si debba muovere inevitabilmente nell'un senso o nell'altro, dimenticando le possibilità di integrazione tra i due modelli e i suggerimenti che vengono dal contatto diretto con la pratica, con la realtà. Nel panorama comparatistico noi vediamo in certi ordinamenti crescere sempre di più l'ipotesi del modello integrato. Sempre più numerosi sono i sistemi nei quali il patrocinio ai non abbienti viene a svilupparsi sui due fronti: quello del libero professionista remunerato, e quello dei pubblici uffici di assistenza (61).

Amodio vedeva dunque di buon occhio la possibile integrazione dei due modelli. Ma come sappiamo la scelta della legge del 1990 fu un'altra.

La relazione che affiancava il disegno di legge (poi convertito nel 1990 nella legge n. 217) presentato alla Camera nel 1987, permette di individuare i propositi dei promotori della legge n. 217. Si legge, infatti:

Con il disegno che si propone s'intende dare una risposta, sia pure circoscritta al settore penale, all'esigenza, da tempo avvertita, di una modifica della vigente normativa in materia di gratuito patrocinio, attualmente disciplinato dal R.D. 30 ottobre 1923, n. 3282. L'assoluta ed urgente necessità di una radicale riforma trova fondamento nel precetto costituzionale contenuto nell'art. 24, terzo comma, che richiede che siano «assicurati ai non abbienti, medianti appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione», principio strettamente collegato a quello di uguaglianza sostanziale sancito nel secondo comma dell'art. 3, e che, come è stato esattamente rilevato, comporta il passaggio da una «concezione fiscale» del gratuito patrocinio, ad una «concezione sociale» ed impone una disciplina che si realizzi «con i criteri propri dell'assistenza sociale».

L'esposta esigenza ha trovato espressione, in passato, in diverse iniziative legislative, fra le quali il disegno governativo n. 453, approvato dal Senato nel 1973 e successivamente abbandonato in considerazione dell'insostenibile onere finanziario che comportava per lo Stato. Tale onere che, anche nell'attuale situazione economica, costituisce un ostacolo all'introduzione di un sistema di patrocinio statale generalizzato, consiglia una realizzazione parziale dell'istituto, limitata al settore penale ove, peraltro, con l'introduzione di un processo di tipo accusatorio, quale viene proposto in sede di riforma del codice di procedura penale, il maggior rilievo della difesa farebbe risaltare con maggiore evidenza l'inadeguatezza della normativa vigente.

Va osservato, che, analogamente al disegno di legge n. 453, si è previsto che l'assistenza giudiziaria dei non abbienti sia realizzata valendosi dell'opera degli avvocati liberi professionisti, ritenendo allo stato difficilmente praticabile l'alternativa, ipotizzabile in astratto e caldeggiata da parte della dottrina, di affidare la relativa attività ad apposito personale impiegatizio debitamente qualificato ed inquadrato in una istituzione pubblica analoga all'Avvocatura dei poveri, soppressa nel 1865. Come è stato esattamente rilevato (Pizzorusso), tale soluzione «arrecherebbe un eccessivo sconvolgimento del sistema di rapporti che caratterizza la vita giudiziaria italiana attuale e sarebbe, altresì, praticamente assai difficile, almeno a breve scadenza, raccogliere un sufficiente numero di soggetti qualificati a dar vita ad un siffatto corpo di funzionari». Uffici del genere finirebbero, inoltre, per essere limitati a pochi grandi centri, non potendosi seriamente prevedere la possibilità dell'istituzione di centri di assistenza anche nelle piccole sedi giudiziarie (62).

A proposito della creazione di appositi uffici pubblici, va osservato, che nella relazione appena esposta non si escludeva, che, in futuro, quando ci sarebbe stata una riforma generale dell'istituto del patrocinio statale, si potesse giungere all'introduzione del sistema misto con la creazione di centri legali pubblici, i quali avrebbero svolto una prevalente attività di consulenza extragiudiziale, grazie alla quale si sarebbero eliminati gli effetti dell'ignoranza, la quale paralizza il povero che spesso non sa neppure dell'esistenza di certi diritti.

Le ragioni dell'abbandono di un disegno riformatore di più ampio respiro si possono a questo punto intuire. È stata, infatti, pressantemente avvertita la necessità di assicurare una difesa efficace ai non abbienti nel nuovo processo penale.

Il processo penale veniva trasformato in senso accusatorio, con l'attribuzione al difensore di compiti particolarmente rilevanti e impegnativi, rispondenti all'esigenza di garantire un'effettività di difesa dell'imputato, e quindi "l'assistenza dei non abbienti, non poteva più essere affidata ai proverbiali difensori d'ufficio che si...rimettevano alla giustizia" (63).

Un processo penale di tale specie, infatti, attribuisce al difensore un ruolo tendenzialmente paritario rispetto a quello del pubblico ministero e, soprattutto gli conferisce una funzione attiva, dinamica (cioè: non di mera negazione rispetto al ruolo dell'accusa; si pensi al ruolo centrale del difensore nell'esercitare il diritto alla prova e nel consigliare il cliente nelle eventuali richieste e scelte relative ai riti alternativi), che, richiede un difensore all'altezza del compito, disponibile ad assolvere l'incarico e, quindi adeguatamente retribuito (64).

Doveva essere superato il precedente sistema, espressione di una visione tramontata del difensore, cui poteva imporsi un impegno di carattere assistenziale per la sua posizione di privilegio economico e culturale nella quale lo poneva la concezione liberale (65).

Il nuovo codice di procedura penale, ha espressamente richiamato il principio di effettività della difesa in giudizio con riguardo a quella d'ufficio, cui corrisponde il diritto del difensore incaricato ad essere retribuito dall'assistito (66), e, all'art. 98 stabilisce che «L'imputato, la persona offesa dal reato, il danneggiato che intende costituirsi parte civile e il responsabile civile, possono chiedere di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, secondo le norme della legge sul patrocinio dei non abbienti».

Le necessità finora esposte, unitamente alla disponibilità limitata di risorse economiche assicurate dalla legge finanziaria 1990 (anche se elevate rispetto alla finanziaria precedente, e fissate in 75 miliardi della vecchia moneta per il 1990 e in 180 miliardi per ciascuno dei successivi anni '91 e '92), ha, decisamente orientato le scelte politiche sia del Governo che del Parlamento, attribuendo all'iniziativa la natura ed il carattere propri di una legge di complemento del nuovo codice di procedura penale, ancora una volta relegando la giurisdizione civile al ruolo della «parente povera» (67).

Secondo quanto affermato da Colla:

Resta la non confortante constatazione della perdita di un'occasione per una riforma più generale, estesa alle giurisdizioni diverse da quella penale, protraendosi dunque l'inadempienza dello Stato italiano sia nei confronti delle risoluzioni del Consiglio d'Europa che dei moniti della Corte Costituzionale (68).

Infatti, non solo restava in vigore per la generalità dei procedimenti il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, ma restavano anche in vigore le disposizioni della legge 11 agosto 1973, n. 533, che aveva introdotto il patrocinio per i non abbienti a spese dello Stato nel processo del lavoro.

2.3.2. Contenuto della legge

La legge n. 217 del 1990, si applica ai procedimenti penali, a quelli penali militari ed ai giudizi civili limitatamente all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno e le restituzioni derivanti da reato, sempre che le ragioni del non abbiente, risultino non manifestamente infondate.

Ne rimangono esclusi, mantenendosi quindi la vecchia disciplina:

  1. i procedimenti penali concernenti contravvenzioni, salvo se riuniti o comunque connessi a procedimenti per delitti,
  2. i procedimenti per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

La legge in questione pone come limite temporale di efficacia delle proprie norme quello dell'entrata in vigore della disciplina generale del patrocinio dei non abbienti davanti ad ogni giurisdizione (69), si propone quindi, come una sorta di legge-ponte -tutt'altro che esaustiva- nel passaggio dal patrocinio gratuito alla difesa in giudizio a spese dello Stato (70).

La legge n. 3282 del 1923, come sappiamo, subordinava l'ammissione al gratuito patrocinio a due condizioni, lo stato di povertà e la probabilità dell'esito favorevole della causa o dell'affare (art. 15, comma 1), salvo che nelle materie penali per le quali era richiesta soltanto la prima condizione.

La legge in esame seppur in termini più aggiornati, non si discosta da tali premesse. Nei procedimenti penali le condizioni per l'ammissione al patrocinio, riguardano esclusivamente il reddito dell'interessato, l'art. 3 della legge prevede, in questa direzione, un tetto massimo di reddito annuale di lire otto milioni per il 1990, di lire dieci milioni per il 1991, e in seguito della somma che verrà biennalmente stabilita con decreto del Ministero di Grazia e Giustizia, con adeguamento rispetto all'indice ISTAT. Tale tetto è aumentato di due milioni per ciascun familiare convivente (in questo senso Luiso interpreta l'espressione 'in tal caso', contenuta nell'art. 3, comma 2: come riferita, cioè, all'ipotesi più generale 'convivenza' con altri familiari, e non alla sola ipotesi in cui questi familiari abbiano redditi (71)).

Normalmente, e cioè tranne che sussista conflitto di interessi, i redditi dell'istante si cumulano a quelli dei familiari conviventi e si considerano pure le entrate che non debbono essere denunciate nella dichiarazione dei redditi.

Nei processi civili (in cui si applica la legge n. 217), invece, ulteriore condizione per l'ammissione al patrocinio è anche la 'non manifesta infondatezza' delle ragioni del non abbiente (72).

Competente a disporre l'ammissione al patrocinio è il giudice che procede in sede penale, oppure, il giudice dinanzi al quale pende la controversia in sede civile. Se, il processo non è ancora instaurato, competente a decidere dell'ammissione al patrocinio è il giudice che è anche competente per il merito.

L'istanza di richiesta di ammissione al patrocinio, redatta in carta semplice, deve essere sottoscritta, a pena d'inammissibilità, dall'interessato, ed autenticata dal difensore designato ovvero dal funzionario che la riceve e può essere presentata in ogni stato e grado del procedimento (73). Essa è al tempo stesso dichiarazione di volontà e di scienza. In una prima parte, che costituisce l'istanza vera e propria, l'interessato, oltre a fornire le indicazioni di rito sulle generalità e sui componenti della sua famiglia anagrafica, deve operare l'autocertificazione della sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione al beneficio, determinando specificamente il reddito complessivo, valutabile secondo quanto dispone l'art. 3 della legge in questione. Deve inoltre impegnarsi ad effettuare delle comunicazioni periodiche ai fini del controllo delle variazioni dei limiti di reddito rilevanti ai fini della concessione del beneficio.

L'autocertificazione del reddito ha una doppia funzione, da una parte infatti, consente al giudice la decisione sull'istanza senza dover ricorrere ad una previa istruzione (come invece avviene per quei procedimenti in cui è esclusa l'ammissione del patrocinio a spese dello Stato), dall'altra pone le basi del controllo, successivo al decreto di ammissione, ad opera dell'Intendente di finanza, cui va trasmessa copia dell'istanza e del decreto, potendo egli tra l'altro ordinare una verifica della posizione fiscale dell'istante valendosi dell'opera della Guardia di Finanza, quando l'autocertificazione presentata dall'istante non è convincente (74). Tale previsione, insieme alla comminatoria penale per i casi di falsità o di omissioni nell'autocertificazione (punibili ai sensi degli artt. 453 e segg. del cod. pen.), costituisce un mezzo più che dissuasivo verso dichiarazioni che non siano del tutto veritiere (75).

L'espressa assunzione dell'impegno a comunicare le variazioni rilevanti dei limiti di reddito tende invece a richiamare l'attenzione dell'istante sui doveri successivi all'ammissione, e sull'immanenza del relativo controllo del giudice.

La legge n. 217, prevede, inoltre, che l'interessato debba allegare all'istanza, anche una dichiarazione su ciascun componente la sua famiglia, il cui reddito sarà considerato, come sappiamo, ai fini della determinazione dei limiti entro cui è concessa l'ammissione. Prevede inoltre, che l'istanza debba essere completata con l'allegazione del numero di codice fiscale, con l'indicazione del reddito da lavoro, e ancora, con i redditi diversi anche se esenti dall'IRPEF, con i beni immobili e quelli mobili registrati su cui l'istante abbia un diritto reale. Devono infine essere allegati, copia dell'ultima dichiarazione dei redditi ed un certificato di stato di famiglia.

Bisogna ricordare, che la legge del 1990, concede il patrocinio in esame, anche «allo straniero e all'apolide residente nello Stato» (76). Tale espressione ha fatto sorgere però, alcuni problemi interpretativi e non è mancato chi si è posto tale quesito: per l'ammissione al patrocinio il requisito della residenza in Italia è richiesto per i soli apolidi, o anche per gli stranieri in genere? Alessandra Algostino ha così ragionato:

La soluzione in un senso o nell'altro ha dei notevoli risvolti pratici: basti pensare al fatto che se si richiede anche per lo straniero la residenza, risultano automaticamente esclusi dal patrocinio a spese delle Stato tutti gli stranieri irregolari, i quali rappresentano, per il basso tenore di vita che solitamente posseggono, una larga parte dei possibili beneficiari. L'interpretazione letterale del testo non fornisce alcuna utile delucidazione: se infatti, la congiunzione «e» tra i due termini potrebbe avvalorare un'interpretazione estensiva, cioè nel senso del riferimento dell'aggettivo «residente» anche allo straniero, la declinazione al singolare dell'aggettivo in questione, che sarebbe quindi riferito al solo apolide, sembrerebbe piuttosto appoggiare l'interpretazione opposta (77).

La legge n. 217, non contiene inoltre alcuna indicazione in grado di orientare verso un'interpretazione restrittiva o estensiva e neppure le argomentazioni date da qualcuno (78), a sostegno dell'interpretazione estensiva (ovvero che la residenza è richiesta anche per gli stranieri), appaiono da Algostino condivisibili, soprattutto perché la giustificazione a tale interpretazione, è il richiamo che si è fatto nei lavori preparatori della legge n. 217, all'art. 23 delle preleggi (secondo il quale «se una persona non ha cittadinanza, si applica la legge del luogo dove risiede...»), dal quale si potrebbe inferire che la residenza sia richiesta per gli stranieri, visto che per gli apolidi è già prevista in via generale (79).

Alessandra Algostino si esprime invece a favore della tesi restrittiva, affermando che:

In realtà, secondo anche quanto emerge dai lavori preparatori della legge n. 217, pare che la residenza sia, in questo caso specificamente richiesta per gli apolidi in quanto indispensabile ai fini dell'accertamento del reddito (mentre lo straniero, siccome autocertifica il proprio reddito, accompagnando l'autocertificazione con l'attestazione dell'autorità consolare competente, non ha bisogno della residenza per provarlo).

In conclusione ci pare che per risolvere il problema occorra riferirsi alla ratio della normativa, cioè all'esigenza, tutelata dall'art. 24, 3º comma della Costituzione, di garantire ai non abbienti l'accesso alla giustizia (80).

Essendo, dunque, evidente che il diritto di agire in giudizio e il diritto di difesa, qualificati rispettivamente come diritto di 'tutti' e 'inviolabile', sono diritti dell'uomo in quanto tale, a prescindere non solo dalla sua cittadinanza italiana, ma anche dalla sua condizione di straniero regolare e irregolare, non si può escludere dall'ambito d'applicazione del beneficio lo straniero irregolare.

Ciò appare conforme al rispetto di due carte fondamentali dei diritti umani, già menzionati, ovvero, il Patto internazionale dei diritti civili e politici, e la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Il primo, infatti, prevede il diritto di «toute personne accusée d'une infraction pénale» «à avoir l'assistance d'un défenseur, de son choix; si elle n'a pas de défenseur, à être informée de son droit d'en avoir un, et, chaque fois que l'intérêt de la justice l'exige, à se voir attribuer d'office un défenseur, sans frais, si elle n'a pas les moyens de la rémunérer» (81); mentre la seconda attribuisce a «tout accusé» il diritto «s'il n'a pas les moyens de rémunérer un défenseur» di «être assisté gratuitement par un avocat d'office, lorsque les intérèts de la justice l'exigent» (82).

Un'ulteriore polemica è stata suscitata, con riguardo alla posizione di cui gode lo straniero all'interno della legge in questione, dalla previsione dell'art. 5 comma 3, secondo cui: «Se l'istante è straniero, per i redditi prodotti all'estero è sufficiente l'autocertificazione di cui alla lettera b) del comma 1, accompagnata da un'attestazione dell'autorità consolare competente dalla quale risulti che, per quanto a conoscenza della predetta autorità, la suddetta certificazione non è mendace».

A tal proposito è stata sollevata questione di legittimità costituzionale della disposizione in questione, nella parte in cui stabilisce che l'autorità consolare competente possa limitarsi ad attestare che l'autocertificazione dello straniero circa le proprie condizioni di reddito non è, per quanto di sua conoscenza mendace, e nella parte in cui richiede, sia ai cittadini italiani che agli stranieri, lo stesso presupposto reddituale per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

La Corte Costituzionale con sentenza 1º giugno 1995, n. 219, ha accolto la prima censura, ed ha respinto, perché infondata la seconda.

Il giudice costituzionale concorda, infatti, con il giudice a quo nel considerare irragionevole la rinuncia, solo per lo straniero, a prevedere una qualche verifica e controllo che non siano legati unicamente all'eventualità, meramente ipotetica e casuale, che all'autorità consolare già risultino elementi di conoscenza utili a valutare l'autocertificazione del presupposto reddituale e, dunque, elimina con una sentenza di accoglimento parziale, dalla disposizione censurata l'inciso «per quanto a conoscenza della predetta autorità».

In tal modo l'autorità consolare «non può più limitarsi a raffrontare l'autocertificazione con i dati di cui eventualmente disponga, ma, ha l'onere di verificare nel merito il contenuto dell'autocertificazione indicando gli accertamenti eseguiti», con l'ulteriore conseguenza che, «dovendo l'autocertificazione essere in sé non mendace», «il giudice diviene libero di valutare l'idoneità degli accertamenti eseguiti e la congruità delle risultanze degli stessi, rispetto a quanto emergente dall'autocertificazione» (83).

Con questo intervento, la Corte, ha voluto, porre le condizioni affinché, si eserciti un maggiore controllo sulle dichiarazioni rese dallo straniero che voglia ottenere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, anche se in realtà, possiamo notare, che tutto è lasciato alla 'buona volontà' dell'autorità consolare e ad una discrezionalità del giudice, più ampia di quanto non lo sia quella che egli ha nel valutare la situazione reddituale del cittadino italiano. Osserva Algostino:

Il giudice, si trova a dover valutare l'idoneità di accertamenti che possono differire anche notevolmente dalle modalità con cui in Italia viene condotto l'accertamento fiscale, ed inoltre, può trovarsi nel caso limite in cui l'autorità consolare si rifiuti di compiere qualsiasi attestazione. La legge non dispone nulla a questo proposito, mentre invece sarebbe interessante ad esempio sapere come dovrebbe comportarsi il giudice nel caso sopra ipotizzato o ancora se egli possa rivolgersi ad una autorità giudiziaria straniera, tramite rogatoria internazionale, al fine di far eseguire determinati accertamenti (84).

Continuando a valutare le questioni attinenti al requisito del reddito, possiamo osservare che, oltre alle sanzioni che possono essere comminate attraverso l'applicazione degli artt. 453 ss. del c.p. nel caso di falsità o omissioni nella dichiarazione, vengono previste varie ipotesi di modifica o revoca del provvedimento di ammissione.

La modifica o revoca può avvenire o per la mancata presentazione della documentazione necessaria nel termine previsto dall'art. 5, comma 5º; o a causa della mancanza della tempestiva comunicazione delle variazioni di reddito previste dall'art. 5, comma 1º, lett. c); oppure perché sono venute meno le condizioni di reddito, previste dall'art. 3. Competente a disporre la modifica o revoca è il giudice dinanzi al quale pende il procedimento al momento della scadenza dei termini sopra indicati per presentare la documentazione o comunicare le variazioni di reddito, oppure al momento in cui è effettuata la comunicazione dalla quale si ricava che il reddito ha superato i limiti previsti dall'art. 3.

Il soggetto interessato, ha la possibilità di proporre reclamo contro i provvedimenti di cui sopra (85), al tribunale (se il provvedimento di modifica e revoca è stato preso da un giudice del tribunale) o alla corte d'appello (se il provvedimento è stato preso da un giudice della corte).

La revoca o modifica del provvedimento, possono essere richiesti al giudice anche da parte dell'Intendente di finanza cui è pervenuta tutta la documentazione relativa all'istanza d'ammissione, nonché copia del decreto che il giudice ha emanato, se questi ha verificato l'insussistenza dei requisiti di reddito necessari per l'ammissione al beneficio di cui si parla. Tali richieste da parte dell'Intendente di finanza, non sono più possibili decorsi cinque anni dalla definizione del procedimento per il quale l'interessato era stato ammesso al patrocinio (86).

Contro i provvedimenti che decidono sulla richiesta di revoca avanzata dall'intendente di finanza è proponibile ricorso in cassazione per violazione di legge.

Possiamo notare che, l'istanza di revoca o modifica richiesta dall'intendente di finanza assomiglia ad una vera e propria 'impugnazione', mentre se disposte dal giudice d'ufficio ai sensi del 1º comma dell'art. 10 sono strutturate come 'provvedimenti di primo grado' (87).

La modifica e la revoca si distinguono in quanto agli effetti che esse producono (88). La prima può essere richiesta nel caso di mutate condizioni di reddito o di mancato invio della comunicazione relativa alle variazioni dei limiti di reddito di cui alla lettera c) dell'art. 5 della legge n. 217, consegue ad un provvedimento del giudice di fronte al quale pende la controversia, ma opera con efficacia retroattiva alla data della scadenza del termine per l'invio della comunicazione annuale o alla data in cui è pervenuta la comunicazione relativa alle modificate condizioni patrimoniali.

La revoca si ha invece, nel caso di mancata tempestiva integrazione dei documenti, nei casi previsti dall'art 5, 4º e 5º comma o nel caso di richiesta da parte dell'intendente di finanza. La revoca ha efficacia retroattiva nel senso che fa venire meno il beneficio fin dall'inizio. Tutte le somme corrisposte dallo Stato in caso di revoca, e quelle corrisposte dopo la modifica debbono essere restituite allo Stato.

Dopo aver valutato i problemi attinenti al requisito del reddito, verifichiamo come avviene la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

L'istanza, sottoscritta dalla parte e autenticata dal difensore designato dalla parte o dal funzionario che la riceve, deve essere depositata in cancelleria (anche a mezzo posta) o presentata in udienza. Il giudice, che deve provvedere immediatamente in caso di presentazione in udienza, o entro dieci giorni nel caso di deposito in cancelleria, è colui che sta procedendo in sede penale o colui di fronte al quale pende il procedimento civile.

Oggetto dell'accertamento del giudice sono le condizioni di ammissibilità dell'istanza e il 'merito' della stessa.

Condizioni di ammissibilità sono il rispetto delle prescrizioni di cui agli artt. 2 e 5 della legge n. 217, relative all'istanza di ammissione, ed il rispetto dell'ambito di applicazione della legge: si deve trattare cioè di un procedimento penale o di un procedimento civile relativo alle azioni risarcitorie e restitutorie derivanti da reato.

Il merito dell'istanza, per i procedimenti penali, consiste unicamente nella sussistenza delle condizioni di reddito di cui all'art. 3, da accertare sulla base delle dichiarazioni dell'istante.

Per i procedimenti civili è necessaria anche la non manifesta infondatezza delle ragioni del non abbiente; quindi, se attore, che la domanda non sia manifestamente infondata; se convenuto, che le sue difese non siano manifestamente infondate (89).

Il procedimento continua con l'intervento da parte del giudice il quale decide se accogliere o invece rigettare l'istanza. Tale provvedimento che si consolida nella forma del decreto, se d'accoglimento, si limita all'ammissione dell'istante al patrocinio, senza che il giudice provveda a nominare all'ammesso un difensore in quanto, la nomina di questo viene considerata dalla legge del 1990 un atto di parte, precedente o successivo al decreto di ammissione.

Si è voluto, con la regola della libera scelta del difensore innovare profondamente rispetto al diverso principio posto dalla legge n. 533 del 1973 sul processo del lavoro che (art. 13) attribuiva al giudice del processo il compito di designare il difensore della persona ammessa al patrocinio, sia pure all'interno di una rosa di nomi indicati dall'interessato o dal Consiglio dell'ordine, "secondo una soluzione che era caratterizzata dal ruolo paternalistico attribuito al giudice e dall'ambiguità dei rapporti tra lo stesso ed il difensore nominato, che, nell'incarico conferitogli dal giudice del processo, trovava la sua investitura" (90).

Nonostante questa importante novità introdotta dalla legge di cui si parla, i poteri della parte in ordine alla nomina del proprio difensore non sono però illimitati: in primo luogo, ove essa nomini più di un difensore, l'ammissione al patrocinio non è possibile o comunque perde effetto dal momento della nomina del secondo difensore (91). Inoltre, nello stesso grado di giudizio, può sostituire il difensore non liberamente, ma solo per giustificato motivo riconosciuto come tale dal giudice, e quindi previa autorizzazione dello stesso. Una sostituzione non autorizzata, comporta come conseguenza la cessazione degli effetti dell'ammissione al patrocinio (92).

Il provvedimento di accoglimento dell'istanza di ammissione e copia degli atti, come si è visto, vengono trasmessi all'intendente di finanza per i controlli sulla veridicità delle asserzioni dell'istante e con la prospettiva che l'intendente, chieda la revoca del provvedimento di ammissione.

