ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
Il diritto alla difesa e l'assistenza legale ai meno abbienti nella nostra costituzione e nelle fonti internazionali. Analisi della vecchia legge sul gratuito patrocinio nell'ordinamento italiano

Grazia Macrì, 2003

1.1. L'uguaglianza delle parti e il rispetto della personalità nel processo

L'articolo 24 si può definire come una delle norme più notevoli della nostra Costituzione, esso rappresenta la chiave di volta del sistema di tutela giurisdizionale, al quale possono essere agevolmente ricondotte la più parte delle disposizioni costituzionali in tema di giurisdizione (1). Esso garantisce indistintamente a tutti i soggetti dell'ordinamento, la possibilità di accedere alla giustizia, infatti, così recita: «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi». «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».

Inoltre, questo principio è la proiezione nel campo del processo di un altro principio basilare ovvero, quello dell'uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, enunciato ed esplicato nell'art. 3 della Carta fondamentale.

Nel nostro ordinamento, la libertà di accedere alla giustizia equivale alla realtà, o esistono poi in pratica dei limiti oggettivi per alcune categorie di soggetti? La proclamazione dell'uguaglianza corrisponde poi alla sostanza o esiste nel nostro ordinamento solo un'uguaglianza formale? In poche parole, il povero, il soggetto non abbiente, di fronte all'amministrazione della giustizia si trova in condizioni di parità con la parte abbiente, o la sua situazione economica lo pone in partenza in una condizione di svantaggio?

«"La legge è uguale per tutti" è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocar la uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l'aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria» (2).

In realtà la mancanza di disponibilità economiche costituisce un forte limite per i non abbienti. La libertà di ciascuno di chiedere giustizia, è vana proclamazione se non sia garantito a tutti i cittadini, quel minimo di mezzi per raggiungere tale scopo. Quest'esigenza, almeno a parole, è penetrata nella nostra Costituzione Repubblicana, infatti, è scritto in essa: è «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando, di fatto, la libertà e l'uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (3).

L'uguaglianza delle parti è una premessa indispensabile per il buon funzionamento del contraddittorio giudiziario, ma, in realtà, sia per accedere alla giustizia, sia all'interno poi del processo, non sempre vengono ad aversi parità di chances di tutela. In effetti, il processo italiano sia a causa delle sue lungaggini, sia per l'eccessivo costo (i maggiori fattori critici del nostro processo), ha sempre creato delle disparità tra ricchi e poveri. La durata eccessiva è fonte di ingiustizia sociale, perché il "grado di resistenza" del povero è minore di quella del ricco: quest'ultimo e non il primo può di regola aspettare senza grave danno, una lenta giustizia.

Il povero ha bisogno di una rapida definizione del processo, in quanto, il suo stato economico non gli permette di sopportare a lungo le spese per l'onorario difensivo. Inoltre, se ad esempio, il povero agisce in giudizio per ottenere una sentenza di risarcimento di natura economica, questi potrebbe aver immediato bisogno della somma liquidata dal giudice per poter sopperire ad esigenze di primaria necessità, al contrario se ad agire per lo stesso motivo fosse un soggetto benestante, questi può di sicuro sopportare la lentezza del processo sia perché è in grado di sostenere a lungo le spese necessarie anche per il migliore dei difensori, sia perché ha la possibilità di attingere di sicuro ad altri fondi per mantenere i suoi agi (4). Di sicuro un processo di lunga durata favorisce in generale, la parte ricca a scapito della parte povera.

La lentezza purtroppo è una piaga della giustizia italiana, i processi si prolungano per svariati anni nonostante, anche la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali di cui l'Italia è parte, nonché il Patto internazionale sui diritti civili e politici contengono tra i loro principi fondamentali quello per cui «i processi debbano svolgersi senza irragionevoli ritardi» (5). Dando uno sguardo ad alcuni dati statistici degli anni 60-70, notiamo che la durata media dei processi era di almeno sei anni, situazione che di anno in anno è gravemente peggiorata, soprattutto se confrontata con quella di altri paesi europei ed extraeuropei, i quali, si erano già adeguati alle norme internazionali sopra citate.

Tra l'altro è da notare che alcuni dati raccolti in quegli anni indicano addirittura che le cause di lavoro duravano lievemente di più della media: cosa assurda, se pensiamo che la legge processuale in materia di lavoro, per ovvie ragioni, è stata, sempre, formalmente intesa a rendere più rapido lo svolgimento di tali cause (6).

Il secondo aspetto da prendere in considerazione è, come ho prima accennato, il costo del processo. Il servizio "giustizia" non è considerato un servizio gratuito per il singolo utente. È a questo punto che nel processo, come prevede l'art. 3 della Costituzione, può accadere che, ostacoli di ordine economico e sociale limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini. Anche nel processo, dunque, come del resto nella vita di tutti i giorni, può esservi tra le parti una parità teorica, cui non corrisponde una parità di fatto: «sono persone tutt'e due nello stesso senso, ma i mezzi di cui dispongono per far valere questa uguaglianza sono disuguali. E disuguaglianza di mezzi può significare, anche nel processo, disuguaglianza di personalità» (7).

Bisogna ora individuare in cosa consiste questo 'costo della giustizia'. Quali sono le spese principali, da sostenere per agire e difendersi in un giudizio? Innanzi tutto possono esservi: a) 'spese processuali' in senso stretto, ossia dipendenti dal compimento di atti di un determinato processo, b) 'spese stragiudiziali', ossia quelle che la parte si trova a compiere per il miglior esito del processo (8). Alla prima categoria, appartengono le cosiddette 'spese fiscali', cioè le somme a beneficio dell'amministrazione finanziaria dello Stato, da corrispondersi, in occasione del compimento dell'atto, in particolare; le cosiddette 'tasse' di registro e di bollo.

Nella seconda categoria, possono farsi rientrare, anche gli 'onorari difensivi', le somme quindi che il difensore deve percepire per la sua opera, essendo egli un libero professionista. Il costo del difensore in un processo, non è un costo irrisorio, fattore questo che crea maggiore svantaggio per chi non ha i mezzi sufficienti per affrontare tale spesa.

Anticamente si affermava che ianua advocati pulsanda pede: «alla porta dell'avvocato bisogna bussare col piede, perché le mani di chi bussa debbono essere cariche di doni»; e come Calamandrei ci ricorda, anche Renzo ne "I Promessi Sposi" lo sapeva, e andò a bussare alla porta del dottor Azzeccagarbugli recando in mano il suo famoso paio di capponi. L'assistenza di un difensore nel processo è essenziale: avere il diritto di agire e di difendersi, che sono diritti inviolabili, significa in concreto avere diritto ad un difensore. Scriveva Calamandrei:

Nonostante la loro uguaglianza giuridica, le parti si trovano spesso nel processo in condizioni di disparità di cultura e di intelligenza: se dovessero difendersi da sé, la parte meno intelligente e meno colta si troverebbe alla mercé della parte più istruita e più esperta: e nel processo penale l'innocente incapace di esporre con chiarezza le ragioni della sua innocenza si troverebbe, assai più del colpevole scaltro, alla mercé dell'accusatore (9).

All'interno degli ordinamenti moderni il processo è un complicato meccanismo, che rischia di essere uno strumento di giustizia solo per chi conosce i segreti di quel tecnicismo: questo porta a concludere che per assicurare in concreto nel processo la libertà e l'uguaglianza delle parti bisogna, porre accanto a ciascuna di loro, in ogni momento del processo, un difensore, che dotato d'intelligenza e sapere tecnico, rispetto ai meccanismi processuali, possa ristabilire un equilibrio del contraddittorio. Se ciò non fosse, le parti inesperte di cose giuridiche, nelle complicanze del processo, potrebbero essere paragonate a degli incapaci. Infatti, la figura del difensore somiglia molto a quella del tutore che si prende cura di compiere determinati atti per il bene del suo pupillo. Quindi, il difensore è in un certo senso un supplemento della capacità del proprio cliente, un «integratore della sua personalità» (10).

Il difensore è dunque nel processo l'espressione più importante del rispetto della persona, ma, come già accennato, le spese occorrenti per far valere in giudizio le proprie ragioni, compresa la spesa dell'onorario difensivo, sono tali, che spesso il non abbiente, non avendo i mezzi per farvi fronte, deve rassegnarsi, col «cuore avvelenato dall'amarezza», a soffrire il torto da chi ha più denaro di lui! Ecco come il diritto di azione, così come quello di difesa rischiano di rimanere un lusso dei più ricchi.

In realtà la nostra Costituzione una soluzione al problema l'avrebbe trovata, così recita infatti il comma 3 dell'art. 24: «sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione». Cosa deve intendersi però per appositi istituti? L'articolo 24 comma 3 è stata solo una promessa, o è divenuta realtà? Probabilmente solo una promessa!

In Italia, nonostante questo importante principio Costituzionale, la difesa dei poveri è stata affidata fino a pochi mesi fa, al cosiddetto «patrocinio gratuito», organizzato come: «ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli avvocati e procuratori» (11). Tanto in sede civile che in sede penale, la parte che non aveva i mezzi per farsi assistere da un difensore di sua scelta (il cosiddetto 'difensore di fiducia') aveva diritto di farsi destinare, da appositi organi e a certe condizioni, un 'difensore d'ufficio', il quale aveva il dovere di prestare gratuitamente la propria opera, con la sola speranza di farsi retribuire alla fine dalla parte avversaria, ammesso che questa avesse perso la causa.

È stato un sistema che come meglio dirò in seguito, ha avuto i suoi pregi e i suoi difetti, esso contava soprattutto sullo spirito di sacrificio e di solidarietà verso il debole, che dovrebbe essere generosa tradizione dell'Ordine forense; basterebbe questo spirito per assicurare al povero un difensore zelante, ma vedremo invece, come il non abbiente, si è ritrovato spesso ad essere mal difeso da avvocati poco impegnati perché non incentivati dalla percezione di un compenso.

1.2. Esegesi dell'art. 24 comma 3 della Costituzione: individuazione del concetto di «non abbienza» e del significato dell'espressione «appositi istituti»

Pregiudiziale ad un esame delle singole questioni che si pongono in ordine alla disciplina concreta dell'assistenza giudiziaria ai non abbienti, è la corretta individuazione del significato e della portata della norma contenuta nell'art. 24 comma 3 della Costituzione, la quale, ripeto, impegna lo Stato ad assicurare ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione (12). È molto importante un'esatta definizione della natura della disposizione in esame in quanto questa riveste una fondamentale rilevanza ai fini di una corretta ricostruzione del concetto di assistenza giudiziaria accolto dalla Costituzione.

Gran parte della dottrina, ha sostenuto che "questa norma Costituzionale rimarrà inattuata fin quando la legge del 1923 non subirà delle modifiche, da parte del legislatore ordinario" (13). Qualcuno l'ha anche considerata come una delle più neglette tra le norme della Costituzione, se non addirittura la 'cenerentola' del diritto costituzionale. Tra i sostenitori di questa tesi possiamo annoverare il Pizzorusso, il quale scriveva:

Mentre di quasi tutte le altre norme costituzionali disapplicate è stata per lo meno vivacemente reclamata l'attuazione da parte dei settori più sensibili dell'opinione pubblica, ricorrendosi spesso anche agli strumenti giuridici concretamente offerti dal diritto positivo, per porre un rimedio a questo genere di situazioni, per quella in esame quasi nulla è stato fatto. Ciò si desume, più che dal rilievo che minimo è il quantitativo delle energie che sono spese fino ad oggi per realizzare l'adeguamento dell'ordinamento positivo a tale precetto mediante l'attività degli organi legislativi, dalla constatazione che non si sono avute finora neppure impugnative rivolte contro le norme che attualmente disciplinano il gratuito patrocinio e che appaiono in qualche misura contrastanti con il precetto stesso (14).

Per capire perché la legge del '23 era bisognosa di una riforma, bisogna fare alcune osservazioni che valgono a mettere in luce il carattere innovativo che l'art. 24 comma 3 ha presentato rispetto alla vecchia legislazione sul gratuito patrocinio.

L'interpretazione di questa regola che pone a carico della società l'assistenza giudiziaria ai non abbienti, non deve però rimanere isolata fra i principi costituzionali del diritto processuale ma, essendo la nostra Costituzione ispirata ai canoni dello «Stato sociale», potrebbe essere posta in relazione con altri precetti inseriti nella nostra Carta fondamentale, ad esempio, quelli riguardanti la legislazione sociale del lavoro.

La Costituzione, contiene una serie di disposizioni imperniate sull'art. 38 (15), le quali implicano l'obbligo dello Stato di provvedere o far provvedere affinché, da un lato, gli indigenti ricevano pieno mantenimento e, dall'altro lato, i lavoratori siano aiutati a far fronte alle evenienze di carattere eccezionale, quali le malattie, gli infortuni, la disoccupazione, ecc.

Non è possibile qui affrontare il complesso problema che consiste nello stabilire quali siano i precisi nessi che collegano la norma dell'art. 24 comma 3, sulla difesa giudiziaria gratuita, con quella dell'art. 38, che stabilisce i principi fondamentali della legislazione sociale del lavoro, però già da un superficiale confronto tra queste due disposizioni, possiamo ricavare un argomento in più per individuare con maggiore esattezza il significato dell'espressione "non abbienza".

Favorevole a questa soluzione è Pizzorusso, il quale asserisce che la categoria dei non abbienti «dovrebbe comprendere tendenzialmente tutti i lavoratori e da essa potrebbero restare esclusi soltanto coloro che siano in possesso di beni di fortuna eccedenti quel reddito di lavoro che costituisce la normale fonte di sussistenza di tutti i cittadini e che non è distraibile dalla sua normale destinazione a carattere sostanzialmente alimentare».

Per approfondire ulteriormente il concetto di "non abbienza", è utile, come già accennato, leggere e interpretare la disposizione in parola, anche in concomitanza al comma 2 dell'art. 3 della Costituzione, dove il termine «non abbiente» assume una portata generale e risulta destinato a coprire ogni situazione in cui si delinea potenzialmente uno squilibrio tra mezzi e bisogni, ossia uno squilibrio tra la capacità economica di un soggetto e il costo necessario per fruire del servizio legale (16).

Dal collegamento esistente tra l'art. 24 comma 3 e la disposizione dell'art. 3 comma 2 ricaviamo inoltre che il concetto di non abbienza, ha carattere eminentemente relativo, trovando appunto nella condizione economica di un soggetto da un lato, e nel costo del servizio legale dall'altro, i suoi punti di riferimento obbligati.

Infatti secondo Trocker:

Una soluzione, basata sulla fissazione di un livello di reddito al di sotto del quale si ha diritto all'assistenza e al di sopra del quale se ne resta esclusi - soluzione prescelta ad esempio dalla legge del 1973 per il patrocinio gratuito in materia di lavoro e di previdenza sociale - comporta una delimitazione degli aventi diritto alquanto astratta e scarsamente conforme alle finalità del dettato costituzionale. Creando categorie chiuse di ricchi e poveri (di abbienti e non abbienti) si rischia infatti di dar vita ad un sistema nel quale la giustizia è accessibile ai più abbienti e ai meno abbienti, ma non a quella larga parte della popolazione che si trova giusto nel mezzo, troppo ricca, secondo il parametro stabilito dai poteri pubblici, per usufruire del patrocinio a carico dello Stato, troppo povera per sopperire interamente alle spese della lite (17).

