ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo III
L'azione svolta dai servizi sociali e dall'autorità giudiziaria nel Comune di Firenze

Cosimo Di Bari, 2003

1. Enti pubblici, organizzazione dei servizi

1.1. Premessa

L'assistenza, secondo il prevalente orientamento della dottrina di diritto amministrativo, è parte di un vasto sistema: quello della sicurezza e protezione sociale.

Essa comprende tutte le attività volte a prestare, agli aventi diritto, i mezzi idonei per soddisfare il minimo di esigenza vitale e per difenderli dai principali rischi che possono colpirli nella loro vita sociale.

L'assistenza si diversifica dalla previdenza in quanto, mentre quest'ultima, per soddisfare il bisogno, richiede l'esistenza della qualità di assicurato, l'assistenza, invece, non richiede nessuna appartenenza ma solo l'esistenza di un bisogno.

In virtù di quanto disposto dall'art. 38, comma 1, della Costituzione, tutti coloro che si trovano in stato di inabilità al lavoro, e sono sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, sono titolari di un vero e proprio diritto soggettivo all'assistenza. Verrebbe, così, a configurarsi un potere diretto ed immediato di agire, al fine di vedere riconosciuto il diritto ad essere assistito.

Quanto sopra detto può esser ritenuto corretto se si tenesse conto solo dei principi della Carta Costituzionale, ma se si considera la realtà pratica le cose sono diverse e si deve guardare alle disposizioni vigenti.

L'assistenza è erogata da enti ecclesiastici, da privati e dalla Stato, nelle sue articolazioni degli enti locali. Questi ultimi, vincolati ad una serie di funzioni da norme più o meno recenti e più o meno coordinate, in realtà perseguono fini diversi a seconda dei bisogni ritenuti, in un dato momento storico, preminenti compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili. L'affermato diritto soggettivo all'assistenza si scontra, così, con esigenze politiche ed economiche, sino ad affievolirsi al punto tale da non far più riconoscere alla collettività alcuni diritti fondamentali degli inabili al lavoro o degli sprovvisti dei mezzi necessari per vivere.

Volendo far ricorso ad una classificazione dei diversi tipi di prestazioni che possono essere individuate nel mondo dell'assistenza è possibile distinguere (1):

  • prestazioni di carattere sanitario volte a far sì che il soggetto possa fruire delle cure sanitarie che non è in grado di procurarsi individualmente. Queste, in quanto collegate alla stessa sopravvivenza del soggetto, hanno carattere primario dinanzi a qualsiasi altra forma di intervento assistenziale;
  • prestazioni volte ad assicurare al cittadino il minimo vitale quando le sue entrate finanziarie siano inesistenti, ovvero insufficienti, non solo per le esigenze primarie di vitto, ma anche per quelle relative al decoro e alla dignità umana;
  • prestazioni volte a proteggere e sviluppare la personalità, garantendo il buon esito dell'aiuto prestato, stimolando l'impiego delle risorse personali, promuovendo il miglioramento morale ed intellettuale ed adottando misure adeguate a prevenire ed eliminare gli effetti pregiudizievoli dello stato di bisogno. In questo ambito rientrano le prestazioni relative all'istruzione, all'avviamento al lavoro, i servizi di consiglio e guida dell'individuo e del nucleo familiare, lo sport e la vita sociale in genere;
  • prestazioni volte ad aiutare il soggetto ad uscire, appena possibile, dallo stato di inferiorità fisica ovvero a recuperare la capacità e la dignità di membro autosufficiente della società. Quest'ultima, definita assistenza riabilitativa, si rivolge a tutti i soggetti anche occasionalmente impediti, a seguito di incidenti, a svolgere un normale ruolo nella società anche nei limiti della propria condizione psicofisica.