Nel caso in cui il provvedimento del giudice è negativo, quindi ha rigettato l'istanza o ha revocato o modificato la precedente concessa ammissione (anche su richiesta dell'intendente di finanza), l'interessato ha la possibilità, entro i venti giorni dalla comunicazione dell'avvenuto deposito di uno di questi provvedimenti in cancelleria, di proporre ricorso dinanzi al tribunale (se il provvedimento di rigetto è stato pronunciato da un giudice del tribunale) o dinanzi alla corte d'appello (se il provvedimento di rigetto è stato pronunciato da un giudice della corte d'appello).

Il ricorso avverso i provvedimenti negativi del giudice, viene considerato una vera e propria impugnazione alla quale, è applicabile la regola dell'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, che prevede che, dopo il deposito del ricorso o della richiesta dell'intendente di finanza, venga fissata un'udienza di comparizione delle parti in camera di consiglio con decreto del presidente del tribunale o della corte. Il decreto e il ricorso devono essere notificati alla controparte (rispettivamente intendente di finanza nei casi di impugnazione da parte dell'istante del rigetto dell'istanza di ammissione o del provvedimento di revoca o modifica; e parte ammessa al beneficio nei casi di richiesta di revoca da parte dell'intendente di finanza). Le parti potranno comparire in camera di consiglio senza obbligo del ministero di un difensore. Il collegio prenderà la sua decisione con ordinanza.

L'ordinanza con cui il collegio ha deciso, verrà notificata alle parti, le quali nei venti giorni dalla notifica potranno proporre ricorso in cassazione per violazione di legge (93).

Gli effetti dell'ammissione al patrocinio sono descritti dall'art. 4 della legge n. 217.

Occorre anzitutto dire che tali effetti si producono (una volta avutasi l'ammissione, e sempre che non si abbia modifica o revoca del provvedimento), per tutti i gradi del procedimento penale; mentre nel processo civile l'ammissione perdura anche per i gradi successivi del giudizio a condizione che la parte ammessa risulti totalmente vittoriosa. In caso di soccombenza o anche di vittoria parziale, occorrerà proporre ex novo l'istanza al giudice dell'impugnazione.

L'ammissione al beneficio, comporta:

  1. l'annotazione a debito dell'imposta di bollo e di registro e di qualsiasi altra tassa o diritto di ogni specie o natura, relativamente ad atti, documenti e provvedimenti concernenti il giudizio;
  2. il rilascio gratuito, senza percezione di diritti o altre spese, delle copie degli atti processuali strettamente necessarie per l'esercizio della difesa;
  3. l'anticipazione da parte dello Stato delle spese effettivamente sostenute dai difensori, consulenti tecnici e consulenti tecnici di parte, ausiliari, notai e pubblici ufficiali che abbiano prestato la propria opera nel processo nonché delle spese e indennità necessarie per l'audizione dei testimoni e di quelle da corrispondersi a imprese editrici di giornali per la pubblicazione di provvedimenti;
  4. l'annotazione a debito degli onorari dovuti nonché delle spese e indennità anticipate dallo Stato, di cui al numero 3;
  5. l'esenzione dall'imposta di bollo relativa alle autocertificazioni previste dalla legge in commento.

La liquidazione degli onorari è effettuata con decreto motivato dal giudice al termine di ciascun grado di giudizio, secondo le tariffe professionali, ma in modo che i compensi liquidati non superino i valori medi delle tariffe stesse (94).

Il decreto di liquidazione deve essere comunicato a tutti gli interessati, i quali possono proporre ricorso al tribunale o alla corte d'appello instaurando un procedimento che è ancora una volta quello dell'art. 29 della legge 13 giugno 1942 n. 794, già esaminato (con la particolarità che qui, a differenza del caso precedente, secondo Luiso, è applicabile il tentativo di conciliazione, nel senso che colui al quale spetta il compenso, ben può accettare la determinazione fatta dal giudice del reclamo) (95).

È importante sottolineare che, nei casi disciplinati dalla legge n. 217, il difensore o il consulente tecnico sono compensati esclusivamente dallo Stato: nessun diritto hanno, neppure se espressamente pattuito, nei confronti della parte ammessa al patrocinio (96).

Per quanto attiene alle modalità per il pagamento delle somme dovute dallo Stato, nonché per il recupero di quelle anticipate dallo Stato ed annotate a debito, l'art. 17 della legge n. 217, rinvia a norme regolamentari da emanarsi con decreto del Ministro di grazia e giustizia di concerto con i ministri delle finanze e del tesoro entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale. Tale regolamento è stato successivamente emanato con d.m. 3 novembre 1990, n. 327, e pubblicato nella G.U. n. 266 del 14 novembre 1990.

L'ultimo punto su cui dobbiamo soffermarci, riguarda il regime della condanna alle spese.

Anche la parte ammessa al patrocinio, può essere condannata alle spese del processo, secondo le regole ordinarie. Infatti, l'ammissione del non abbiente al beneficio, non comporta l'esonero dello stesso dalla normale responsabilità per i danni e le spese che la sua azione o resistenza abbia prodotto alla controparte: la quale se vittoriosa deve essere tenuta immune dalle conseguenze negative che le siano derivate dall'essere stata costretta ad agire o difendersi per la tutela di una propria situazione sostanziale protetta. Luiso, in merito a ciò, è convinto che anche se "lo Stato può sovvenire alle necessità del non abbiente che abbia (rectius, che possa avere) ragione, non può scaricare sulla controparte vittoriosa, anche abbiente, gli oneri del processo, perché altrimenti si violerebbe, lo stesso art. 24 della Costituzione" (97).

Se l'ordinamento volesse tenere indenne la parte ammessa al patrocinio dal pericolo della refusione delle spese all'avversario in caso di propria soccombenza, dovrebbe necessariamente assumere su di sé le spese della controparte vittoriosa, e non far subire a quest'ultima le conseguenze, del tutto accidentali, di avere avuto come controparte un soggetto ammesso al patrocinio.

In conclusione, anche la parte ammessa al patrocinio può subire la condanna alle spese ai sensi degli artt. 91 e ss. del c.p.c., così come qualsiasi altra parte.

La procedura cambia notevolmente invece, quando la condanna alle spese del processo, è indirizzata alla controparte del soggetto ammesso al beneficio. In questo caso, infatti, il giudice che dispone il pagamento, lo fa a favore dello Stato (98), il quale, quindi, corrisponde spese e compensi a favore dell'ammesso al beneficio ai sensi dell'art 12 della legge in questione, e riceve dalla controparte il pagamento delle spese a cui questa sia stata condannata.

2.3.3. Considerazioni conclusive

La legge che finora abbiamo commentato, nonostante abbia realizzato in un certo senso un notevole progresso giuridico, realizzando, secondo alcuni (99), il principio contenuto nella nostra Costituzione, all'art. 24 terzo comma, non ha mancato di suscitare alcune lamentele.

In effetti, già un primo bilancio, effettuato, a pochi mesi dall'entrata in vigore della legge considerata, ha dimostrato, che il ricorso all'istituto del patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, ha costituito un'assoluta rarità e che ad esso non si è fatto sicuramente ricorso con la frequenza prevedibile sulla base del requisito reddituario richiesto per l'ammissione e della conoscenza della composizione socio-economica della popolazione in genere e di quella degli imputati in specie (100).

Un primo dubbio sulla positività della legge del 1990, nasceva dalla lettura dell'art. 19, che stimava l'onere finanziario del provvedimento in soli 180 miliardi annui. Da alcuni calcoli circa il numero dei procedimenti che sarebbero stati instaurati ogni anno e che avrebbero interessato l'applicazione della legge in questione, risultava che lo stanziamento previsto non superava lire 500.000 a processo, comprese le annotazioni a debito di imposte, spese, pubblicazioni sui giornali, onorari dei periti ecc. Si trattava certamente di una previsione insufficiente.

Infatti, secondo ulteriori verifiche, risultava che nell'anno di entrata in vigore della legge, gli onorari di un avvocato per la fase dibattimentale in Tribunale, assommavano a non meno di lire 600.000.

A tal proposito Ceccon ha constatato:

Non vorremmo che l'insufficienza di stanziamenti dovesse comportare in seguito un sostanziale diniego della concessione del beneficio o attraverso la liquidazione a favore dei patroni di onorari irrisori, approfittando dell'ambigua dizione dell'art. 12 che parla di liquidazioni «non superiori» ai valori medi delle tariffe professionali, o, peggio, creando estenuanti trafile burocratiche prima di effettuare i pagamenti degli onorari, un po' come avveniva, e ancora oggi in certi casi avviene, per il rimborso delle imposte erroneamente pagate (101).

Ancora una volta, si lamenta il fatto che, il legislatore ha voluto insistere nel determinare la non abbienza, che è concetto relativo (102), con un criterio sostanzialmente rigido e del tutto dimentico dell'effettivo costo della difesa tecnica. Secondo Trocker, una soluzione, che ancora la «non abbienza» ad un criterio oggettivo fisso concernente il solo reddito senza tener conto del variabile costo dei singoli processi, comporta una delimitazione degli aventi diritto astratta e scarsamente conforme alle finalità del dettato costituzionale (103). Creando categorie chiuse di «abbienti» e di «non abbienti», si da vita ad un sistema che non riesce a sopperire alle autentiche necessità di una giustizia effettivamente accessibile a tutti. Inoltre, stante il tetto di lire dieci milioni che la legge fissava per avere diritto al patrocinio, potevano giovarsi del beneficio solo coloro che potevano contare su non più di 833.000 al mese: i quali, già nei primi anni di applicazione della legge, se si prescindeva da una relativamente piccola frangia di cittadini italiani, non potevano che essere gli immigrati extracomunitari (104).

Un'altra osservazione critica, concerne la notevole complicazione burocratica del procedimento di ammissione, sia per la necessità di raccogliere e produrre documenti non sempre di facile reperimento, sia per il successivo iter procedimentale costituito da brevi termini di impugnazione, decadenza ecc. Come Ceccon ha constatato:

Si tratta per vero di un metodo tipico del nostro legislatore che, forse non fidandosi dei propri cittadini e/o dei propri giudici, subordina ogni diritto del cittadino ad una serie di controlli e di filtri burocratici e cartacei, con la speranza di scoraggiare gli abusi. In realtà avviene esattamente il contrario: controlli, decadenze e filtri non allontanano i furbi, che sono abilissimi nel superare tutti gli ostacoli, ma solo gli onesti sprovveduti.

Il ricorso a tale metodo è però particolarmente odioso in questa materia, nella quale, per definizione, si tratta di tutelare i non abbienti -e quindi dei non furbi- molti dei quali, pur avendo pieno diritto al patrocinio gratuito, rischiano così di venire privati del beneficio per una ragione o per l'altra (105).

Un'ultima considerazione negativa, riguarda la situazione che si veniva a creare in Italia per effetto della riforma del 1990. Il nostro istituto riguardante la tutela dei non abbienti, era assoggettato, a causa della riforma, ad una disciplina «non omogenea, bensì variegata e differenziata per settori» (106).

In particolare, non poteva, non segnalarsi, che, mentre gli avvocati che difendevano i poveri in penale erano sempre retribuiti dallo Stato, quelli che li difendevano in civile lo erano solo nelle controversie di cui alle leggi 533/73, 184/83, 117/88 e 217/90, ma non anche in quelle disciplinate dal R.D. del 1923.

A questo punto, era lecita la lamentela degli avvocati, i quali denunciavano la mancata applicazione del patrocinio a spese dello Stato in tutti i settori dell'ordinamento, dolendosi in particolare del fatto che nelle materie civili e nelle altre in cui il patrocinio a spese dello Stato era ancora escluso, ci fosse un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto al regime introdotto per i non abbienti in materia penale, soprattutto dal punto di vista della retribuzione che, nel settore penalistico i difensori potevano percepire.

A tal proposito, possiamo ricordare una recente ordinanza, con cui, in data 5 dicembre 1998, il Presidente delegato del Tribunale di Foggia, ha sollevato, in riferimento agli art. 2, parte seconda, 3, comma 1, 10, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 R.D. 30 dicembre 1923 n. 3282 (Approvazione del testo di legge sul gratuito patrocinio) «nella parte in cui considera onorifico il patrocinio a favore dei poveri».

Il rimettente ha portato tale questione davanti alla Corte Costituzionale, premettendo di essere stato chiamato a decidere su un ricorso con il quale il difensore, nominato a una persona già ammessa al gratuito patrocinio in un giudizio di separazione tra coniugi, chiedeva in via principale, la liquidazione dell'onorario e dei diritti per l'attività difensiva prestata, ai sensi degli art. 1 e 12, della legge n. 217.

Il rimettente, ha ritenuto rilevante la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del R.D., poiché «qualora dovesse essere eliminato l'aggettivo onorifico, potrebbe trovare applicazione analogica la stessa legge n. 217 del 1990 o altra che regola il patrocinio a favore dei poveri in controversie civili»; di conseguenza denuncia che:

  1. l'art. 1 del R.D. contrasterebbe con l'art. 2, parte seconda della Costituzione, in quanto il peso della difesa dei non abbienti non dovrebbe essere sostenuto dalla classe forense, ma dovrebbe essere assunto dallo Stato, il quale è tenuto all'adempimento dei doveri di solidarietà sociale ed economica;
  2. la disposizione censurata violerebbe l'art. 3, comma 1, della Costituzione, per l'ingiustificata disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente omogenee, poiché, a parità di impegno, mentre i difensori dei non abbienti nei procedimenti penali sarebbero sempre retribuiti dallo Stato, quelli che ne assumono la difesa nei processi civili, salvo eccezioni specificamente previste dalla legge, presterebbero la loro attività gratuitamente, potendo contare sui cosiddetti 'onorari della vittoria' (art. 11 del citato R.D.) soltanto in caso di condanna della controparte;
  3. infine, la disposizione censurata, imponendo agli avvocati una prestazione lavorativa tendenzialmente gratuita, violerebbe l'art. 10, comma 1, della Costituzione, in quanto sarebbe in contrasto con l'art. 5, lett. b, ultima parte, della risoluzione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sull'assistenza giudiziaria in data 2 marzo 1978, che raccomanda "una remunerazione adeguata al difensore d'ufficio", e confliggerebbe con l'art. 35, comma 1, della Costituzione, che tutelerebbe non soltanto il lavoro subordinato, ma anche quello autonomo.

La nostra Corte Costituzionale però, come già in altre occasioni aveva fatto, non ha mancato di rilevare che trascenderebbe largamente i limiti della giustizia costituzionale disporre un così imponente intervento riformatore, dichiarando così, la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del R.D. del 1923, sollevata dal Presidente delegato del Tribunale di Foggia, e sostenendo che le richieste del rimettente, non potevano di certo essere soddisfatte da una sentenza della Corte che si limitasse ad eliminare dalla disposizione censurata il termine 'onorifico', ma solo il legislatore, e non già con la semplice soppressione di una singola parola, ma attraverso un complessivo riordinamento del sistema, potrebbe assimilare istituti diversi per presupposti, procedimento ed effetti (107).

A questo punto possiamo concludere con le parole di Cipriani, il quale, insieme alla dottrina maggioritaria, si rendeva conto che, non foss'altro che per assicurare il rispetto del principio di uguaglianza, c'era bisogno di più incisivi interventi della Corte Costituzionale tali da indurre il legislatore ad affrontare una buona volta il problema nella sua interezza. Egli ha così dichiarato:

Pare, dunque, che la cittadella del gratuito patrocinio stia per essere espugnata. Ha resistito a mille assalti, s'è salvata persino da chi, mettendo in dubbio la legittimità dell'obbligo di difendere gratuitamente i poveri, l'aveva attaccata al cuore, ma ora rischia di cadere per una disparità di trattamento tanto banale quanto innegabile. Anche perché, io direi, il rispetto dell'art. 3 1º comma della Costituzione, ha ormai un costo decisamente accessibile: dal momento che per il penale si sono stanziati 180 miliardi all'anno e che qui il civile, rispetto al mare magnum del penale, è un laghetto che attualmente consta di appena un paio di migliaia di domande di ammissione al gratuito patrocinio all'anno, non dovrebbe essere difficile trovare gli spiccioli necessari per retribuire gli avvocati anche in civile (108).

2.4. Il patrocinio a spese dello stato nel testo unico in materia di spese di giustizia applicabile a tutti i tipi di processo

2.4.1. Considerazioni introduttive

La possibilità per i non abbienti di accedere al patrocinio a spese dello Stato in tutti i tipi di processo era stata inizialmente offerta, nel nostro ordinamento, dalla legge 29 marzo n. 134 del 2001 che, modificava a sua volta la legge n. 217 che disciplinava il patrocinio statale nel solo settore penale. La legge n. 134, aveva segnato un'importante svolta in quanto, oltre ad introdurre delle novità per il processo penale, ampliava la legge n. 217 introducendo un nuovo capo (artt. da 15 bis a 15 noniesdecies) dedicato al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili ed amministrativi.

La legge n. 134, come afferma Sacchettini ha avuto però, una «sorte amara» (109), in quanto proprio il giorno in cui sarebbe dovuta entrare in vigore, si è trovata ad essere abrogata dall'art. 299 del testo unico in materia di spese di giustizia.

Il primo luglio 2002 infatti, è entrato in vigore il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia varato dal Consiglio dei Ministri il 24 maggio 2002 ed approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (110).

Attualmente, chi si interessa del nuovo fenomeno del patrocinio a spese dello Stato, non deve più fare riferimento alla legge n. 217 del 1990 così come modificata dalla legge n. 134 del 2001, bensì al testo unico in di cui sopra.

Il testo unico in questione, disciplina il fenomeno del patrocinio a spese dello Stato nell'intera parte III, che comprende, il Titolo I dedicato alle disposizioni generali, il Titolo II dedicato alle disposizioni particolari nel processo penale ed infine il Titolo IV dedicato alle disposizioni particolari nei processi civili ed amministrativi.

Il D.P.R. n. 115, non ha innovato in tutto la legge n.134, alcuni principi di questa sono stati semplicemente assorbiti, altri modificati e in più ha introdotto delle norme assolutamente nuove soprattutto per il settore tributario e contabile. In poche parole, ha voluto riunire e coordinare l'intera materia, tenendo conto di tutte le modifiche legislative.

Nella relazione illustrativa del t.u. possiamo leggere una premessa riferita alla parte III e quindi al patrocinio a spese dello Stato. Essa recita:

La sistemazione organica della materia all'interno del testo unico è imposta dalla circostanza che si tratta sostanzialmente di una particolare disciplina delle spese del procedimento; infatti, già il R.D. n. 2700 del 1865 incorporava la regolamentazione delle spese nel caso di gratuito patrocinio, naturalmente con riferimento alla legislazione all'epoca vigente.

È stata imposta, anche, dalla necessità di raccordare, anche terminologicamente, le voci di spesa con quelle elencate nel testo unico, per evitare problemi interpretativi; mentre oggi, anche la disciplina più recente utilizza le voci di spesa del R.D. n. 3282/1923, in un contesto ordinamentale oramai cambiato da altre leggi. È consigliata, inoltre, dall'opportunità di poter raccordare in un contesto unitario le norme di settore che rinviano alla disciplina generale, con indubbi vantaggi per l'interprete e l'operatore.

Nel rispetto dei limiti imposti dalla delega legislativa, il testo unico ha proceduto ad un riordino e coordinamento formale, trattandosi di norme di rango primario non attinenti ad aspetti procedimentali e organizzativi. In particolare: sono state aggiornate le voci di spesa, in modo da farle risultare coerenti con le altre norme dell'ordinamento; si è tenuto conto, per l'autocertificazione, del testo unico sulla documentazione amministrativa; sono stati eliminati dei refusi attribuibili alla tecnica della novella utilizzata dalla legge n. 134/2001; si è data alla materia una nuova impostazione sistematica in modo da distinguere le norme comuni a tutti i processi da quelle particolari, rispettivamente riferite al solo processo penale o agli altri processi; sono state raccordate alla disciplina generale alcune fattispecie speciali presenti nell'ordinamento.

Infine, la disciplina prevista dalla legge n. 134/2001 per il processo civile e amministrativo è stata esplicitamente riferita anche al processo contabile e tributario, secondo quanto inequivocabilmente emerge dalle intenzioni del legislatore della riforma, che ha abrogato integralmente la vecchia disciplina generale (R.D. n. 3282/1923), alla quale rinviavano norme di settore per questi ultimi processi (111).

Questo t.u., da una parte ha realizzato un'opera di risistemazione delle norme sparse in più leggi e in altre fonti del diritto, dall'altra ha inserito alcune significative novità nelle materie disciplinate, mutandone molti aspetti.

In teoria, secondo Scarselli, "i testi unici, dovrebbero provvedere al mero riordino della disciplina esistente, evitando ogni novità" (112). Ma la realtà è che, sempre più spesso, si hanno testi unici che provvedono a rimodellare e mutare le leggi esistenti, talvolta soltanto in aspetti marginali, altre volte più sensibilmente e/o in modo più radicale. Così, anche il testo unico in materia di spese di giustizia, il quale, non ha tenuto conto delle indicazioni che vi erano nella legge delega (113).

Prima di affrontare l'analisi dell'articolato del t.u., è importante fare un confronto di esso con la nostra Carta Costituzionale, soprattutto in riferimento al combinato disposto degli artt. 3, comma 2, e 24 commi 1 e 3 della stessa che, come sappiamo, impongono allo Stato di assicurare un pari diritto di accesso alla giustizia a tutti i cittadini, a prescindere dalle loro condizioni economiche e sociali.

A tal proposito, possiamo dire che il nostro legislatore ordinario, ha voluto assolvere in modo esaustivo al compito costituzionale che la nostra Repubblica già si era dato fin dal 1948, estendendo il patrocinio a spese dello Stato sia ai processi civili che a quelli penali ed abrogando, inoltre, l'art. 1 comma 8 della legge n. 217 del 1990, che escludeva detto patrocinio nei reati contravvenzionali (114).

Per la prima volta, il patrocinio a spese dello Stato è stato esteso a tutte le esigenze di giustizia: penali, civili, amministrative, tributarie, del lavoro ecc., e dal punto di vista dei soggetti che ne possono beneficiare, possiamo includere tutti i cittadini, nonché gli apolidi, gli stranieri con regolare permesso di soggiorno, e inoltre gli enti non aventi scopo di lucro, senza distinzione alcuna, ma semplicemente al fine, di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che...impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'uguaglianza di tutti i cittadini» (115).

Inoltre, cosa altrettanto importante, si è assicurata la qualità della difesa tecnica, garantendo ai difensori delle classi sociali più deboli una giusta remunerazione al lavoro svolto e creando dei nuovi meccanismi, quali gli elenchi dei difensori, finalizzati a garantire le qualità morali e professionali dei soggetti chiamati ad assumere tali difese (116).

Con il testo unico, è scomparsa una delle condizioni per accedere al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili ed amministrativi, ovvero: «la probabilità dell'esito favorevole della causa od affare», da accertarsi in contraddittorio con l'altra parte (117), ed è stata sostituita da una nuova condizione, quella della «ragione non manifestamente infondata», da dedursi dalle sole allegazioni della parte istante.

Infine con questo testo, sono stati ideati degli agevoli strumenti procedurali per accedere al patrocinio, rafforzando il ruolo della classe forense e abolendo tutti quei meccanismi che vedevano assoggettati i comportamenti professionali degli avvocati al controllo e alla disciplina della pubblica autorità.

Nonostante la positività dei giudizi dati, nulla esclude che, in merito a questo t.u. possano sorgere dei dubbi di legittimità costituzionale con riferimento ad alcuni punti e soprattutto per le differenze che il t.u. ha lasciato in vita tra processi civili ed amministrativi da un lato e processi penali dall'altro. In questi ultimi, infatti, per accedere al patrocinio bisogna dimostrare la non abbienza, ricavata dall'insufficienza di reddito per sopperire alle spese di una lite, mentre nei primi, insieme al requisito reddituale è richiesto, come già affermato, un ulteriore elemento quale «la non manifesta infondatezza delle ragioni fatte valere» (118).

Scarselli, critica questa diversità di requisiti per l'accesso al patrocinio, sostenendo:

Questa differenza ha senz'altro una giustificazione quando nei processi civili la parte non abbiente si propone quale attore di una determinata controversia, poiché in questi casi non si tratta di difendersi in un processo che c'è ma si tratta di instaurare un processo che non c'è. Però, se anche nel processo civile si tratta solo di difendersi, porre una distinzione in punto di non «non manifesta infondatezza» delle difese da esercitare nei processi civili rispetto a quelli penali potrebbe far sorgere dubbi di legittimità costituzionale; così come dubbi di legittimità costituzionale potrebbero sorgere nel constatare le differenze che vi sono in punto di presupposti per ottenere il patrocinio a spese dello Stato nella costituzione di parte civile (solo misura del reddito) rispetto all'esercizio dell'azione civile per il risarcimento danni e le restituzioni derivanti da reato (misura del reddito + ragioni «non manifestamente infondate») (119).

Il testo unico, inserendo l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche per i reati contravvenzionali basandola sul solo requisito della povertà, ha creato un'ulteriore differenza. Infatti, nota Scarselli, i reati contravvenzionali, erano prima esclusi dal patrocinio a spese dello Stato così come i processi civili ed amministrativi solo che, per questi ultimi è richiesto il doppio requisito per ottenere il beneficio (120).

Altre differenze che ancora permangono tra giudizi penali, civili ed amministrativi, possiamo notarle se interpretiamo l'art. 76 del t.u. affiancandolo all'art. 92 del t.u. Infatti, fermo restando il fatto che il limite reddituale (euro 9.296,22) per essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato non differisce tra i vari processi, potrebbe essere giudicato incostituzionale per violazione dell'art. 3, commi 1 e 2 della Costituzione, l'inciso, già contenuto nell'art. 3, comma 2 della legge n. 217/90 e ripreso poi dal t.u. secondo cui «i limiti di reddito indicati dall'art. 76 t.u., sono elevati di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi con l'interessato» (121), con la precisazione però, che questo vale solo nel processo penale; mentre, niente cambia nel processo civile ed amministrativo se l'aspirante vive da solo oppure ha a carico due, tre o quattro conviventi (122). "Questa ultima diversa disciplina può, comunque, ritenersi giustificata attesa la peculiarità degli interessi coinvolti nel processo penale, che spingono il legislatore ad allargare la potenziale cerchia dei soggetti che possono usufruire di detto beneficio" (123).