Alla luce di queste considerazioni, ci si rende conto dell'importanza dell'elaborazione di un sistema che risponda al carattere relativo del concetto di non abbienza, che permetta di stabilire la forma di partecipazione alle spese adeguata alle condizioni economiche di un soggetto e che consenta al soggetto medesimo di conoscere in anticipo il sacrificio economico che egli sosterrà per la tutela dei propri diritti.

Per stabilire quale sia il significato preciso del concetto di non abbienza, bisognerebbe abbandonare criteri vaghi e generici- per esempio, simili a quelli utilizzati dall'art. 16 del vecchio R.D. del 1923, che lasciavano all'autorità chiamata ad applicare la legge una discrezionalità molto ampia - ed ancorare lo stato di non abbienza, sì ad elementi oggettivi di reddito, ma con la possibilità poi di un costante adeguamento dei livelli di reddito al mutare della situazione economica vista in relazione ai costi raggiunti dall'attività giudiziaria (è difficile infatti valutare in anticipo in modo preciso, l'entità del costo che una causa implicherà).

Avremo modo nel successivo capitolo di costatare se questi suggerimenti sono stati o meno recepiti dalla nuova legge sul 'patrocinio a spese dello stato'.

Passando ad esaminare l'espressione «appositi istituti», sempre consacrata nel terzo comma dell'art. 24 della Costituzione, bisogna riconoscere che questa ha ingenerato numerose perplessità negli interpreti, circa l'effettiva portata da attribuire alla norma e le finalità perseguite dal costituente (18). Se vogliamo fare un passo indietro e tornare alla genesi del comma 3 dell'art. 24, possiamo notare che, nei lavori dell'Assemblea costituente, l'attuale formulazione di questa disposizione discende da un articolo aggiuntivo, proposto direttamente dall'Assemblea, durante la discussione e l'approvazione del progetto redatto dalla Commissione dei settantacinque.

La proposta iniziale dell'onorevole La Rocca era così formulata: «Lo Stato assicura, con una sua avvocatura, la difesa ai non abbienti, in ogni grado di giurisdizione». Tornava così, dopo la parentesi della dittatura fascista l'idea, inutilmente coltivata in proposte di riforma dal 1902 al 1924, di ripristinare l'antico istituto della tradizione piemontese ovvero «l'Avvocatura dei poveri», gestita da pubblici uffici in cui gli avvocati erano stipendiati dallo Stato.

Naturalmente la radicata concezione liberale dell'avvocatura, trovò modo subito di esprimersi per bocca degli onorevoli Persico e Paolo Rossi, il quale ultimo osservò a nome della Commissione, che l'istituzione del gratuito patrocinio aveva rappresentato, rispetto all'Avvocatura dei poveri, «un vero progresso», funzionando «con garanzie infinitamente superiori». Lo stesso proponente, consapevole che l'idea un'avvocatura di Stato per i non abbienti non aveva spazio politico concordò con gli onorevoli Persico e Nobili, la formulazione accolta dalla Commissione e votata dall'Assemblea: «La Repubblica assicura mediante apposite istituzioni, la difesa ai non abbienti in ogni grado di giurisdizione». Il testo finale si deve all'intervento del comitato di redazione, che sostituì «istituzioni» con «istituti» e precisò la «difesa» con «l'agire e difendersi».

Sembra indubbio, da parte di alcuni, che con la prima rettifica si sia voluto costituire un ostacolo alla possibile reintroduzione, con legge ordinaria, dell'Avvocatura dei poveri, che indubbiamente rientrava nelle «apposite istituzioni» volte a realizzare la difesa dei non abbienti. La maggiore genericità del termine «istituti» consentiva invece, di porre il gratuito patrocinio al riparo da possibili accuse di incostituzionalità (19).

In ogni modo, anche con questo cambiamento di dicitura, l'articolo in esame non ha smesso di destare dei dubbi interpretativi. In effetti possiamo considerare tale norma come una disposizione «aperta» che consente il ricorso ad una gamma piuttosto ampia di soluzioni concrete.

Gran parte della dottrina, è stata d'accordo nell'individuare nell'espressione «istituti» una indicazione di «organismi superindividuali» dotati di personalità giuridica e di propria autonoma consistenza (20). Da tale interpretazione è quindi scaturita, una ricostruzione della figura dell'assistenza giudiziaria incentrata sulla utilizzazione di organismi appositi (in stretta analogia con le previsioni costituzionali in tema di assistenza sociale).

Inoltre è nata la volontà di una riforma dell'istituto in termini sostanzialmente conformi al modello offerto dai sistemi di common law. L'esempio da imitare poteva essere sia quello statunitense di Legal Services istituito dal 1964 nell'ambito dell'Office of Economic Opportunity (incentrato sull'assistenza e consulenza prestata da uffici pubblici retti da avvocati stipendiati con fondi federali e sulla partecipazione dei rappresentanti delle comunità interessate all'assistenza legale) (21), sia quello inglese introdotto con il Legal Aid and Advice Act del 1949, e modificato dal Legal Aid Act del 1974 (basato su un servizio di assistenza legale e di consulenza stragiudiziale prestata da professionisti retribuiti con fondi statali).

La Corte Costituzionale è stata invece di diverso avviso nella famosa sentenza del 22 dicembre 1964 n.114, e nella sentenza del 16 giugno 1970 n. 97. Essa ha voluto chiarire che la Costituzione, con l'espressione «istituti» contenuta nell'art. 24, non ha inteso richiamarsi ad organismi superindividuali, ma a complessi di norme regolatrici di determinati rapporti unitariamente considerati (22).

Naturalmente una parte della dottrina, ha ben pensato di obiettare al ragionamento fatto dalla Corte nelle citate sentenze, asserendo che nella Costituzione il termine «istituti», viene usato per esprimere un diverso concetto e, precisamente, con trasposizione logica per intendere «ente», mentre ogni qualvolta sembrerebbe doversi rinvenire il termine «istituto», così com'è inteso dalla Corte per il gratuito patrocinio, nella Costituzione è usata l'espressione «con apposite norme» o altra equivalente.

Il problema, a prima vista risolto dall'interpretazione che la Corte Costituzionale ha dato, in realtà rimane sempre aperto, così da accentuare la notevole difficoltà di capire, il significato preciso del termine «istituto» come lo ha inteso il nostro costituente. De Cesare ha così evidenziato:

Nonostante la Costituzione in taluni articoli dica «istituti» per intendere «enti» non è da scartare l'ipotesi che anche il gratuito patrocinio sia un «istituto», essendovi numerosi esempi nella Costituzione di termini impiegati in diversi significati; che poi la stessa Costituzione invece del termine «istituto», come nel caso del gratuito patrocinio, dica altre volte «con apposite norme», sta forse ad indicare che in quest'ultima ipotesi si è creduto opportuno lasciar libero il legislatore ordinario di graduare meglio l'azione del proprio intervento, articolando le disposizioni in un ambito più vasto e di maggiore complessità, in cui possono essere racchiusi più istituti giuridici; mentre per quanto riguarda il gratuito patrocinio il legislatore costituzionale si è così espresso, in quanto è risalito automaticamente ad un concetto, che aveva già nella nostra tradizione legislativa e dottrinale un suo proprio significato comunemente accolto e rispondente all'interesse perseguito, senza perciò annettere alla formula usata «con appositi istituti» nuove e diverse implicazioni (23).

È noto d'altronde che la nozione di «istituto giuridico» utilizzata dalla Corte, è stata ampiamente condivisa specialmente dalla dottrina privatistica: gli istituti in diritto privato consistono in un complesso di norme, ordinate attorno ad un principio comune che ne costituisce la ratio.

Date queste considerazioni, possiamo pensare che il comma 3 dell'art. 24 della Costituzione, non mostrerebbe una preferenza precisa a favore di un'unica soluzione, ma che lasci invece spazio al legislatore ordinario affinché dia vita ad un efficace rimedio che accolga le esigenze obiettive che si manifestano nella società moderna.

1.3. Le fonti internazionali in materia di assistenza giudiziaria vigenti nell'ordinamento italiano

Per tracciare un quadro il più completo possibile sulla garanzia giuridica dell'assistenza giudiziaria in Italia, non si può non tener conto di ulteriori fonti normative vigenti e introdotte mediante il meccanismo della «recezione» delle regole elaborate a livello sovranazionale.

Questo fenomeno di recezione - che trova la base nell'art. 10, primo comma, della Costituzione - ha dato origine ad una serie di regole normative di notevole importanza, in base alle quali potrebbero aversi delle diverse prospettazioni interpretative del sistema italiano di assistenza giudiziaria. Tali fonti consistono - attualmente - nella Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Roma, 4 dicembre 1950, recepita nell'ordinamento italiano con la Legge 4 agosto 1955 n. 848 (24)), nel Patto internazionale sui diritti civili e politici (approvato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 e recepito nell'ordinamento italiano con la Legge 25 ottobre 1977 n. 881), nella Legge 7 agosto 1982 n.705 (di ratifica ed esecuzione dell'accordo europeo sulla trasmissione delle richieste di assistenza giudiziaria gratuita, adottato a Strasburgo il 27 gennaio 1977) (25), nella Legge 11 dicembre 1984 n. 969 (di ratifica ed esecuzione degli accordi tra la Repubblica italiana e la Repubblica federale di Germania aggiuntivi alla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 e alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, firmati a Roma il 24 ottobre 1979) (26) e nella Legge 24 luglio 1985 n. 436 (di ratifica ed esecuzione del protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, adottato a Strasburgo il 17 marzo 1978) (27).

L'efficacia delle singole fonti normative sopra segnalate si esplica in una duplice prospettiva: da una parte le norme riguardanti gli accordi sopra citati operano sul piano del diritto internazionale, con tutti gli effetti scaturenti dalla loro azionabilità nei confronti degli Stati firmatari. Dall'altra parte esse vengono applicate nell'ambito degli Stati contraenti, in base all'efficacia che ogni singolo ordinamento assegna a tale specie di fonti normative (28).

Nell'ordinamento italiano, alla legge di esecuzione di un trattato internazionale, viene assegnata forza di legge superiore rispetto a quella ordinaria. Grazie a ciò, alle norme immesse nell'ordinamento mediante lo strumento della legge di esecuzione è connessa un'efficacia abrogativa immediata ed un valore di legge superiore a quello della fonte normativa ordinaria.

Esaminando il contenuto di alcune delle normative sopra menzionate, ricordiamo che, nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, troviamo due clausole, che in qualche modo evidenziano il problema dei pesi economici in un processo. La prima è contenuta nell'art. 6, n. 3, lett. c, che riconosce all'accusato - se impossibilitato a remunerare un difensore di fiducia - il diritto all'assistenza gratuita di un difensore d'ufficio, «quando lo esigano gli interessi della giustizia». La seconda è quella dell'art. 6 n. 3 lett. e, che conferisce all'accusato, - se «non comprende o non parla» la lingua impiegata nel processo - la possibilità di ottenere il diritto all'assistenza gratuita di un interprete.

Le due garanzie le ritroviamo anche nel Patto internazionale sui diritti civili e politici: la prima, all'art. 14 n. 3 lett.d, (29) la seconda, all'art. 14 n. 3 lett. f. Nel Patto viene inoltre enunciato esplicitamente anche il principio di «eguaglianza davanti ai tribunali ed alle corti di giustizia»: facendo così trasparire una più chiara intenzione di vietare ogni discriminazione nell'accesso al giudice e nell'utilizzazione del processo, anche e soprattutto con riferimento alle discriminazioni derivanti da ragioni di ricchezza (30).

Nella Convenzione europea sopra citata, invece, tutto il discorso sull'uguaglianza viene condotto in termini più sfumati (l'art. 14 si limita a garantire l'uguaglianza nel godimento dei diritti menzionati nella Convenzione medesima), e sia la Commissione che la Corte europea, si sono limitate spesso a interpretazioni piuttosto scontate. È stato infatti più volte ripetuto da questi due organi che, nella Convenzione, manca qualsiasi clausola che preveda l'assistenza legale come servizio gratuito generalizzato

In tempi successivi, si sono peraltro avute alcune pronunce che hanno conferito un maggior mordente alla presenza delle clausole convenzionali relative alla della difesa dei non abbienti. Èstata per prima cosa, valorizzata la prospettiva della tutela del lavoro professionale legale, come lavoro 'libero' -con riferimento, all'art. 4 Convenzione Europea, che vieta il lavoro forzato- giungendo, la Commissione Europea, a prospettare addirittura un'incompatibilità tra la Convenzione e i sistemi che facciano gravare interamente sugli esercenti le professioni forensi il peso economico delle 'difese gratuite' (con ciò incentivando una scarsa sollecitudine nello svolgimento di tali difese) (31).

In altre occasioni la Commissione ha ulteriormente precisato che «l'obbligo imposto agli avvocati d'ufficio, di fornire un'assistenza giudiziaria per la quale essi ricevono una remunerazione ragionevole non potrebbe essere considerato un lavoro forzato od obbligatorio ai sensi dell'art. 4 della Convenzione», ed ha inoltre aggiunto che «è lo Stato a decidere, nella sua sovranità, circa il modo in cui la remunerazione dell'avvocato d'ufficio dev'essere fissata e versata» (32).

Sempre in tema di difesa dei meno abbienti e di gratuito patrocinio, va menzionata un'importante pronuncia della Corte europea, circa l'esigenza di «effettività» dell'assistenza legale. Qui la Corte è stata molto chiara nell'affermare che: «vi è violazione dell'art. 6 n. 3 lett. c Convenzione Europea se le autorità statali non fanno tutto il possibile perché l'avvocato, che esercita il patrocinio senza spesa per l'imputato, faccia comunque il suo dovere, fornendo quell'assistenza che, nel caso concreto, si rende utile per una buona conduzione della causa» (33).

Continuando a menzionare alcune tra le più importanti pronunce della Corte europea, è utile ricordare un altro singolare caso, in cui essa è giunta ad affermare a chiare lettere, che l'art. 6 n. 1 Convenzione Europea «può talora costringere lo Stato a predisporre l'assistenza di un legale quando essa si rivela indispensabile per un effettivo accesso al giudice, sia perché la legge prescrive la rappresentanza da parte di un avvocato, ...sia in ragione della complessità della procedura o della causa». Questo caso ha riguardato una controversia matrimoniale, devoluta in via esclusiva alla competenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, da parte di una cittadina irlandese la quale, non aveva potuto ricorrere alla High court per sentir pronunciare la separazione coniugale prevista dalla legge irlandese a causa della mancanza di un efficace sistema di assistenza giudiziaria ai non abbienti (34).