Le attività assistenziali sopra indicati si dividono, poi, in obbligatorie e facoltative. Le prime sono quelle la cui attivazione è imposta dalla legge, e a cui non possono sottrarsi gli enti preposti, ferma restando la discrezionalità della misura e, conseguentemente, della qualità delle prestazioni. Le seconde sono quelle che vengono svolte volontariamente dagli enti pubblici in base a norme da essi stessi fissate, nell'ambito delle attribuzioni generali dell'obbligo di assistenza.

Bisogna poi ricordare il problema dell'adeguamento dell'azione posta in essere dalla Pubblica Amministrazione dinanzi ad una disposizione proveniente dall'autorità giudiziaria. Riguardo ai minori, tutti i provvedimenti giurisdizionali in loro favore per i quali sia necessario l'intervento dei servizi assistenziali determina, in quest'ultimi, l'obbligo di attivarsi. Ciò non solo per rispetto del pronunciato giurisdizionale, quanto per il rispetto del dettato legislativo in base al quale è fatto obbligo alla pubblica amministrazione di attivarsi per assistere una minore che versi in stato di bisogno. L'ex presidente del Comitato per i minori stranieri, riguardo a quei tribunali che hanno intrapreso una politica favorevole all'accoglimento del minore straniero, ha affermato che il Tribunale per i minorenni non è una sorta di superassessore all'assistenza che può imporre agli enti locali una politica assistenziale diversa da quella che liberamente hanno scelto (2); tuttavia l'ente locale è tenuto ad eseguire i provvedimenti del giudice nei confronti dei minorenni.

1.2. La riforma dei servizi sociali

La legge 8 novembre 2000, n. 328 è una legge "quadro", cioè una legge che tecnicamente ha la funzione di delimitare con chiarezza i confini del potere legislativo "concorrente" delle Regioni e di indicare i principi ai quali le Regioni stesse devono attenersi.

Come spesso accade quando vengono approvate importanti leggi quadro, anche in questo caso il legislatore ha colto l'occasione per intervenire sotto il profilo sostanziale nella disciplina della materia, rinnovando profondamente il sistema.

La legge 328/00 prevede il completo riordino della materia assistenziale divenendo momento di sintesi, non solo delle diverse stratificazioni legislative succedutesi nel tempo, ma anche delle diverse elaborazioni teoriche, che nel campo dell'assistenza si sono verificate nel corso delle esperienze maturate, e delle esigenze di specificazioni di ambiti e professionalità sempre più avvertite.

All'art. 1 della legge vi è un esplicito richiamo e sottolineatura dei principi costituzionali di riconoscimento e tutela dei diritti inviolabili, del diritto di eguaglianza e di quello di solidarietà nei confronti dei portatori di bisogni insoddisfatti; il richiamo alla definizione di servizio sociale contenuta nel DLgs 112/98, nonché il riepilogo dei principi di buona amministrazione ricavabili dall'impianto del diritto amministrativo italiano.

È come se il legislatore voglia ricordare a tutti coloro che sono chiamati ad applicare le norme in materia di assistenza i principi fondamentali di comportamento a cui si è tenuti nell'amministrare la "cosa pubblica".

Nell'art. 2 vengono indicati i soggetti che hanno il diritto di accedere alle prestazioni di tipo assistenziale: i cittadini italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali, quelli appartenenti ai paesi dell'Unione Europea, nonché gli stranieri residenti regolarmente in Italia. È, altresì, prevista la prima assistenza anche per i profughi e gli apolidi.

Negli ambiti delle categorie sopra indicate viene poi, stabilita priorità di accesso ai servizi assistenziali ai soggetti in stato di povertà o con limitato reddito o a quelli in stato di incapacità totale o parziale, per inabilità fisica o psichica, di provvedere alle proprie esigenze, a quelli con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché ai soggetti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che rendono necessari interventi di tipo assistenziale.

Negli articoli successivi si dà largo spazio al principio della programmazione, su base nazionale e locale, ponendo l'accento anche al momento della verifica dei risultati ottenuti, e specificando la necessità di integrazione degli interventi assistenziali con quelli sanitari ed in materia di istruzione.