Altri dubbi di incostituzionalità, potrebbero sorgere dalla comparazione dell'art. 82 t.u. con l'art. 130 t.u., entrambi comprendenti la disciplina relativa alla liquidazione degli onorari degli avvocati che abbiano assistito parti non abbienti. Queste due norme contengono precetti, tra loro in evidente contrasto, sempre con riferimento al principio d'uguaglianza (124). Notiamo in effetti, che, mentre nel processo penale i compensi dei difensori vengono liquidati dall'autorità giudiziaria «in modo che in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità» (125), nel processo civile ed amministrativo, detti valori medi devono essere ulteriormente «ridotti della metà» (126). A questo punto una considerazione viene spontanea: la medesima legge ha previsto due modi diversi di liquidazione degli onorari per la stessa prestazione professionale!

Al t.u. viene rimproverata inoltre una carenza, ovvero, di non aver assorbito al proprio interno la disposizione della legge n. 134/01 che prevedeva che: «Quando non debba procedere a modifica o revoca, il giudice con l'atto che definisce il merito pronuncia anche sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, disposta dal Consiglio dell'Ordine» (127). Così facendo il legislatore ha escluso la possibilità di una conferma da parte del giudice sui provvedimenti di ammissione al patrocinio a spese dello Stato del Consiglio dell'Ordine, che sono in realtà provvisori. Gli art. 126 e 136 del t.u. prevedono un intervento da parte del magistrato, ma solo nel caso in cui questi debba revocare il provvedimento, o quando ci si rivolge a lui perché il Consiglio dell'Ordine ha respinto la domanda di ammissione.

Con questa statuizione del legislatore, è come se la decisione di ammissione al patrocinio fosse definitiva e che quindi più che di natura amministrativa dell'atto (quale è in realtà), si dovrebbe parlare di natura giuridica, con la conseguenza che i vari Consigli dell'Ordine si trasformano in giudici speciali, in violazione dell'art. 102, comma 2 della Costituzione (128).

Infine, potrebbero sorgere dubbi di legittimità costituzionale, nella parte in cui il t.u. prevede che, chi sia ammesso al patrocinio di cui si parla, ha la possibilità di decidere lui stesso quale difensore nominare, ma a condizione che il nominativo di questi sia inserito tra gli iscritti agli appositi elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, istituiti presso i Consigli dell'Ordine (129). A questo proposito anche Scarselli fa un'osservazione:

Resta infatti da vedere, con riferimento ad essi, se limitare la parte nel suo diritto alla scelta del difensore possa comportare o meno violazione dell'art. 24 della Costituzione, poiché infatti, se gli elenchi non vi fossero, le parti potrebbero liberamente scegliere il difensore, fra tutti gli avvocati iscritti ad un determinato albo, mentre poiché gli elenchi vi sono, la scelta non può che cadere su un avvocato che il Consiglio dell'Ordine ha ritenuto idoneo all'iscrizione (130).

Il d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (ovvero t.u. in materia di spese di giustizia), è ancora giovane e le pecche di cui è stato accusato, potranno essere eliminate qualora il legislatore avrà modo di correggere tutti i profili di incostituzionalità; soprattutto quando la sua applicazione sarà consolidata e i giudici attraverso la loro attività, vorranno denunciare alla Corte Costituzionale le questioni di illegittimità di questa legge.

A questo punto però quello che viene spontaneo chiedersi, è se, oltre ai giudici, anche i Consigli dell'Ordine, ai quali è stata affidata gran parte dell'attuazione di questa nuova norma, possono in quanto organi amministrativi e non giuridici, lagnarsi davanti alla Corte Costituzionale nel caso in cui ritengono che una certa disposizione sia viziata per contrasto con la Costituzione. Questi, dovrebbero applicare lo stesso la norma oppure potrebbero correggerla per uniformarla ai principi costituzionali? La risposta al quesito ancora non l'abbiamo, ma si attendono interventi della Corte Costituzionale che chiariscano questo punto e diano degli orientamenti in proposito.

Ora, non resta altro che fare un'osservazione: bisogna riconoscere al legislatore il merito di aver attuato per la prima volta il compito che la Repubblica si era dato fin dal 1948 con l'art. 24 terzo comma della Costituzione, egli infatti ha fatto venire meno quel vecchio istituto del cosiddetto «gratuito patrocinio» di cui al R.D. n. 3282, che di certo non assicurava alle classi sociali più deboli una sufficiente tutela giurisdizionale dei diritti.

Il merito di ciò, prima che al t.u. si deve dare, come abbiamo detto, alla legge n. 134 del 2001, la quale con l'art. 13, introduceva per la prima volta in Italia, anche per ogni giudizio civile e amministrativo, il patrocinio a spese dello Stato per la difesa dei cittadini non abbienti «quando le ragioni del non abbiente, risultino non manifestamente infondate» (131), e con l'art. 23 abrogava dalla data del 1º luglio 2002 tutti gli altri testi di legge esistenti in materia. Tale legge poi è trasfusa, con talune modificazioni, nel testo unico sulle spese di giustizia.

Ancora un'ultima considerazione, c'è da fare, sulle possibilità che lo Stato avrebbe avuto per assicurare a tutti l'accesso alla tutela giurisdizionale e il motivo per cui il nostro legislatore ha scelto il 'patrocinio a spese dello Stato' e non altri istituti.

Potevano esserci tre modi diversi:

  1. L'istituzione di un'avvocatura statale così com'era stata istituita da Urbano Rattazzi a seguito dell'unità d'Italia (132). Con questo metodo l'assistenza alle classi sociali più deboli, viene realizzato mettendo loro a disposizione un ufficio pubblico, costituito da professionisti abilitati all'esercizio della professione forense ma, retribuiti dallo Stato. Questa soluzione, assomiglia molto a quella già esistente nell'ambito dell'assistenza giudiziale dello Stato, degli enti pubblici locali e degli istituti delle grandi imprese a partecipazione statale: pensiamo all'avvocatura dello Stato, agli avvocati delle regioni, agli avvocati dell'INPS, ecc. Sono questi dei professionisti iscritti in albi speciali che pur non facendo parte del libero foro, sono avvocati a tutti gli effetti. E dunque, "così come lo Stato stipendia la propria avvocatura allo stesso modo potrebbe istituire e retribuire taluni avvocati facenti parte di un ufficio pubblico denominato Avvocatura delle classi meno abbienti (o Avvocatura della Repubblica o dei poveri), con il quale attuare il dovere che si è assunto in forza dell'art. 24, comma 3º Costituzione" (133).
  2. La creazione di un sistema di 'gratuito patrocinio'. Con questo sistema, come sappiamo, lo Stato provvede, da una parte ad imporre ad un avvocato del libero foro di assistere gratuitamente la parte debole ammessa al patrocinio, e dall'altra ad evitare altresì al soggetto non abbiente l'anticipazione dei tributi giudiziari (134).
  3. Un ultimo sistema è quello del 'patrocinio a spese dello Stato' che, potrebbe essere considerato come una forma intermedia rispetto a quelle viste sub 1) e 2). Con tale tecnica infatti, lo Stato, da una parte provvede a retribuire l'avvocato che assiste la parte non abbiente (pagandolo come un libero professionista e non come un proprio dipendente), ma, la parte non abbiente è libera di scegliere l'avvocato tra quelli del libero foro, senza l'istituzione di un apposito ufficio pubblico di avvocatura.

Sebbene, l'istituzione di un'avvocatura dei poveri, fu, più volte proposta nel corso degli anni passati e sostenuta da validi giuristi (tra cui Cipriani, Scarselli, ancor prima Chiovenda, e numerosi altri), essa non è stata accolta né dal legislatore della legge n. 134/2001, né dalle ultime modifiche avutesi con il t.u. del 2002, il quale per superare le precedenti lacune e i profili di incostituzionalità delle vecchie leggi, ha scelto, appunto, la terza soluzione: 'il patrocinio a spese dello Stato'.

La scelta, probabilmente è dovuta anche dall'esempio che il nostro legislatore ha tratto dalle esperienze straniere, ma soprattutto dall'esigenza di venire incontro alle aspettative delle parti coinvolte quali: lo Stato da una parte e i poveri e la classe forense dall'altra (135).

L'esigenza delle classi sociali più deboli è di sicuro quella di ottenere, a condizioni di parità, l'accesso alla giustizia e alla tutela giurisdizionale. Vi è poi l'esigenza dello Stato di contenere la spesa pubblica e che impone di adottare la tecnica meno onerosa, e infine, c'è l'aspettativa della classe forense, che non vuole vedersi ridurre le prospettive di lavoro e soprattutto esige che lo svolgimento di ogni attività di tipo legale venga sempre e comunque retribuita (136).

Probabilmente, a causa di queste esigenze, il legislatore attuale ha ritenuto opportuno di inserire nel nostro ordinamento il sistema del patrocinio a spese dello Stato che andremo ad esaminare.

2.4.2. Disciplina generale del nuovo patrocinio a spese dello Stato applicabile a tutti i modelli processuali

Il nuovo patrocinio a spese dello Stato, è assicurato nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria, con una novità rispetto alla legge n. 217 che escludeva da tale beneficio l'indagato e il condannato (137).

Inoltre, come già abbiamo evidenziato, il patrocinio a spese dello Stato è esteso ai processi civili, amministrativi, contabili e tributari, quando il cittadino non abbiente, dimostra delle ragioni non manifestamente infondate (138).

L'art. 74 del t.u., specifica l'ambito temporale di validità dell'ammissione al patrocinio, statuendo che esso è valido per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali comunque connesse.

L'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ottenuta per promuovere un processo di cognizione, si estende anche, in quanto compatibile, alla fase esecutiva, al processo di revisione, ai processi di revocazione ed opposizione di terzo, nonché ai procedimenti relativi all'applicazione di misure di sicurezza, di prevenzione e ai procedimenti di competenza del Tribunale di sorveglianza, sempre che l'interessato debba o possa essere assistito da un difensore o da un consulente tecnico (139). La possibilità di ottenere il patrocinio per il procedimento di opposizione di terzo (ordinaria e revocatoria) nei giudizi civili, è anch'essa una novità del t.u. in quanto, la legge n. 134/2001 non lo prevedeva esplicitamente. Il legislatore, ha ritenuta opportuna l'esplicita previsione per evitare gli equivoci che potevano essere ingenerati dalla presenza nell'art. 15 octiesdecies della legge n. 217 come modificata dalla legge n. 134, del solo procedimento di revocazione, considerando che come questo, anche le opposizioni di terzo sono mezzi di impugnazione (140).

Una delle novità di maggiore rilievo, è rappresentata dal requisito reddituale richiesto per ottenere il beneficio e valido per tutti i tipi di processo. L'art. 76 t.u. infatti stabilisce che «può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22».

La soluzione immaginata dal legislatore è molto semplice e non lascia spazio a dubbi: chi possiede un reddito inferiore alla cifra indicata nell'articolo appena menzionato, si può ritenere persona non abbiente, altrimenti se ha un reddito superiore sarà considerato soggetto abbiente e non potrà sperare di ottenere alcun beneficio da parte dello Stato (141).

La novità come sappiamo, riguarda soprattutto i processi civili e amministrativi, in quanto per i processi penali già la legge n. 217/90 conteneva il requisito del reddito per valutare l'esistenza dello stato di povertà.

Bisogna constatare, ancora una volta, che, l'aver confinato il concetto di povertà entro stretti limiti oggettivi, ha fatto scaturire numerose critiche da parte di quella dottrina che è favorevole invece ad un concetto relativo di non abbienza (142). A questo proposito, si potrebbe addirittura rimpiangere il modo con cui è stato valutato il concetto di «stato di povertà» da parte del legislatore del 1923. Per quel sistema infatti erano non abbienti tutte quelle persone «non in grado di sopperire alle spese della lite». A parità di redditi, era possibile che taluno venisse ammesso al gratuito patrocinio mentre altri no, e ciò poteva dipendere da vari motivi, tra cui influiva di sicuro anche il costo della futura lite e non solo il reddito della persona che chiedeva l'ammissione al beneficio.

Il costo della lite invece, non viene preso assolutamente in considerazione dal t.u. che in questo senso, ha continuato a seguire l'impronta della legge n. 134/2001. Il t.u. prende in considerazione solamente la capacità economica della parte che aspira ad ottenere il patrocinio a spese dello Stato, senza considerare affatto che i costi processuali potrebbero essere sensibilmente diversi a seconda dei processi da instaurare (143).

Scarselli, si inserisce in quella parte di dottrina che ha fortemente criticato la scelta del legislatore attuale che, ha voluto inquadrare il concetto di povertà in modo così rigido, da non consentire nessuna alternativa, soprattutto nel campo civilistico che, diversamente dal penale possiede una miriade di procedimenti diversissimi tra loro per durata e costi. A questo proposito Scarselli constata che:

Il parametro del reddito, in sostanza ci dice, che la parte che non può sopportare le spese di un certo giudizio non può sopportare le spese di nessun altro giudizio (o quella che sia in grado di sostenere le spese di un certo procedimento è in grado di sostenere di tutte le spese di tutti i procedimenti); ma è ovvio che non è così, poiché una cosa è spendere (ad esempio) euro 250,00 per un'istanza al giudice tutelare, altra cosa è spendere (sempre ad esempio) euro 25.000,00 per un complesso processo che arrivi fino in Cassazione.

Egualmente, la fissazione di uno stato di non abbienza in una misura oggettivo-numerica rischia altresì di creare delle incongruenze ove si abbia presente che lo stesso reddito, date certe varianti, può determinare un livello più alto o più basso di benessere. Ad esempio, il potere di acquisto della moneta non è uguale su tutto il territorio nazionale; lo stesso denaro non produce la stessa ricchezza a chi abbia la casa di proprietà e chi invece debba pagare un canone di locazione o ancora il mutuo del suo acquisto; a chi non abbia figli e chi invece ne abbia in numero consistente; a chi sia sano e chi invece sia malato ecc... E d'altronde, per valutare la opinabilità della scelta operata dal legislatore con l'art. 76 t.u. basta verificare la tenuta dei primi due commi dell'art 76 t.u. in relazione ad un esempio quale il seguente: la persone che vive da sola ed abbia un reddito annuo di euro 9.200,00, può aspirare ad ottenere il beneficio del patrocinio a spese dello Stato, mentre quella che abbia a carico moglie e tre figli e viva con un reddito annuo di euro 9.400,00 non può al contrario ottenere alcun beneficio. Ma, è fin troppo ovvio che in termini di benessere la qualità della vita della persona che viva sola con un reddito inferiore ad euro 200,00 annue è più abbiente di quella che con euro 200,00 in più deve mantenere moglie e tre figli (144).

Ci si rende conto, dopo queste considerazioni, che questo limite reddituale è inadeguato per assicurare un'effettività dell'istituto, si spera se non altro che il legislatore, voglia almeno innalzare il tetto in maniera da consentire l'accesso al beneficio ad un novero più ampio di soggetti, tenuto conto che, allo stato, il limite di cui sopra corrisponde ad una retribuzione media mensile di euro 775,00 che, si situa ai livelli minimi di sussistenza di una persona, per non riferirsi ad un nucleo famigliare monoreddito anche di ridotte condizioni (145).

Inoltre, circa il requisito della non abbienza da valutarsi alla stregua del reddito, è da evidenziare che nessuna indagine circa le cause della non abbienza può essere compiuta rispetto alla parte che chiede di essere ammessa al patrocinio, stante il diritto costituzionale di agire e difendersi in giudizio ex art. 24 Costituzione; di conseguenza è irrilevante che la parte abbia capacità economica sufficiente per sopportare le spese del giudizio per ragioni di disoccupazione involontaria o invece per cause attribuibili al suo rifiuto di svolgere un'attività lavorativa (146).

L'art. 76 del t.u. va letto in concomitanza con l'art. 77 t.u. il quale recita: «I limiti di reddito sono adeguati ogni due anni in relazione alla variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatisi nel biennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze».

Per ottenere il patrocinio a spese dello Stato, il primo passo da compiere è la presentazione di un'istanza, a condizione naturalmente che ci si ritrovi in uno stato di non abbienza come descritto dall'art. 76 t.u.

L'istanza, dev'essere sottoscritta dall'interessato a pena d'inammissibilità e la sottoscrizione dev'essere autenticata dal difensore (147). L'atto scritto che contiene la richiesta di ammissione al beneficio va presentato al magistrato innanzi al quale pende il processo se riguarda un processo penale, altrimenti al consiglio dell'ordine degli avvocati dove ha sede il giudice competente a conoscere del merito.

L'art. 78, chiarisce che l'istanza può essere presentata in qualsiasi stato e grado del processo, dunque non solo per la prima volta in appello, oppure in Cassazione o addirittura in fase di rinvio, ma può essere anche esibita per la prima volta in corso di causa e non necessariamente antecausam. Naturalmente nei casi in cui si presenti l'istanza in corso di causa o in un grado di giudizio diverso dal primo, non vi sarà efficacia retroattiva, ma gli effetti del patrocinio assistito decorreranno solo dal giorno dell'accoglimento dell'istanza, tranne che in particolari casi di urgenza (come avviene ad esempio nei procedimenti amministrativi), in cui c'è la necessità di compiere atti indilazionabili e il patrocinio può essere assegnato in via anticipata (148).

L'art. 78 t.u. parla inoltre della possibilità che la sottoscrizione dell'istante possa essere autenticata secondo le modalità di cui all'art. 38, comma 3, del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, disposizione che prevede due diversi modi di procedere all'autentica: a) o attraverso la sottoscrizione dell'interessato in presenza del dipendente addetto; b) ovvero attraverso la trasmissione di una scrittura privata con sottoscrizione non autenticata se, tale atto è presentato unitamente a copia fotostatica anche non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore.

Il dettato dell'art. 79 t.u., completa quello dell'art. 78 t.u. indicando gli elementi essenziali ed indispensabili che l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve contenere a pena d'inammissibilità. Essa, dice la norma, è redatta in carta semplice. Ciò significa che non c'è alcuna imposta di bollo e che, anche tutto l'intero procedimento amministrativo consequenziale deve essere completamente gratuito per la parte che aspiri ad ottenere il riconoscimento dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Né il difensore, né il consiglio dell'ordine, hanno il diritto di percepire alcun compenso in questa fase, salvo poi per il difensore, la possibilità di chiedere, una volta ammessa la parte al beneficio, che tali diritti siano anticipati dall'erario.

L'art. 79 t.u. specifica quale dev'essere il contenuto dell'istanza con riguardo al solo stato di povertà, essendo caratteristica comune tanto al patrocinio nel processo penale, quanto al patrocinio nei processi civili ed amministrativi, ma sappiamo bene che nei processi diversi da quelli penali l'istanza deve contenere ulteriori elementi atti a dar prova che «le ragioni del non abbiente risultino non manifestamente infondate». Per quest'ultimo aspetto si rinvia alla disciplina specifica.

La lettera a) dell'art. 79 t.u., richiede che l'istanza debba contenere, la richiesta di ammissione al patrocinio e l'indicazione del processo a cui si riferisce, se già pendente; alla lettera b) si legge che la parte deve indicare le proprie generalità e quelle della sua famiglia quale nucleo stabile di convivenza; alla lettera c) si prevede invece che l'interessato, con propria autocertificazione, faccia emergere il proprio reddito e quello dei familiari conviventi allo scopo di consentire all'autorità che procede di poter riscontrare o meno, lo stato di non abbienza per come sancito dall'art. 76 t.u.

L'interessato che dolosamente omette di dare notizia della presenza di un convivente, commetterà il reato di cui agli artt. 95 e 125 t.u. e verrà di conseguenza punito con la reclusione da 1 a 5 anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1549,37, «la pena è aumentata se dal fatto consegue l'ottenimento o il mantenimento dell'ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato» (149). Affinché queste sanzioni vengano applicate, il reddito del convivente cumulato a quello dell'istante, deve essere in grado di mutare in modo rilevante il reddito del nucleo stabile di convivenza della parte istante, in caso contrario si avrà una violazione solo della lettera b), non punibile con pene così severe.

Infine, la lettera d) si limita a riprodurre quanto già prevedeva la legge n. 217/90 così come modificata dalla legge 134/01, ovvero che il soggetto dovrà impegnarsi «a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell'anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell'istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione» (150).

La lettura della lettera d) crea qualche problema nello stabilire con precisione in che cosa consista l'impegno del soggetto e quali sono le comunicazioni che egli potrebbe anche omettere di fare. Una possibile interpretazione potrebbe essere quella fornitaci da Scarselli, il quale, asserisce che non tutte le possibili variazioni di reddito andrebbero comunicate, ma solo quelle rilevanti ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, come la stessa norma lascerebbe intendere. Sembrerebbe quindi che, se il soggetto passasse da un reddito annuo di euro 8.000,00 ad altro di euro 13.000,00 dovrebbe darne comunicazione, ma se il suo reddito mutasse oscillando da euro 6.000,00 a euro 7.000,00 la notizia non dovrebbe essere riferita alla competente autorità, in quanto il soggetto si ritrova ancora in quella soglia reddituale per cui ha diritto al patrocinio a spese dello Stato (151).

Tale interpretazione non combacia affatto con quanto dichiarato dalla Corte di Cassazione in una sua recente sentenza in cui ha statuito che «in tema di ammissione al gratuito patrocinio, l'interessato è tenuto a comunicare nel termine prescritto le eventuali variazioni dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente, indipendentemente dalla circostanza che le dette variazioni reddituali superino il tetto massimo previsto dalla legge, e quindi indipendentemente dalla entità della variazione dei limiti di reddito, in quanto la valutazione della rilevanza della variazione compete al giudice escludendosi qualsivoglia discrezionalità da parte del soggetto beneficiario» (152).

Scarselli, preferisce un'interpretazione letterale della norma in questo caso, e perciò non può in nessun modo concordare con l'operazione ermeneutica svolta dalla Corte e inoltre egli sostiene, che ci sono alcune categorie di soggetti il cui reddito varia di anno in anno e spesse volte in modo lieve, tanto che aderire all'orientamento della Cassazione sopra esposto, significherebbe imporre alla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato di comunicare ogni anno il proprio nuovo reddito agli uffici addetti. «Se questa fosse stata la scelta, il legislatore l'avrebbe senz'altro precisata» (153).

All'istanza non va allegato nessun documento, e ciò si deduce dal terzo comma dell'art. 79, il quale stabilisce che «Gli interessati, se il giudice procedente o il consiglio dell'ordine degli avvocati competente a provvedere in via anticipata, lo richiedono, sono tenuti, a pena d'inammissibilità dell'istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto in esso indicato».

Infine, si hanno disposizioni particolari per i soggetti stranieri. Innanzitutto, il t.u. ha modificato il concetto di 'straniero' sostituendolo con 'cittadino di Stato non appartenente all'Unione europea', quindi, la disciplina particolare prevista per gli stranieri, riguarda soltanto gli extracomunitari, non potendosi riferire ai cittadini di paesi appartenenti all'Unione europea in quanto questi sono equiparati nella materia ai cittadini italiani.

Nei processi civili e amministrativi sono ammessi al patrocinio a spese dello Stato, soltanto i cittadini extracomunitari «regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale», mentre questa previsione non è valida per i processi penali. Bisogna inoltre tenere conto di una differenza, infatti: se i redditi del cittadino extracomunitario sono prodotti in Italia, il soggetto viene paragonato a tutti gli effetti ad un cittadino italiano; se invece il cittadino straniero ha prodotto redditi all'estero, deve corredare l'istanza con una certificazione dell'autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato (154).

Nelle disposizioni generali sul patrocinio a spese dello Stato, al capo IV si legge la disciplina relativa ai difensori, agli ausiliari del magistrato e ai consulenti tecnici di parte.

La regola principale è che, chi è ammesso al patrocinio può nominare un difensore, soltanto se scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, istituiti presso i Consigli dell'Ordine (155). È pacifico quindi, che la parte ammessa al beneficio può scegliersi liberamente un difensore, ma in ogni caso la scelta deve cadere su un avvocato iscritto nello speciale elenco tenuto presso il consiglio dell'ordine «del distretto di Corte d'Appello nel quale ha sede il magistrato competente a conoscere del merito o il magistrato davanti al quale pende il processo» (156).

Per quanto riguarda gli elenchi degli avvocati abilitati al patrocinio a spese dello Stato, l'art. 17 della legge 134/2001, lasciava intuire che ogni Consiglio dell'Ordine presso i vari tribunali dovesse formare tale elenco, mentre la norma in commento è chiara nel prevedere che solo presso le Corti d'Appello devono istituirsi tali elenchi, che mancheranno di conseguenza presso gli altri consigli circoscrizionali.

Però, secondo quanto si legge nella circolare del C.N.F.:

Ciò non significa, tuttavia, che alla formazione dell'elenco non debbano concorrere i Consigli dell'Ordine circondariale. Questi soli, infatti, curando la tenuta degli albi ed essendo i titolari dell'esercizio dell'azione disciplinare sui loro iscritti, sono in grado di concretamente valutare la sussistenza, o meno, dei requisiti necessari per l'inserimento nell'elenco degli avvocati iscritti negli albi da loro tenuti; tale indicazione presuppone, in ragione della natura dell'organo, l'assunzione di apposita delibera. Sarà poi, il Consiglio dell'Ordine che ha sede nel distretto di Corte d'Appello a istituire l'elenco, facendo proprie le designazioni provenienti dai Consigli dell'Ordine circondariali.