Molto interessante è anche un'altra pronuncia della Corte, riguardante l'applicazione della clausola sulla gratuità delle prestazioni dell'interprete nei casi di mancata comprensione o di mancata capacità di parlare la lingua usata processualmente. In questa occasione, la Corte - dando per scontato che, solitamente, lo Stato possa pretendere dal condannato il recupero di spese anticipate - ha precisato che nel caso dell'assistenza gratuita dell'interprete, le cose vanno diversamente: qui, la gratuità non è «né una concessione condizionata, né un'esenzione temporanea, né una sospensione, bensì una dispensa o un esonero definitivo». In effetti, secondo la Corte: «sia la lettera, sia lo spirito dell'art. 6 n. 3 lett. e della Convenzione Europea inducono a concludere, che esso comporta, per chiunque non parla o non comprende la lingua d'udienza, il diritto all'assistenza gratuita di un interprete senza che possa accadere di vedersi richiedere in seguito il pagamento delle spese relative a tale assistenza» (35).

1.4. Il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282 nella giurisdizione ordinaria

1.4.1. Breve premessa. Scopo della legge e organi preposti per la concessione del beneficio

Abbiamo potuto constatare come, la disponibilità economica diventa, di fatto, uno dei presupposti più importanti per potersi avvalere dell'opera della giustizia e per poter esercitare validamente le garanzie costituzionali di azione e di difesa. Questo basta quindi per rendersi conto che, per certe categorie di persone, il diritto alla tutela giurisdizionale rischia di diventare una promessa vuota e priva di significato, se l'ordinamento non provvede a predisporre strumenti ed istituti atti a rendere possibile anche ai meno abbienti, la difesa in giudizio dei propri diritti ed interessi.

In Italia, come ben si sa, nonostante la garanzia espressa dall'art. 24 terzo comma, della Costituzione, la difesa del non abbiente è rimasta relegata, per circa un ottantennio, ad una legge antiquata ed inaccettabile che ha fatto si che la nostra situazione in questo campo, risultasse inadeguata alle esigenze di un ordinamento moderno e socialmente avanzato. È derivata da tutto ciò, una situazione pesante e ingiusta, c'è stata quasi l'impressione che la Costituzione sia rimasta inattuata o addirittura tradita. Il processo italiano, negli anni in qui questa legge è rimasta in vigore, è stato il riflesso di una società e di una struttura sociale, profondamente contraddittorie, nelle quali sono rimaste in vita vasti residui di una società arcaica e superata accanto ad elementi moderni e progrediti.

La legge antiquata cui alludo, è naturalmente la legge sul gratuito patrocinio, ovvero il R.D. 30-XII-1923, n. 3282, testo che ha costituito motivo di profonda amarezza per chi ha seguito il fallimento di ogni tentativo di dare al nostro paese una legislazione moderna, tale, da attuare la tutela dei poveri in conformità con quanto previsto dalla nostra Costituzione (36).

A differenza del contesto italiano, negli altri stati dell'Europa occidentale venivano avviate, a partire dall'inizio degli anni cinquanta, riforme sempre più incisive che si sono avvicendate per un trentennio, con sperimentazioni influenzati dalle ideologie sottostanti alla concezione stessa dell'accesso alla giustizia come mezzo di promozione dell'uguaglianza sociale.

Per dimostrare ulteriormente quanto vecchia fosse in Italia la disciplina per i non abbienti in vigore fino a pochi mesi fa, bisogna ricordare che questa ripete nelle linee generali, il R.D. 6 dicembre 1865, n. 2627, a sua volta derivato dalla legge francese, 22 gennaio 1851, che aveva reso obbligatorio per gli avvocati e per i procuratori l'ufficio di patrocinio e difesa del povero. Lo Stato unitario in realtà, si era mosso inizialmente in un'altra direzione, ovvero, estendendo con successive leggi, una del 1859, l'altra del 1862, gli uffici degli avvocati e procuratori dei poveri istituiti presso le Corti d'Appello e già in funzione nel Regno di Sardegna, a tutto il territorio del regno. Si trattava di un'antica istituzione dello Stato piemontese, risalente a statuti cittadini, e consolidatisi come organo governativo nel XVIII secolo, coesistente con fondazioni private o istituzioni comunali (delle quali sopravvisse alla riforma del 1865 soltanto l'Avvocatura dei poveri di Alessandria) (37). La legge sull'ordinamento giudiziario del 1859 (cosiddetta legge Rattazzi), generalizzando l'Avvocatura dei poveri, la caratterizzava come istituzione statale, cui erano addetti funzionari parificati, per il reclutamento e la carriera, agli organi del pubblico ministero, con competenza estesa a tutto il distretto della Corte d'Appello. Nel 1862 gli Uffici dell'Avvocatura dei poveri, furono estesi prima alle province siciliane e poi a quelle napoletane.

La riforma fu di brevissima durata, in quanto, il legislatore del 1865, fra le varie forme istituzionali di difesa dei poveri, scelse, quella dell'imposizione della difesa gratuita del non abbiente alla classe degli avvocati e procuratori. Scelta dovuta soprattutto a ragioni di unificazione legislativa e di bilancio del nuovo Stato unitario. La legge Rattazzi fu ritenuta troppo onerosa per le casse dell'erario e di conseguenza essa venne accantonata e abolita con la legge Cortese del 1865.

Tale soluzione, come già abbiamo verificato, si è consolidata con il R.D. del 1923, «frutto non tanto di compromesso, quanto di vera frode e inganno: ché in altro modo non può definirsi oggi infatti una soluzione, la quale comporta tutta una serie di vere e proprie trappole tese alla povertà» (38).

A questo punto è giunto il momento di analizzare punto per punto il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282 per verificare quali erano i presupposti, gli effetti, gli organi, nonché il procedimento per ottenere il gratuito patrocinio (39).

Il gratuito esercizio dell'azione viene concesso per tutti i giudizi, che presentano probabilità di esito favorevole, siano essi di cognizione o di esecuzione, e per tutti gli affari di volontaria giurisdizione, dinanzi a qualsiasi autorità giudiziaria, ordinaria speciale od amministrativa, a chiunque - cittadino o straniero, persona fisica o giuridica - si trovi in condizioni economiche che non gli consentano di sopperire alle relative spese. Oltre tali limiti non può l'interprete estendere la portata dell'istituto, infatti deve senz'altro escludersi che si possa fruire del beneficio del gratuito patrocinio per i giudizi arbitrali, in quanto anche se lo Stato in taluni casi rinuncia alla propria giurisdizione e attribuisce importanza al giudizio e al lodo arbitrale, ciò non porta alla costituzione di un giudice diverso dall'ordinario, non conferisce agli arbitri alcun carattere giurisdizionale (40). Dalla sfera di applicazione del gratuito patrocinio esulano le ipotesi in cui a talune persone fisiche o giuridiche vengono concesse agevolazioni fiscali, o anche la completa gratuità dell'esercizio dell'azione direttamente da altre leggi. Si pensi alle agevolazioni di cui godono gli infortunati sul lavoro e i loro aventi diritto. Del pari, oltre i confini del gratuito patrocinio, si è nel caso di cui all'art. 44, l. 26 marzo 1929, n. 1397, in quanto detto testo nell'assicurare, per un doveroso atto di solidarietà nazionale, agli orfani di guerra, limitatamente ai giudizi relativi alla loro tutela, l'esonero dalle tasse e dalle spese giudiziali e la gratuità della difesa, prescinde del tutto dai presupposti che condizionano la concessione del gratuito patrocinio. In questi e in altri casi simili, siamo al di fuori dell'applicazione della legge del 1923, in quanto alcune agevolazioni fiscali, o anche la completa gratuità dell'esercizio dell'azione vengono concessi prescindendo del tutto dalla considerazione della condizione economica del soggetto o della probabilità dell'esito favorevole delle sue ragioni (41).

Il soggetto per ottenere l'ammissione al gratuito patrocinio, deve dimostrare non solo il suo stato di povertà ma deve anche provare che le sue ragioni siano fondate e che quindi la causa avrà probabilmente un esito favorevole, contrariamente la sua impossibilità o difficoltà ad affrontare le spese di un processo lo priverebbero di quella tutela di cui necessita ed è meritevole. I presupposti per la concessione del beneficio sono dunque due: uno relativo allo stato economico del soggetto e l'altro alle ragioni da sperimentare nel giudizio o nell'affare (42). Come meglio approfondirò nell'ultimo paragrafo di questo capitolo, taluna parte della dottrina (43), ha negato la rispondenza dell'estremo della «probabilità dell'esito favorevole della causa od affare» - cui il legislatore condiziona la concessione del beneficio - al principio dell'art. 24 della Costituzione, proiezione processuale del principio d'uguaglianza posto dall'art. 3 comma 2 della Costituzione, constatando tra l'altro, non solo come azione e difesa del non abbiente siano subordinate alla cognizione di un organo non giurisdizionale, la cui valutazione si pone come definitiva per l'azionabilità di diritti, ma anche come il preliminare giudizio delibatorio del merito ponga il povero in una posizione ben diversa da quella del ricco, condizionandogli l'esercizio dell'azione e della difesa (44).

A proposito dello stato di «povertà», quale presupposto per la concessione del beneficio Brandi afferma:

La concessione dei benefici intesi a facilitare la difesa giudiziale dei meno abbienti ha subito, col volgere del tempo, un fenomeno di evoluzione, per cui da una concezione originaria in cui, ammantandola e colorendola di carità e di pietà, la si amava considerare men che un diritto per tutti gli indigenti, un favore per quelli che ne erano degni essa, traverso la distinzione fra impossidenza e sventura - le cui prime indubbie tracce si hanno nella negazione del beneficio alle vedove e agli orfani forniti di sufficiente patrimonio - viene ormai concepita come un doveroso atto di solidarietà sociale verso i meno abbienti. Correlativamente la nozione di «povertà», ai fini di tale concessione, indica non più la condizione miseranda in cui versano talune persone particolarmente colpite dalla sciagura, bensì lo stato di incapacità o di insufficienza economica di un soggetto a sostenere le spese del giudizio (45).

Conseguenza di tale evoluzione concettuale è l'estensione del beneficio alle persone giuridiche (46) e inoltre il prescindersi per la sua concessione, da qualsiasi considerazione circa l'imputabilità al richiedente delle cause che determinarono il suo stato di bisogno. Di conseguenza il beneficio può concedersi anche a chi si sia ridotto in povertà per la propria condotta. La nozione di povertà comprende così, non solo lo stato di chi nulla possiede ma, anche quello di chi in relazione alle spese di un processo si trova anche temporaneamente nell'impossibilità di adempiere agli oneri necessari per la tutela del proprio diritto (47).

La finalità del beneficio, ispirata alla carità verso i miseri e alla solidarietà sociale verso i meno abbienti fa sì che il patrocinio gratuito, venga concesso anche e soprattutto a quegli enti morali che dell'assistenza e della difesa del povero fanno il proprio scopo. Pertanto la legge concede la gratuità dell'azione alle istituzioni pubbliche di beneficienza e innovando alle precedenti leggi, ai corpi morali che abbiano «per scopo la carità o l'istruzione dei poveri», condizionandola per evitare abusi, alla verifica delle loro finalità da parte di apposite autorità (48).

Per evitare poi particolari abusi, la legge sul gratuito patrocinio, richiede, che nel caso in cui l'ammissione sia richiesta nell'interesse di un minore o di una donna coniugata, l'estremo della non abbienza sussista non solo nei soggetti interessati, ma anche in colui che, per legge ne è tenuto al sostentamento ed al mantenimento e quindi, nei genitori o nel coniuge non legalmente separato (49).

Per quanto riguarda le persone giuridiche, bisogna precisare che si deve tenere distinto il patrimonio dell'ente da quello delle persone fisiche che lo costituiscono, se i soci devono però rispondere anche con il proprio patrimonio illimitatamente, questi devono versare tutti in condizioni di non abbienza, mentre se la responsabilità è limitata, la non abbienza deve sussistere nella sola persona giuridica (ciò avviene qualora il suo capitale sia del tutto perduto o indisponibile o ridotto in misura tale da non consentire un'efficace difesa giudiziale) (50). Se, infine, l'ammissione al gratuito patrocinio venga richiesta dal curatore del fallimento per l'esercizio contenzioso delle ragioni del fallimento stesso, si avrà non abbienza, quando nella massa attiva, non sia disponibile il danaro occorrente per la procedura da iniziare (51).

Per quanto riguarda il secondo elemento che limita la concessione del beneficio, ovvero la probabilità dell'esito favorevole della causa od affare, è decisivo il testo dell'art. 20 comma 3 R.D. n. 3282, cit., il quale col riconoscere la possibilità di concessione del beneficio nel medesimo giudizio ad entrambe le parti, sottolinea come la sua valutazione debba compiersi con metri ben diversi da quelli con i quali si perviene alla decisione della lite. Infatti, mentre la decisione della causa comprende l'esame delle tesi di tutte le parti e di tutto il materiale probatorio acquisito al giudizio, per la concessione del beneficio si valutano le allegazioni anche del solo ricorrente e il materiale probatorio che egli è in grado di esibire, quindi si valuta se il ricorrente possiede diritti e ragioni da far valere in giudizio, senza che vi sia la piena dimostrazione della loro fondatezza, in quanto a tal fine occorrerebbe l'opera di un giurisperito, che al ricorrente in quel momento manca e che egli appunto chiede che gli sia concesso gratuitamente (52).

Nessun limite della specie da ultimo esaminata, esiste invece nei giudizi in materia penale, infatti qui è richiesto solo lo stato di povertà, tranne nel caso in cui il beneficio sia invocato dalla parte offesa che si costituisce parte civile.

Il ricorso per l'ammissione al gratuito patrocinio, non è diretto alla controparte, né ad essa viene notificato dall'istante, bensì è rivolto alla commissione per il gratuito patrocinio, la quale ne dà poi avviso alla controparte, allo scopo di ottenere la comparizione davanti a sé per l'eventuale acquisizione di elementi, che insieme a tutto il materiale portato dal ricorrente, le permettano una decisione più aderente a giustizia ed equità. A questo punto la commissione potrebbe anche esperire un tentativo di conciliazione (53).

Gli effetti dell'ammissione al beneficio sono:

  • la destinazione gratuita di un difensore
  • la gratuità di altre prestazioni necessarie alla difesa
  • l'esonero dall'anticipazione delle tasse giudiziarie
  • l'anticipazione da parte dello Stato di somme che dovrebbero corrispondersi all'ammesso al gratuito patrocinio.

La scelta del difensore non rientra nella facoltà della parte, ma la legge demanda questo compito all'autorità preposta alla concessione del beneficio. Naturalmente la designazione da parte dell'autorità non investe automaticamente il difensore del potere di rappresentanza o di difesa fin quando l'interessato non ha rilasciato regolare procura, e se ciò non si verifica la costituzione in giudizio del procuratore ufficioso è nulla. Se invece l'ammesso si costituisce in giudizio col ministero di altro difensore, l'atto è pienamente valido, ma questi decade dal beneficio concessogli, come se vi fosse una sanzione al suo comportamento dal punto di vista processuale (54). Analogamente il difensore scelto, non potrà rinunciare se non per gravi e giustificati motivi, all'incarico «obbligatorio ed onorifico» a lui commesso, e dovrà inoltre «trattare la causa secondo la propria scienza e coscienza», pena l'applicazione delle sanzioni previste dalla stessa legge n. 3282 (55). Infatti, se la parte ammessa al patrocinio, ritiene che il difensore che le è stato designato non si comporta secondo i doveri di legge, può richiedere agli organi giudicanti la comminazione al difensore negligente delle pene disciplinari stabilite dal c.p.c. e inoltre può anche provocare la sostituzione dello stesso (56).