Sempre nel primo capo della legge 328/00 viene dato spazio anche al terzo settore, il così detto privato sociale, nel quale deve ricomprendersi anche il volontariato, imponendo allo Stato e alle Regioni la semplificazione delle procedure amministrative per l'affidamento dei servizi a privati, nonché l'adozione di politiche formative rivolte alla suindicata categoria di soggetti.

Nel capo secondo si determinano le funzioni affidate ai Comuni, Province, Regioni, Stato e IPAB.

I Comuni (3) divengono titolari delle funzioni amministrative relative agli interventi sociali a livello locale e sono chiamati a concorrere alla programmazione su base regionale. In definitiva, accanto alle funzioni già affidate con il DPR 616/77 e con la legge 112/87 i Comuni sono chiamati a svolgere un ruolo attivo nell'ambito della programmazione e verifica dei risultati, nonché ad essere promotori e gestori dell'intervento di rete che non è più un auspicio degli operatori, ma un obbligo operativo legislativamente imposto.

Ai Comuni sono, inoltre, trasferite le residue competenze in materia di assistenza che, in base alle leggi precedenti, erano rimaste di competenza delle Province (4).

A queste ultime, con l'art. 7, viene affidato il compito di raccordo tra i Comuni e la Regione con la raccolta delle conoscenze e dei dati sui bisogni e sulle risorse presenti nei loro ambiti, divenendo, così, anche organismo di documentazione e studio che concorre alla formazione del piano regionale di assistenza. Ulteriore compito, poi, è riconosciuto alle Province dal citato articolo, in campo di formazione ed aggiornamento professionale.

Alle Regioni (5) è affidato, invece, il compito di programmazione, coordinamento ed indirizzo degli interventi sociali, di verifica dell'attuazione degli stessi con particolare riguardo all'integrazione tra il momento assistenziale e quello sanitario. È affidato, inoltre, all'Ente regionale il compito di raccordo tra gli enti territoriali minori anche con l'istituzione di "procedure di raccordo e concertazione" che diano luogo a forme di cooperazione.

Le Regioni, in particolare, dovranno individuare gli ambiti territoriali, le modalità e gli strumenti per la gestione dei servizi di rete, favorendo le forme di associazione tra enti e, preferibilmente, facendo coincidere i suddetti ambiti territoriali con i già istituiti distretti sanitari.

Alle stesse, poi, sono affidati tutti i compiti di indirizzo generale dell'intervento assistenziale, la fissazione dei parametri minimi di efficacia, la definizione delle politiche integrate in materia di interventi sociali, ambientali, sanità, istruzione scolastica, avviamento al lavoro, tempo libero, trasporti e comunicazione.

Alle Regioni sono riconosciuti, infine, i poteri sostitutivi nei confronti dei Comuni inadempienti ai compiti in materia assistenziale.

Le residue funzionistatali riprendono formulazioni presenti, in primo luogo, nel d.lgs n. 112 del 1998 e in altre leggi in materia di servizi sociali, che limitano le competenze statali a quelle strettamente connesse ai compiti di indirizzo, coordinamento, mediante l'indicazione di standard, e di ripartizione delle risorse. I compiti indicati alle lettere a), b), c) e d) dell'art. 9, comma 1, riguardano l'indicazione dei principi e degli obiettivi delle politiche sociali, mediante l'adozione del Piano nazionale degli interventi e servizi sociali che costituisce il fondamentale atto di programmazione in materia; l'individuazione dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni, dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi nonché dei requisiti e dei profili per le professioni sociali.

Con l'art. 10 si prevede il riordino delle IPAB definendo il loro inserimento nel piano di programmazione socio assistenziale e la loro completa riorganizzazione gestionale sia operativa che patrimoniale.