Parimenti, i Consigli dell'Ordine circondariali dovranno comunicare tempestivamente al Consiglio dell'Ordine distrettuale il verificarsi di qualsiasi circostanza che possa importare la revoca dell'inserimento nell'elenco di un avvocato che sia iscritto nell'albo da loro tenuto, fermo restando, poi, che sarà il Consiglio dell'Ordine distrettuale a disporre formalmente la revoca dell'inserimento nell'elenco (art. 81 t.u.) (157).

Da quanto è stato sostenuto dal C.N.F., appare evidente come sia necessaria una stretta e tempestiva collaborazione tra i Consigli dell'Ordine compresi nello stesso distretto di Corte d'Appello, ai fini della formazione e della tenuta dell'elenco di cui si parla.

Dobbiamo constatare che, il t.u., come peraltro già la legge 134/01, assegna agli Ordini un ruolo centrale nel procedimento di ammissione al gratuito patrocinio. Le significative ed al tempo stesso delicate funzioni di cui sono stati investiti gli ordini -quali la formazione degli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, la decisione sulla provvisoria ed anticipata ammissione al beneficio, la formulazione del parere ai fini della liquidazione degli onorari e delle spese dovuti al difensore, l'organizzazione del servizio di consulenza e informazione per l'accesso al beneficio- ne accentuano il carattere pubblicistico, pur nel rispetto del fondamentale principio di autonomia (158).

"È questo un inequivocabile segnale di valorizzazione e responsabilizzazione del ceto forense" (159), da parte della legge in questione, grazie al quale il rapporto che viene ad instaurarsi tra Stato e difensore del non abbiente è cambiato profondamente. Sappiamo infatti, che nel sistema precedente, lo Stato aveva una visione piuttosto autoritaria del gratuito patrocinio e nutriva inoltre una forte sfiducia nella classe forense. Come già abbiamo appreso, ad esempio, nel R.D. n. 3282, l'avvocato, non solo prestava la sua opera gratuitamente, ma in più era sottoposto al continuo controllo del potere pubblico (160).

Con la nuova legge, al contrario il rapporto tra Stato e difensore muta completamente: in materia civile per esempio, non sono più quelle famose 'commissioni' ad ammettere, in modo del tutto discrezionale, la parte al beneficio, ma come già detto gli stessi Consigli degli Ordini degli avvocati (161), e in materia penale il magistrato competente; la parte una volta ammessa al beneficio sarà lei stessa a scegliere il difensore di sua fiducia e non sarà più, né un'apposita commissione pubblica, né il magistrato che procede; inoltre nel t.u. mancano disposizioni che vietano al professionista di rifiutare il mandato (prima lo poteva fare solo per gravi e giustificati motivi), egli anzi è libero, anche nei confronti del non abbiente, di comportarsi come se avesse davanti un qualsiasi altro cliente; inoltre nessuna norma del t.u. attribuisce il potere ad una pubblica autorità di applicare sanzioni, ma saranno gli stessi Consigli dell'Ordine a stabilire, ed eventualmente comminare una sanzione, se uno dei difensori iscritti nell'elenco ha commesso un illecito deontologico (162).

Nel t.u., il legislatore ha voluto attribuire un ruolo fondamentale agli apparati istituzionali dell'avvocatura, l'avvocato scelto per difendere una parte non abbiente recepisce una retribuzione da parte dello Stato ma, non soggiace più ad alcun pubblico controllo, e deve solo, come nelle altre circostanze rispettare quel dovere di lealtà e probità nei confronti del suo cliente e il codice deontologico e sottostare al potere disciplinare dei Consigli degli Ordini (163).

Appare, pertanto, auspicabile che gli ordini adempiano alle nuove funzioni con particolare cura e sollecitudine, ricambiando in tal modo, la fiducia del legislatore, nell'auspicio di vedere sempre più accresciuto un ruolo centrale nella funzione di coordinamento tra l'ordinamento professionale e quello giudiziario, diretta a favorire un'esplicazione della funzione giurisdizionale che, al tempo stesso, sia rispettosa e dia attuazione ai principi costituzionali (164).

L'art. 81 del t.u., individua i requisiti che, gli avvocati che dovranno assistere la persona non abbiente, devono possedere per l'inserimento nell'elenco speciale. Il Consiglio dell'Ordine, dovrà formare detto elenco, inserendovi soltanto gli avvocati che ne abbiano fatto domanda e che siano in possesso delle qualità individuate dall'art. 81, comma 2, del testo unico, e cioè:

  1. attitudini ed esperienza professionale;
  2. assenza di sanzioni disciplinari;
  3. anzianità professionale non inferiore a sei anni.

Il requisito previsto dalla lettera c) deve ritenersi soddisfatto quando ricorrano i presupposti di cui alle lettere b) e c); esso va quindi, utilizzato come criterio di interpretazione degli altri due presupposti. Infatti una diversa interpretazione della norma attribuirebbe al Consiglio dell'Ordine un potere meramente discrezionale e di difficile controllo, che, se non rettamente e rigorosamente esercitato, potrebbe essere fonte di comportamenti ingiustificatamente discriminatori (165).

Con riferimento alla considerazione appena fatta, bisogna ritenere, quanto al requisito di cui alla lettera b), che il Consiglio dell'Ordine può includere nell'elenco, l'avvocato che non abbia subito alcun tipo di sanzione disciplinare, nemmeno lieve, ovvero nemmeno di quelle che non influiscono sull'esercizio della professione (come ad esempio, l'ammonimento e la censura che non priverebbero il difensore di esercitare la professione, mentre comportano ciò quelle più gravi che sono la radiazione e la sospensione). A conferma di ciò, interviene il comma 3 dell'art. 81 t.u., il quale dispone la revoca dell'inserimento nell'elenco se intervenga una sanzione disciplinare, senza alcun scrimine fra tipo, natura ed effetti delle sanzioni (166).

L'estremo rigore della disciplina dettata dalla norma non è parsa condivisibile dai più: in particolar modo dal C.N.F., ma, anche dalla dottrina maggioritaria, tra cui Scarselli (167). "Il dettato di questa norma, appare in contrasto con i principi generali dell'ordinamento che attribuiscono alla sanzione una funzione rieducativa e non meramente repressiva" (168). Si reputa perciò opportuno, che il legislatore, intervenga mediante l'individuazione di un correttivo, che autorizzi, in presenza di determinati presupposti, la riammissione nell'elenco, perlomeno del professionista colpito da una sanzione disciplinare lieve.

Quanto poi al requisito della lettera c), si deve ritenere che il periodo prescritto di sei anni di anzianità professionale debba essere conteggiato a decorrere dall'iscrizione all'albo (169). A tal riguardo, nelle osservazioni al t.u. da parte del C.N.F. si legge che:

Si deve osservare come la pratica professionale svolta dal patrocinatore non può considerarsi completa e, non può essere garanzia di attitudine ed esperienza professionale, sia perché il praticante non può difendere davanti a tutte le giurisdizioni, sia perché il praticante può difendere solo in cause di valore limitato e di minore importanza, così come previsto dall'art. 7 della legge 479/99 (170).

La scelta del legislatore di cui alla lettera c) dell'art. 81, comma 2 t.u., non appare convincente se confrontata con una materia analoga riguardante la difesa d'ufficio nel processo penale e in particolare con la nuova disciplina di questa istituita con legge n. 60 del 2001. Sappiamo che il giudice nei processi penali, qualora l'imputato non sia munito di un difensore di fiducia, provvede a nominarne uno d'ufficio. Anche in questo caso, i difensori scelti, sono tra quelli iscritti in un apposito elenco ma l'anzianità richiesta non è di sei anni, bensì, si richiede di dimostrare «di aver esercitato l'azione in sede penale per almeno due anni mediante la produzione di idonea documentazione» (171).

Potrebbero a questo proposito, sorgere dubbi di legittimità costituzionale in relazione al principio d'uguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione. Questa disparità di trattamento, crea secondo Scarselli un evidente problema. Egli, infatti sostiene questa tesi:

Mentre all'indagato o all'imputato che abbia capacità economica è possibile nominare un difensore d'ufficio tra quelli inseriti nell'elenco di cui all'art. 7 della legge n. 60/01, all'indagato o all'imputato non abbiente il giudice dovrebbe solo: -o nominare un difensore che sia iscritto tanto nell'elenco dei difensori d'ufficio quanto in quello degli avvocati abilitati al patrocinio a spese dello Stato, così di fatto escludendo la nomina a difensore d'ufficio a tutti quei legali che, ancorché iscritti nell'elenco di cui all'art. 7, legge n. 60/01, non sono iscritti nell'elenco di cui all'art 81 t.u.- oppure nominare un difensore d'ufficio anche non iscritto nell'elenco degli avvocati abilitati al patrocinio a spese dello Stato ma con la prospettiva che questi non riceva mai alcun compenso per l'attività professionale che andrà a svolgere (172).

La stessa considerazione è stata fatta da altri studiosi della materia che hanno fortemente criticato la norma (173).

Anche il tribunale dei minorenni di Catania, ha avuto di che lamentarsi su queste previsioni già presenti nella legge n. 217 come modificata dalla legge n. 134/01 e, con ordinanza 22 giugno 2001, solleva questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte Costituzionale. La Corte, però, ha dichiarato con ordinanza, «manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17 bis della legge 30 luglio 1990, n. 217, con riferimento agli artt. 3, 24 comma 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede che l'imputato, istante per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, possa nominare il proprio difensore solo nell'ambito di uno speciale elenco» (174).

La Corte, ha giustificato la sua decisione, basandola sull'assunto che «La previsione di uno speciale elenco nell'ambito del quale l'imputato istante per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, possa nominare il proprio difensore, risulta ragionevolmente orientata ad assicurare la migliore qualità professionale della prestazione medesima, attraverso una selezione dei patrocinatori garantita tanto dall'attitudine ed esperienza maturate in ragione di una sperimentata anzianità professionale, quanto da correttezza deontologica, comprovata dall'assenza di sanzioni disciplinari: requisiti la cui disamina è rimessa al Consiglio dell'Ordine degli avvocati», considerato peraltro, che tale meccanismo «rivela piuttosto l'esigenza di particolare dignità e qualità che, nella prospettiva del legislatore, deve permeare l'esercizio di una prestazione avente connotazioni e riflessi particolari di carattere pubblicistico, connessi alla natura del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, in relazione al quale, per un verso, vengono impiegate risorse economiche della collettività e la cui necessità, sotto altro profilo origina da una situazione economica del singolo» (175).

IL C.N.F., pur ammettendo che l'interpretazione data all'art. 81 t.u., è di tipo restrittivo, è d'accordo con il parere della Corte, ed asserisce che la norma in questo caso, deve sottrarsi a qualsiasi censura di costituzionalità (176).

Nonostante che, l'intero sistema del patrocinio a spese dello Stato, come elaborato dalla legge n. 217 con le modificazioni di cui alla legge n. 134, sia stato abrogato dall'art. 299 del t.u. e riciclato con profondi mutamenti nella parte III del t.u., possiamo osservare che una norma almeno della legge 134/01 si è salvata, essendo stata ripescata dall'art. 87 del t.u. il quale dispone che «Il servizio al pubblico per il patrocinio a spese dello Stato, è disciplinato dall'art. 20, della legge 29 marzo 2001, n. 134».

In base a tale norma presso il Consiglio dell'Ordine degli avvocati è istituito, con addetti anche avvocati designati dal Consiglio, un servizio di informazione e consulenza per l'accesso al patrocinio a spese dello Stato e sulla difesa d'ufficio. Il servizio, fornisce al pubblico ex comma 2 dell'art. 20 legge n. 134, dati necessari per conoscere:

  1. i costi dei procedimenti giudiziali, con riguardo alle spese e alle eventuali imposte, nonché i requisiti, le modalità e gli obblighi per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
  2. i presupposti, le modalità e gli obblighi per la nomina del difensore d'ufficio.

Inoltre, al comma 3 si legge che, a richiesta, il servizio fornisce a chiunque si trovi in una situazione di conflitto potenzialmente produttiva di una controversia civile, penale e amministrativa, le informazioni di cui al comma 2, specificate con riferimento al problema prospettato, ai fini della valutazione dell'opportunità della instaurazione di o della costituzione in giudizio ovvero, della sperimentazione di un metodo di risoluzione alternativa del conflitto. Tutto da determinare ancora tuttavia per ciò che concerne il contributo, da porre a carico degli utenti, per le spese del servizio di cui al comma 3, in misura tale da assicurare la più ampia possibilità di accesso e per le convenzioni con enti pubblici e privati, che diano la propria disponibilità a concorrere a titolo gratuito all'espletamento del servizio (177).

Va, peraltro, rilevato che il 'servizio di informazione e consulenza' non ha il compito di formulare un giudizio circa la sussistenza nel caso concreto dei presupposti di ammissione al gratuito patrocinio e, cioè, la non manifesta infondatezza della domanda da proporre, né quello di fornire agli utenti pareri legali circa la pretesa che questi intendono fare valere ovvero di esprimere giudizi sul possibile esito di un processo che questi ritengano di instaurare. "Non si può, quindi, affermare che detti servizi integrino un'attività di consulenza legale, né, più in generale funzioni proprie a quelle esercitate dagli avvocati". "Ed invero, compito precipuo del 'servizio di informazione e consulenza' è, come del resto si evince dalla loro stesse denominazione, di fornire ai cittadini tutti quei dati, che consentano loro di effettuare una scelta consapevole circa l'opportunità e la convenienza a far valere in via giudiziale o stragiudiziale le loro pretese" (178).

Per completare queste disposizioni generali, non resta che considerare gli onorari spettanti ai difensori, agli ausiliari del magistrato e al consulente tecnico per l'opera da loro prestata.

L'art. 82 del t.u., disciplina l'onorario e le spese del difensore riprendendo le norme originarie (legge n. 217), quindi queste «sono liquidate dall'autorità giudiziale con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, e previo parere del consiglio dell'ordine, tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della difesa» (179). Inoltre, «Nel caso in cui il difensore nominato dall'interessato sia iscritto in un elenco degli avvocati di un distretto di corte d'appello diverso da quello in cui ha sede il magistrato competente a conoscere del merito o il magistrato davanti al quale pende il processo, non sono dovute le indennità di trasferta previste dalla tariffa professionale». «Il decreto di pagamento è comunicato al difensore e alle parti, compreso il pubblico ministero» (180).

L'art. 83 t.u. detta invece norme in ordine alla determinazione dell'onorario e delle spese da liquidare al consulente tecnico di parte e agli ausiliari del magistrato e riprende quanto previsto dalla legge n. 217 come modificata dalla legge n. 134. Per ausiliari e consulenti tecnici di parte non è previsto il limite massimo perché la norma originaria (art. 12, co. 1, legge n. 217) lo riferisce solo agli avvocati. Infatti il limite dei valori medi delle tariffe professionali relative ad onorari, diritti e indennità riguarda le tariffe professionali degli avvocati e non gli onorari di ausiliari e consulenti, determinati invece, sulla base delle tabelle ex legge n. 319/1980, ora incorporata nel testo unico (181).

«Avverso il decreto di pagamento del compenso al difensore, all'ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte, è ammessa opposizione ai sensi dell'articolo 170» (182).

L'art. 86 del t.u., prevede il diritto da parte dello Stato di recuperare in danno dell'interessato le somme eventualmente pagate successivamente alla revoca del provvedimento di ammissione al beneficio.

Infine, si prevede che nei programmi annuali di controllo della Guardia di finanza sono inclusi anche i controlli dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato, individuati sulla base di criteri selettivi, anche tramite indagini bancarie e presso gli intermediari finanziari (183). Tale previsione era originariamente inserita solo per il civile, nell'art. 15 decies, comma 5, della legge n. 217, come modificata dalla legge n. 134. Ora questa norma è diretta alla Guardia di finanza, indipendentemente dal tipo di processo. Tra l'altro, nelle due procedure di ammissione, seppure diversi per altri profili, la Guardia di finanza svolge lo stesso ruolo di accertamento e di verifica.

2.4.3. Il nuovo patrocinio a spese dello Stato nei processi penali

2.4.3.1. Le principali modifiche

Il varo del primo intervento organico di ridisegno dell'assetto della difesa d'ufficio e del gratuito patrocinio nel settore penale fu determinato, come è noto, dalla brusca accelerazione riformatrice imposta dalla transizione al sistema accusatorio, "geneticamente intollerante nei confronti di difese solo simulate" (184). Infatti, come già abbiamo evidenziato, meno di un anno dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, fu approvata la legge n. 217/90 che, pur non avendo riscosso cordiali accoglienze in sede applicativa e pur presentando non irrilevanti difetti, ha costituito un importante fattore di accelerazione del dibattito sulla difesa dei non abbienti (185).

Con questa breve premessa, sottolineiamo il fatto che il patrocinio a spese dello Stato nei processi penali non è una novità introdotta dalla legge 134/01 o dal t.u. Questi in realtà hanno avuto il merito di aver apportato alcune importanti modifiche che son servite a completare gli interventi normativi volti a razionalizzare l'effettività della difesa quale diritto primario di tutti i cittadini.

Già la nuova disciplina della difesa d'ufficio (introdotta come sappiamo dalla legge n. 60/01), aveva decisamente segnato una svolta nella politica giudiziaria. Dopo un lungo periodo di sterili proclami, si era finalmente compreso che i precetti costituzionali consacrati nell'art. 24, commi 2 e 3 Costituzione, ribaditi e arricchiti dalla nuova formulazione dell'art. 111 Costituzione (il quale oggi sottolinea la necessità che la persona accusata di un reato «disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa»), non consentivano ulteriori, illegittime dilazioni. La loro immediata attuazione, al contrario, si imponeva non solo formalmente, per le esigenze di adeguamento della legge ordinaria al dettato costituzionale, ma anche sostanzialmente, per la pressante protesta dell'avvocatura penale, che aveva convinto tutte le forze politiche della rilevanza di una difesa che non fosse un "simulacro inanimato" (186).

La recente approvazione, con legge 7 dicembre 2000, n. 397, della tanto attesa disciplina delle investigazioni difensive, peraltro, obbligava ulteriormente il legislatore ad intervenire con urgenza, anche per evitare la facile e insuperabile critica di chi, aveva subito osservato come queste fondamentali e costose prerogative della difesa fossero di fatto riservate agli utenti più abbienti, e comunque pressoché precluse ai non abbienti.

Anche la soglia di reddito entro cui si poteva accedere al beneficio andava urgentemente rivista, in quanto come sappiamo, il precedente limite di dieci milioni delle vecchie lire, era stata una delle cause dell'insufficiente operatività dell'istituto (187), anche se come osserva Randazzo:

Con l'elevazione del tetto di soglia a diciotto milioni, nessuno può illudersi di aver trovato la panacea per ridurre sensibilmente la cronica disparità tra gli utenti connessa al loro reddito (fenomeno, del resto, caratteristico non solo del sistema giudiziario); tutt'al più, infatti, si potrà conseguire un'attenuazione tra situazioni di mercato troppo sperequate, garantendo in definitiva un'applicazione più ragionevole all'istituto del patrocinio a spese dello Stato (188).

In ogni caso, in un processo, alcune differenze tra parte abbiente e parte non abbiente ammessa al patrocinio, permangono sempre, in quanto, il difensore del benestante sa di poter contare su di un compenso adeguato alle sue prestazioni, e, per quanto non sia affatto esemplare, nello svolgimento della sua attività professionale, finisce con il tenerne conto; al contrario, assai spesso il difensore della persona ammessa al patrocinio, e anche, per analoghe considerazioni attinenti alla sua parcella, quello d'ufficio, non si impegna al massimo, come pure la deontologia e il rispetto della sua stessa dignità gli imporrebbero.

In base a queste considerazioni, dovremmo pensare che il legislatore si doveva porre, almeno quell'obbiettivo minimo di garantire a chi ne avesse bisogno una difesa decorosa e vera. Questo non è avvenuto, e ciò lo dimostra soprattutto il fatto che ancora esiste la diversità tra chi può scegliersi il legale più bravo e chi si deve accontentare di quel che passa il convento (gli avvocati inseriti nell'elenco presso il Consiglio dell'Ordine) (189), e inoltre, il fatto che anche se si superano di poco gli euro 9.296,22 di reddito, bisogna provvedere ad onorare le spese legali, quale che sia il loro importo, a differenza di chi ha la "fortuna" di guadagnare qualche centesimo in meno, che almeno riceve l'assistenza statale per la difesa in giudizio (190).

Però, nonostante queste ultime considerazioni critiche, il t.u., contiene alcune disposizioni valide, tali da poter esprimere anche qualche opinione favorevole. Innanzitutto, la validità dell'ammissione al patrocinio «per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse» (191), cosa che ha comportato un primo, consistente allargamento delle fattispecie tutelate.

Va aggiunto che il novero dei soggetti legittimati a proporre l'istanza volta ad ottenere il suddetto beneficio viene integrato includendovi l'indagato e il condannato (192).

Inoltre, l'interessato si avvale della difesa a spese dello Stato indipendentemente dall'esito del giudizio e con l'abrogazione dell'art. 1, comma 8, legge n. 217, poi, può fruire della disciplina in parola anche nei procedimenti concernenti contravvenzioni. Ricordiamo inoltre che anche nel processo penale, «Il trattamento previsto per il cittadino italiano è assicurato altresì allo straniero e all'apolide residente nello Stato» (193).

Ragguardevole, deve ritenersi la previsione dell'art. 101 del t.u. che, in linea con la concreta valorizzazione dell'indagine difensiva, operata dalla già citata legge n. 397, prevede la possibilità per il difensore della persona ammessa al patrocinio di nominare un investigatore privato autorizzato.

Attualissimo e indispensabile per l'effettività della difesa, è anche il riconoscimento, all'indagato, all'imputato o al condannato, che partecipino a distanza al loro processo, perché collegato in videoconferenza, del diritto ad un secondo difensore, limitatamente agli atti che si compiono a distanza (194). Così facendo, si è garantita una difesa a tutto campo, tanto nell'aula di udienza, quanto al fianco dell'interessato, come dovrebbe avvenire, in questi casi, per la difesa 'ordinaria' (195).

Un intervento in melius da parte del t.u., ma già attuato dalla legge n. 134, riguarda la previsione della sanzione della nullità assoluta, ex art. 179, comma 2 c.p.p. (196), nel caso in cui il magistrato competente non decida sull'ammissione al patrocinio entro i dieci giorni dalla presentazione dell'istanza (197). "Ciò dimostra la determinazione con cui si intende intervenire a tutela del funzionamento della disciplina, e aiuta a perdonare alcune sbavature" (198).

Il t.u. inoltre, ha restituito, come già abbiamo avuto modo di constatare, agli organi forensi una prerogativa che gli era stata negata, quella di valutare la congruità del compenso spettante al difensore, in considerazione dell'impegno professionale e dell'incidenza della sua attività difensiva. Sarà pur sempre il giudice a liquidare, ma ben difficilmente potrà discostarsi dal parere del Consiglio dell'Ordine, senza fornire adeguata motivazione al proposito.

2.4.3.2. Aspetti procedurali e organizzativi dell'istituto

Passiamo ora a considerare alcuni profili peculiari della disciplina in relazione alle modifiche intervenute con la legge n. 134 poi recepite dal t.u. in materia di spese di giustizia, cercando di fermarci anche su alcuni aspetti che potrebbero essere oggetto di interventi migliorativi del tessuto normativo (199).

Innanzitutto, vengono inseriti tra i soggetti per i quali l'ammissione al patrocinio è esclusa, a causa di reati commessi in violazione della norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, oltre all'imputato (come stabiliva la normativa precedente), l'indagato e il condannato (200). Come nella legge n. 217, è prevista inoltre l'esclusione dal patrocinio, dal momento in cui l'ammesso al beneficio nomina un secondo difensore di fiducia, ma come ricordato, la novità introdotta dalla legge n. 134 e recepita dal t.u., prevede che questa regola non vale se il secondo difensore è nominato nei casi di processi a distanza (201).

L'art. 93 t.u, relativo alla presentazione dell'istanza al magistrato competente, ricalca l'identica disciplina prevista dall'art. 2 dela legge n. 217.

Nel caso in cui il soggetto si trovi nell'impossibilità di produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità del contenuto dell'istanza, l'art. 94 al comma 1 prevede la possibilità per il cittadino italiano di presentare una dichiarazione sostitutiva, e al comma 2 dà la stessa possibilità al cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea, il quale può sostituire la documentazione richiesta dall'art. 79 comma 2 t.u., a pena d'inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione.

Nella relazione illustrativa del t.u. viene però messo in evidenza che, una tale previsione appare in contrasto con l'art. 3, comma 2, del t.u. documentazione amministrativa (D.P.R. n. 445/2001), che consente al cittadino extracomunitario l'autocertificazione solo su fatti comprovabili da autorità italiane, «D'altro canto», si sottolinea ancora nella Relazione illustrativa, «non si può cambiare tale previsione, perché incide sui diritti di cittadini extracomunitari e consente loro di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato anche nelle ipotesi di contattare la loro autorità consolare, magari accreditata in un altro paese, oppure nell'ipotesi di una mancata risposta da parte dell'autorità consolare» (202).

Quanto al comma 3 dell'art. 94 t.u., emerge tra l'altro una disparità presente nella legge, per cui al cittadino extracomunitario non detenuto o comunque non privato della libertà personale, è possibile sostituire la certificazione dell'autorità consolare con un'autocertificazione. Invece, nei confronti del cittadino extracomunitario detenuto o, comunque privato della libertà di circolazione, tale sostituzione non è possibile. L'unica possibilità offerta dalla legge, è un termine ulteriore di venti giorni in cui il difensore o i familiari possono presentare la certificazione. Infatti, in caso di mancata presentazione della documentazione richiesta, il giudice dispone la revoca dell'ammissione stabilita, in attesa di documentazione (203).