I difensori nell'espletamento del mandato, sono continuamente sottoposti alla vigilanza degli organi di controllo, i quali, senza pregiudizio dell'azione di danni, riservata alle parti interessate» (57) possono anche decidere la loro sostituzione da parte della commissione per il gratuito patrocinio. Inoltre, a tali organi i difensori devono: fornire tutti i dati e i chiarimenti relativi al giudizio; trasmettere gli atti del processo (tranne il solo caso in cui, essendovi pluralità di parti ammesse al gratuito patrocinio, vi sia tra di loro conflitto d'interessi) (58); notificare le decisioni, i provvedimenti definitivi, le sentenze emesse dall'autorità competente, nonché l'eventuale cessazione del patrocinio, prima della definizione della sentenza o della decisione, indicandone il motivo, pena in quest'ultimo caso, la propria condanna al pagamento delle spese prenotate a debito (59). Ancora un altro onere grava sui difensori d'ufficio, e cioè quello di richiedere all'autorità che concesse il gratuito patrocinio, la revoca del beneficio stesso, qualora, nel corso del giudizio venga a mancare uno dei presupposti che ne determinarono la concessione o qualora la parte ammessa al beneficio si sia avvalsa dell'opera di un altro difensore.

È inoltre da rilevare, l'effetto più importante della concessione: la gratuità dell'opera dei difensori d'ufficio; solo in caso di vittoria della parte da loro difesa, essi possono ripetere i propri onorari dalla parte soccombente, nei limiti della soccombenza (60). A tale scopo essi possono richiedere, ex art. 40 della legge del 1923, l'iscrizione dei propri onorari e dei propri diritti nel Registro delle spese a debito, per ottenerne poi la riscossione nei modi stabiliti per le spese prenotate a debito.

L'obbligo di prestare la propria opera gratuitamente a vantaggio della parte non abbiente, non si limita al difensore, ma viene estesa a tutti coloro che devono necessariamente operare per la difesa del povero, ovvero, ai pubblici ufficiali che ne siano richiesti - i notai, i consulenti tecnici e i periti - e in più le aziende giornalistiche, le quali sono tenute ad includere gratuitamente sui propri giornali, le inserzioni che siano disposte, per iscritto, dal capo dell'ufficio giudiziario investito della controversia.

L'ammesso al beneficio è anche dispensato dall'anticipazione delle tasse giudiziarie, sia di quelle che egli dovrebbe versare direttamente all'erario (tasse di registro e bollo, ecc.), sia di quelle che egli dovrebbe corrispondere mediante compensi ai funzionari dello Stato per attività, che essi pongono in essere nel giudizio e che, costituendo retribuzione per opere d'ufficio, dovrebbero essere compensate dallo Stato stesso. L'ammontare delle tasse di bollo e di registro, viene «prenotato a debito» ed è ripetibile nei modi e nei termini di legge (61).

Lo Stato, sostituendosi all'ammesso al gratuito patrocinio, sia pur a titolo di anticipazione e salvo il diritto di ripetizione, eroga le somme occorrenti per il rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno sostenute dai funzionari e dai pubblici ufficiali, nonché delle spese vive e di viaggio sostenute dal consulente tecnico, dai periti, dai testi (62).

La legge stabilisce inoltre che venendo meno uno dei presupposti che ha condizionato la concessione del beneficio, anch'esso viene meno: per esplicita revoca dell'autorità competente oppure ope legis.

Il legislatore ha voluto affidare il compito della concessione del gratuito patrocinio ad appositi organi, differenziando però le materie civili e commerciali da quelle penali, infatti per le prime ha creato apposite commissioni, per le seconde ha affidato tale compito al presidente della Corte, del tribunale o della sezione istruttoria, al giudice istruttore, al pubblico ministero e al pretore (63), ed ha attribuito inoltre tale potere - limitatamente ai giudizi di propria competenza - anche alle autorità consolari ed, in concorrenza con le commissioni, ai giudici monocratici. Nei «casi d'urgenza», tale concessione è demandata al presidente della commissione per il gratuito patrocinio e, limitatamente ai ricorsi per cassazione ed alle controversie individuali del lavoro, rispettivamente alle commissioni presso la Corte d'Appello ed al presidente del tribunale.

Le commissioni sono istituite presso la Corte di Cassazione, le Corti d'Appello, le sezioni distaccate di Corte d'Appello e i tribunali e sono costituite da un magistrato della carriera giudicante, con funzioni di presidente, da uno della carriera requirente - oppure in sua vece da un giudice, da un aggiunto giudiziario o da un uditore (quest'ultimo però, senza voto deliberante) - con funzioni di relatore (64), nonché dal presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori o, in sua assenza o mancanza, da un avvocato esercente, da lui delegato o nominato dal presidente della Corte o della sezione distaccata (65). Per i magistrati della carriera giudicante è prevista una particolare ipotesi di incapacità soggettiva, in aggiunta a quelle previste dagli art. 51 e 52 del c.p.c. e relativamente alle controversie e agli affari da loro esaminati quali componenti della commissione per il gratuito patrocinio; però nel caso in cui essi non si astengono o le parti non li ricusano, la sentenza su cui si sono pronunciati è pienamente valida.

Le designazioni dei componenti delle varie commissioni sono tutte annuali. Tali commissioni sono da considerare organi amministrativi, sia per il compito che essi si prefiggono (agevolare il non abbiente, tutelando nel contempo gli interessi finanziari dello Stato) sia per la natura essenzialmente revocabile del provvedimento che esse emettono, ma a dire il vero non è mancata una parte della dottrina (66) che le ha considerate parti integranti dell'autorità giudiziaria e quindi, organi giurisdizionali o addirittura organi indipendenti, a causa della loro composizione e funzione. Essendo la loro natura amministrativa, queste seppur costituite presso un'autorità giudiziaria, sono organi autonomi. Hanno una competenza territoriale identica a quella dell'autorità presso cui esse sono costituite, ma la competenza per materia non coincide (67). Quando l'attribuzione del beneficio per essere efficace, deve essere concessa con una certa urgenza, questa viene affidata ad organi che possono provvedervi in maniera sollecita e senza formalità procedurali (68). Vi sono poi taluni organi particolarmente qualificati ai quali la legge del 1923 demanda la sorveglianza ed il controllo sulla difesa del non abbiente e sull'opera di tutti coloro che ad essa son tenuti a prestare la propria cooperazione. Per tale scopo la legge da un lato grava i difensori dell'obbligo di comunicare a tali organi i provvedimenti del giudice (69) e dall'altra impone agli organi stessi di richiedere, non solo ai difensori ma a quanti, privati o pubblici uffici, sono tenuti a cooperare per la difesa del povero, i dati e gli elementi occorrenti per il proprio controllo.

Tali organi sono:

  • Il pubblico ministero, per i giudizi e gli affari che si svolgono nell'ambito della circoscrizione delle singole corti, sezioni distaccate o tribunali.
  • Il presidente del Tribunale superiore o dei Tribunali delle acque pubbliche per i giudizi innanzi alle rispettive magistrature.

1.4.2. Procedimento per ottenere il beneficio e provvedimento di ammissione dello stesso

L'interessato che vuole ottenere il beneficio, deve presentare ricorso in carta da bollo al presidente della commissione. Il ricorso dev'essere sottoscritto personalmente dalla parte o da un avvocato o procuratore, deve contenere una chiara e precisa esposizione delle proprie ragioni e delle prove addotte a loro sostegno, nonché le generalità e la residenza di tutte le altre parti. Qualora il ricorso fosse sottoscritto soltanto dalla parte, dev'essere dalla medesima inviato al presidente della commissione per mezzo del pretore, sempre che si tratti di affari di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria (70).

Al ricorso dovranno essere allegati:

  • un certificato in carta libera, del procuratore delle imposte dirette, comprovante l'ammontare dell'imposta fondiaria e di ricchezza mobile corrisposte dal ricorrente e corredato da parere del procuratore stesso sul suo stato di povertà;
  • un certificato in carta libera del sindaco del comune in cui il ricorrente ha il proprio domicilio - ed anche da quello del comune in cui egli ha la propria residenza, qualora questa sia da quello distinta - attestante lo stato di povertà del richiedente medesimo;
  • tutti i documenti che il ricorrente ritiene atti a comprovare la fondatezza, nel merito, della propria domanda.

"È interessante notare", afferma Canonico, "come lo stesso legislatore abbia cura di precisare che per stato di povertà «non si intende la nullatenenza, ma uno stato in cui il ricorrente non sia in grado di sopperire alle spese della lite e tale situazione deve essere attestata dal sindaco e avvalorata da certificati dell'Ufficio imposte» (71). Anche la Cassazione si è espressa alla stessa maniera sostenendo che «non abbienza significa difficoltà nel sostenere le spese del giudizio» (72).

Il R.D. n. 3282, ha inteso individuare gli aventi diritto al beneficio non mediante l'indicazione di un limite economico prefissato, ma attraverso l'utilizzazione del concetto di povertà «relativa», ovverosia tramite una comparazione tra lo status economico del richiedente e il presumibile impegno di spesa richiesto dall'attività giudiziale da porre in essere (73).

Il ricorso, se avanzato nell'interesse di minore o di donna coniugata non separata legalmente (e contro la quale non si proceda a querela del marito), dev'essere corredato non solo dai certificati di cui ai n. 1 e 2 concernenti il minore o la donna, ma anche da quelli riguardanti i genitori od il marito.

Dall'esibizione dei documenti di cui ai n. 1 e 2 sono esenti le istituzioni pubbliche di beneficenza ed i corpi morali aventi per fine la carità o l'istruzione dei poveri, per i quali in luogo dell'esibizione basta il riconoscimento della loro natura, tramite verifica da parte della commissione stessa, su ricorso degli amministratori dell'ente. Se l'esito della verifica è positivo, la commissione emana un decreto che è valido per tutti i giudizi che l'ente debba sostenere attivamente o passivamente dinanzi a qualsiasi autorità giudiziaria, ordinaria o amministrativa, sempre che naturalmente sussista l'estremo della probabilità di esito favorevole della causa o dell'affare da riconoscersi, caso per caso, dalla competente commissione.

In tutti i casi esaminati, il ricorso con tutti i documenti allegati, viene trasmesso al relatore dal presidente, e il relatore, svolte opportune indagini, ne riferisce alla commissione (74). La commissione, al fine di instaurare il contraddittorio, dà avviso del ricorso alla parte avversa, in carta semplice, concedendole un termine perché possa, a voce o per iscritto, contrastare la dedotta povertà e fornire spiegazioni sul merito della causa (75). Tale avviso deve indicare: la commissione investita del potere di concessione del beneficio; le parti interessate; l'oggetto del giudizio o affare per cui si richiede la concessione; il termine assegnato perle controdeduzioni; se è necessario, anche il giorno fissato per la comparizione delle parti davanti alla commissione. L'avviso dovrà essere notificato anche al ricorrente, rispettando la procedura stabilita dal c.p.c. con riguardo alle notificazioni. Ricorso e atti allegati verranno infine depositati.

Giunti al momento dell'adunanza per la trattazione dell'affare, la commissione verifica il rapporto del relatore e, se le parti compaiono, è in questo frangente che può essa tentare la conciliazione se lo ritiene opportuno e conveniente. Se invece nutre dei dubbi, disporrà indagini e chiederà chiarimenti per poter meglio accertare se esiste o meno l'estremo della non abbienza e della fondatezza delle sue ragioni (76).

La valutazione finale sulla sussistenza dello stato di povertà, spetta infatti alle commissioni, anche se si tratta di valutazioni squisitamente discrezionali, che in quanto tali, lasciano aperta la possibilità di considerazioni difformi di casi analoghi, specie se operate da commissioni diverse, con eventuale disparità di trattamento (77).

Il momento della designazione del difensore d'ufficio è il più significante e importante della procedura, e ciò avviene solo nel momento in cui, la commissione, valutati i risultati delle prove prodotte dal ricorrente od acquisite all'istruttoria, delibera a maggioranza di voti e accoglie la domanda di ammissione al patrocinio (78). La concessione non può essere limitata ad una sola fase del giudizio o al compimento di taluni atti o alla risoluzione di alcune questioni, però, se il ricorrente richiede il beneficio per più domande o per più capi di domande autonomi e indipendenti tra di loro, la commissione può decidere di concederlo solo per quelle domande o per quei capi per i quali si prospetta l'esito favorevole della causa (79).

La deliberazione viene consacrata nel verbale dell'adunanza, il quale è redatto in carta semplice e contiene, l'indicazione dell'anno, del mese e del giorno in cui si è tenuta l'adunanza, i cognomi ed i nomi dei componenti la commissione e infine viene sottoscritto dai componenti stessi e dal segretario.

Nonostante il modo dettagliato con cui il legislatore ha compilato questa legge, ha mancato di inserire qualche indicazione sul procedimento di concessione del patrocinio gratuito nel caso in cui a concederlo fossero organi diversi dalle commissioni, e di conseguenza si estendono per quanto possibile, le regole applicabili alle commissioni.

L'ammissione al gratuito patrocinio, avviene con decreto, succintamente motivato, questo non deve essere comunicato né alle parti, né a nessun ufficio ed è immediatamente esecutivo (80). Il provvedimento di ammissione, produce effetti limitatamente al giudizio o all'affare per cui fu emanato, in modo che i benefici e gli oneri che ne derivano non si estendano oltre i soggetti e l'oggetto nei cui confronti e per cui fu concesso. Ad esempio, se il beneficio fu concesso per agire in primo grado, è escluso che questo possa valere per proporre appello o ricorso incidentale da parte dell'ammesso, rimasto parzialmente soccombente e inoltre, se concesso il beneficio per procedere ad una divisione ereditaria ab intestato, si negherà la sua efficacia nel caso in cui si voglia impugnare la validità di un testamento riguardante la medesima eredità, ecc. (81)

Abbiamo detto che del beneficio della gratuità dell'azione, può avvalersi soltanto colui al quale fu concesso; naturalmente se il soggetto nel momento in cui ha ottenuto la concessione era minore - per cui il provvedimento è stato chiesto da altri nel suo interesse - potrà con il compimento della maggiore età avvalersi della concessione personalmente (82).

L'ammesso al beneficio potrà agire, grazie alla concessione della gratuità dell'azione, solo contro colui nei cui confronti la competente autorità, ritenendo probabile la vittoria della sua tesi, concesse il beneficio o contro i suoi eredi a titolo universale, ma mai potrà agire o resistere nei confronti di altri, poiché una tesi valida nei confronti di un soggetto, può non esserlo nei confronti di un altro (83).