Una rilevante novità prevista dalla legge 328/00 è rappresentata dalla "Carta dei servizi". Si tratta di uno strumento che dà attuazione ai principi di trasparenza voluti dalla riforma dell'organizzazione amministrativa dello Stato che è in corso in questi anni.

L'art. 13 prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri adotta lo schema generale di riferimento a cui i diversi Enti erogatori di assistenza dovranno adeguarsi nell'emanare la propria carta dei servizi. In essa dovranno essere indicati i criteri per l'accesso ai servizi, le modalità ed il funzionamento degli stessi e le procedure volte ad assicurare la tutela dei diritti degli utenti.

Nel capo terzo, intitolato "Disposizioni per la realizzazione di particolari interventi di integrazione e sostegno sociale" è prevista la predisposizione di progetti individuali per i portatori di handicap, nonché la predisposizione di appositi fondi per l'assistenza domiciliare alle persone anziane non autosufficienti.

Un ruolo non secondario, poi, è riconosciuto alla famiglia per la quale sono previste diverse forme di intervento anche di natura patrimoniale. Nell'ambito degli interventi a favore della famiglia si dà priorità ai progetti volti alla paternità e maternità responsabili, alla conciliazione tra il lavoro e la cura della vita familiare, alla mutua assistenza tra famiglie prevedendosi, tra l'altro, sostegni anche di carattere economico per le famiglie che assumono "compiti di accoglienza, di cura di disabili fisici, psichici e sensoriali e di altre persone in difficoltà, di minori in affidamento, di anziani" (6).

Infine, nel capo V della legge quadro viene data la definizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali: esso si realizza "mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche, e la definizione di percorsi attivi, volti ad ottimizzare l'efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risorse" (7).

Ancora una volta il legislatore, probabilmente conscio della confusione generata nella materia dalle sovrapposizioni o dai vuoti legislativi, tenta un riepilogo ed una definizione che non hanno sede naturale in un testo legislativo.

Il comma 2 dell'art. 22 elenca, poi, gli interventi concreti a cui dovranno adeguarsi gli enti erogatori di servizio sociale riportando, di fatto, tutte quelle attività necessarie per la tutela dei portatori di bisogno.

Particolare attenzione viene rivolta dall'articolo in esame agli "interventi di sostegno per i minori in situazione di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l'inserimento presso la famiglie, persone, strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza" (8).

1.3. Il piano nazionale

Tra le funzioni che la nuova legge di riforma dei servizi sociali attribuisce allo Stato alla lettera a) dell'art. 9 troviamo la "determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale attraverso il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali".

Il Piano nazionale, in base all'art. 18 della stessa legge, viene adottato dal Consiglio dei ministri su proposta del Ministro per la solidarietà sociale; e con esso vengono indicate, tra le altre, le caratteristiche ed i requisiti delle prestazioni sociali, le priorità di intervento, l'individuazione di progetti obiettivo e di azioni programmate, le modalità di attuazione del sistema integrato di interventi (9).

Il primo Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003 fu predisposto in tempi assai più ristretti rispetto a quelli previsti dalla legge 328/2000 (10), in risposta all'esigenza dell'intero sistema di definire tempestivamente obiettivi strategici e indirizzi generali, indispensabili affinché tutti i soggetti chiamati a concorrere alla programmazione e alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali fossero nelle condizioni di impegnarsi nell'attuazione della legge quadro sull'assistenza.

La scelta a favore della tempestività ha fatto si che fossero adottati una metodologia e uno stile programmatorio essenziale e selettivo, che rinunciasse, in parte, alle analisi e alle argomentazioni per concentrarsi sugli orientamenti e gli indirizzi di carattere generale.

Il sistema integrato di interventi e servizi sociali non può che realizzarsi con il concorso di una pluralità di attori, istituzionali e non, pubblici e privati, rispetto ai quali sono distribuiti ruoli e responsabilità, competenze e risorse. In tale contesto, il Piano nazionale ha la funzione principale di orientare e mobilitare i diversi soggetti affinché ciascuno "faccia la propria parte" e affinché nel loro insieme si integrino, attivando una rete prima progettuale e poi gestionale.