L'istanza di ammissione al patrocinio, viene respinta da parte del magistrato competente, se vi sono fondati motivi per ritenere che l'interessato non versa nelle condizioni reddituali previste dal t.u. agli art. 76 e 92, tenuto conto però (e questa è un'importante novità), del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte, richiedendo se occorre l'attività integrativa della Guardia di Finanza (204).

Altra novità rispetto alla originaria legge n. 217, riguarda i casi in cui si procede per i delitti di cui all'art. 51, comma 3 c.p.p., ovvero delitti di stampo mafioso, perché in questi casi il magistrato, deve chiedere preventivamente al questore, alla direzione investigativa antimafia (DIA) ed alla direzione nazionale antimafia (DNA), le informazioni necessarie e utili, relative al tenore di vita, alle condizioni personali e familiari e alle attività economiche eventualmente svolte dai soggetti che hanno presentato istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Anche qui, possono essere chiesti accertamenti alla Guardia di Finanza. In entrambi i casi il magistrato dovrà decidere se accogliere o respingere l'istanza di ammissione entro dieci giorni dalla presentazione della stessa (205).

Secondo Randazzo, il meccanismo delineato per ultimo, è da considerarsi "perverso e illiberale", perché l'obbligo imposto al giudice di fare quella serie di richiesta al questore, alla DIA, alla DNA, comporta solo un farraginoso appesantimento burocratico che è destinato, tra l'altro ad allungare i tempi della procedura di ammissione al patrocinio, e, viola inoltre il famoso principio del contraddittorio, in quanto nel lasso di tempo che serve al giudice per fare le sue indagini, l'interessato rimane passivamente in attesa e all'oscuro. Nessuna forma di conoscenza delle informazioni che lo riguardano è infatti prevista. L'istante, non è ammesso ad interloquire su situazioni che possono ledere incisivamente, non solo il suo diritto di usufruire dei benefici di cui al t.u., ma anche lo stesso diritto di difesa, "vistosamente compromesso dalla abusiva introduzione, tra gli atti a disposizione del giudicante, del frutto della inquisizione meno garantita" (206).

Nella legge n. 217/90, tutti questi meccanismi procedurali non erano previsti, il giudice chiamato a decidere sull'istanza di ammissione aveva semplicemente il potere-dovere di una verifica meramente formale delle condizioni reddituali segnalate dall'istante nella autocertificazione, e anche l'istituto della revoca del decreto di ammissione, era del tutto inoperante in quanto, le Direzioni Regionali dell'Entrata interessate (207), assai raramente svolgevano efficacemente e in tempo ragionevole, le verifiche che competevano loro.

Con le rilevanti modifiche apportate all'impianto originario della legge n. 217, si cominciano invece a registrare, nel settore penale i primi casi di revoca dell'ammissione al beneficio a seguito degli esiti delle informazioni assunte sulle reali condizioni di reddito dell'imputato, ovvero sulla base di elementi aliunde tratti dal giudice, che consentano, una ricostruzione della effettiva situazione reddituale dell'interessato, diversa da quella emergente dalla autocertificazione dello stesso (208).

Giordana, a differenza di Randazzo, è favorevole a questo nuovo potere-dovere di revoca del giudice basato sulla libera valutazione non solo, della situazione patrimoniale così come ricostruita dall'interessato, ma anche sulla valutazione di elementi di altra natura documentati in atti, quali il tenore di vita e le reali attività dell'interessato e dei suoi familiari (209).

L'innovazione legislativa non è di poco momento, e certo impegna il giudice in un'opera di ricerca, vaglio critico e valutazione degli elementi indicativi della reale situazione patrimoniale dell'istante che va molto al di là del controllo meramente formale, possibile in epoca anteriore all'entrata in vigore del t.u.

Senza dire che, anche rispetto alle marginali (e per lo più tardive) indicazioni che sotto il regime previgente pervenivano dai competenti uffici finanziari a sostegno delle richieste di revoca del beneficio, il quadro attuale si connota di una ben maggiore concretezza, incisività ed efficacia a fronteggiare le non rare ipotesi di abuso del ricorso al beneficio da parte di soggetti che, con i proventi dei crimini, hanno magari accumulato nel tempo vere e proprie fortune, ovviamente prive di ogni documentazione e regolarità sotto il profilo fiscale (210).

In poche parole, potremmo dire, che la riforma in materia del patrocinio a spese dello Stato, ha segnato il passaggio da un regime basato su aspetti di regolarità essenzialmente formale, ad uno improntato ai caratteri della concretezza e sostanzialità dell'accertamento sui redditi dei soggetti interessati, che richiede certamente, in primo luogo maggiore attenzione e cura dal giudice, nel trattare le procedure di ammissione (o revoca) del beneficio.

Naturalmente, in base alle nuove previsioni, il giudice riuscirà ad arginare i casi di abuso, solamente grazie ad una tempestiva e puntuale collaborazione di quegli organi tecnico-finanziari dello Stato-apparato menzionati dall'art. 96 t.u.. Grazie alla loro opera il giudice, riuscirà ad adottare le decisioni in materia di ammissione, o revoca del beneficio avendo riguardo a criteri sostanziali di giustizia, ottenendo così il risultato, di abituare ed educare i possibili interessati a proporre istanza solo nei casi di reale ed effettiva non abbienza e ad impiegare correttamente le relative risorse economiche pubbliche (211).

A dimostrazione di come, grazie alle novità della legge n. 134 inserite poi nel t.u., i giudici sono giunti più spesso ad emettere decreti di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, possiamo illustrare un'ordinanza emessa nell'ottobre 2001 dalla Corte d'assise di Torino con la particolarità che l'imputato interessato al beneficio, apparteneva a quella categoria di soggetti imputati per i delitti previsti dall'art. 51, comma 3 bis c.p.p. (212) Il giudice nella valutazione delle condizioni per la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ha ricostruito con la coadiuvazione degli organi a ciò preposti, il tenore di vita dell'interessato e dei suoi familiari e delle reali attività produttive di reddito, da lui eventualmente svolte, prescindendo dalla natura lecita o illecita dei suoi guadagni.

Tra le informazioni che il giudice ha valutato sono rientrati anche elementi probatori posti a fondamento di sentenze precedenti, che attribuivano all'interessato condotte produttive di reddito. Infatti, da una sentenza della Corte d'assise di Palmi del 1997, Asciutto (questo è il nome dell'imputato), è risultato di aver fatto parte dell'associazione mafiosa Molè-Piromalli; in più, il ruolo da lui ricoperto in tale compagine, spaziava dall'esecuzione di omicidi a quella di corriere e spacciatore di grossi quantitativi di stupefacenti, con i cui proventi il gruppo mafioso si finanziava, fino ad altre attività illecite da cui traeva guadagni. Tali condotte attestano indubbiamente, il passaggio a sue mani di somme di varie centinaia di milioni di lire (213).

In definitiva, con questa ordinanza, è stato dimostrato come, grazie alle nuove possibilità di indagine offerte al giudice e alla opportunità di utilizzare inoltre materiale probatorio proveniente da altre sentenze, è risultato un quadro che ricostruisce in capo all'imputato una situazione patrimoniale ben diversa da quella rappresentata dalle sue certificazioni e dagli accertamenti formali operati dagli organi finanziari interpellati. Il beneficio è stato di conseguenza revocato, come anche la richiesta di liquidazione del compenso da parte del difensore dell'imputato è stata rigettata.

Dopo questa lunga parentesi relativa ai casi di decisione sull'istanza di ammissione o di revoca della stessa, continuiamo nell'opera di enunciazione delle importanti novità introdotte per il patrocinio a spese dello Stato in materia penale.

Come nella vecchia legge n. 217, l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, può essere chiesta anche nella fase delle indagini preliminari ma, quello che il legislatore del 1990 non aveva previsto, è l'ipotesi di liquidazione da parte del giudice per le indagini preliminari dei compensi anche dell'investigatore privato qualora l'istanza fosse stata accolta e anche nel caso in cui poi l'azione penale non viene esercitata (214).

L'art. 106 del t.u. stabilisce che il compenso per le impugnazioni coltivate dalla parte non è liquidato se le stesse sono dichiarate inammissibili, e non possono essere liquidate neppure le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte che, all'atto di conferimento dell'incarico, apparivano irrilevanti o superflue ai fini della prova. Quest'ultima previsione è limitata, su suggerimento del Consiglio di Stato, al compenso del consulente di parte, apparendo ragionevole un controllo ex post per verificare, sulla scorta di un giudizio prognostico rapportato al momento del conferimento, se l'incarico al consulente non apparisse ab origine irrilevante o superfluo in relazione alla formazione della prova, al fine di evitare abusi ad opera del soggetto ammesso al patrocinio (215).

Per effetto dell'ammissione al patrocinio alcune spese sono gratuite, altre sono anticipate dall'erario.

Sono gratuite:

  1. le copie degli atti processuali, quando sono necessarie per l'esercizio della difesa.

Sono spese anticipate dall'erario:

  1. le indennità e le spese di viaggio spettanti ai magistrati, agli appartenenti agli uffici e agli ufficiali giudiziari per le trasferte relative al compimento di atti del processo fuori dalla sede nella quale si svolge;
  2. le indennità e le spese di viaggio spettanti ai testimoni;
  3. le indennità di trasferta, i diritti, le spese di spedizione per le notifichedegli ufficiali giudiziari a richiesta d'ufficio o di parte;
  4. le indennità e le spese di viaggio per trasferte, nonché le spese sostenute per l'adempimento dell'incarico, e l'onorario ad ausiliari del magistrato, a consulenti tecnici di parte e ad investigatori privati autorizzati;
  5. l'indennità di custodia;
  6. l'onorario e le spese agli avvocati;
  7. le spese per gli strumenti di pubblicità legale dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria (216).

Tutte le spese menzionate finora, verranno recuperate nei confronti dell'imputato nel caso in cui si procederà a revoca del beneficio (217). La disciplina del recupero di tutto in caso di revoca è costruita come 'sanzione' e, quindi, prescinde dal recupero subordinato alla condanna per le spese ordinariamente anticipate e ripetibili (un revocato, anche se assolto, deve restituire tutto; per un condannato non revocato tutte le spese rimangono a carico dell'erario, anche quelle che, se non fosse stato ammesso al patrocinio, sarebbero state recuperabili nei suoi confronti) (218).

Per quanto attiene al comma 3, lettera d) dell'art. 111 t.u., i termini 'consulenti tecnici e consulenti tecnici di parte' sono stati sostituiti con la terminologia 'ausiliari del magistrato e consulenti tecnici di parte'. Nel nuovo processo penale, periti sono i consulenti tecnici nominati dal giudice, mentre consulenti tecnici sono quelli nominati dalle parti (P.M. o parti private). Inoltre dalla ricostruzione fatta, risulta che nessuna funzione è svolta dai notai nel processo penale. Per tale motivo, non è stato riportato nel t.u. il riferimento ad essi come era previsto nell'articolo originario.

Nel caso in cui un soggetto è ammesso al patrocinio per l'azione di risarcimento del danno nel processo penale, si producono gli stessi effetti di cui all'art. 107 (219).

Infine l'art. 109 del t.u. stabilisce nello specifico da quando decorrono gli effetti dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ovvero «dalla data in cui l'istanza è stata presentata o è pervenuta all'ufficio del magistrato o dal primo atto in cui interviene il difensore, se l'interessato fa riserva di presentare l'istanza e questa è presentata entro i venti giorni successivi».

Nel titolo III della parte III del t.u. si trovano alcune novità relative all'estensione ad altri settori, e a limitati effetti, della disciplina del patrocinio a spese dello Stato, prevista per il processo penale, nella parte relativa alla liquidazione dell'onorario del difensore.

L'art 115 t.u., prevede che il difensore di persona ammessa al programma di protezione di cui al decreto legge n. 82/1991, è liquidato secondo le modalità previste dall'art 82 del t.u., ed ha la possibilità di presentare opposizione ai sensi dell'art. 84

L'art. 32 disp. att. c.p.p., sostituito dall'art. 17 della legge n. 60/2001, prevede che, se l'avvocato dimostra di non aver recuperato nulla dal difeso, il compenso è liquidato dallo Stato, nella misura e con le modalità previste dalla disciplina per il patrocinio a spese dello Stato, come accade sempre se il difeso è ammesso al patrocinio. È un modo per assicurare l'effettività e l'efficacia della difesa d'ufficio, garantendo la retribuzione al difensore, se il proprio assistito non paga. Lo Stato ha diritto di ripetere la somma anticipata, dal difeso, a meno ché le condizioni di quest'ultimo non siano quelle che avrebbero consentito l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La norma si dovrebbe interpretare nel senso che: emesso il decreto di liquidazione, si avvia la procedura di recupero (invito al pagamento, iscrizione a ruolo, riscossione mediante ruolo) a meno ché, il difeso, non fa istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. In tal caso, la procedura di recupero si interrompe se l'istante è ammesso e il credito dello Stato è estinto per insussistenza, essendo venuto meno il presupposto di legge cui era subordinato il diritto di recupero (220).

L'ultima novità riguarda è prevista dall'art. 32 bis delle disp. att. c.p.p., introdotto anch'esso dalla n. 60/2001. Questo prevede che al difensore di ufficio dell'irreperibile è liquidato dallo Stato il compenso nella misura e con le modalità previste per la disciplina per il patrocinio, come accade sempre se il difeso è ammesso al patrocinio. Naturalmente, quando il difeso diventa reperibile, lo Stato recupera nei suoi confronti (221).

2.4.4. La nuova disciplina del patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili, amministrativi, contabili e tributari

Abbiamo avuto modo di evidenziare, che la legge n. 134/2001, poi recepita in parte dal testo unico, ha segnato un evento importante per la storia della tutela dei non abbienti in Italia: scompare il vecchio R.D. n. 3282, per lasciare spazio anche nei giudizi civili ed amministrativi, al patrocinio retribuito dallo Stato (222).

Nonostante il t.u., abbia cercato in qualche modo di uniformare l'intera materia, permangono ancora numerose differenze tra giudizi civili e penali, alcune delle quali abbiamo già avuto modo di evidenziare nel paragrafo dedicato alla disciplina generale.

Il legislatore ha voluto differenziare le varie discipline sistemandole in due titoli diversi. Le disposizioni particolari riguardanti il patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario, sono state inserite nel titolo IV della parte III del testo unico in materia di spese di giustizia.

Ai sensi dell'art. 119 del testo unico, nel processo civile, amministrativo e contabile possono essere ammessi al gratuito patrocinio:

  • i cittadini e gli apolidi;
  • gli stranieri, con la precisazione che la regolarità del soggiorno in Italia deve esistere «al momento del sorgere (223) del rapporto o del fatto oggetto del giudizio da instaurare» (224);
  • gli enti e le associazioni che non perseguano scopo di lucro e non esercitano attività economica: è, quindi, possibile l'ammissione oltre che per gli enti morali aventi lo scopo della carità o dell'istruzione dei poveri, già ammessi in virtù della legge n. 217/90, anche delle associazioni di consumatori e degli utenti inserite nell'elenco di cui all'art. 5 della legge n. 281/98 (225).

Per quanto riguarda la posizione dello straniero, il fatto che la regolarità del soggiorno deve esistere «al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del giudizio da instaurare», comporta che, se i fatti controversi, o dai quali trae origine la controversia, dovessero ricondursi ad un momento storico nel quale, ancora, lo straniero non aveva sul territorio nazionale regolare permesso di soggiorno, questi non potrà aspirare al beneficio del patrocinio a spese dello Stato nemmeno nelle ipotesi in cui si sia successivamente regolarizzato, ma potrà difendersi solo a proprie spese.

Inoltre, sempre con riferimento alla situazione del cittadino extracomunitario, il t.u. ha portato delle novità anche per quanto riguarda le controversie individuali di lavoro. Bisogna ricordare, che dal 1 luglio 2002 «...gli articoli da 11 a 16 della legge n. 533 del 1973», sono stati abrogati ad opera del testo unico, e in particolare l'art. 11 prevedeva che, nelle controversie di lavoro erano ammessi al patrocinio a spese dello Stato, le parti non abbienti, senza alcuna distinzione tra cittadini italiani o stranieri, e senza differenza alcuna tra stranieri regolari o irregolari. Con l'art. 119 t.u., invece, anche nella materia lavoristica sono ammessi al beneficio solo i cittadini italiani e gli stranieri solo se sono in regola con il permesso di soggiorno (226).

L'ammissione al patrocinio a spese dello Stato rimane valida per ogni stato e grado del processo, ma, in ambito civile ed amministrativo diversamente da quanto accade in materia penale «La parte ammessa rimasta soccombente non può giovarsi dell'ammissione per proporre impugnazione, salvo che per l'azione di risarcimento del danno nel processo penale» (227). Tale disposizione era già contenuta nell'art. 15 sexies, comma 1 legge n. 217/90, e, ricalca il remoto art. 13 R.D. n. 3282 per il quale «L'ammissione al gratuito patrocinio giova per tutti i gradi di giurisdizione. Tuttavia la parte che l'ottenne, quando sia rimasta soccombente, non può giovarsene per proporre impugnazione, senza aver ottenuta nuova ammissione dalla commissione competente per il collegio, cui deve riferirsi l'esame dell'impugnazione».

Nel testo attuale, non viene indicata esplicitamente la possibilità, per la parte rimasta soccombente, di poter chiedere una nuova ammissione al patrocinio per il giudizio d'impugnazione, ma è evidente che questa possa farlo e che si applicheranno le regole del t.u. valide per chi chiede per la prima volta di essere ammesso al beneficio, quindi:

  1. l'istanza di nuova ammissione, andrà presentata al Consiglio dell'ordine degli avvocati ove ha sede il giudice d'appello, oppure ha sede il giudice del provvedimento da impugnare se l'impugnazione va proposta alla Corte di cassazione, al Consiglio di Stato, o ancora le sezioni giurisdizionali centrali della Corte dei conti (228);
  2. la ragione da far valere in giudizio sarà «non manifestamente infondata» quando «non manifestamente infondati» saranno i motivi d'impugnazione;
  3. il consiglio dell'ordine degli avvocati competente provvederà, in via anticipata e provvisoria, con i criteri generali di cui all'art. 126 t.u. (229).

L'art 121 t.u. prevede un caso di esclusione all'ammissione al patrocinio, ovvero, quando si tratta di cause per cessioni di crediti e ragioni altrui. Anche questa disposizione non è nuova, ma si trovava, in forma del tutto analoga nel vecchio art. 3 del R.D. n. 3282. La ratio della norma è molto chiara: "la legge vuole evitare che i poveri agiscano per diritti altrui al solo fine di evitare che i veri titolari dei diritti non sopportino le spese legali del giudizio e le addossino (fraudolentemente) allo Stato" (230). Infatti, se noi pensiamo a Tizio, benestante, che ha un credito da far valere contro Caio e che invece di agire personalmente contro di lui lo cede a Sempronio, non abbiente, al solo scopo di risparmiare le spese legali, è ovvio che si potrebbe avere un raggiro ai danni delle casse dello Stato.

Per essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili, il richiedente deve, dimostrare di ritrovarsi in quella situazione reddituale prevista dall'art. 76 e inoltre, deve essere intenzionato a far valere delle ragioni che risultino non manifestamente infondate. Per questo motivo nel t.u. unico si legge che «L'istanza contiene, a pena d'inammissibilità, le enunciazioni in fatto ed in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere, con la specifica indicazione delle prove di cui si intende chiedere l'ammissione» (231).

Abbiamo detto che la legge distingue questo contenuto dell'istanza da quelli generali previsti nell'art. 79 t.u. in quanto nel processo penale l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato non è condizionata dalla valutazione della non manifesta fondatezza o meno delle ragioni che si intendono far valere dinanzi all'autorità giudiziaria.

L'istanza per l'ammissione al gratuito patrocinio, redatta secondo le modalità e con il contenuto previsto dagli art. 79 e 122 del t.u., deve essere presentata o inviata a mezzo raccomandata al Consiglio dell'ordine degli avvocati, esclusivamente dall'interessato o dal difensore. Non viene specificato se la raccomandata deve essere effettuata con avviso di ricevimento, quindi si pensa che questa non costituisca una condizione di ammissibilità ma, sia un'operazione da effettuare a discrezione dell'interessato (232).

Il Consiglio dell'ordine competente a ricevere l'istanza sarà quello indicato al 2º comma dell'art. 124, ovvero, «quello del luogo in cui ha sede il magistrato davanti al quale pende il processo, ovvero se il processo non pende, quello del luogo in cui ha sede il magistrato competente a conoscere del merito. Se procede la Corte di cassazione, il Consiglio di Stato ovvero le sezioni riunite o le sezioni giurisdizionali centrali presso la Corte dei Conti, il consiglio dell'ordine competente è quello del luogo ove ha sede il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato».

Chiunque, compila l'istanza attestando falsamente la sussistenza o il mantenimento delle condizioni di reddito previste, subisce una sanzione molto severa, che comprende la reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37. Detta pena potrà subire anche degli aumenti se dal fatto è conseguito l'ottenimento o il mantenimento dell'ammissione al beneficio e porterà come ulteriore conseguenza la revoca del beneficio con efficacia retroattiva (233). Il legislatore ha voluto punire in modo così grave l'atteggiamento di chi mira ad ottenere ingiustamente il patrocinio, in quanto ha considerato tale comportamento come truffa ai danni dello Stato, al quale va applicata la sanzione dell'art. 640, comma 2 c.p. (234).

La norma in questione offre però, in alcuni suoi punti degli spunti problematici.

Questa afferma che il delitto di cui all'art. 125, possa essere commesso da «Chiunque...». Bisogna capire cosa abbia inteso il legislatore statuendo ciò. Di sicuro quel chiunque, non può che rientrare nei casi di concorso, sarebbe molto strano, infatti, che il reato potesse essere commesso da persona diversa da chi chiede l'ammissione dato che ai sensi dell'art. 78 comma 2, t.u., l'istanza deve essere sottoscritta a pena di inammissibilità dall'interessato. Quel chiunque potrebbe semmai ricomprendere i casi in cui persone fisiche operano per conto di quelle persone giuridiche che possono aspirare ad ottenere il patrocinio a spese dello Stato (235).

Inoltre, bisogna individuare, che tipo di responsabilità penale potrà avere il difensore che di sicuro avrà assistito e consigliato l'istante nella compilazione dell'istanza. Di sicuro, "vi sarà concorso pieno, nell'ipotesi in cui il difensore sia a conoscenza dell'effettivo reddito del cliente e della falsità dell'autocertificazione"; invece "non vi sarà alcuna responsabilità in concorso nelle ipotesi in cui il legale ignori il reddito del proprio cliente e nulla sappia circa la falsità o la veridicità dell'autocertificazione di questi" (236).

Ai sensi dell'art. 126 del testo unico, il Consiglio dell'ordine, entro dieci giorni dalla presentazione dell'istanza o dalla ricezione della stessa può, ove ne ricorrono i presupposti, ammettere l'interessato in via anticipata e provvisoria al gratuito patrocinio. Per dare attuazione a questa norma appare opportuno che i Consigli dell'ordine operino con sollecitudine, nel rispetto del termine stabilito dalla legge, e che, quindi, assegnino la pratica, non appena è presentata l'istanza, ad un consigliere che ne segua l'istruttoria, valuti la sussistenza dei requisiti di legge e ne riferisca al Consiglio, cui compete la deliberazione sull'ammissione (237).

Il C.N.F. ritiene che "per essere ammessi al gratuito patrocinio sia necessario un provvedimento espresso: la mancata deliberazione del Consiglio nel termine stabilito dalla legge integrerà, quindi, un'ipotesi di silenzio inadempimento, con la conseguenza che l'istante potrà diffidare il Consiglio all'adozione della delibera e, in caso di ulteriore silenzio, potrà adire il giudice amministrativo ex art. 2 legge n. 205/00 (238).

La norma che stiamo commentando, ha introdotto come sappiamo, sostanziali novità rispetto al passato. Nel sistema precedente, la domanda di gratuito patrocinio veniva vagliata e decisa, non già dai Consigli degli ordini degli avvocati, ma da apposite commissioni, in cui l'avvocatura aveva un solo rappresentante, mentre gli altri commissari erano espressione dei poteri dello Stato (239). Qui, invece sappiamo che, è la stessa avvocatura, che tramite i Consigli dell'ordine amministra e decide le ammissioni al patrocinio a spese dello Stato senza interferenza alcuna (240).

Ancora una novità è da evidenziare, a tal proposito, nel nuovo sistema di gratuito patrocinio. Bisogna rilevare che in forza della norma in commento, il Consiglio dell'ordine, ammette la parte al beneficio, solo in «via anticipata e provvisoria», poiché, sarà il giudice successivamente a fare una nuova valutazione sull'esistenza di tale diritto, e potrà, in base alla sua valutazione, provvedere con decreto alla revoca dell'ammissione stessa e precisamente in due ipotesi (241):

  1. se risulta l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione e, cioè, quando difettano le condizioni per l'accoglimento nel merito dell'istanza, rappresentate dal limite di reddito, dalla non manifesta infondatezza della pretesa e dal fatto che non si tratti di causa per cessione di crediti e ragioni altrui;
  2. se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave e, cioè, con un contegno che potrebbe fondare, in caso di domanda di parte, anche una condanna dell'ammesso al patrocinio ex articolo 96 c.p.c. (242).