1.4.3. I mezzi di impugnazione

La legge del 1923, non garantisce un sistema di impugnazioni delle pronunce sulla concessione del gratuito patrocinio, ma si limita ad offrire singoli mezzi di gravame con finalità ed effetti determinati e circoscritti. Infatti i «provvedimenti di ammissione al gratuito patrocinio», (ad eccezione di alcuni) (84), non sono impugnabili, né con appello, né con ricorso per cassazione, ma sono soggetti a «revoca» ed anche (per difetto però, del solo estremo della non abbienza) a «revoca ad istanza dell'intendente di finanza», mentre, nel caso di provvedimenti di rigetto (sui quali non si forma alcun giudicato essendo provvedimenti amministrativi), altro non rimane se non presentare una nuova istanza di concessione. A tutti i decreti di revoca della concessione - da qualunque autorità e in conseguenza dell'accoglimento di qualsiasi mezzo di gravame siano essi emessi - dovranno estendersi le norme (85), che la legge detta per la notificazione del decreto emesso al termine del procedimento di revoca vera e propria, in forza delle quali esso è, a cura di chi ha proposto il gravame, notificato al procuratore della parte avversa e, a seconda dei casi, al procuratore già deputato al patrocinio od alla parte già ammessa al gratuito patrocinio (86). Il decreto di revoca, opera ex nunc; ma nel caso in cui la revoca sia dipesa dal fatto che lo stato di non abbienza non è mai esistito, esso opera ex tunc.

Contro i provvedimenti di ammissione, rigetto e revoca delle commissioni per il gratuito patrocinio, è esperibile ricorso ma, limitatamente al solo estremo dell'esito favorevole della causa od affare (87). Tale ricorso ha effetto sospensivo: nondimeno, l'illegittimo uso del beneficio, non comporta l'invalidità degli atti compiuti, ma solo conseguenze fiscali per la parte o per il giudice (88). Questo sistema, è stato però, vivamente criticato dalla dottrina (89), la quale, è concorde nel non ravvisare alcun motivo per cui tale gravame debba essere circoscritto al solo estremo della probabilità dell'esito favorevole e per i soli provvedimenti delle commissioni presso i tribunali.

Legittimati a proporre il ricorso sono: il richiedente, la parte avversa ed anche nel caso di impugnazione di un provvedimento di revoca, chi aveva proposto l'istanza di revoca.

La revoca dell'ammissione al gratuito patrocinio, può verificarsi, per il venir meno dei presupposti che la determinarono, ma anche a causa della decadenza in cui l'ammesso sia incorso, per averne abusato, e quindi:

  • se lo stato di non abbienza non è mai esistito o se questo è cessato;
  • se la sua tesi non appaia più fondata;
  • se è evidente la mancanza della sua convenienza o del suo obbligo a continuare il giudizio;
  • se si avvale dell'opera di un avvocato o procuratore diversi da quelli assegnatigli dalla commissione (90).

Legittimati a proporre l'istanza di revoca, sono: la parte abbiente, gli avvocati ed i procuratori deputati al patrocinio, nonché i collegi ed i consigli degli ordini professionali cui essi appartengono e inoltre il pubblico ministero. Nelle cause pendenti davanti ai tribunali delle acque pubbliche ed al Tribunale superiore delle acque pubbliche, è il presidente della sezione o del collegio che può fare opportune segnalazioni al presidente della commissione per il gratuito patrocinio ai fini della revoca del beneficio (91).

La «revoca ad istanza dell'intendente di finanza», comprende due distinti mezzi d'impugnazione, concessi all'intendente di finanza, nel caso in cui egli ritenga inesistente o cessato lo stato di non abbienza dell'ammesso al beneficio del gratuito patrocinio. Questi mezzi nonostante abbiano in comune la tutela degli interessi delle finanze statali, vengono proposti davanti ad autorità diverse e colpiscono differenti provvedimenti. L'uno infatti, è rivolto contro il decreto di ammissione al gratuito patrocinio e si propone davanti alla commissione che aveva emesso il provvedimento stesso, l'altro investe invece il provvedimento che la commissione per il gratuito patrocinio ha emesso a seguito del ricorso dell'intendente e dev'essere proposto all'autorità presso cui è istituita la commissione che ha emanato il provvedimento (92).

1.4.4. Recupero e riscossione delle tasse e delle spese giudiziali

Terminato il giudizio o l'affare per cui il beneficio del gratuito patrocinio era stato concesso, il beneficio stesso e i suoi effetti cesseranno e sorgerà anche il diritto dello Stato e degli altri aventi diritto, di recuperare alcune somme che erano state anticipate per conto dell'ammesso al beneficio o da lui non riscosse.

Il recupero delle spese e delle tasse giudiziarie, si differenzia a seconda che si tratti di giudizi contenziosi o di affari di volontaria giurisdizione. Nei giudizi contenziosi il recupero si risolve a seconda del modo di definizione del giudizio ed anche in base alla natura delle somme da recuperare. Se il giudizio ha avuto una definizione normale, vale la dichiarazione di condanna alle spese giudiziali pronunciata dal giudice e perciò:

  1. nel caso in cui condannata alle spese sia la parte non ammessa al beneficio, questa, deve, nei limiti della propria soccombenza, pagare sia gli onorari e le competenze ai difensori dell'ammesso al beneficio, sia, versare all'erario le spese prenotate a debito. L'erario, agisce per il recupero iure proprio e non come surrogante dei diritti dell'ammesso al gratuito patrocinio. Di conseguenza, questo, può chiedere ed ottenere a proprio favore, pur non essendo stato menzionato in sentenza, l'ipoteca giudiziale a garanzia delle spese prenotate a debito, senza che il soccombente possa eccepirgli in compensazione eventuale credito che per altro che, per altro titolo, vanti verso l'ammesso al gratuito patrocinio. Nel caso in cui l'azione di recupero, eseguita verso la parte soccombente rimanga totalmente o parzialmente infruttuosa, l'erario potrà agire sussidiariamente contro l'ammesso al gratuito patrocinio (entro i limiti che vedremo alla lett. b) per il completo soddisfacimento del proprio credito (93);
  2. nel caso in cui la condanna alle spese colpisce invece l'ammesso al gratuito patrocinio, sarà questi obbligato verso l'erario per il pagamento delle spese prenotate a debito; lo Stato però può agire contro l'ammesso, solo se egli abbia conseguito per effetto della sentenza, una somma o un valore pari alle somme anticipate per le spese o pari al sestuplo dell'ammontare delle tasse di registro o di bollo non riscosse; nel caso in cui l'ammesso non ha raggiunto le entità di cui sopra sarà tenuto alla corresponsione nei limiti dell'effettivo conseguimento (94). L'ammesso al beneficio, naturalmente, non dovrà corrispondere nulla ai difensori d'ufficio. Nel caso in cui ammessi al gratuito patrocinio siano stati entrambi i contendenti, l'erario potrà agire verso l'ammesso al gratuito patrocinio soccombente anche, per il recupero delle spese dovute dall'ammesso al gratuito patrocinio rimasto vincitore; il quale sarà però tenuto in via sussidiaria, al pagamento delle proprie spese, nei limiti e alle condizioni di cui sopra;
  3. se dalla sentenza risulta compensazione totale o parziale delle spese, l'ammesso al gratuito patrocinio, è obbligato nei confronti dell'erario, nei limiti della compensazione, per le somme prenotate a debito e, sempre che ricorrano le condizioni di cui alla lettera b) (ovvero se egli abbia conseguito dalla sentenza una somma od un valore pari all'importo delle spese anticipate o almeno pari al sestuplo del loro ammontare). In tal caso la parte abbiente è a propria volta tenuta a corrispondere al competente ufficio, nei limiti della compensazione, l'imposta di registro liquidata sulla sentenza (95).

Se la definizione del giudizio è avvenuta in modo anormale, ovvero quando, secondo il legislatore, sia stata determinata da un accordo diretto a sfuggire la rifusione delle somme dovute, si avranno queste conseguenze:

  1. se vi è stata transazione, la legge del 1923, pone sia a carico dell'ammesso al beneficio, sia dell'avversario, col vincolo della solidarietà, l'obbligo del pagamento delle spese prenotate a debito, dichiarando nullo e improduttivo di effetti qualsiasi patto contrario (96). La ripetizione dei compensi del procuratore e degli onorari dell'avvocato, è rivolta soltanto contro la parte non ammessa al gratuito patrocinio, non potendosi estendere il principio eccezionale della ripetizione verso l'ammesso al beneficio oltre i casi espressamente ammessi dalla legge (97);
  2. se vi è stata rinuncia agli atti del giudizio, l'obbligo della rifusione è posto a carico della parte abbiente, se essa abbia promosso il giudizio, oppure a carico dell'ammesso al patrocinio gratuito ove egli abbia instaurato il giudizio ed abbia proposto impugnazione, e il giudizio d'impugnazione sia ancora pendente. Se la rinuncia è avvenuta su accordo di entrambe le parti, anche senza transazione, l'obbligo della rifusione è indirizzato ad entrambe le parti, secondo il vincolo della solidarietà (98);
  3. nel caso di estinzione del giudizio, si applica la disciplina di cui alla lettera b), anche se in realtà la legge sul gratuito patrocinio all'art. 38 parla di perenzione e non di estinzione, termini che si equivalgono in quanto indicano entrambi l'abbandono del giudizio.

Negli affari di volontaria giurisdizione, la legge di cui stiamo parlando afferma che l'unico tenuto al pagamento delle spese prenotate a debito è l'ammesso al beneficio del patrocinio gratuito, sempre che dal compimento dell'affare per cui si instaurò il procedimento di volontaria giurisdizione abbia ricavato una somma pari rispettivamente al sestuplo od all'importo da corrispondere all'erario (99).

Per quanto riguarda la riscossione delle somme prenotate a debito (100), l'azione di recupero deve essere promossa, contro il non ammesso al gratuito patrocinio nei tre mesi successivi al giorno in cui il giudizio fu ultimato o comunque abbandonato: entro lo stesso termine l'ammesso al beneficio previsto dal R.D. 3282, deve, pena una soprattassa del dodici per cento, corrispondere le spese e le tasse annotate a debito, tutto ciò indipendentemente dall'esercizio nei suoi confronti dell'azione di recupero (101). A tal fine il cancelliere dell'autorità giudiziaria estrae dai registri (in cui di volta in volta ha annotato, specificandole, le tasse non riscosse e le somme anticipate) la nota delle spese di giustizia, e prima dello spirare del detto termine di tre mesi la trasmette duplicata, in una con gli atti del giudizio e col computo di fogli di carta libera impiegati, al competente ufficio del registro, il quale eseguiti gli opportuni controlli e gli eventuali rilievi, restituisce gli atti processuali ed una copia della nota vistata (102).

Qualora le parti non abbiano provveduto a notificare, nei cento ottanta giorni dalla pubblicazione, la sentenza definitiva, l'amministrazione finanziaria, tramite il cancelliere, provvede alla sua notifica nella sola parte dispositiva, al fine di renderla esecutiva per l'esazione delle tasse e delle spese prenotate a debito, senza alcun pregiudizio dei diritti delle parti.

Contro l'azione di recupero, gli interessati possono proporre opposizione nei modi di legge; nel caso in cui l'ammesso al gratuito patrocinio intenda basare la propria opposizione sul mancato conseguimento del sestuplo dovrà, prima di proporre opposizione, giustificare in via amministrativa tale assunto, in caso contrario, l'amministrazione finanziaria, in caso di accoglimento dell'opposizione, non può essere condannata alle spese del giudizio di opposizione (103).

1.5. Applicazione della legge sul gratuito patrocinio alla giurisdizione amministrativa

Il «gratuito patrocinio», è previsto e disciplinato, nei suoi profili di applicazione davanti al giudice amministrativo, dal R.D. 30-XII-1923, n. 3282, che ha regolato la materia in modo unitario per tutte le giurisdizioni. L'art. 19 comma 2, della legge istitutiva dei TAR del 6-12-1971, n. 1034, ha, infatti, confermato che anche davanti agli organi di giustizia amministrativa di primo grado «si applicano le disposizioni generali in materia di gratuito patrocinio». La normativa di riferimento dell'operatività dell'istituto nel giudizio amministrativa è appunto quella applicabile davanti ai giudici ordinari, è quindi è alle disposizioni contenute nel R.D. citato che occorre aver riguardo per individuare gli organi preposti alla concessione del beneficio, i presupposti, i soggetti legittimati ad ottenerlo, il procedimento e gli effetti del provvedimento terminale di questo. Rispetto alla predetta disciplina generale devono, quindi, evidenziarsi, in questa «sede», soltanto i diversi profili organizzativi che caratterizzano l'istituto nel settore specifico, considerando le riforme strutturali degli organi di giustizia amministrativa di cui alle leggi 6-12-1971, n. 1034 e 27-4-1982, n. 186, e gli adattamenti funzionali conseguenti alla nuova articolazione del giudizio amministrativo su due gradi, con l'istituzione dei TAR come giudici di primo grado (104).

1.5.1. Organi preposti alla concessione del beneficio

L'art. 28 del D.P.R. 21-4-1973, n.214, recante il regolamento di esecuzione della legge n. 1034 del 1971, istituisce presso ogni TAR e presso ogni sezione staccata, una commissione per il gratuito patrocinio.

La commissione è composta da due magistrati amministrativi (il più anziano dei quali ne assume la presidenza) e da un avvocato, designati, all'inizio di ogni anno, rispettivamente dal presidente del TAR, al quale compete adottare anche il formale provvedimento di nomina della commissione, e dal presidente del Consiglio dell'Ordine del capoluogo o della sede staccata. Vengono nominati anche due magistrati e un avvocato supplenti. Le funzioni di segretario sono svolte da un funzionario della carriera direttiva o di concetto nominato dal presidente del TAR. L'art. 28 cit. stabilisce all'ultimo comma, il dovere dei magistrati di astenersi dall'intervenire nei giudizi già da essi esaminati in qualità di componenti della commissione. Se il TAR o la Sezione staccata, a causa del predetto dovere di astensione, non possa funzionare per mancanza del numero necessario a formare il collegio giudicante si provvede ad inviare in missione i magistrati delle sedi più vicine (105).

L'ammissione al gratuito patrocinio è valida per tutti i gradi di giurisdizione e, quindi l'ammesso al patrocinio che ha ottenuto in primo grado una decisione favorevole, resisterà in sede d'appello davanti al Consiglio di Stato, continuando ad avvalersi del beneficio già ottenuti per il primo giudizio (106). Nel caso di soccombenza, come sappiamo, è invece necessario, ai fini dell'impugnazione, un nuovo provvedimento di ammissione da parte della commissione per il gratuito patrocinio presso il Consiglio di Stato.

La commissione presso il Consiglio di Stato, viene costituita all'inizio di ogni anno, ed è composta da due consiglieri di Stato (107) e da un avvocato patrocinante presso la Corte di Cassazione. I magistrati del Consiglio di Stato sono designati dal presidente del Consiglio di Stato tra quelli addetti alle Sezioni consultive (108). Possono anche essere designati, in luogo dei consiglieri di Stato, funzionari statali a riposo di grado corrispondente.