Il Piano Nazionale Sociale 2001-2003 pone come obiettivo la promozione del benessere sociale della popolazione. La realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali è lo strumento attraverso il quale le politiche sociali perseguono gli obiettivi di benessere sociale.

Il primo Piano Nazionale Sociale individua i seguenti obiettivi prioritari:

  • valorizzare e sostenere le responsabilità familiari,
  • rafforzare i diritti dei minori,
  • potenziare gli interventi a contrasto della povertà,
  • sostenere con servizi domiciliari le persone non autosufficienti (in particolare le persone anziane e le disabilità gravi).

Oltre a tali quattro obiettivi, il Piano indica poi un quinto obiettivo riferito a una serie di interventi che per la loro rilevanza, e in coerenza con quanto previsto dalla normativa di settore, meritano specifico rilievo: l'inserimento degli immigrati, la prevenzione dalle droghe, l'attenzione agli adolescenti.

Gli obiettivi non esauriscono, nel complesso, i bisogni di benessere sociale della popolazione. Altri bisogni, non espressamente considerati nel Piano, potranno essere assunti dagli enti locali e dalle Regioni sulla base di specifiche scelte di priorità sociale, tenuto conto dei bisogni della popolazione di riferimento.

Il Piano nazionale 2001-2003, come suddetto, individua fra i suoi obiettivi il sostegno e la responsabilizzazione del ruolo genitoriale, sia nei riguardi del minore, sia nei riguardi del crescente numero di anziani. Per questo motivo dispone che i piani di zona dovranno prevedere misure e serviziin ognuno dei seguenti campi:

  • interventi a sostegno della conciliazione tra responsabilità familiare epartecipazione al mercato del lavoro, in particolare per le madri (ad esempio, servizi scolastici integrati, incentivi e cooperazione con le imprese per l'adozione di orari amichevoli), anche in collegamento con la legge 8 marzo 2000;
  • servizi di cura per i bambini, sviluppando le opportunità e la logica della legge 285/97;
  • agevolazioni e misure di sostegno economico a favore delle famiglie con figli (ad esempio, nelle politiche tariffarie o abitative);
  • forme di agevolazione e sostegno delle famiglie con figli minoriche presentano particolari carichi di cura (ad esempio, famiglie con un solo genitore o con un minore con handicap grave);
  • strumenti di incentivazione dell'affidamento familiarenei confronti di minori in situazione di forte disagio familiare e per i quali è impossibile, anche solo temporaneamente, rimanere presso la propria famiglia;
  • misure di sostegno alle responsabilità genitoriali (ad esempio, centri per le famiglie e consultori pedagogici, entrambi aperti anche ai gruppi di auto e mutuo aiuto).

All'interno delle politiche di sostegno alle responsabilità familiari, specifica attenzione deve essere dedicata alle famiglie che, di fronte alle responsabilità genitoriali, si trovano in condizioni di particolare difficoltà; ciò attraverso sia lo sviluppo di servizi (anche domiciliari) che sostengano le competenze genitoriali sia (quando queste misure non sono sufficienti a garantire la sicurezza e lo sviluppo dei minori) il ricorso temporaneo all'affido.

I piani di zona devono indicare gli obiettivi di breve e medio periodo, e gli strumenti adottati per la realizzazione degli obiettivi.

Il Piano Nazionale Sociale 2001-2003 si propone, poi, di consolidare le risposte per l'infanzia e per l'adolescenza, in una logica di rafforzamento dei diritti dei minori, compresi gli immigrati.