La revoca, dell'ammissione disposta dal consiglio dell'ordine ha efficacia retroattiva, essendo una conseguenza dell'accertata mancanza ab origine dei presupposti per l'ammissione al patrocinio. Nel caso in cui, invece la revoca dal patrocinio è conseguenza dell'intervenuta modifica, in un momento successivo a quello di ammissione, delle condizioni reddituali, la revoca ha effetto dal momento dell'accertamento delle modificazioni reddituali, indicato dal provvedimento del magistrato (243).

Se noi andiamo a confrontare l'art. 136 t.u. con l'art. 15 terdecies di cui alla legge 217/90, come modificata dalla legge 134/01, che consentiva al giudice, oltre che di revocare, anche di modificare l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, dobbiamo ritenere che l'esclusione in capo al giudice del potere di modificare il provvedimento di ammissione, implica che, nel sistema attualmente vigente, non è più possibile l'ammissione al gratuito patrocinio a spese parzialmente a carico dello Stato (244).

Dal confronto delle norme appena citate, si può inoltre dedurre che la qualificazione del provvedimento di ammissione da parte del consiglio dell'ordine come avente natura anticipatoria ha perso il significato originario. Infatti, l'art. 15 terdecies prima citato, al comma 4, disponeva che il giudice, anche quando non dovesse procedere a revoca o modifica, con l'atto che definiva il giudizio di merito, pronunciava anche sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato disposta dal consiglio dell'ordine. Ne derivava, dunque, che il provvedimento di ammissione del consiglio dell'ordine anticipava un provvedimento del giudice, dal quale era, in ogni caso, destinato ad essere sostituito, potendo essere revocato, modificato o confermato (245). Tale disposizione, però, non è stata riprodotta in nessuna norma del t.u., e la conseguenza è che, se non intervengono cause che comportano la revoca, il provvedimento di ammissione disposto dal consiglio dell'ordine non può essere sostituito con un provvedimento di conferma da parte del giudice. A tale riguardo così si esprime il C.N.F. nel parere formulato nel luglio 2002:

Di conseguenza, l'ammissione al patrocinio disposta dal consiglio dell'ordine, definita dall'art. 126 del testo unico di natura «anticipatoria e provvisoria», lo è solo nel senso che l'aspirante al gratuito patrocinio, prima di rivolgersi al giudice per chiedere di essere ammesso a detto beneficio, deve presentare l'istanza al consiglio dell'ordine e, solo in caso di rigetto da parte di questo, può presentare l'istanza di ammissione all'autorità giudiziaria (246).

La decisione negativa del Consiglio dell'ordine (rigetto o inammissibilità dell'istanza), non può essere impugnata, essendo anch'essa provvisoria, ma verrà sottoposta al successivo controllo del giudice, come prevede il terzo comma dell'art. 126 il quale dispone che: «Se il consiglio dell'ordine respinge o dichiara inammissibile l'istanza, questa può essere proposta al magistrato competente per il giudizio, che decide con decreto». Qui, la decisione del giudice, ha funzione d'appello rispetto alla decisione negativa del consiglio dell'ordine degli avvocati (247).

A differenza di quanto disponeva l'articolo 15 undecies, della legge n. 217/90, come modificato dalla legge 134/01, secondo cui il giudice doveva decidere sull'istanza unitamente al merito, con la conseguenza che si ponevano una serie di problemi interpretativi circa gli effetti dell'ammissione che dovessero essere anticipati in attesa della pronuncia sul merito, l'attuale disposizione normativa consente al giudice di decidere sull'istanza immediatamente, senza dover aspettare la definizione del giudizio. Evidentemente, il giudice deciderà sull'ammissione accertando la ricorrenza delle medesime condizioni e degli stessi presupposti valutati dal consiglio dell'ordine in sede di ammissione anticipata e potrà revocare il provvedimento di ammissione, ex articolo 136 comma 1, del testo unico, se, nel corso del processo, sopravvengono modifiche delle condizioni reddituali rilevanti ai fini dell'ammissione al patrocinio (248).

La possibilità che ha ora il giudice di decidere con decreto in limine litis, senza aspettare più la fine del processo, non appare per Scarselli del tutto positiva in quanto, la decisione presa con decreto non garantisce alle parti alcun ulteriore mezzo di controllo ovvero nessuno strumento di impugnativa, cosa che poteva invece accadere nella disciplina di cui alla legge n. 134, in cui il giudice decideva con sentenza la quale, poteva essere appellata e poi ricorsa per cassazione.

La norma, inoltre, si limita solo a dichiarare che se l'istanza è dichiarata inammissibile o è rigettata può essere proposta al magistrato competente, ma niente dice circa la possibilità di poter riproporre l'istanza nuovamente davanti agli stessi consigli degli ordini.

In realtà non dovrebbe sussistere nessun motivo per dover privare un soggetto di una tale possibilità, soprattutto nel caso in cui si verificano mutamenti delle circostanze come ad esempio un mutamento del reddito, o qualora la parte deduca nuove ragioni di fatto o diritto (249).

Nella vecchia disciplina del R.D. n. 3282, invece, come abbiamo avuto modo di constatare, le commissioni ammettevano il non abbiente, al patrocinio, in via definitiva, tanto ché, se l'intendente di finanza, verificava l'insussistenza dello stato di povertà in capo al soggetto che era stato ammesso al patrocinio doveva rivolgersi «alla commissione che emanò il decreto» per «ottenere la revoca del beneficio stesso».

La ragione della differenza tra le commissioni del R.D. che, provvedevano in via definitiva sull'ammissione al gratuito patrocinio e i consigli degli ordini degli avvocati che oggi provvedono sul patrocinio a spese dello Stato solo in via anticipata e provvisoria, trova il suo fondamento, secondo Scarselli, nei principi della nostra carta costituzionale e non invece in una fiducia solo fittizia nei confronti dei consigli degli ordini (250). Egli inoltre constata che:

Nel 1923, era possibile che a provvedere sull'esistenza o l'inesistenza di un diritto soggettivo, anche in via definitiva, fosse delegata non già l'autorità giudiziaria ordinaria bensì una speciale commissione. In questo caso infatti la commissione si poneva quale giudice speciale, ovvero quale organo che, ancorché non riconducibile all'ordinamento giudiziario, aveva tuttavia egualmente il compito, non diversamente dai giudici, di provvedere sull'accertamento dell'esistenza o inesistenza di diritti.

Ma a seguito dell'entrata in vigore della nostra Costituzione tale facoltà non esiste più poiché l'art. 102, comma 2º Cost. espressamente sancisce che «non possono essere istituiti giudici straordinari o speciali» (251).

In effetti, se i consigli degli ordini, potessero provvedere in via definitiva all'ammissione al patrocinio assistito, questi avrebbero il compito di assegnare o negare diritti soggettivi di rango costituzionale e si trasformerebbero di conseguenza in giudici speciali.

Viceversa una decisione in via «anticipata e provvisoria» è costituzionalmente legittima, poiché l'art. 102, comma 2º Cost. non vieta l'attribuzione della risoluzione di questioni o controversie ad organi diversi dai giudici ordinari ma solo vieta che queste decisioni abbiano carattere giurisdizionale, ovvero costituiscano la decisione ultima dell'esistenza o meno di tali diritti. Ove la decisione non è ultima, ovvero come in questi casi, ove la decisione sia provvisoria e rimessa ad un successivo controllo dell'autorità giudiziaria ordinaria, essa è sempre legittima, perché ha valore e contenuto di provvedimento amministrativo e non giurisdizionale (252).

Un'ulteriore differenza con il vecchio sistema, emerge dalla constatazione che, il consiglio dell'ordine degli avvocati nella nuova disciplina, giudica, sulla non manifesta infondatezza del diritto che la parte non abbiente vuol far valere in giudizio, semplicemente in base alle sole allegazioni dell'istante, senza assumere sommarie informazioni e senza instaurare un contraddittorio con l'altra parte (253).

L'art. 20 del R.D. n. 3282, al contrario, statuiva che la commissione «prima di provvedere sulla domanda di gratuito patrocinio» doveva darne «avviso alla parte avversa, la quale nel termine che le sarà assegnato, potrà presentarsi sia per contestare la dedotta povertà, sia per dare spiegazioni sul merito della causa ed esporre le sue contestazioni per iscritto» (254). Inoltre nel R.D. la parte per essere ammessa al patrocinio, doveva dimostrare il probabile esito favorevole della controversia che andava ad instaurare e non invece la non manifesta infondatezza della causa, come accade con il nuovo sistema.

Bisogna ora, dedicare alcune riflessioni sul tipo di verifica che il consiglio dell'ordine degli avvocati deve compiere per ammettere o non ammettere, un soggetto che si dichiara non abbiente, al patrocinio.

Per accertare la condizione soggettiva di povertà, dovrà valutare i dati che emergono dall'autocertificazione prodotta, nonché dell'ulteriore documentazione se del caso richiesta ai sensi degli art. 79, comma 3º e 123 t.u.

Maggiore approfondimento merita invece la verifica della condizione oggettiva per essere ammessi al patrocinio, ovvero, la verifica della ragione «non manifestamente infondata».

A proposito di questo requisito, Scarselli rimprovera il legislatore di aver generalizzato il presupposto della ragione manifestamente infondata, senza distinguere, le ipotesi in cui la parte non abbiente si trovi a rivestire i panni dell'attore oppure quelli del convenuto (255).

È ovvio, secondo l'interpretazione di Scarselli, che, se in un processo civile, la parte non abbiente è attore, deve difendersi in un processo che non c'è, e, poiché il sistema "mette gratuitamente a disposizione del non abbiente il servizio sociale della giustizia per sopperire alle sue autentiche necessità, e non per favorirne lo spirito d'avventura" (256), è scontato che il soggetto non può utilizzare il patrimonio della collettività, per instaurare un processo che sia manifestamente infondato (257).

Il legislatore, non operando la distinzione di cui sopra, è andato contro le sue intenzioni di disciplinare, in modo uniforme, quanto meno con riguardo ai principi, il fenomeno del patrocinio a spese dello Stato, "un'interpretazione che sotto questo profilo non ponesse alcuna distinzione tra attore e convenuto finirebbe per trattare in modo diverso la parte non abbiente a seconda che questa chieda il patrocinio assistito nel processo penale oppure nei processi civili ed amministrativi" (258).

Nel processo penale, come sappiamo, il t.u. non ha fatto alcun riferimento al presupposto della non manifesta infondatezza delle ragioni; con riferimento ad esso si ritiene che, basta la semplice instaurazione di un procedimento per far nascere in capo al soggetto il diritto di difendersi a prescindere, dalla ragione o dal torto; nessun giudice potrà negare al non abbiente il patrocinio a spese dello Stato, neppure se è evidente la circostanza che egli ha commesso un delitto, e anche quanto risulta dalla flagranza (259).

Viene spontaneo quindi chiedersi perché, il legislatore del t.u., non ha esteso il tipo di logica fatta propria dal processo penale anche per i giudizi civili ed amministrativi. Non era forse il caso di distinguere le posizioni dell'attore e del convenuto che in detti processi è chiamato a difendersi in un processo che già c'è? L'unica risposta possibile, è che il legislatore ha voluto considerare valori maggiori quelli che si discutono nei processi penali rispetto a quelli che hanno ad oggetto le controversie civili. Si chiede a tal proposito Scarselli:

Perché mai se taluno mi contesta un reato bagatellare e/o contravvenzionale io ho diritto alla difesa a spese dello Stato anche quando ho palesemente torto mentre non dovrei avere il medesimo diritto quando taluno contro di me instaura un processo per interdizione? Perché mai la parte non abbiente dovrebbe avere diritto all'assistenza gratuita anche in processi penali in cui la sua responsabilità appare gravissima e fondatissima mentre non dovrebbe averla chi debba difendersi in un'azione avente ad oggetto il riconoscimento della paternità o per evitare un licenziamento? (260).

Scarselli, si rende conto che questa lettura del sistema è assolutamente nuova, ma ritiene ugualmente che "il diritto di difesa sia sempre e necessariamente un diritto insopprimibile e non possa considerarsi di maggiore o minore valore a seconda che questo abbia ad oggetto una accusa penale oppure un diritto civile", egli crede inoltre, che se l'imputato in un processo penale, ottiene il patrocinio a spese dello Stato senza dover dimostrare che le sue ragioni non sono manifestamente infondate, lo stesso dovrebbe valere per la parte che decide difendersi in un processo civile instaurato da altri (261).

Continuando a considerare il requisito della non manifesta infondatezza, bisogna dire però, che la novità più importante riguarda il fatto che, la verifica dell'esistenza di detto requisito avviene oggi, come già accennato, senza il contraddittorio con la controparte e in base alle sole allegazioni del soggetto interessato al beneficio.

Questa è una novità fondamentale, innanzitutto perché dimostra che il consiglio dell'ordine, quando deve provvedere sull'ammissione al patrocinio non deve andare nel merito della questione che si intende portare in giudizio, e poi perché cambia totalmente il tipo di cognizione che l'avvocatura deve effettuare.

Si capisce quindi che i consigli dell'ordine dovranno semplicemente limitarsi, per decidere se ammettere la parte al beneficio, ad una cognizione sommaria, che esclude di indagare sul presupposto della «non manifesta infondatezza» con elementi di fatto diversi da quelli allegati dall'istante e non potranno estendere le loro conoscenze in materia assumendo sommarie informazioni, ma dovranno attenersi alle allegazioni dell'istante, senza compiere alcun altra indagine.

Resta in ultimo da capire, cosa debba intendersi di preciso per ragione non manifestamente infondata, visto che la legge non lo chiarisce. Secondo Scarselli, un diritto può dirsi manifestamente infondato:

  1. per una valutazione in iure, quando, in forza dei fatti allegati dall'istante nessuna norma appare tale da attribuire alla parte che aspira ad ottenere il beneficio una situazione di interesse che abbia una qualche possibilità di essere riconosciuta in giudizio;
  2. per una valutazione in fatto, che si ha quando le circostanze allegate dall'istante non appaiono integrare, neppure minimamente, i fatti costitutivi che la legge richiede per la sussistenza del diritto relativamente al quale si chiede l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
  3. ed infine per una valutazione probatoria, che si ha quando le allegazioni dell'istante, seppur in grado di integrare tutti i fatti costitutivi del diritto per il quale si chiede il beneficio, non sembrano tuttavia affatto provati né con i documenti allegati all'istanza, né, in prospettiva, con le prove che si dichiara aver intendimento di chiedere nel corso del giudizio ex art. 122 t.u. (262).

Per effettuare queste valutazioni, il consiglio dell'ordine, non dovrà affatto indagare sulla possibile esistenza di fatti modificativi, estintivi o impeditivi, ecco perché si diceva che si tratta di una cognizione sommaria parziale.

L'art. 127 t.u., prevede invece alcuni compiti di controllo e vigilanza dell'ufficio finanziario sui provvedimenti di ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato (regole che già esistevano nei regimi passati). Se dai controlli effettuati «risulta che il beneficio è stato concesso sulla base di prospettazioni dell'istante non veritiere, l'ufficio finanziario richiede la revoca dell'ammissione e trasmette gli atti acquisiti alla Procura della Repubblica presso il tribunale competente per i reati di cui all'articolo 125» (263). I controlli sull'effettività e sulla permanenza delle condizioni prevista per l'ammissione al patrocinio possono essere ripetuti anche successivamente, sia su richiesta dell'autorità giudiziaria, sia su iniziativa dell'ufficio finanziario o della Guardia di finanza (264).

Consideriamo ora, il regime delle spese in caso di ammissione al gratuito patrocinio e il recupero delle spese da parte dello Stato.

Le disciplina a riguardo è quella contenuta negli articoli 133 e 134 del t.u. Esse costituiscono in massima parte, la riproduzione degli artt. 15 sexiesdecies e septiesdecies della legge n. 217/90 seppur alla luce del nuovo riparto delle spese in anticipazioni dell'erario e prenotazione a debito di cui all'art. 131 t.u. Inoltre, gli stessi artt. 15 sexiesdecies e septiesdecies costituivano la riproduzione di disposizioni già presenti nel precedente sistema di gratuito patrocinio, ed in particolare l'art. 15 sexiesdecies riproduceva la disposizione già contenuta nell'art. 35 del R.D. n. 3282, mentre l'art. 15 septiesdecies accorpava i precedenti artt. 37 e 38 del R.D. confermandone integralmente la disciplina (265).

Ai sensi dell'art. 133 del t.u., per effetto dell'ammissione al gratuito patrocinio, le spese a carico della parte ammessa, sono, in parte, prenotate a debito, in parte anticipate dall'erario. L'art. 131 elenca in modo dettagliato, ai commi 2 e 3, le spese che sono prenotate a debito e, al comma 4, quelle che sono anticipate dall'erario (266).

Escludendo l'ipotesi in cui la parte ammessa al gratuito patrocinio sia soccombente e l'ipotesi, di cui si dirà successivamente, in cui venga disposta la compensazione delle spese del giudizio, per le quali non è previsto il recupero da parte dello Stato delle spese processuali sostenute, in tutti gli altri casi, le somme versate dallo Stato sono recuperate, totalmente o parzialmente, o nei confronti della parte soccombente o nei confronti dell'ammesso al gratuito patrocinio. Al riguardo possiamo citare la ricostruzione della disciplina normativa, risultante dalle disposizioni degli articoli 133 e 134 t.u, che si legge nella citata circolare del C.N.F. la quale, ha distinto le varie ipotesi che si possono verificare, ovvero:

  1. se il giudizio è definito con sentenza e la parte ammessa al gratuito patrocinio è vittoriosa, lo Stato ha diritto al recupero delle spese processuali nei confronti della parte soccombente (per spese processuali debbono intendersi sia le spese anticipate dall'erario che le spese prenotate a debito);
  2. se lo Stato non riesce a recuperare le spese nei confronti della parte soccombente, secondo le previsioni di cui al punto 1, e la vittoria della causa ha messo la parte ammessa al patrocinio in condizioni di poter restituire le spese erogate in suo favore, lo Stato ha diritto di rivalsa per le spese anticipate, mentre può recuperare le spese prenotate solo se la parte ammessa ha conseguito almeno il sestuplo del valore delle spese anticipate e prenotate;
  3. se le parti transigono in sede giudiziale o stragiudiziale la controversia, lo Stato ha, in ogni caso, azione di rivalsa nei confronti dell'ammesso al gratuito patrocinio per le spese anticipate, mentre tutte le parti sono solidalmente obbligate al pagamento delle spese prenotate -tanto che è esplicitamente vietato accollarle al soggetto ammesso al patrocinio, pena la nullità del patto- con il limite che la parte ammessa la gratuito patrocinio è obbligata alla refusione di dette spese soltanto se ha conseguito almeno il sestuplo del valore delle spese anticipate e prenotate;
  4. se il giudizio è estinto o rinunciato, l'attore o l'impugnante diverso dalla parte ammessa al patrocinio è obbligato al pagamento delle spese prenotate a debito, salva la possibilità, nel caso in cui lo Stato non riesca a recuperarle, di esercitare la rivalsa nei confronti della parte ammessa, mentre le spese anticipate sono in ogni caso recuperate nei confronti dell'ammesso. I casi di estinzione cui la norma si riferisce sono quelli di cui all'art. 307, commi 2 e 3, c.p.c. e, cioè, i casi nei quali l'estinzione viene senz'altro fatta conseguire all'omissione dell'atto nel termine perentorio prescritto dalla legge o dal giudice;
  5. se la causa viene cancellata ai sensi dell'art. 309 c.p.c. (267) e nei casi di estinzione diversi da quelli previsti dalle ipotesi in precedenza considerate, tutte le parti sono solidalmente obbligate al pagamento delle spese prenotate, quindi anche la parte ammessa, indipendentemente da quanto conseguito, mentre è escluso il recupero delle spese delle spese anticipate, che rimangono quindi, a carico dello Stato, dato che queste fattispecie non sono ricomprese nel campo di applicazione dell'art. 134 commi 1 e 2 t.u. In particolare, si tratta dell'ipotesi in cui il giudice ordini la cancellazione della causa dal ruolo per la mancata comparizione delle parti in udienza nel corso del processo e dell'ipotesi in cui il processo si estingua per mancata riassunzione del processo nel termine di cui all'art. 307, comma 1, c.p.c. (268).

Da quanto emerge dalla lettura degli articoli appena considerati notiamo che, il t.u. non disciplina esplicitamente l'ipotesi in cui il provvedimento che definisce il giudizio dispone la compensazione tra le parti delle spese processuali.

Considerando che non sempre quando vi è soccombenza di una delle parti c'è anche condanna al pagamento delle spese processuali, il C.N.F. rileva come il tenore letterale dell'art. 133 t.u. induca a ritenere che allo Stato spetti l'azione di rivalsa nei confronti della parte soccombente, diversa da quella ammessa la patrocinio gratuito, soltanto se questa è anche condannata, con il provvedimento che definisce il giudizio, alla rifusione delle spese processuali.

Diversamente, se, nonostante la soccombenza della parte diversa da quella ammessa al gratuito patrocinio, il giudice disponga la compensazione delle spese processuali, lo Stato non ha diritto a recuperare le spese anticipate e prenotate, non ricorrendo né i presupposti dell'art. 133 né, a maggior ragione, quelli dell'art. 134 (269).

Consideriamo infine, come avviene la determinazione e l'imputazione degli onorari e delle spese spettanti al difensore.

Il combinato disposto dell'art. 82 con l'art. 130 del t.u., già contenuto nella disposizione di cui all'art. 15 quattuordecies legge 217/90, prevede che i compensi spettanti al difensore «sono liquidati dall'autorità giudiziaria con decreto di pagamento» tenuto conto di una serie di circostanze e in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative a onorari, diritti e indennità, «ridotti della metà».

È il giudice, quindi, che determina, con atto diverso dal provvedimento che definisce il processo e, indipendentemente dall'esito dello stesso, l'importo dimezzato dovuto al difensore del soggetto ammesso al gratuito patrocinio.

Scarselli, critica fortemente questa scelta del legislatore, in quanto secondo lui:

Disporre che il legale che assiste una ammessa al patrocinio a spese dello Stato si debba vedere liquidare i diritti ed onorari nella misura della metà dei valori medi è un modo elegante per dire che l'avvocato, in quelle circostanze, deve lavorare con un compenso inferiore (a volte anche sensibilmente) ai minimi tariffari previsti dall'ultimo D.M. 5 ottobre 1994, n. 585. Se poi si considera che, in base all'art. 3 del decreto appena menzionato «gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni dell'avvocato e gli onorari e diritti stabiliti per le prestazioni del procuratore sono inderogabili» si deve concludere che la norma in commento costituisce la consacrazione legislativa del dovere del difensore di percepire in questi casi una parcella che se percepita in circostanze normali costituirebbe infrazione ai doveri deontologici e potrebbe costituire fatto sanzionabile sotto il profilo disciplinare (270).

Nella relazione illustrativa del t.u., nel commento all'art. 130, si legge invece, semplicemente che "in merito ai compensi, si ritiene che, nonostante l'evidente disparità di trattamento tra gli altri processi e il penale, non sia possibile intervenire in sede di testo unico per uniformare la disciplina". Mentre nel citato parere del C.N.F., si asserisce che "può ritenersi giustificata la corresponsione al difensore di onorari e spese in misura ridotta se solo si considera che il R.D. 3282/23 (approvazione del testo di legge sul gratuito patrocinio) abrogato sotto l'attuale t.u. esordiva, all'art. 1, affermando che: «il patrocinio a favore dei poveri è ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli avvocati e procuratori» (271).

Appare chiaro secondo Scarselli, che lo Stato, se da una parte assume i costi del processo per la parte non abbiente, dall'altra, secondo un principio di rigore della spesa pubblica, deve cercare di contenere i costi stessi. Però, considerando che gli onorari minimi e i diritti sono inderogabili ai sensi dell'art. 3 del D.M. 585/94, il legislatore avrebbe almeno potuto prevedere, che il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, potesse prestare la propria opera professionale ottenendo una retribuzione uguale ai minimi e non invece addirittura inferiore a questi. "Ed in ogni caso il legislatore avrebbe dovuto con maggior chiarezza separare l'esigenza di contenimento della spesa pubblica con le altre possibilità di recupero delle spese processuali che le varie vicende del processo possono consentire" (272).

Gli onorari e le spese dovute al difensore, sono inseriti, ai sensi dell'art. 131 del t.u., tra le spese anticipate dall'erario.

Diversamente da quanto era previsto dalla normativa precedente che, all'art. 15 sexiesdecies della legge n. 217/90, come modificata dalla legge n. 134/01, escludeva il diritto di recupero dello Stato per gli onorari e le indennità dovuti al difensore, attualmente, siccome la disposizione non è stata riprodotta nel t.u., gli onorari e le spese dovuti al difensore, al pari di tutte le spese anticipate dall'erario, sono recuperate dallo Stato, se ricorrono i presupposti di cui agli artt. 133 e 134 t.u.

In particolare, se la parte ammessa la gratuito patrocinio è soccombente ovvero se è vittoriosa, ma venga disposta la compensazione delle spese processuali, così come non c'è recupero delle spese prenotate a debito, non c'è recupero delle spese anticipate e, di conseguenza, anche gli onorari e le spese spettanti al difensore rimangono a carico dello Stato (273). Diversamente, se la parte ammessa al gratuito patrocinio è vittoriosa e il provvedimento che definisce il giudizio pone a carico della parte soccombente le spese processuali, quest'ultima deve, a norma dell'art. 133 t.u., versare allo Stato le spese processuali poste a suo carico.

2.4.5. Estensione delle disposizioni del patrocinio a spese dello Stato nei processi civili anche a tipi particolari di processi

2.4.5.1. Il patrocinio a spese dello Stato nel processo tributario

Il testo unico in materia di spese di giustizia, ha riconosciuto ai poveri un'ulteriore possibilità rispetto alla vecchia disciplina, quella di ottenere il patrocinio a spese dello Stato anche nei processi tributari. Non bisogna dimenticare, infatti che i non abbienti a volte possono incappare nell'ulteriore sventura di dover contestare le imposizioni fiscali (274).