Il componente del libero foro è designato dal presidente dell'Ordine di Roma. Presiede la commissione il consigliere di Stato più anziano nella qualifica e le funzioni di segretario sono svolte da un segretario di una delle sezioni giurisdizionali. Per ciascun componente è previsto un membro supplente.

Una commissione per il gratuito patrocinio, con composizione analoga a quella operante presso il Consiglio di Stato, è costituita anche presso il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana (109).

Per quanto riguarda il funzionamento di dette commissioni, possiamo dire che queste si riuniscono nei giorni fissati con decreto, emanato all'inizio di ogni anno dai presidenti degli organi giurisdizionali presso i quali sono costituite. Se ricorrono ragioni di urgenza, la commissione istituita presso ciascun TAR o Sezione staccata di questo, può essere convocata anche in giorni diversi da quelli stabiliti con il decreto annuale (110).

Anche le commissioni per il gratuito patrocinio istituite presso le giurisdizioni amministrative, hanno natura di organi amministrativi, così com'è stato pacificamente sostenuto in dottrina e in giurisprudenza (111).

1.5.2. Presupposti per l'ammissione al gratuito patrocinio presso gli organi di giustizia amministrativa

Per l'ammissione al gratuito patrocinio presso le giurisdizioni amministrative, valgono i presupposti richiesti dall'art. 15 del RD. 3282 per tutti i giudizi, e quindi: lo stato di povertà e la probabilità dell'esito favorevole della causa. Anche qui lo stato di povertà dev'essere inteso come impossibilità per il soggetto di sopperire alle spese necessarie per proporre ricorso avverso un provvedimento amministrativo (o resistervi come controinteressato) ovvero per proporre azioni pretensive di diritti soggettivi azionabili davanti al giudice amministrativo (112). La commissione per il gratuito patrocinio, controllerà il reale stato di povertà del soggetto, grazie alle prove che egli ha dovuto fornire.

Al gratuito patrocinio per le controversie in materia di pubblico impiego, è da ritenere applicabile, il limite di reddito annuo (due milioni), presuntivo dello stato di non abbienza, introdotto dalla l. 11-8-1973, n. 533, per le controversie individuali di lavoro e di cui parlerò in seguito.

Le persone giuridiche pubbliche che perseguono in modo esclusivo o prevalente scopi di assistenza caritativa ai bisognosi, sono ammesse di diritto al gratuito patrocinio (113). Anche le persone giuridiche private che perseguono in modo esclusivo o prevalente la carità o l'istruzione dei poveri, ne sono ammesse di diritto. Tale beneficio è concesso inoltre alle associazioni non riconosciute e, in particolare ai comitati con finalità di soccorso e beneficenza, che possono stare in giudizio nelle persone di coloro ai quali, secondo gli accordi o gli atti costitutivi, è conferita la presidenza o la direzione (114).

Con domanda, adeguatamente documentata, degli amministratori o, comunque, del loro legale rappresentante, gli enti privati sono inseriti in un decreto del presidente della commissione istituita presso il TAR nel cui territorio hanno la propria sede. Il decreto riconosce il possesso dei requisiti di ammissibilità al gratuito patrocinio e vale per qualunque ricorso da proporre o nel quale occorra resistere anche dinanzi ad altri TAR (115).

L'ammissione al patrocinio gratuito è, come abbiamo già chiarito, condizionata, ad un giudizio delibatorio della commissione sul merito della controversia al quale concorrono, oltre alle ragioni esposte dal richiedente, se del caso convocato per chiarimenti, le eventuali osservazioni dell'amministrazione interessata, invitata dal presidente della commissione a proporre entro breve termine le proprie contestazioni sullo stato di non abbienza dell'istante e sul merito della controversia (116).

1.5.3. Procedimento per la concessione del beneficio e provvedimento di ammissione dello stesso

Anche il procedimento per la concessione del beneficio davanti al giudice amministrativo, segue le stesse linee tracciate dalla legge del 1923 per la giurisdizione ordinaria.

Bisognerà quindi proporre domanda su carta bollata per atti giudiziari, sottoscritta dalla parte o da un avvocato o procuratore (nel caso di istanze con le quali si chiede l'assistenza giudiziale nelle controversie relative a rapporti di pubblico impiego si applica l'art. 13 della legge n. 533 del 1973).

La parte interesseta dovrà allegare alla domanda, gli atti giustificativi dello stato di non abbienza e quelli riguardanti la controversia vera e propria, compreso, se è possibile, l'atto amministrativo impugnato e ogni altro documento che possa servire di sostegno alla tesi dell'istante. Come previsto dall'art. 24 della L. 13-4-1977, n.114, colui che chiede l'ammissione al beneficio di cui si parla, potrebbe rendere una dichiarazione contenente gli elementi oggetto della certificazione, in luogo del certificato rilasciato dagli uffici delle imposte dirette. L'ulteriore fase per la concessione del gratuito patrocinio si svolge in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni del R.D. n. 3282.

Giunto il momento della fase decisoria, le parti sono avvertite, dal segretario della commissione, del giorno fissato per la riunione. Più tardi avverranno le deliberazioni, adottate a maggioranza di voti e registrati in appositi verbali. Nei casi d'urgenza, come si diceva, il presidente della commissione, può concedere l'ammissione provvisoria al gratuito patrocinio, nominando il difensore, sappiamo infatti che l'esigenza di una pronuncia tempestiva assume particolare rilevanza nei giudizi amministrativi, a causa del breve termine di decadenza stabilito per la proposizione del ricorso diretto alla tutela degli interessi legittimi.

1.5.4. Provvedimento di ammissione

Nel caso in cui la commissione dà esito favorevole, e ammette quindi la parte al patrocinio gratuito, si avrà una pronuncia in via definitiva e scattano i meccanismi riscontrati all'interno del R.D. 3282, per cui verrà nominato un difensore, la parte sarà esonerata dall'anticipazione di spese e tasse giudiziarie e taluni altri servizi verranno offerti gratuitamente. Inoltre il provvedimento d'ammissione, comporta l'assistenza tecnica non solo per l'azione giudiziale per la quale è stata richiesta e per l'eventuale grado d'appello nel caso di vittoria dell'istante, ma anche per tutte le attività amministrative e giurisdizionali successive per ottenere l'ottemperanza dell'amministrazione al giudicato (117).

Ottenuto il patrocinio gratuito, entrano in gioco appositi organi, i quali hanno il compito di vigilare, così come abbiamo potuto constatare per la giurisdizione ordinaria. La vigilanza per le controversie davanti al Consiglio di Stato è demandata dall'art. 4 del R.D. 3282 al presidente della sezione giurisdizionale o del collegio. Analoghi poteri devono riconoscersi anche ai presidenti dei TAR o delle Sezioni staccate.

In conclusione, bisogna affermare che la vecchia legge sul gratuito patrocinio, come meglio vedremo, ha suscitato critiche relative anche alla sua applicazione ai giudizi amministrativi, anche in questo campo è stata avvertita la necessità di una riforma, più volte denunciata dagli operatori dell'istituto medesimo.

1.6. Difetti e limiti della legge sul gratuito patrocinio: esigenze di riforma

1.6.1. Considerazioni generali

«Una delle piaghe più vergognose della vigente legislazione italiana, e che più urgentemente invoca attenzione e cura, è quella della legge sul gratuito patrocinio: la legge, anzi il regio decreto fascista, del 30 dicembre 1923, n. 3282» (118). È questa la dura critica espressa da Mauro Cappelletti nel lontano 1968 «al patrocinio gratuito dei poveri, quale ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli avvocati e procuratori». L'onere sociale della difesa giudiziaria del povero è stato spostato, a causa di questa vecchia legge, dal suo naturale destinatario, lo Stato, al libero professionista legale», che solo in caso di vittoria in giudizio del proprio assistito, poteva avere qualche prospettiva di compenso.

La naturale conseguenza, è stata che, tranne le rare eccezioni, e a parte quelle frange della popolazione alla cui difesa riuscivano a provvedere i vari enti di patronato ed alcuni uffici legali predisposti soprattutto dalle organizzazioni sindacali, la parte povera si trovava ad essere difesa in giudizio dagli avvocati meno esperti, meno abili, meno impegnati. «La persona povera è una specie di malato-cavia che, non pagando il proprio medico e le proprie cure, serve ai più giovani ed inesperti avvocati a 'farsi le ossa' o agli avvocati falliti a mantenere qualche superstite contatto con i tribunali» (119).

Era impensabile ed ingenuo pensare che, in una società basata sull'iniziativa privata e sullo stimolo del compenso, gli avvocati più ricercati, dedicassero le loro forze e capacità e il loro tempo prezioso» ad un compito sociale, al quale lo Stato stesso per risparmio di cassa, ha creduto di dover abdicare.

Ancora: non può sfuggire a nessuno, che questa situazione sia stata in flagrante contrasto con la nostra Costituzione repubblicana (oltre che in netta contraddizione, come dirò in seguito, con gli sviluppi che in questa materia si sono avuti nei paesi più progrediti). L'Art. 24 della Costituzione, di cui ho già ampiamente discusso, garantendo a tutti il diritto di agire e difendersi in giudizio, dispone, come sappiamo, che: «sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione».

Negli anni successivi al secondo dopoguerra, tale contrasto non sfuggì neppure ad alcune personalità politiche, tanto che, nel novembre del 1968, un progetto di legge governativo fu presentato al senato per la riforma sul gratuito patrocinio. Il progetto era preceduto da una relazione portante il nome dell'allora ministro della Giustizia, Gonella, la quale esordiva con questa parole:

«Con il presente disegno di legge si è inteso dare attuazione, per la prima volta, ad una norma costituzionale, tendente a garantire praticamente il rispetto del fondamentale principio dell'uguaglianza dei cittadini nel diritto di difesa. Senza questa garanzia l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge resta puramente nominale» (120).

Il progetto Gonella, fu criticato per la sua eccessiva moderazione, ma ha costituito un importante passo avanti per la sua chiarezza di premesse quanto alla incostituzionalità della disciplina allora vigente.

La questione di legittimità costituzionale della legge sul gratuito patrocinio, fu portata non poche volte all'esame della Corte Costituzionale, attraverso alcune ordinanze di giudici ordinari. In particolare ricordiamo una delle sentenze con cui la Corte decise tale questione: la sentenza n. 97 del 16 giugno 1970. Preme sottolineare, che il giudizio della Corte fu allora atteso con grandi speranze. Tutti si aspettavano una netta condanna del sistema allora vigente, condanna che ogni serio studio riteneva inevitabile e che avrebbe rappresentato un decisivo stimolo per il Parlamento, per varare una buona volta la lungamente progettata riforma. Purtroppo le speranze andarono deluse. La Corte, ammise la «insufficienza o scarsa efficienza, rispetto agli scopi voluti dalla Costituzione», della legge sul gratuito patrocinio; ed aggiunse anche di «auspicare una opportuna riforma legislativa» (121). Non ebbe però il coraggio, di fronte al rischio del 'vuoto legislativo' che ne sarebbe provvisoriamente derivato, di usare il «bisturi» della dichiarazione di incostituzionalità. Come lo stesso Cappelletti afferma, la Corte: «si è accontentata di un platonico auspicio di riforma, peraltro affrettandosi ad aggiungere che questo auspicio non significa che la normativa esistente, per quanto inadeguata, si debba per ciò solo, dichiarare costituzionalmente illegittima».

Questa dichiarazione della Corte nonostante tutto non è stata inutile: anche i poveri finalmente sapevano, - perché lo dichiarò solennemente la Corte -, che il precetto costituzionale che li riguardava, era insufficientemente, inadeguatamente attuato dalla legge in vigore; e che nonostante ciò la Corte non era in grado di trovare per essi alcuno strumento giuridico di tutela contro tale ingiustizia!

La Corte fu sollecita a pronunciarsi sull'inadeguatezza del sistema del gratuito patrocinio e la sua difformità dai principi costituzionali, anche in altre occasioni, ma tutte le volte in cui fu costretta a dare risposte ai giudici che avevano sollevato la questione, assunse una posizione poco coerente alla sua stessa giurisprudenza in materia di garanzie processuali, imperniata sull'affermazione della «inviolabilità» del diritto di difesa inteso come «possibilità effettiva dell'assistenza tecnica e professionale, nello svolgimento di qualsiasi processo» (122). Guidata dalla preoccupazione di non togliere ai meno abbienti anche quel beneficio di cui disponevano, per quanto insufficiente, e non troppo fiduciosa nei mezzi di interpretazione integratrice dei giudici di merito, essa ha preferito conferire alla disciplina del 1923, una immeritata «patente di validità», in attesa che gli organi competenti si decidessero a varare una riforma del sistema di assistenza giudiziaria (123). In particolare, nonostante il riconoscimento di insufficienza del sistema di gratuito patrocinio, la Corte, riferendosi agli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini (e che l'art. 3 della Costituzione vuole che si eliminino), ritenne addirittura di poter affermare che «impedimenti del genere non esistono nel processo, perché l'ordinamento appresta il rimedio del gratuito patrocinio ai non abbienti» (124).

In tutte le occasioni in cui la Corte Costituzionale ha lambito il problema che stiamo esaminando, ha negato che tra la norma ordinaria e il disposto costituzionale si sia verificato un autentico contrasto, non c'è quindi da stupirsi che la legge sull'«ufficio gratuito e onorifico della classe degli avvocati», sia rimasto in piedi per più di un secolo.

Anche la Corte di Cassazione, messa di fronte all'avvilente prassi che si registrava nei nostri processi penali con riguardo all'assistenza dei soggetti che non hanno la possibilità di procurarsi un difensore di fiducia, si è limitata ad osservare che «il diritto alla difesa è garantito dalla nomina (anche d'ufficio o a seguito di ammissione al gratuito patrocinio) di un difensore, e dalla partecipazione dello stesso, nei modi e nei termini di legge, allo svolgimento delle attività processuali; mentre l'esercizio in concreto dell'attività difensiva è rimesso all'apprezzamento discrezionale del patrono e alla sua etica o capacità professionale». In questa occasione la Cassazione addirittura affermò: «Non può raffigurare perciò violazione del diritto costituzionale in parola il comportamento del difensore eventualmente negligente o lesivo degli interessi dell'imputato»; «né possono ravvisarsi nelle norme del R.D. del 1923, sul gratuito patrocinio, profili di incostituzionalità in relazione all'art. 24 comma 2 della Costituzione» (125).

Contrariamente alle convinzioni della Corte costituzionale e della Cassazione italiane, bisogna rilevare che, portata la stessa questione all'esame della Corte europea dei diritti dell'uomo, questa non ha avuto esitazioni a evidenziare una violazione dell'art. 6, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali - norma che, nelle parole della stessa Corte europea mira a garantire diritti che non siano astratti o illusori, ma reali ed effettivi» (126) - e a condannare l'Italia per le gravi carenze del suo sistema di assistenza giudiziaria ai non abbienti (127).