La legge 328/00 precisa (11) che gli interventi per la promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, nonché gli interventi a sostegno dei minori in situazione di disagio rientrano nel "livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi". La legge precisa inoltre che gli interventi del sistema integrato sono realizzati secondo le finalità della legge 285/97 (diritti ed opportunità per l'infanzia e l'adolescenza). Si tratta di una precisazione importante, perché volta a recepire la legge 285/97 che nelle sue finalità, si ispira alla convenzione dell'Onu sui diritti del fanciullo.

Lo strumento strategico per la costruzione delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, per il loro consolidamento e la loro qualificazione è il Piano territoriale di intervento per l'infanzia e l'adolescenza (12).

Il Piano territoriale di intervento per l'infanzia e l'adolescenza si propone infatti di:

  • dare compiuta attuazione al Piano d'Azione nazionaleelaborato dall'Osservatorio Nazionale sull'infanzia e l'adolescenza ai sensi dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1997, n. 451;
  • consolidare e dare più organicità agli interventi preesistenti rivolti a bambini e ragazzi, valutando costantemente la loro appropriatezza e adeguatezza;
  • evidenziare sul territorio nuovi bisogni e nuove attese delle giovani generazioni;
  • promuovere interventi innovativi che rispondano a tali bisogni e attese;
  • promuovere idee ed iniziative sperimentali per conoscere nuovi bisogni e aprire nuovi fronti di soddisfazione delle esigenze delle nuove generazioni.

Alla costruzione del Piano territoriale partecipano, nel medesimo territorio, tutti gli attori istituzionali e della società civile coinvolti nell'attuazione delle politiche per i minori.

Il Piano territoriale per l'infanzia e l'adolescenzaè costruito in stretta connessione con gli altri strumenti strategici di programmazione locale, previsti dalla legge 328/2000 (in particolare, il Piano di zona e la Carta dei servizi sociali). È importante che l'ente locale, il Comune o l'associazione di comuni, si ponga in un ottica di regia di tale processo progettuale, investendo energie e risorse.

È altrettanto importante che gli altri livelli di governo (Province, Regioni, Dipartimento per gli Affari Sociali) sostengano questo processo con adeguati accompagnamenti ed interventi di promozione, assistenza tecnica e formazione, che rappresentano condizione essenziale per utilizzare a pieno gli strumenti e le opportunità di sviluppo, anche culturale, delle politiche italiane per l'infanzia e l'adolescenza.

Il Piano nazionale, sempre per quanto riguarda il triennio 2000-2003 e in stretto collegamento con quanto indicato per il sostegno alle responsabilità familiari e la conciliazione tra responsabilità familiari e lavorative, individua i seguenti obiettivi:

  • attivazione di forme di partecipazione degli adolescentialla vita della loro comunità locale;
  • creazione di spazi di socializzazionee per il tempo libero "protetti", anche in collaborazione con gli istituti scolastici;
  • rafforzamento ed estensione dell'affidamento familiarecome modalità di risposta al disagio familiare, in alternativa alla istituzionalizzazione;
  • programmazione di campagne informativee di consulenza sulle dipendenze e sulle possibilità di affrancamento da esse, in particolare mediante gruppi di auto-mutuo aiuto;
  • realizzazione di almeno una struttura di accoglienzaper minori a carattere famigliare (art. 22, comma 2, lett. c) per ciascun ambito territoriale definito dalla Regione;
  • attivazione di servizi quali educatori di strada e simili.

1.4. La Regione Toscana

In materia di assistenza sociale la Toscana ha emanato la legge n. 72 del 3 ottobre 1997, con la quale ha riaffermato la centralità degli enti locali in materia e ha dedicato particolare attenzione ai diritti dei minori.

Tale legge, in ossequio a quanto disposto dalla 142/90, disciplina la programmazione e l'organizzazione dei servizi e degli interventi socio-assistenziali svolti nella Regione nonché le modalità per il loro coordinamento (13), dettando i principi e assegnando agli enti locali, in particolar modo ai Comuni, l'esercizio delle funzioni assistenziali.