La legge n. 134/2001, nell'estendere, sia pure con innumerevoli e radicali distinguo, ai processi civili ed amministrativi la disciplina del patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, si era completamente scordata del processo tributario, sicché per esso non sarebbe restato che attingere alla normativa di cui all'art. 13 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 (275), in base al cui comma primo sarebbe stata assicurata innanzi alle commissioni tributarie ai non abbienti l'assistenza tecnica gratuita, secondo le disposizioni del R.D. n. 3282 e successive modificazioni ed integrazioni.

Si era venuto così creando, un paradosso normativo. In tale materia non c'era stata alcuna modifica, poiché la legge n. 134, nulla disponeva circa il processo tributario; si sarebbe di conseguenza dovuto ricorrere ancora per esso al vetusto R.D. -peraltro nel frattempo paradossalmente abrogato dal comma 2 dell'art. 23 della legge n. 134- che fra l'altro non prevedeva come sappiamo alcun compenso per i difensori (276).

La Relazione illustrativa al testo unico, si limita invece a qualificare tutto ciò come un «mero difetto di coordinamento» sostenendo che, il legislatore della riforma del 2001, poiché nel prevedere la nuova disciplina generale ha espressamente abrogato la precedente disciplina generale, ha voluto riferire la nuova disciplina anche al processo tributario (277).

Il t.u., provvede così a rattoppare questo spazio lasciato vuoto dalla legge n. 134, però nell'accingersi a delineare la nuova disciplina, resa necessaria da questa enorme lacuna precedente, si affretta subito a precisare il limitato ambito temporale della propria applicabilità, sino a quando cioè non vengono emanate disposizioni particolari (278). Inoltre, il t.u. stabilisce che, il patrocinio a spese dello Stato nel processo tributario sarà regolato sia dalle disposizioni a carattere generale, sia da quelle specifiche del processo civile, amministrativo, contabile e tributario.

L'art. 138 t.u., si limita a riprendere testualmente l'art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, prevedendo che «Presso ogni commissione tributaria è costituita una commissione del patrocinio a spese dello Stato composta da un presidente di sezione, che la presiede, da un giudice tributario designato dal presidente della commissione, nonché da tre iscritti negli albi o elenchi di cui all'art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 e successive modificazioni designati al principio di ogni anno a turno da ciascun ordine professionale del capoluogo in cui ha sede la commissione e dalla direzione regionale delle entrate. Per ciascun componente è designato un membro supplente. Al presidente e ai componenti non spetta alcun compenso. Esercita le funzioni di segretario un funzionario dell'ufficio di segreteria della commissione tributaria».

Dal disposto dell'art. 138 t.u. si può capire come l'organo che ha il compito di ammettere la parte al beneficio in un processo tributario, ha una composizione mista. La costituzione di questa speciale commissione, diverge dalla regolamentazione finora esposta per i processi civili ed amministrativi, innanzitutto perché questa commissione svolge il compito che negli altri processi è attribuito al consiglio dell'ordine forense.

Il motivo per cui il legislatore ha voluto mantenere questa differenza di procedura, potrebbe essere ricercato nelle particolari disposizioni sulla difesa tecnica, che regolano il processo tributario. Infatti, mentre in tutti gli altri processi la difesa tecnica è esercitata da un avvocato, il processo tributario legittima alla difesa tecnica anche altri professionisti, ed in particolare, ai sensi dell'art. 12 d. lgs. 546/92, possono patrocinare il ricorrente nelle commissioni provinciali e regionali «i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali» e, per particolari controversie, anche i consulenti del lavoro, gli architetti, i geometri, i periti edili, i dottori in agraria, gli agronomi e i periti agrari (queste categorie di soggetti, svolgevano anch'essi, nella precedente disciplina, la loro opera gratuitamente nei confronti dei soggetti non abbienti) (279). "Trattandosi di un allargamento della gamma di soggetti abilitati allo ius postulandi, è logico che il setaccio per l'ammissione al beneficio non venga ristretto al Consiglio dell'ordine degli avvocati, ma affidato ad una commissione rappresentativa di tutti gli ordini i cui componenti abbiano titolo a partecipare alla difesa" (280).

La struttura di questa Commissione, si appalesa peculiare anche sotto il profilo della sua ulteriore composizione, perché di essa non fanno parte, a differenza del Consiglio dell'ordine forense, soltanto rappresentanti di potenziali difensori, ma anche giudici: essa viene presieduta da un presidente di sezione (della commissione tributaria) e ne deve far parte un giudice, designato dal presidente della commissione tributaria. Inoltre, viene precisato che, i giudici tributari, i quali fanno parte della commissione, hanno l'obbligo di astenersi nei processi riguardanti controversie da loro esaminate quali componenti della commissione stessa (281).

Questa struttura mista della commissione, posta al vaglio delle domande, costituisce l'unica strada d'accesso per il patrocinio dei non abbienti nel processo tributario.

Nel processo civile ed amministrativo, in caso di rigetto dell'istanza da parte del consiglio dell'ordine, abbiamo constatato che ci si può rivolgere al giudice della controversia, mentre questa sorta di "doppio binario" o d'impugnativa viene espressamente rifiutato dall'art. 139 t.u., in base al quale le funzioni che gli articoli 79, 124, 126 e 136 attribuiscono, anche in modo ripartito, al consiglio dell'ordine degli avvocati e al magistrato sono svolte solo dalla Commissione del patrocinio a spese dello Stato.

In pratica, compete esclusivamente a quest'ultima, l'ultima parola a decidere sull'ammissibilità della richiesta e anche sulla revoca del provvedimento di ammissione già adottato. E il citato art. 139 t.u., ribadendo l'insindacabilità della decisione della commissione, prosegue con lo stabilire che l'istanza respinta o dichiarata inammissibile dalla commissione non può essere proposta al magistrato davanti al quale pende il processo o competente a conoscere il merito.

L'abolizione della ripartizione di competenze vigente per i processi civili e amministrativi viene giustificata dalla relazione illustrativa, dalla natura mista della Commissione che "rappresenta magistrati, avvocati e difensori diversi dagli avvocati" per cui, non avrebbe senso un appello al magistrato nei confronti della decisioni della commissione, che è quindi l'unica deputata a "decidere sull'istanza di ammissione, a verificare le condizioni di reddito, originari e sopravvenuti, a revocare, ad effettuare le comunicazioni, a richiedere la documentazione integrativa" (282).

La scelta del legislatore in relazione a questi organi speciali non ha convinto molto Scarselli, il quale si esprime in proposito dicendo:

Talune volte il legislatore non sembra avere alcuna considerazione dell'opera dei giudici ordinari, né alcun rispetto dell'art. 102, comma 2º Cost. nella parte in cui vieta l'istituzione di nuovi giudici speciali. La scelta di cui all'art. 139 t.u. a me pare infatti assolutamente inaccettabile nella parte in cui esclude in ogni caso che le decisioni assunte da tale speciale commissione possono essere riproposte al giudice. La disposizione normativa sembra non considerare che una simile cosa rende tale commissione giudice speciale, e quindi viola l'art. 102, comma 2º cost (283).

Chi è ammesso al patrocinio a spese dello Stato nel processo tributario, dato che lo ius postulandi avanti alle commissioni tributarie non viene riservato ai soli avvocati, può nominare un difensore scelto ai sensi dell'art. 80 t.u. (cioè iscritto presso gli speciali elenchi del consiglio dell'ordine degli avvocati) ovvero un difensore scelto nell'ambito degli altri albi ed elenchi di cui all'art. 12, comma 2, del citato d. lgs. n. 546/92 e successive modificazioni (284).

In base al testo aggiornato della norma così richiamata sono abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, gli avvocati, i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commerciali.

Sono inoltre abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, se iscritti nei relativi albi professionali, i consulenti del lavoro, per le materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e assimilati e gli obblighi di sostituto di imposta relative alle ritenute medesime, gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti edili, i dottori in agraria, gli agronomi e i periti agrari, per le materie concernenti l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, la consistenza il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale e gli spedizionieri doganali per le materie concernenti i tributi amministrati dall'Agenzia delle dogane (285).

In attesa dell'adeguamento alle direttive comunitarie in materia di esercizio di attività di consulenza tributaria e del conseguente riordino della materia, sono, altresì, abilitati all'assistenza tecnica, se iscritti in appositi elenchi da tenersi presso le direzioni regionali delle entrate, i soggetti indicati nell'art. 63, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioniere limitatamente alle materie concernenti le imposte di registro, di successione, i tributi locali, l'Iva, l'Irpef, l'Ilor e l'Irpeg, nonché i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) e i dipendenti delle loro imprese, o delle loro controllate ai sensi dell'art. 2359 c.c., comma 1, n. 1), limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate, in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale.

Sono inoltre abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie i funzionari delle associazioni di categoria che, alla data di entrata in vigore del d. lgs. n. 545/92, risultavano iscritti nell'elenco tenuto dall'Intendenza di finanza competente per territorio, ai sensi dell'art. 30, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (286).

Il sistema della nomina rimane quindi quello ordinario, che abbiamo visto per i processi civili, soltanto per gli avvocati, limitato cioè agli specifici elenchi presso i consigli dell'ordine forense; invece per gli altri patrocinatori l'ammesso al patrocinio è libero d'indicare un qualsiasi professionista abilitato alla difesa in virtù del suindicato comma 2 dell'art. 12 d. lgs. n. 546/92.

"Disparità che salta agli occhi, facilmente spiegabile con la difficoltà di elaborare appositi elenchi per ognuna delle tante categorie professionali interessate, ma che disparità permane. Tanto più che per ovviarla, avrebbe potuto facilmente farsi uno strappo alla regola generale, con il consentire la piena libertà di scelta anche nell'ambito degli iscritti all'albo degli avvocati" (287).

Anche Scarselli esprime a riguardo la sua critica, affermando:

Sinceramente, preferivo il mio suggerimento di limitare il patrocinio a spese dello Stato ai soli avvocati iscritti nello speciale elenco dell'art. 81 t.u. che non l'estensione del patrocinio a tutti i professionisti di cui all'art. 12 del d. lgs. 546/92. A questo punto, come si riesca a giustificare che un avvocato con cinque anni di professione non possa assistere una parte nelle commissioni tributarie perché non riesce ad iscriversi nello speciale elenco di cui all'art. 81 t.u. mentre possa farlo un geometra o un ragioniere non mi è dato capire. Delle due l'una: o l'art. 81 t.u. non ha ragione d'essere e deve essere dichiarato incostituzionale, oppure i professionisti di cui all'art. 12 del d. lgs. 546/92 non possono assistere parti non abbienti che aspirino ad ottenere i benefici del patrocinio a spese dello Stato. Ogni altra soluzione prima ancora che incostituzionale è assolutamente illogica (288).

Per i criteri nella liquidazione delle spettanze del difensore l'art. 141 t.u. richiama quanto disposto in via generale dall'art. 82 t.u., in base al quale, come sappiamo, l'onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall'autorità giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, essi non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative a onorari, diritti e indennità, e previo parere del Consiglio dell'ordine, tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione procedurale della persona difesa.

L'art. 141 t.u. precisa inoltre che «per gli iscritti agli elenchi di cui all'art. 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni, si applica la tariffa vigente per i ragionieri ed il parere è richiesto al relativo Consiglio dell'ordine». Infine il t.u. rammenta che sia per gli avvocati, sia per gli altri difensori abilitati «gli importi sono ridotti della metà» come avviene nei processi civili, amministrativi e contabili.

Per il disposto della lettera b) del comma 2 dell'art. 131 del t.u. viene prenotata a debito l'imposta di bollo ai sensi dell'art. 17 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642 (Disciplina dell'imposta di bollo) nel processo tributari oltreché contabile. Bisogna infatti ricordare che in questi processi non è applicato il contributo unificato per le spese degli atti giudiziari.

Bisogna per ultimo ricordare in questa sede, che la lettera a) dell'art. 91 del t.u. prevede l'esclusione del patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, per l'indagato, l'imputato o il condannato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. "Disposizione che suona invero abbastanza penalizzante con riguardo a un certo tipo di reati rispetto a tutti gli altri, pur se efferati o efferatissimi" (289).

2.4.5.2. Concessione del gratuito patrocinio allo straniero nel ricorso contro il decreto di espulsione

L'art. 142 del t.u. in materia di spese di giustizia così recita: «Nel processo avverso il provvedimento di espulsione del cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea, di cui all'art. 13, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'onorario e le spese spettanti all'avvocato e all'ausiliario del magistrato sono a carico dell'erario e sono liquidati dal magistrato nella misura e con le modalità rispettivamente previste dagli articoli 82 e 83 ed è ammessa opposizione ai sensi dell'articolo 84».

Dopo l'entrata in vigore del t.u. è però, intervenuta una modifica che ha fatto sì che il terreno sul quale si reggeva la norma appena descritta cambiasse. Infatti, quasi contemporaneamente all'entrata in vigore del t.u., il 1º luglio 2002, "ecco scappar fuori la legge 189/02" (290), contenente "modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo", la quale, all'art. 12, lettere e) ed f), non soltanto ha nuovamente regolato il procedimento dell'espulsione dello straniero, ma si è appositamente rioccupata dell'opposizione e appunto, in quell'ambito, del patrocinio a spese dello Stato. Dal che nasce l'esigenza di rivisitare il citato art. 142 t.u., sulla base del nuovo contesto. Cambiato, infatti, il quadro normativo di riferimento, può mutare anche l'analisi della norma-base.

L'art. 13 del Dlgs 286/98 richiamato dall'art. 142 del t.u., prevede al primo comma che «per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il ministro dell'Interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al ministro degli Affari esteri», contro tale decreto, a norma del comma 11, è ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma. In forza del secondo comma di detto articolo 13 «l'espulsione è invece disposta dal prefetto quando lo straniero:

  1. è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell'articolo 10 del Dlgs;
  2. si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo;
  3. appartiene a taluna delle categorie indicate nell'articolo 1 della legge 1423/1956 (291), come sostituito dall'articolo 2 della legge 3 agosto 1988 n. 327, o nell'articolo1 della legge 31 maggio 1965 n. 575 (292), come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982 n. 646».

L'espulsione, deve essere disposta in ogni caso con decreto motivato (comma 3 del Dlgs. N. 286). Contro tale decreto, il successivo comma 8 del Dlgs in questione, introdotto dalla legge cosiddetta Bossi-Fini n. 189/00, prevede che può essere presentato unicamente il ricorso al tribunale in composizione monocratica (stante l'avvenuta soppressione dell'ufficio del pretore) del luogo in cui ha sede l'autorità che ha ordinato l'espulsione, entro il termine di 60 giorni.

Con la presentazione del ricorso contro il decreto di espulsione, si viene ad instaurare una procedura, le cui linee venivano fissate, prima dell'intervento della Bossi-Fini, dal comma 9 dell'art. 13 del Dlgs. n. 286, in base al quale si precisava, fra l'altro, che l'interessato dovesse essere sentito, e che il provvedimento fosse adottato nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del c.p.c., ossia col rito camerale. Tale norma è venuta meno con la modifica della legge n. 189/02, ma stranamente permane il successivo art. 13 bis, in base al quale «se il ricorso di cui all'art. 13 del Dlgs. n. 286 è tempestivamente proposto, il pretore (ora tribunale in composizione monocratica), fissa l'udienza in camera di consiglio con decreto, steso in calce al ricorso». Il successivo comma 3 di tale norma precisa che «gli atti del procedimento e la decisione sono esenti da ogni tassa e imposta».

Abbiamo detto tutto ciò, per dimostrare che il ricorso contro l'espulsione, dà luogo all'instaurarsi di un procedimento di natura civilistica, come è dimostrato, ad avviso di una recente sentenza della Cassazione, non solo dal richiamo agli articoli 737 del c.p.c. e seguenti, ma anche dalla disciplina dettata dall'art. 13 bis citato, ove si dispone che il pretore (ora tribunale) fissa l'udienza in camera di consiglio con decreto steso in calce al ricorso, il quale viene quindi notificato, a cura della cancelleria, all'autorità che ha disposto l'espulsione, cui compete la facoltà di partecipare alla procedura camerale personalmente o a mezzo di funzionari delegati (293). Sicché sarebbe radicalmente nullo, per violazione del principio del contraddittorio, il provvedimento emesso dal giudice senza che fosse integrato il contraddittorio nei confronti dell'amministrazione (294).

Consideriamo ora la parte che qui più ci interessa, ovvero, la possibilità per lo straniero di ottenere il patrocinio a spese dello Stato. Il comma 10 dell'art. 13 del Dlgs n. 286, adesso abrogato dall'art. 12, lettera f), della legge 189/02, dopo aver trattato le modalità per la sottoscrizione del ricorso in opposizione, stabilisce che lo straniero è ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato e, qualora sia sprovvisto di un difensore è assistito da un difensore designato dal giudice nell'ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all'art. 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale approvate con Dlgs. n.271/89, e successive modificazioni, nonché ove necessario da un interprete (295).

Da quanto appena riferito, possiamo constatare che il legislatore ha congiunto due istituti assai diversi, anche se all'apparenza consimili: da una parte il patrocinio a spese dello Stato, che si sa all'epoca non prevedeva per il rito civile alcun compenso, dall'altra la difesa d'ufficio, "singolarmente trapiantata dall'alveo penale suo proprio, al campo civile, con espressa previsione di attingere dal bacino dei difensori di ufficio del processo penale" (296).

Successivamente, con la legge n. 134 prima, e con il testo unico in materia di spese di giustizia poi, le cose sono cambiate radicalmente, grazie all'introduzione del patrocinio a spese dello Stato anche nel processo civile, e in particolare, nella materia ora esaminata, grazie ad una delle più rilevanti modifiche, recata dall'art. 142 t.u., prima citato.

Inoltre, la legge Bossi-Fini, ha abrogato come abbiamo detto, il precedente art. 13 del Dlgs. n. 286, e stabilisce, dopo aver indicato le modalità per la sottoscrizione del ricorso, che lo straniero è ammesso all'assistenza legale da parte di un patrocinatore legale di fiducia munito di procura speciale rilasciata avanti all'autorità consolare. Lo straniero, continua la norma, è altresì ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell'ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui al dlgs 28 luglio 1989 n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete (297).

Si può subito notare che tale ius superveniens non si discosta sostanzialmente dall'impostazione recata dal citato art. 10 del Dlgs. n. 286, semmai quello che è cambiato, come s'accennava prima, è il terreno su cui poggiava la precedente normativa.

Possiamo cogliere a questo punto, alcuni aspetti peculiari della disciplina, notando la singolare posizione difensiva della parte ricorrente la quale, può anche sottoscrivere personalmente l'atto introduttivo, ma deve poi essere assistita da un legale (il termine 'patrocinatore' utilizzato dalla legge Bossi-Fini, potrebbe forse alludere anche al praticante avvocato abilitato al patrocinio (298)).

La presenza del legale, è indispensabile, tant'è che in mancanza sarà provveduto alla nomina di un difensore d'ufficio: rimane ancora questa particolarità anomala, trattandosi indubbiamente di un procedimento a carattere civilistico, come si è detto prima. Tra l'altro l'apposito elenco cui dovrà farsi capo per nominare il difensore, è evidentemente composto esclusivamente da penalisti, nonostante il diverso terreno nel quale la difesa dovrà muoversi (299).

Un'altra peculiarità, che differenzia questo tipo di procedimento dagli altri, è che l'opponente, viene comunque ammesso al patrocinio a spese dello Stato tout court, sia che abbia nominato un legale di fiducia, sia che un difensore gli sia stato designato d'ufficio, indipendentemente dal proprio reddito, e senza una preventiva verifica sulla manifesta fondatezza dell'opposizione. Sarà inoltre libero nella scelta del proprio difensore di fiducia, in ogni caso a spese dello Stato, non essendo previsto alcun vincolo di far riferimento né all'elenco istituito presso i consigli degli ordini degli avvocati, né a quello dei difensori d'ufficio di cui alle disposizioni di attuazione del c.p.p. Ancora: nessuna domanda e trafila per l'ammissione al patrocinio (il tutto avviena ope legis) e nessun recupero postumo da parte dell'Erario, "neppure se si scoprisse poi che l'espulso era un marajà" (300).

Per quanto riguarda la liquidazione dell'onorario del difensore, l'art. 142 del t.u., richiama l'art. 82 del t.u., in virtù del cui primo comma l'onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall'autorità giudiziaria con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, relative a onorari, diritti e indennità e previo parere del consiglio dell'ordine, tenuto conto dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa. Perciò sembra che al difensore, di fiducia o d'ufficio, al fine di recuperare quanto gli spetta, non debba far altro che procurarsi il parere del consiglio dell'ordine forense.

L'opponente, è esente da qualsiasi onere fiscale; "semmai, in considerazione della completa sottolineata libertà nella scelta del difensore, potendo quindi l'opponente avvalersi anche di un difensore extra districtum, sembra che in questa evenienza non sarebbero dovute le spese e le indennità di trasferta previste dalla tariffa professionale, stante il disposto, sia pure ambiguo del comma 2 del richiamato art. 82 t.u." (301).

Ma, da quanto asserisce Sacchettini, l'aspetto più rilevante, riguardo al compenso del difensore, sembra essere un altro:

Si è osservato che si tratta di un procedimento civile a ogni effetto e quindi dovrebbe operarsi anche per questo tipo di compenso la falcidia della riduzione a metà disposta dall'articolo 130 del t.u.. Ma l'articolo 142 del t.u. non lo richiama, e anzi richiama esclusivamente, come si è visto, l'articolo 82 il quale, collocato fra le norme generali, prevede appunto il compenso "pieno". Dimenticanza del legislatore? Assimilazione al regime della difesa nel processo penale, stante l'applicabilità della difesa d'ufficio? Non è dato di sapere: certo è che ubi lex voluit, dixit, ubi noluit, tacuit: il richiamo espresso ad una norma implica l'inapplicabilità dell'altra, non richiamata (inclusio unius, exclusio alterius) (302).

Note

1. Cfr. G. C. Perone, Gratuità del giudizio e patrocinio a spese dello Stato (controversie di lavoro), in "Nuovissimo Digesto italiano", appendice III, Torino, 1982, p. 1110.

2. A proposito delle controversie individuali di lavoro, bisogna ricordare che l'orientamento legislativo volto alla progressiva estensione di esenzioni e agevolazioni fiscali a vantaggio del lavoratore, comprendeva anche altri precedenti legislativi quali: la legge 21 maggio 1934, n. 1073 (art. 27), la legge 15 luglio 1966, n. 604, recante la disciplina dei licenziamenti individuali, e la legge 20 maggio 1970, n. 300, cosiddetto statuto dei lavoratori. Queste leggi, unite alla legge n. 533/1973, andavano a comporre il complesso di quel vario e incisivo intervento legislativo che segnò una stagione della storia del diritto del lavoro in cui il legislatore si preoccupò di procedere alla sua defiscalizzazione.

3. Cfr., G. C. Perone, op cit., p. 1110.

4. Cfr. M. Canonico, op. cit., p. 1406ss.

5. Cfr. N. Trocker, Patrocinio gratuito, cit., p. 301.

6. La legge 11 agosto 1973, n. 533, non solo ha introdotto una particolare forma di tutela per i soggetti economicamente svantaggiati, ma ha modificato l'intero processo del lavoro, soprattutto dal punto di vista dell'economicità e oralità dei giudizi in tale materia.

7. Cfr.G.Tucci, L'accesso dei non abbienti alla giustizia: dal patrocinio gratuito al patrocinio retribuito dallo Stato, in "Riv. giur. del lavoro" vol.II, 1978.

8. Cfr. art. 15 legge n. 533, cit.

9. Cfr. G.C. Perone, op. cit., p. 1111.

10. Cfr.R.G. Rodio, op. cit., pp.132-133.

11. Cfr. R. G. Rodio, op cit., p. 84.

12. Cfr. art. 11, quarto comma, legge n. 533 cit.

13. Cfr. art. 11, quinto comma, legge n. 533 cit.

14. Cfr. art. 11, sesto comma, legge n. 533 cit.

15. Cfr. art. 11, settimo comma, legge n. 533 cit.

16. Cfr. M. Canonico, op. cit., p. 1419.

17. Cfr. M. Canonico, op. cit., p. 1419.

18. Cfr. G. Pezzano, Patrocinio a spese dello Stato, in "Enc. Del Dir., 1982, p. 443.

19. Cfr. art. 13, terzo comma, legge n. 533, cit.

20. Cfr.G. Tucci, op. cit., p. 152.

21. Cfr. Cass., 20 novembre 1981, n. 6155.

22. Cfr. G. Tucci, op. cit., p. 160.

23. Cfr. art. 14, secondo comma, legge 533, cit.

24. Cfr. art. 14, primo comma, legge 533, cit.

25. Le due decisioni della Commissione Europea dei Diritti dell'Uomo sono pubblicate, in traduzione italiana, nel "Foro Italiano", XCVI del 1974, IV, c.113 e segg., con nota di V. Grementieri, La convenzione europea dei diritti dell'uomo e il gratuito patrocinio, op. cit., IV, c. 122 ss.

26. Per le critiche alla legge n. 533, cit. cfr. P.A. Airoldi, L'assistenza legale ai non abbienti. La vicenda il dibattito e le indicazioni di un'esperienza, in "Questione Giustizia", 1985, pp. 495 e ss. Vedi inoltre, V. Denti, in "Enc. Giur. Treccani", voce: Assistenza giudiziaria ai non abbienti, II) Diritto processuale civile, 1988, pp 3 ss.