Si può affermare però, che, nonostante le negative tendenze rivelate dalla giurisprudenza costituzionale, non sembra che la magistratura ordinaria si sia lasciata scoraggiare. In effetti, tanta costanza ha dato qualche frutto anche se minimo e di settore: la Corte costituzionale, con sentenza 8 giugno 1983, n. 149, pronunciandosi sull'eccezione sollevata dalla seconda sezione civile, della Corte Suprema il 10 febbraio 1976, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 11 della legge del 1923, nella parte in cui non prevedeva che il beneficio del gratuito patrocinio si estendesse alla facoltà per le parti di farsi assistere da consulenti tecnici. Infatti si legge nella sentenza:

«la mancata previsione della facoltà di nomina di un proprio consulente tecnico da parte del soggetto ammesso al gratuitopatrocinio, nel caso incuisi faccia luogo nel giudizio alla nomina di un consulente tecnico d'ufficio, costituisce un'evidente limitatezza del diritto di difesa del non abbiente, che ne menoma la possibilità di efficacemente contraddire quando nel giudizio si controverta su questioni di natura tecnica» (128).

Questo poteva rappresentare l'inizio di una possibile riforma dell'intero sistema, anche se, a quanto pare, i tempi non furono maturi neppure in quest'occasione.

1.6.2. Difetti e critiche del sistema del gratuito patrocinio previsto dal R.D. 1923, n. 3282

Dopo l'analisi approfondita della vecchia legge sul gratuito patrocinio, risulta necessaria l'individuazione dei suoi punti deboli, deboli a tal punto da rendere urgente una riforma nel settore. La domanda principale che viene spontaneo chiederci, è perché quel R.D. di cui si è discusso finora non è riuscito a dare a quella grossa fetta di popolazione (i non abbienti), quella completa tutela di cui erano, secondo quanto disposto dalla nostra Costituzione, meritevoli e bisognosi.

Cercherò di mettere qui in evidenza, i maggiori difetti di quella legge anzi, le maggiori «trappole» o «inganni» tese alla parte povera da una legislazione tipicamente borghese (129). Innanzitutto, la legge italiana sul gratuito patrocinio, diversamente da quella inglese, francese, e di altri paesi, non ha previsto minimamente l'istituzione di uffici legali di consulenza gratuita stragiudiziaria, dislocati in tutto il territorio nazionale, ai quali il povero potesse rivolgersi fiduciosamente per chiedere consiglio. «Ignorantia juris non excusat: ecco qui una delle classiche formule di un sistema non democratico!» (130). La realtà era infatti che il ricco poteva, pagando il proprio consulente legale, eliminare gli effetti di quell'ignoranza, che invece paralizzava il povero nell'esercizio e nella tutela dei propri diritti. Questa era la lacuna più grave dell'istituto; la consulenza legale costituisce infatti la prima e più elementare forma di assistenza legale. Il cittadino, più che del difensore che lo assiste in giudizio, ha spesso bisogno di un avvocato che lo consigli sull'opportunità o meno di insistere in una controversia o di radicare una causa. La difficoltà maggiore che le persone in disagiate condizioni economiche e culturali devono affrontare, quando si trovano di fronte a controversie legali, è proprio quella di non sapere come comportarsi e a chi rivolgersi per avere dei chiarimenti. Si comprende, quindi, come, privando il non abbiente di una qualsiasi forma di consulenza pregiudiziale, si rende inutile la stessa assistenza giudiziale.

Come però Siena ha sostenuto:

Questa lacuna non potrebbe essere risolta con la semplice estensione dell'attuale normativa anche all'attività di consulenza, perché significherebbe addossare agli avvocati un ulteriore onere, assai più gravoso di quello della difesa giudiziale, senza garantire alcuna retribuzione e svuotando di fatto, e per ragioni ben comprensibili, tale ulteriore attività di una reale operatività. Si ricadrebbe, in sostanza, nel solito principio privatistico dell'assistenza-carità, eludendo il problema di fondo che sta proprio nel trasformare in funzione pubblica quello che oggi è un onere, poco ambito e poco gratificante, di una ristretta categoria di cittadini (131).

Gli effetti del primo difetto, or ora rilevato, si accentuano ulteriormente, a danno dei poveri, in conseguenza di un secondo difetto della legge sul gratuito patrocinio, consistente nel fatto che, ai sensi del suo art. 18, la parte che aspirava all'ammissione al gratuito patrocinio doveva farne domanda (ricorso) per iscritto, su carta da bollo, «diretta al Presidente della competente commissione per il gratuito patrocinio». Tale ricorso doveva contenere «una chiara e precisa esposizione sia dei fatti che della ragioni e dei mezzi legittimi di prova, sui quali la parte istante intenderà di fondare la sua domanda o la sua difesa». Inoltre il ricorso doveva «essere sottoscritto dalla parte, o da un avvocato o procuratore, e vi dovevano essere uniti i documenti giustificativi della povertà e quelli concernenti il merito» ecc.ecc. «Qui veramente l'ipocrisia deborda da ogni velo di ingenuità!» (132). In un paese ad elevato livello di analfabetismo, com'era nel 1923 (e anche tuttora in alcune aree) l'Italia, è evidente che un ampio segmento della popolazione rimaneva automaticamente escluso da un siffatto sistema di gratuito patrocinio, anche per il semplice fatto che la domanda doveva essere compilata per iscritto. Ma anche sapendo scrivere, la parte povera non avrebbe mai saputo quale fosse stata la commissione competente. La parte inoltre non sarebbe mai stata in grado di fare per iscritto quella «chiara e precisa» esposizione, oltreché dei fatti, delle ragioni di diritto ecc., che solo un esperto avvocato può fare. Conseguenza: «la parte povera si deve rivolgere ad un avvocato, pregandolo umilmente ('supplicando dalla grazia vostra') di redigere quella domanda di ammissione al gratuito patrocinio, che essa non è in grado di scrivere, senza peraltro avere alcun diritto a che l'avvocato medesimo aderisca alla sua preghiera, inquantoché il 'dovere onorifico' dell'avvocato nasce soltanto dopo l'ammissione della parte al gratuito patrocinio» (133). Inoltre in questa fase potevano sorgere altre conseguenze negative per il povero, non sarebbero mancati, infatti i casi in cui l'avvocato avrebbe chiesto al povero una remunerazione per la compilazione della domanda e, non sarebbero mancati gli avvocati, a corto di tempo, per essere impegnati in affari più vantaggiosi, i quali sarebbero stati indotti a dissuadere la parte dall'insistere nel chiedere una magari non infondata giustizia; «non pochi avvocati, quand'anche avessero dato iniziale udienza al povero (non avevano l'obbligo di farlo, perché la parte non era ancora stata ammessa al gratuito patrocinio!), non avrebbero mancato poi di rimetterlo a quel gruppetto di avvocati impreparati o falliti, che raccattano qualsiasi causa pur di campare o di farsi le ossa» (134).

Questa situazione di disuguaglianza tra parte povera e parte ricca, non si fermava alla fase preliminare, ma continuava per tutto l'arco del processo, e soprattutto nella fase in cui, ammessa la parte al gratuito patrocinio, questa non avrebbe avuto la possibilità di nominare un proprio difensore di fiducia, come di certo, avrebbe fatto la parte abbiente, ma avrebbe dovuto accontentarsi di un avvocato nominato d'ufficio dalla commissione.

La commissione per il gratuito patrocinio, composta normalmente, come abbiamo visto, di un giudice, di un funzionario del pubblico ministero, e di un avvocato, avrebbe deciso se ammettere o meno la parte istante al beneficio, previo un esame, oltreché dello stato di povertà, anche del cosiddetto fumus bonis iuris, ossia previa una delibazione sulla fondatezza delle ragioni che la parte povera si proponeva di far valere in giudizio, in quanto in base a quanto disponeva l'art. 15 del R.D. 3282 l'ammissione era subordinata alla «probabilità dell'esito favorevole della causa o affare». È possibile avanzare fondati dubbi di legittimità costituzionale del fumus bonis iuris e sostenere, che esso ha rappresentato un indebito ostacolo all'azione e alla difesa in giudizio (135).

L'art. 15 di cui sopra, imponeva inoltre che azione e difesa del non abbiente fossero subordinate alla cognizione sommaria di un organo non giurisdizionale la cui definizione si poneva come definitiva per l'azionabilità di diritti già riconosciuti dal legislatore sul piano sostanziale. La legge, così, non solo faceva dipendere la possibilità di esercitare il proprio diritto di agire e di difendersi, da «un assaggio pressoché superficiale dell'affare» (136), da un giudizio incompleto e insufficiente, basato solo su quelle prove, esclusivamente documentali, che era possibile produrre davanti alla commissione; ma demandava inoltre tale accertamento ad un organo la cui natura amministrativa non era discutibile e, soprattutto, la cui decisione sfuggiva ad ogni controllo dell'autorità giudiziaria. Tutto ciò era lesivo di un altro principio costituzionale, ovvero di quello riportato nell'art. 25, che prevede che «nessuno può essere distolto dal proprio giudice naturale precostituito per legge e, la commissione non era certo dotata di quei requisiti di indipendenza, di imparzialità, di inamovibilità ecc., che caratterizzano una vera e propria corte di giustizia.

Inoltre, cosa molto grave, al preliminare esame della commissione, partecipava anche la parte avversa, la quale poteva presentarsi davanti alla commissione o produrre contestazioni per iscritto. In tal modo la parte povera doveva scoprire le 'proprie carte' (ragioni, prove, fatti) di fronte all'avversario, prima ancora del processo e prima che l'avversario dovesse fare altrettanto.

Ad avviso di Vigoriti, non si può sostenere che il requisito del fumus bonis iuris sia stato posto nell'interesse pubblico al miglior funzionamento del processo, ma al contrario, sembra che l'interesse che si è voluto tutelare, sia proprio quello privato, quello cioè della parte abbiente a non essere disturbata da azioni che presentavano 'indizi di infondatezza.

La legge sul gratuito patrocinio, conteneva un ulteriore inganno contro la parte povera, ovvero il disposto dell'art. 13. Questo disponeva che, se la parte ammessa al gratuito patrocinio fosse rimasta soccombente nel giudizio di primo grado, non poteva proporre impugnazione «senza aver ottenuto nuova ammissione della commissione competente».

Scriveva Cappelletti:

Da un lato, per poter agire e vincere la propria causa, la parte povera deve vincerla due volte - una prima volta davanti al giudice innaturale ossia alla commissione, e una seconda volta davanti alla vera e propria corte giudiziaria -; dall'altro lato, per perdere definitivamente la propria causa, alla parte povera basta perderla una volta sola: la garanzia del doppio grado di giurisdizione e quella, assicurata dall'art. 111 della Costituzione, del ricorso in cassazione, non valgono per i poveri allo stesso modo che per i ricchi. La giustizia, che diamine, è uguale per tutti; ma essa è un poco più uguale per i ricchi, un poco meno per i poveri (137).

Considerando altri difetti di questa legge, ci accorgiamo che, probabilmente, lo scopo della stessa non è stato quello di agevolare il non abbiente nella sua richiesta di giustizia, ma piuttosto di ostacolarlo, al fine di limitare il numero delle domande con l'intento, di ridurre al minimo l'esborso dello Stato. E, infatti, un breve esame degli ultimi articoli del R.D., e precisamente dal 35 al 39, relativi al recupero delle spese prenotate a debito, chiarisce come una delle preoccupazioni principali sia stata quella di garantire, comunque, il recupero delle somme anticipate dall'erario. Normalmente lo Stato, si rivaleva sulla parte abbiente rimasta soccombente, ma se in tale modo non veniva totalmente coperto il debito, poteva agire nei confronti della parte ammessa al gratuito patrocinio. Il non abbiente era tenuto a restituire le spese anticipate qualunque sia stata la somma o valore ottenuti con la vittoria in sede giudiziaria, ivi comprese le tasse di bollo e i diritti di cancelleria, qualora avesse percepito una somma pari al sestuplo delle stesse.

Potremmo continuare per altre pagine a criticare la legge del 1923, i suoi difetti infatti non si limitano a quelli appena elencati. Anche dal punto di vista tecnico e a prescindere dal suo fondamento politico-sociale, si trattava di una legge priva di ogni pregio. Basti pensare all'assurda e irreale astrattezza di una legge che, senza tener conto delle infinite sfumature della realtà, si limitava a prevedere le due ipotesi estreme, quella della «parte povera» non «in grado di sopperire alle spese della lite» (art. 16), quella della «parte ricca», capace di sopperire a tali spese. L'ipotesi non poco frequente, di una parte parzialmente in grado di sopperire a tali spese, era del tutto estranea alla previsione del legislatore italiano, come pure quella di un processo in cui entrambe le parti fossero incapaci di sopperire alle spese (art. 20, comma 3), a differenza di altri paesi che avevano già previsto un ingegnosa ed elastica gamma di ammissioni parziali (138).

Per questi, e per altri motivi che qui non ho esaminato, bisognava giungere ad un cambiamento. Neppure le riforme di settore, avvenute nel 1973 e nel 1990 (riguardanti il processo del lavoro e il processo penale), sono bastate a colmare le infrazioni commesse dal nostro legislatore con riguardo alla tutela dei non abbienti. Una riforma che riguardasse tutti i settori della giustizia era necessaria, perché:

Un'autentica democrazia non può contentarsi di proclamare in astratto i diritti fondamentali del cittadino, ma deve preoccuparsi di garantire i mezzi concreti per il loro esercizio, riconoscendo realmente a tutti, nelle forme di un diritto di libertà positiva, la possibilità di tutela giudiziaria, mediante una conveniente assistenza degli indigenti (139).

Note

1. Cfr. V. Andrioli, La tutela giurisdizionale dei diritti nella Costituzione della Repubblica italiana, in N. Riv. Dir. Comm., 1954, p.312 SS.

2. La citazione appartiene a Piero Calamandrei del 1954.

3. Art. 3 comma 2 della Costituzione italiana.

4. Cfr. M. Cappelletti, Giustizia e società, Ed. di Comunità, Milano, 1977, pp. 225 ss.

5. Rispettivamente, art6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e l'art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

6. Cfr. M Cappelletti, Giustizia e società, cit., p. 227.

7. Cfr. M. Cappelletti (a cura di), in Opere Giuridiche, I, Ed.Morano, Napoli 1965, p. 692.

8. Cfr. M. Chiavario, Processo e garanzia della persona, II, A. Giuffrè Editore, Milano 1982, p. 307.

9. La citazione appartiene a P. Calamandrei ed è stata riportata da M. Cappelletti, (a cura di), Opere giuridiche, cit., p. 693.

10. Cfr. M. Cappelletti, (a cura di), Opere giuridiche, cit., p. 693.

11. Bisogna ricordare che il termine "procuratore legale" deve ritenersi soppresso o sostituito da "avvocato" ex art. 3, l. 24-02-1997 n. 27.

12. Cfr. N. Trocker, Assistenza legale e giustizia civile, Ed. A Giuffrè, Milano 1979, p. 99.

13. Cfr. M. Cappelletti, Gratuito patrocinio, le cavie della giustizia, in "L'astrolabio", 12 maggio 1968, pp. 31 ss.

14. Così A. Pizzorusso in una monografia del 1967 dal titolo: L'art. 24 comma 3 della Costituzione e le vigenti disposizioni sul gratuito patrocinio, in Foro it. 1967, V, c. 1.

15. Cfr. R. G. Rodio, Difesa giudiziaria e ordinamento costituzionale, Ed. Cedam, Padova 1990, p. 42, e inoltre N. Trocker, L'assistenza giudiziaria ai non abbienti: problemi attuali e prospettive di riforma, in Riv. it. dir. e proc. civ., 1979, p. 65.

16. Così anche Pizzorusso, supra nota 14.

17. Cfr. Trocker, Assistenza legale e giustizia civile, cit., p. 113.

18. Cfr. G. De Cesare, Ambivalenza dell'istituto del gratuito patrocinio, in Giur. Costituz., 1964, pp. 1175-1178 e S. Bartole, Professioni legali e diritto alla difesa, in Giuris. Costituz. 1964, p. 1165 ss.

19. Cfr. V. Denti, Assistenza giudiziaria ai non abbienti - II) Diritto processuale civile, in Enc. Giur. 1988. Vol. III, p. 1.

20. Così Trocker, Assistenza legale, cit., p. 103.

21. Cfr. J. Rumi Paroni, L'evoluzione dell'assistenza giudiziaria negli Stati Uniti: l'esperienza del «legal service program» dell'OEO, in Riv. dir. proc. 1976, p. 560 ss.

22. Cfr. G. De Cesare, op. cit., p.1175 ss.

23. Cfr. G. De Cesare, op. cit., p. 1177.

24. Pubblicata nella G. U. n. 221 del 24 settembre 1995.

25. Pubblicata nella G. U., suppl. ord., n. 277 del 7 ottobre 1982.

26. Pubblicata nella G. U., suppl. ord., n. 24 del 29 gennaio 1985.

27. Pubblicata nella G. U., suppl. ord., n. 197 del 22 agosto 1985.

28. Cfr. R. G. Rodio, op. cit., p. 154 ss.

29. Nel Patto, a differenza della corrispondente clausola della Convenzione Europea, il diritto alla nomina del difensore d'ufficio sembra configurarsi a prescindere dalle condizioni economiche, che rileverebbero soltanto ai fini della gratuità della prestazione.

30. Cfr. M. Chiavario, Processo e garanzie della persona, cit., p. 316.

31. Comm. Eur., 22 marzo 1972 (caso Gussenbauer).

32. Comm. Eur., 12 dicembre 1976 (7641/76).

33. Corte eur., 13 maggio 1980 (caso Artico). Possiamo notare che, con questa pronuncia, la Corte europea ha voluto portare alla luce il cattivo funzionamento del tradizionale sistema italiano di 'assistenza legale'.

34. Corte eur., 9 ottobre 1979 (caso Airey).

35. Corte eur., 28 novembre 1978 (casi Luedicke, Belkacem e koç).

36. Cfr. V. Denti, Assistenza giudiziaria ai non abbienti, cit, p. 1.

37. Per una breve storia sull'Avvocatura dei poveri cfr. E. Caldara, C. Cavagnari, Avvocatura dei poveri, in Dig. It., Torino, 1839/99, IV, 2., e inoltre D. Marafioti, L'assistenza giudiziaria ai non abbienti, in Riv. it. prev. Soc., 1960 p.11 ss.

38. La citazione appartiene a M. Cappelletti, Giustizia e società, Ed. di Comunità, Milano 1977, p. 248.

39. Benché per effetto della riforma avvenuta con D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 «Testo unico in materia di spese di giustizia» l'istituto in questione non sia più applicabile nel nostro ordinamento in nessuna materia, analizzerò la legge n. 3282 utilizzando i verbi al presente senza considerare la sua abrogazione.

40. Gli arbitri non possono considerarsi autorità giudiziarie ai sensi e agli effetti dell'art. 10 R.D. n. 3282 del 1923.

41. Cfr. P. Brandi, op. cit., pp. 734 ss.

42. Cfr. art. 15 n. 1 e 2 del r. d. 3282 cit.

43. Cfr. V. Vigoriti, «Fumus bonis iuris» e diritto d'azione e di difesa (art. 24 Costituzione e art. 15, n. 2 legge sul gratuito patrocinio), in "Riv. dir. proc.", 1966, pp. 284 ss.

44. Cfr. Brandi, op. cit., p. 735.

45. Cfr. Brandi, op, cit., p. 735.

46. Art. 18 r. d. n. 3282, cit.

47. Cfr. Brandi, ivi, p. 735.

48. Art. 14 comma 2 e art. 15 comma 2 R D. 3282 cit.

49. Art. 16 comma 3, R.D. 3282 cit.

50. Cfr. Brandi, op. cit., p. 736.

51. Art. 16 comma 4, R.D. 3282 cit.

52. Cfr. P. Brandi, op. cit., p. 736.

53. Art. 20 comma 2 r. d. n. 3282, cit.

54. Cfr. Cass., 5 ottobre 1979, n. 5168, in Rep. Giur. Ital., 1979, voce patrocinio gratuito, n. 21.

55. Cfr. artt. 31 e 4 r. d. 3282 cit.

56. Cfr. art. 5, R.D. 3282 cit., e inoltre M. Canonico, Diritto alla difesa e tutela dei non abbienti:dal gratuito patrocinio all'assistenza in giudizio a spese dello Stato, in "Dir. della famiglia e delle persone, 1994, p. 1416.

57. Cfr. art. 4 comma 3 R.D. 3282 cit.

58. Cfr art. 32 commi 2 e 3 R.D. 3282 cit.

59. Cfr. art 33 R.D. 3282 cit.

60. Cfr. Cass., sez. un., 3 ottobre 1964, n. 2493, in Foro ital., 1964, I, p. 1761.

61. Cfr. Brandi, op. cit., p. 739.

62. Cfr. Art. 11 n. 4 R.D. cit.

63. Ai sensi dell'art. 1, d. lgs. 19-02-98, n. 51, a decorrere dal 2-06-99, l'ufficio del pretore è soppresso; le relative competenze sono trasferite al tribunale ordinario, fuori dei casi in cui è diversamente disposto dallo stesso decreto.

64. Tutti questi organi devono essere in servizio presso la Corte od il tribunale presso cui siede la commissione, designati il primo dal presidente della Corte di Cassazione, d'Appello o dalla sezione distaccata, ed i secondi dal capo dell'ufficio di Procura della Repubblica.

65. Cfr. Art. 5 commi 1 e 2 R.D.3282 cit.

66. Cfr. N. Ambrosone, I provvedimenti delle commissioni pel gratuito patrocinio sono soggetti a ricorso per cassazione? In "Riv. dir. proc.", 1956, pp. 112 ss.

67. Cfr. Brandi, op. cit., p. 736.

68. Cfr. Artt. 22 comma 1, 24 comma1, 25 comma1 e art. 26 R.D. 3282 cit.

69. Cfr. Art. 33 R.D. 3282 cit.

70. Cfr. Art. 18 R.D. 2382 cit.

71. Cfr. M. Canonico, op. cit., p. 1412.

72. Cfr. Cass. 11 maggio 1978, n. 2321, in "Foro it.", Rep. 1978, I, p. 2114.

73. Cfr. R. G. Rodio, op. cit., p. 84.

74. Cfr. Art. 16 comma 5 e art. 23 comma 2 R.D. 3282 cit.

75. Cfr. Art. 20 comma 1 R.D. 3282 cit.

76. Questo è quanto si deduce argomentando ex art. 23 comma 2 R.D. 3282 cit.

77. Cfr. M. Canonico, op. cit., p. 1412.

78. Cfr. Art. 29 comma 1 r. d. 3282 cit.

79. Cfr. Brandi, op. cit., p. 744 e inoltre cfr. Cass. 17 maggio 1935, n. 1872, in "Riv. del lavoro", 1935, p. 877, Cass. 23 aprile 1974, n. 610, in "Foro it.", 1974, I, p. 726.

80. Cfr. Art. 29 coma 1 r. d. 3282 cit.

81. Cfr. Cass. 11 aprile 1946, n. 418, Cass. 23 novembre 1967, n. 2816.

82. Cfr. Cass. 26 febbraio 1954, n. 560 e App. Firenze, 8 giugno 1962, in "Giur. Toscana", 1954, p. 74.

83. Conf. App. Palermo 17 febbraio 1936, in Foro sic., 1936, p. 161; Trib. Caltanissetta 17 dicembre 1935, in Rassegna giuridica nissena, 1936, p. 27.

84. Cfr. P. Brandi, op. cit., p.746.

85. Cfr. art. 34 comma 2 r. d. 3282 cit.

86. Cfr. art. 34 comma 2 r. d. 3282 cit.

87. Cfr. Art. 22 r. d. 3282 cit.

88. Così Cass. 5 gennaio 1966, n. 110, in Foro it., 1966, I, p. 1566.

89. Cfr. Brandi, op. cit., p. 746.

90. Ibid.

91. Cfr. Art. 34 comma 1, R D. 3282 cit.

92. Cfr. Art. 21 commi 1 e 2, R.D. 3282 cit.

93. Cfr. Art. 35, R.D. 3282 cit.

94. Cfr. Art. 37, R.D. 3282 cit.

95. Cfr. Art. 38 R.D. 23 dicembre 1897, n. 549.

96. Cfr. Art. 37 comma 3 R.D. 3282 cit.

97. Cfr. Cass., sez. un., 3 ottobre 1964, n. 2493, in "Foro it.", 1964, I, p. 1761.

98. Cfr. Art. 38 commi 2 e 3 R.D. 3282 cit.

99. Cfr. Art. 39 comma 3 R.D. 3282 cit.

100. Cfr. Art. 39 commi 1 e 3 R.D. 3282 cit.

101. Per la procedura di riscossione delle somme prenotate a debito e l'eventuale opposizione avverso l'azione di recupero, cfr. l'art. 39 commi 5, 6, e 7, R.D. 3282 cit.

102. Cfr. Brandi, op. cit., p. 750.

103. Cfr. art. 39, comma 5, R.D. 3282, cit.

104. Cfr. G. Pastori, Gratuito patrocinio, (giurisdizione amministrativa), in "Enc. del dir.", 1970, p. 751.

105. Cfr. C. Marchitiello, R. Scognamiglio, Assistenza giudiziaria ai non abbienti, IV) Diritto processuale amministrativo, in "Enc. giur.".

106. Cfr. art. 13, R.D. 3282, cit.

107. La legge n. 186, del 1982, ha soppresso le qualifiche di referendario e di primo referendario.

108. Cfr. art. 6 del R.D. n. 3282 cit.

109. Cfr. l'art. 7 del d.legisl. 6-5-1948, n. 654.

110. Cfr. art. 28 del d.P.R. n. 214 del 1973.

111. Cfr. C. Marchitiello, R. Scognamiglio, op. cit., p. 2, vedi anche G. Pastori, op. cit., p. 753. Inoltre vedi Cassazione, 3 marzo 1936 n. 739, in "Massimario Foro Italiano", 1936, p. 149, nella quale si specifica che «le commissioni pel gratuito patrocinio non sono organi di giurisdizione, esplicando attività di pura amministrazione».

112. Cfr.C. Marchitiello e R. Scognamiglio, op. cit., p. 2.

113. Cfr. art. 14 comma 2, r.d. 3282 cit. p.2.

114. Cfr. artt. 15, 36 e 41 comma 2, r.d. 3282 cit.

115. Cfr. C. Marchitiello, R. Scognamiglio, ivi, p. 3.

116. Cfr. art. 20 comma 1, R.D. 3282 cit.

117. Cfr. art. 12 del R.D. 3282, cit.

118. Cfr. M. Cappelletti, Gratuito patrocinio: le cavie della giustizia, cit., p.31.

119. Possiamo notare ancora la durezza con cui il Cappelletti si esprime nei confronti della legge sul gratuito patrocinio. Cfr. M. Cappelletti, Gratuito patrocinio: le cavie della giustizia, cit., p. 31.

120. Cfr. M. Cappelletti, Giustizia per i poveri: ma la Corte dice no, in «L'Astrolabio», 30 agosto 1970, p. 17.

121. Cfr. M. Cappelletti, Giustizia per i poveri: ma la Corte dice no, in «L'Astrolabio», 30 agosto 1970, p. 17.

122. Cfr. Corte Cost., 18 marzo 1957, n. 46, in Giur. Cost., 1957, p. 587; Corte Cost. 23 luglio 1974 n. 248, in Foro ital., 1974, I, p. 2220.

123. Cfr. N Trocker, Patrocinio gratuito, (diritto processuale), in Noviss. Dig. It., App.V, 1967, p. 790.

124. Vedi in particolar modo la sentenza della Corte Costituz., 22 dicembre 1964, n. 114, in Giur. Cost. 1964, p.1163. Qui la Corte pur auspicando una migliore e diversa disciplina della difesa dei poveri, ha affermato la legittimità costituzionale di alcune norme del vecchio c.p.p (artt. 128 comma 2 e 131 comma 2), che sancivano l'obbligo della difesa gratuita dei non abbienti a carico degli avvocati e procuratori.

125. Cfr. Cass., 30 aprile 1976, in "Giust. Pen.", 1977, III, pp.333-336.

126. Così la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sent.9 ottobre 1979 sul caso Airey, in "Foro It.", 1980, IV, p.1.

127. Cfr. Corte europea dei diritti dell'uomo, sent.13 maggio 1980 sul caso Artico, in "Foro it.", 1980, IV, p. 141.

128. Cfr. Corte cost., 8 giugno 1983, n. 149 in "Foro it.", 1983, I, p.2083.

129. Di trappole e inganni, parlò Cappelletti, in Processo e ideologie, Il Mulino, Bologna 1969, p. 550.

130. Cfr. M. Cappelletti, Processo e ideologie, Il Mulino, Bologna 1969, p. 550.

131. Cfr. S. Siena, Il gratuito patrocinio. Un istituto in via d'estinzione, in "Sociologia del diritto", 1984, p.65.

132. Cfr. M. Cappelletti, Processo e ideologie, Cit., p. 551.

133. Ivi, p. 552.

134. Cfr. M. Cappelletti, Processo e ideologie, cit., p. 552.

135. Cfr.V. Vigoriti 'Fumus boni iuris' e diritto d'azione e di difesa, in Riv. dir. proc., 1966, p. 284 ss.

136. Cfr. V. Vigoriti, op. cit., p. 287.

137. Cfr. M. Cappelletti, Processo e ideologie, cit. p.553.

138. Cfr. M. Cappelletti, Gratuito patrocinio, le cavie della giustizia, in «L'Astrolabio», 12 maggio 1968, p. 31.

139. Con queste parole, Luigi Paolo Comoglio, riassume il vivace dibattito dinanzi alla prima sottocommissione della Costituente sull'art. 24. Tale citazione è inserita in G. Cascini, op. cit., p.667.