27. Cfr. M. Cappelletti, Gratuito patrocinio. Le cavie della giustizia, cit. p. 33.

28. Cfr. P. A. Airoldi, op. cit., p. 495.

29. Le considerazioni sopra riportate sono del Tucci, op. cit., pp. 159-160.

30. Cfr. N. Trocker, Assistenza legale e giustizia civile, cit., pp. 123 ss.

31. Cfr. G. Tucci, op. cit., p. 141.

32. Ivi, p. 155.

33. Cfr. V. Denti, Assistenza giudiziaria ai non abbienti, cit. p. 4.

34. Cfr. art. 12, legge n. 533, cit.

35. Cfr. P. A. Airoldi, op. cit., p. 496.

36. Lo studio statistico di cui sopra si può confrontare in: P.A. Airoldi, op. cit., p. 507.

37. Per una maggiore comprensione dell'importanza del ruolo del sindacato in tale settore, cfr. A. Galasso, F. Fabbri e P. Alleva, sul tema: La politica giudiziaria del sindacato e i suoi strumenti, in "Quaderni di rassegna sindacale", 1974, n. 46, pp.163 ss., 168 ss., 172 ss., e inoltre vedi G. Tucci, op. cit., p.160 ss.

38. Utilizzo i verbi al presente perché, il sindacato continua ad essere presente e a salvaguardare gli interessi dei lavoratori ancora oggi.

39. Cfr. G. Tucci, op. cit., p. 161.

40. Cfr. G. Tucci, op. cit., p. 162.

41. Ibid.

42. Per una maggiore comprensione della struttura e delle funzioni degli enti di patronato, vedi: F. Simoncini, I patronati sindacali, in "Lavoro e previdenza oggi", 1976, vol. I, p.173 ss.

43. Cfr. Art. 15, comma 2, legge 13 aprile 1988 n. 117.

44. Così, M. Canonico, op. cit., p. 1423.

45. Cfr. A. Giusti, Il patrocinio a spese dello Stato nella nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati, in "Giurisprudenza italiana" II, 1989, p. 392. Il saggio riproduce il testo di un intervento al Convegno nazionale sulla 'difesa dei non abbienti' tenutosi a Lucca il 6 maggio 1989.

46. Cfr. M. Canonico, op. cit., p. 1424.

47. Cfr. R. G. Rodio, op. cit., p. 146.

48. Cfr. art. 15, comma 3, legge n. 117, cit.

49. Cfr. A Giusti, op. cit., p. 392.

50. Cfr. M. Canonico, op. cit., p.1425.

51. Cfr. art. 11, comma 4, legge n. 533, cit.

52. Cfr. art. 11, comma 5, legge n. 533, cit.

53. Cfr. A. Giusti, op. cit., p. 391.

54. Cfr. Corte Europea dir. uomo, 13 maggio 1980, Caso Artico, in "Foro it.", 1980, IV, p. 141.

55. Cfr. E. Amodio, Il patrocinio statale per i non abbienti nel nuovo processo penale, in "La giustizia penale", 1980, III, p. 311.

56. Cfr. N. Trocker, Assistenza legale..., cit. p. 143 ss.

57. Il d.m. n. 327 del 1990, contiene il "Regolamento in materia di patrocinio a spese dello Stato concernente le modalità per il pagamento dei compensi spettanti al difensore o al consulente tecnico di parte e al consulente tecnico d'ufficio, per l'annotazione e l'anticipazione delle spese relative al procedimento nonché per il recupero di tali somme".

58. Cfr. F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, in "Foro it.", 1994, V, p. 84.

59. Cfr. art. 15, legge n. 533, cit.

60. Cfr. E. Amodio, op. cit., p. 312.

61. Cfr. E. Amodio, op. cit., p. 312.

62. La relazione citata affiancava il disegno di legge presentato alla Camera in vista della istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti imputati in giudizi penali, ed è stata pubblicata insieme al testo del disegno in "La magistratura" del 1987, p.27 ss.

63. Cfr. N. Trocker, Patrocinio gratuito, cit. 303.

64. Cfr.P. A. Airoldi, La difesa dei non abbienti nel nuovo processo penale, in "Questione giustizia", 1991, p. 239.

65. Cfr. G. Colla, Il patrocinio dei non abbienti innanzi al giudice civile secondo la nuova legge, in "Documenti giustizia" 1990, n.7-8, p. 61.

66. Cfr. art. 97 dell'attuale c.p.p., approvato con D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447.

67. Cfr. G. Colla, op. cit., p. 61.

68. La risoluzione cui Colla si riferisce è quella emessa dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa sull'assistenza giudiziaria, adottata a Strasburgo il 2 marzo 1978, le cui raccomandazioni costituiscono una sintesi del dibattito culturale sull'argomento dell'assistenza ai non abbienti. La principale affermazione di principio sulla quale si incentra l'intero testo attiene all'invito agli Stati membri di assumere tutte le misure necessarie per assicurare la relativa assistenza giudiziaria affinché, nessuno sia impedito da ostacoli di carattere economico di far valere i suoi diritti o di difendersi davanti a tutte le giurisdizioni in materia «civile, commerciale, amministrativa, sociale o fiscale».

69. Cfr. art. 1, comma 7, legge n. 217, cit.

70. Cfr. F. Manna, Osservazioni sulla legge di istituzione del patrocinio dello Stato per i non abbienti, in "Iustitia", 1991, p. 310.

71. Cfr. F. P. Luiso, Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, in "Riv. dir. proc.", 1991, p. 268.

72. Cfr. art. 1, comma 2, legge 217, cit.

73. Cfr. art. 2, legge n. 217, cit.

74. Cfr. art. 6, comma 3, legge 217, cit.

75. Cfr. F. Manna, op. cit. p. 311.

76. Cfr. art. 1, comma 6, legge n. 217, cit.

77. Cfr. A. Algostino, Il diritto alla difesa dello straniero non abbiente: una legislazione incerta e inadeguata ai nuovi flussi migratori, in "Giurisprudenza italiana", I, 1996, p. 300.

78. Cfr. P. A. Airoldi, cit., p. 240.

79. Così, A. Algostino, op. cit., p. 300.

80. Cfr. A. Algostino, ivi. p 301.

81. Cfr. art. 14, comma 3, lett. d) del Patto internazionale per i diritti civili e politici, introdotto in Italia con la legge di ratifica ed esecuzione del 25 ottobre 1977, n. 881.

82. Cfr. art. 6, comma 3, lett. c) della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, ratificata in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.

83. Le frasi virgolettate, riprendono esattamente quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 219, del 1º giugno 1995, pubblicata in "Giuris. Ital.", I, 1996, pp. 296 ss.

84. Cfr. A Algostino, op. cit., p. 300.

85. Cfr. art. 6, commi 4 e 5, legge n. 217, cit.

86. Cfr. art. 10, comma 3, legge n. 217, cit.

87. Cfr. F. P. Luiso, op. cit., p. 270.

88. Cfr. art. 11, legge n. 217, cit.

89. Cfr. F. P. Luiso, op. cit., p. 272.

90. Cfr. P. A. Airoldi, La difesa dei non abbienti..., cit., p. 242.

91. Cfr. art. 4, comma 3, legge n. 217, cit.

92. Cfr. art. 4, comma 4, legge n. 217, cit.

93. Cfr. art. 10 commi 1 e 2, legge n. 217, cit.

94. Cfr. art. 12, legge n. 217, cit.

95. Cfr. F. P Luiso, op. cit., p. 273.

96. Cfr. art. 13, legge n. 217, cit.

97. Cfr. F. P. Luiso, op. cit., p. 274.

98. Cfr. art. 14, legge n. 217, cit.

99. Cfr. A. Casalinuovo, in "Enciclopedia giuridica Treccani", voce: Assistenza giudiziaria ai non abbienti, III) Diritto processuale penale, 1991, p.5.

100. Cfr. P.A. Airoldi, La difesa dei non abbienti nel nuovo processo penale, cit., p. 246.

101. Così V. Ceccon, La disciplina sull'assistenza giudiziaria gratuita, in "Il corriere giuridico", n. 10 del 1990, p. 1080.

102. N.Trocker, Patrocinio gratuito, in "Digesto discipline privatistiche", 1995, p.306.

103. Cfr. N. Trocker, ivi, p. 307.

104. Cfr. F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, cit., p. 102.

105. Cfr. V. Ceccon, op. cit., p. 1080.

106. Cfr. Corte cost., 28 aprile 1992, n.194, in "Foro it.", 1992, I, 3246.

107. Cfr. Corte Costituzionale, 16 giugno 2000, n. 200, in "Giustizia civile" del 2000, pp. 3085 ss., con nota di G. Giacalone, L'assistenza giudiziaria in materia civile tra legislazione italiana, strumenti internazionali vigenti e prospettive di interventi a livello comunitario.

108. Cfr. F.Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, cit., p. 102.

109. Cfr. E. Sacchettini, Il gratuito patrocinio. Scelta dei difensori solo dall'elenco degli ordini, in "Guida al diritto", luglio 2002, p. 144.

110. Il D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, serie generale n. 39, del 15 giugno 2002.

111. La premessa, è contenuta nella Relazione Illustrativa allo Schema di decreto del Presidente della Repubblica per l'approvazione del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 maggio 2002 ed è riferita alla parte III, contenente norme per il patrocinio a spese dello Stato.

112. Cfr. G.Scarselli, Il nuovo patrocinio nei processi civili ed amministrativi, Ed. Cedam, Padova 2003, p. 2.

113. Cfr. art. 17, commi 1 e 2, legge 8 marzo 1998, n. 50.

114. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit. p. 11.

115. Cfr. art. 3, comma 2, Costituzione.

116. Cfr. art. 81, T.U. in materia di spese di giustizia, d.lgs. 30 maggio 2002, n. 115.

117. Cfr. art. 20, R.D. 3282, cit.

118. Cfr. art. 122, t.u., cit.

119. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato..., cit. p. 12.

120. Cfr., il testo dell'art. 1, comma 8, legge n. 217/90, in cui si legge che per i reati contravvenzionali era escluso il patrocinio a spese dello Stato, e inoltre, G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit. p. 13.

121. Cfr. art. 92, t.u., cit.

122. Cfr. G.Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato..., cit. p. 13.

123. Cfr. Consiglio Nazionale Forense, Prime osservazioni sulla disciplina del gratuito patrocinio nel processo civile ed amministrativo, (Documento diffuso il 17 luglio 2002) ora in "Diritto e giustizia", n. 31, 14 settembre 2002, p. 47.

124. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit. p. 14.

125. Cfr. art. 82, t.u., cit.

126. Cfr. art. 130, t.u., cit.

127. Cfr, art 15 terdecies, legge n. 217/01.

128. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 14.

129. Cfr. artt. 80 e 81, t.u., cit., e inoltre, E. Sacchettini, Scelta dei difensori solo dall'elenco degli ordini, in "Guida al diritto", Dossier n. 7/2000, p. 114 ss.

130. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 16.

131. Cfr. art. 15 bis, comma 1, della legge n. 217/90, come modificata dalla legge n. 134/2001.

132. Cfr. F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, cit., p. 90.

133. Così, G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit. p.32.

134. Cfr. F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, cit., p. 90.

135. Cfr. G. Scarselli, Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, in "Le nuove leggi commentate" n. 1, Gen.-Feb. 2002, Ed. Cedam, p. 126 ss.

136. Cfr. G.Scarselli, Il nuovo patrocinio ..., cit. p. 128.

137. Cfr. art. 74, comma 1, t.u. cit.

138. Cfr. art. 74, comma 2, t.u. cit. L'estensione del patrocinio a spese dello Stato anche ai processi contabili e tributari, è una novità introdotta dal t.u., infatti la legge n. 134/2001, aveva lasciato tali processi sotto l'egida del vecchio R.D. n. 3282/1923.

139. Cfr. art. 75, t.u. cit.

140. Cfr. Relazione illustrativa allo schema del Decreto del Presidente della Repubblica per l'approvazione del T.U. in materia di spese di giustizia, cit.

141. A proposito dei limiti di reddito, bisogna ricordare quanto già precisato nelle considerazioni introduttive, ovvero che per il processo penale trova applicazione l'art. 92 del T.U., il quale stabilisce che «Se l'interessato all'ammissione al patrocinio convive con il coniuge o con altri familiari, si applicano le disposizioni di cui all'art. 76 comma 2, ma i limiti di reddito indicati dall'art 76, comma 1, sono elevati di euro 1.032,91, per ognuno dei familiari conviventi».

142. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., 74 ss.

143. Il concetto di non abbienza così com'è espresso dal T.U. aveva già riscosso dure critiche in passato da altri componenti della dottrina quali: Cipriani, op. cit., p. 87, Gallo, Assistenza giudiziaria ai non abbienti, (diritto costit.), in "Enc. Giur. Treccani", 1991, p. 2, M. Canonico, op. cit., p. 1406 ss.

144. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., pp. 80-81.

145. Cfr. F. Giordana, Novità giurisprudenziali in tema di gratuito patrocinio a spese dello Stato, in "Questione giustizia" n. 4, 2000, p. 923.

146. In questo senso si era espressa anche la Corte Costituzionale, 30 marzo 1992, n. 114, in "Foro it.", Rep. 1992, voce Patrocinio gratuito, n. 7.

147. Cfr. art. 78, t.u. cit.

148. Cfr. G.Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 39.

149. Cfr. artt. 95 ultima parte e 125, comma 1 ultima parte, t.u. cit., corrispondenti rispettivamente alle sanzioni applicabili per i processi penali e civili ed amministrativi.

150. Cfr. art. 79, comma 1 lett. d), t.u., cit.

151. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p.95.

152. Cfr. Corte di Cassazione, sez. I, 25 gennaio 2001, in "Foro it.", rep. 2001, voce Patrocinio dei non abbienti, n. 28.

153. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 97.

154. Cfr. art. 79, comma due, t.u. cit. Ricordiamo che sulla posizione dello straniero sono spesso sorte questioni di leggittimità costituzionale, in particolare, la Corte Costituzionale, con sentenza 1 giugno 1995, n. 219, ha dichiarato «illegittimo l'art. 5 comma 3, della legge n. 217/90, nella parte in cui consente che l'autorità consolare competente possa limitarsi ad attestare che l'autocertificazione dello straniero circa le proprie condizioni di reddito non è, per quanto a sua conoscenza mendace».

155. Cfr. art. 80, t.u., cit.

156. Cfr. art. 80, comma 1, ultima parte, t.u., cit.

157. Cfr. C.N.F., Prime osservazioni sulla disciplina del gratuito patrocinio nel processo civile ed amministrativo, in "Diritto e giustizia", n. 31/2002, p. 48.

158. Così, C.N.F., op. cit., p. 50.

159. Così, G.Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 107.

160. Cfr. artt. 5, 6, 7, 29, 31 e 32, R.D. n.3282 cit., in cui si può individuare il tipo di rapporto intercorrente tra difensori e pubblico potere.

161. Cfr. artt. 124 e 125, t.u.., cit.

162. Cfr. art. 85, t.u., cit.

163. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 112.

164. Cfr. C.N.F., op. cit., p. 50.

165. Ivi, p. 51.

166. Cfr. art. 81, comma 3, t.u., cit.

167. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio, cit., p. 113 ss.

168. Così, C.N.F., op. cit., p. 51.

169. Ibid.

170. Ibid.

171. Cfr. art. 7, legge 6 marzo 2001, n. 60, recante "Disposizioni in materia di difesa d'ufficio", pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 21 marzo del 2001, n. 67.

172. Così, G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 119.

173. Cfr, E. Randazzo, Il patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, in "Diritto penale e processo", n. 8/2001, p. 972, e inoltre, E. Sacchettini, Scelta del difensore..., cit., p. 144.

174. Cfr. Corte Costituzionale, 19-28 giugno 2002, n. 299, in "Guida al diritto", n. 27/2002, p. 49.

175. Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 299, cit., p. 51.

176. Cfr. C.N.F., op. cit., p. 51.

177. Cfr. art. 20, legge n. 134, cit., e inoltre E. Sacchettini, Scelta dei difensori solo dal'elenco degli ordini, cit. p. 146.

178. Cfr. C.N.F., op. cit., p. 170.

179. Cfr. art. 82, comma 1, t.u. cit.

180. Cfr. art. 82, commi 2 e 3, t.u. cit.

181. Cfr. il commento all'art. 83, t.u., nella relazione illustrativa del t.u. in materia di spese di giustizia, cit.

182. Cfr. art. 84, t.u. cit.

183. Cfr. art. 88, t.u. cit.

184. Cfr. A. Fierro, Nuovi scenari in materia di patrocinio del non abbiente e difesa d'ufficio, in "Questione giustizia", n. 1/2002, p. 178.

185. Cfr. A. Fierro, op. cit.; p. 179.

186. Cfr. E. Randazzo, Il patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, in "Diritto penale e processo", n. 8/2001, p. 969.

187. Cfr. A. Fierro, op. cit., p. 183.

188. Cfr. E. Randazzo, op. cit., p. 969.

189. Cfr. art. 80, t.u., cit.

190. Cfr. E. Randazzo, op. cit., p. 970.

191. Cfr. art. 75, comma 1, t.u., cit.

192. Cfr. art. 74, comma1, t.u. cit.

193. Cfr. art. 90, t.u., cit.

194. Cfr. art. 100, t.u., cit.

195. Cfr. E. Randazzo, op. cit., p. 970.

196. L'art. 179, comma 2 c.p.p., stabilisce che «Sono altresì insanabili e sono rilevate d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità definite assolute da specifiche disposizioni di legge».

197. Cfr. art. 96, comma 1, t.u., cit.

198. Cfr. E. Randazzo, op. cit., p. 970.

199. Nell'analizzare il novo patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, ometterò di considerare alcune parti fondamentali in quanto, non hanno subito modifiche rispetto a quanto già previsto dalla legge n.217/90.

200. Cfr. art. 91, comma 1, lett. a), t.u., cit.

201. Cfr. art. 91, comma 1, lett. b), t.u., cit.

202. Cfr. Relazione illustrativa dello schema di D.P.R. per l'approvazione del t.u. delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia, commento all'art. 94, t.u., cit.

203. Cfr. art. 112, t.u., cit.

204. Cfr. art. 96, comma 2, t.u., cit.

205. Cfr. art. 96, commi 3 e 4, t.u., cit.

206. Cfr. E. Randazzo, op. cit., p. 971.

207. Le Direzioni Regionali dell'Entrata, erano gli organi tecnico-finanziari chiamati ad una verifica delle effettive situazioni reddituali dopo l'ammissione al beneficio.

208. Cfr. F. Giordana, Novità giurisprudenziali in tema di patrocinio a spese dello Stato, in "Questione giustizia", n. 4/2002, p. 921.

209. Ivi, p. 922.

210. Ibid.

211. Cfr. F. Giordana, op. cit., p. 923.

212. I delitti di cui all'art. 51, comma 3 bis del c.p.p. sono quelli previsti all'art. 416 bis e 630 del c.p. e inoltre quelli previsti dall'art. 74 del D.P.R. n. 309/1990, ovvero: delitti di associazione di tipo mafioso, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.

213. Cfr. Corte assise Torino, ordinanza 12 ottobre 2001, pubblicata in "Questione giustizia", n. 4/2002, p. 924.

214. Cfr.art. 105, t.u., cit.

215. Cfr. Relazione illustrativa al t.u., cit., commento all'art. 106, t.u.

216. Cfr. art. 107, t.u., cit.

217. Cfr. art. 111 e 112, t.u., cit.

218. Cfr. commento all'art. 107, della Relazione illustrativa del t.u. cit.

219. Cfr. art 108, t.u., cit.

220. Cfr. commento all'art. 116 t.u., della relazione illustrativa del t.u., cit.

221. Cfr. commento all'art. 117 t.u., della relazione illustrativa del t.u., cit.

222. Cfr. A. Martone, La nuova disciplina del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei giudizi civili, in "Rassegna forense", n. 3/2002, p. 535 ss.

223. Da quanto detto sopra si deduce che: se i fatti controversi, o dai quali trae origine la controversia, dovessero ricondursi ad un momento storico nel quale, ancora lo straniero non aveva sul territorio nazionale regolare permesso di soggiorno, questi non potrà aspirare al beneficio del patrocinio a spese dello Stato nemmeno nelle ipotesi in cui si sia successivamente regolarizzato.

224. La normativa che oggi in Italia regola il fenomeno migratorio è rappresentata dal d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, detto tu. sull'immigrazione, e pertanto non potrà che farsi riferimento a quel decreto, ora modificato dalla c.d. Bossi-Fini legge 30 luglio 2002, n. 189, per stabilire quando uno straniero sia o meno regolarmente soggiornante nel territorio italiano.

225. Cfr. C.N.F., op. cit., p. 48.

226. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 159.

227. Cfr. art. 120, t.u., cit.

228. Cfr. art. 124, t.u., cit.

229. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 161.

230. Cfr. G. Scarselli, ivi, p. 164.

231. Cfr. art. 122, t.u., cit.

232. Cfr. art. 124, comma 1, t.u., cit., e inoltre G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 170.

233. Cfr. art. 125, t.u., cit.

234. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 174.

235. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit. p. 175.

236. Ibid.

237. Cfr. C.N.F., op. cit., p. 54.

238. Ibid.

239. Cfr. R.G.Rodio, op. cit. p. 69 ss.

240. Cfr. C.N.F., op. cit., p. 50.

241. Cfr. art. 136, t.u., cit.

242. L'art. 96 del c.p.c. afferma che «Se risulta che la parte ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che, liquida, anche d'ufficio, nella sentenza».

243. Cfr. art. 136, comma 3, t.u., cit.

244. Cfr. il parere del C.N.F., op. cit., p. 168.

245. Ibid.

246. Ibid.

247. Cfr. Relazione illustrativa al t.u., commento all'art. 126 t.u., cit.

248. Cfr. Il parere del C.N.F., op. cit., p. 168.

249. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 207.

250. Ivi, p. 184.

251. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 185.

252. Ibid.

253. Ivi, p. 180.

254. Cfr. R. G. Rodio, op. cit., p. 73.

255. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 188.

256. La citazione è di Gallo, in G.Scarselli, Il nuovo patrocinio..., p. 186.

257. Ibid.

258. Ivi., p. 188.

259. bid.

260. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 190.

261. Ibid.

262. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 197.

263. Cfr. art. 127, comma 3, t.u., cit.

264. Cfr. art. 127, comma 4, t.u., cit.

265. Sulle vecchie disposizioni v. Brandi, Gratuito patrocinio..., cit., p. 748; R. G. Rodio, op. cit., p. 116.

266. Cfr. La Relazione illustrativa del t.u., commento agli artt. 133 e 134 t.u., cit.

267. L'art. 309 c.p.c. stabilisce che «Se nel corso del processo nessuna delle parti si presenta all'udienza, il giudice provvede a dichiarare l'estinzione immediata del processo».

268. Cfr. Il parere del C.N.F., op. cit., pp. 161-162; vedi inoltre la Relazione illustrativa al t.u., commento all'art. 134 t.u., cit.

269. Cfr. C.N.F., op. cit., p. 161.

270. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 129.

271. Cfr. C.N.F., op. cit., p. 163.

272. Cfr. C.N.F., op. cit., p. 163.

273. Ivi, p. 162.

274. Cfr. E. Sacchettini, Reati tributari: gli evasori esclusi dal patrocinio, in "Guida al diritto", Dossier n. 7/2002, p. 147.

275. Il decreto legislativo di cui sopra contiene «Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413».

276. Cfr. E. Sacchettini, op. cit., p. 147.

277. Cfr. commento all'art. 137 t.u, della Relazione illustrativa al t.u., cit.

278. Cfr. Art. 137, t.u., cit.

279. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., (in nota), p. 47.

280. Cfr. E. Sacchettini, Reati tributari: gli evasori esclusi dal patrocinio, cit., p. 147.

281. Cfr. Art. 139, t.u., cit., ripreso dal comma 1 dell'art. 13, d. lgs., n. 546/1992.

282. Cfr. Relazione illustrativa al t.u., cit., commento all'art. 139 del t.u.

283. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., (in nota), cit., p. 48.

284. Cfr. art. 140, t.u., cit.

285. Cfr. E. Sacchettini, Reati tributari: gli evasori esclusi dal patrocinio, cit., p. 148.

286. Cfr. E. Sachhettini, Reati tributari..., cit., p. 149.

287. Ibid.

288. Cfr. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio..., cit., p. 243.

289. Cfr. E. Sacchettini, Reati tributari..., cit., p 149.

290. Cfr. E. Sacchettini, Allo straniero garantito il gratuito patrocinio nel ricorso contro il decreto di espulsione, in "Guida al diritto" n. 37/2002, p. 106.

291. La legge n. 1423/56, contiene "Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità. L'art. 1 di detta legge, stabilisce che «I provvedimenti previsti dalla presente legge si applicano a: 1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosa; 2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; 3) coloro che sulla base del comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica».

292. La legge n. 575/65, contiene "Disposizioni contro la mafia". L'art. 1 di detta legge, stabilisce che «La presente legge si applica agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso».

293. Cfr. Cassazione, sentenza 7 giugno 2000, n. 3156.

294. Cfr. Cassazione, sentenza 22 novembre 2000, n. 15.071.

295. Cfr. E. Sacchettini, Allo straniero garantito il gratuito patrocinio..., cit. p. 107.

296. Ibid.

297. Cfr. art. 12, lettera f), legge n. 189/2002 recante "Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e asilo".

298. Cfr. E. Sacchettini, Allo straniero garantito..., cit., p. 108.

299. Cfr. E. Sacchettini, Allo straniero garantito..., cit., p. 108.

300. Ibid.

301. Cfr. E. Sacchettini, Allo straniero garantito..., cit., p. 108.

302. Ibid.