L'art. 9 della legge individua nel piano integrato sociale regionale l'atto di programmazione settoriale con cui la Regione, anche con riferimento alle priorità individuate dal programma regionale di sviluppo, definisce, coordina e razionalizza le politiche in materia di assistenza sociale. Il piano si articola in due sezioni. La prima, relativa agli interventi degli Enti locali, si articola in tre parti distinte, denominate: "programma finanziario", "piano di indirizzo", "dispositivo di piano", rispettivamente rivolte alla ripartizione dei finanziamenti, alla definizione delle norme regolamentari relative al procedimento, alla specificazione degli obiettivi da perseguire e delle relative priorità (14). La seconda sezione, invece, dispone in ordine alle risorse finanziarie recate dal capitolo di bilancio di cui all'art. 16, comma 2 (15).

La legge regionale, con l'art. 11, prevede anche la redazione di un piano zonale di assistenza sociale: si tratta di un atto in cui sono contenuti i programmi e i progetti di intervento dei Comuni, della Provincia e degli altri soggetti pubblici o privati selezionati in sede di conferenza di zona di cui all'art. 12, con il quale si realizza l'integrazione tra gli interventi di assistenza sociale e quelli relativi ai settori di cui all'art. 28. Il compito di svolgere l'attività di programmazione zonale è attribuito dalla normativa regionale alla Conferenza di zona. La Conferenza di zona esercita le proprie funzioni di definizione degli indirizzi programmatici, di elaborazione ed approvazione del piano zonale di assistenza sociale.

Per la Zona di Firenze, il Consiglio Comunale, con deliberazione n.257/74 del 27 aprile 1998 ha istituito la Conferenza, prevedendone la seguente composizione:

  • l'Assessore alle Politiche Socio-Sanitarie, con funzione di Presidente
  • i Presidenti dei Consigli di Quartiere

Alla Conferenza partecipano anche:

  • il Presidente della Provincia
  • il Direttore Generale dell'Azienda USL di Firenze

La legge regionale n. 72/97 dedica il suo capo III ai soggetti destinatari di interventi specifici, rivolgendo immediatamente l'attenzione, con gli artt. 53 e 54, al problema dell'infanzia, dell'adolescenza e dei giovani in generale.

L'art. 54, comma 1, stabilisce che "gli interventi a favore dei minori a cui sono stati applicati provvedimenti amministrativi o giudiziari adottati per inidoneità temporanea della famiglia, per situazioni di abbandono morale e materiale in attesa di definitiva sistemazione, per l'attuazione delle misure dell'autorità giudiziaria di cui all'art. 25 del R.D. 20 luglio 1934, n. 1404, sono disposti dall'ente titolare delle funzioni in materia di assistenza sociale nel cui territorio si manifesta l'esigenza di attuare le misure protettive, o dell'ente gestore delle medesime funzioni". Viene poi stabilito che l'onere per l'attuazione dei provvedimenti suddetti sia a carico del Comune di residenza (16). Qualora non fosse conosciuto il Comune di residenza o il Comune in cui il minore ha conseguito il domicilio di soccorso, l'Ente che disporrà l'intervento assumerà provvisoriamente anche il relativo onere, salvo il diritto di rivalsa nei confronti del Comune che ha la competenza (17).

Nel piano integrato sociale regionale 2002-2004 si può individuare un intero paragrafo dedicato ai diritti dei minori i quali saranno oggetto della predisposizione di uno specifico Piano di Azione. Gli obiettivi che la regione Toscana si prefigge di perseguire nell'area socio-assistenziale riguardano le seguenti aree tematiche:

  • le adozioni, con lo scopo di rafforzare l'organizzazione delle aree vaste, così come previsto dall'Accordo di Programma e di favorire le condizioni per promuovere il protagonismo dei cittadini nei confronti dei servizi e delle istituzioni;
  • gli affidamenti familiari, al fine di elaborare linee guida mirate alla riorganizzazione dei Centri Affidi rispetto alla sensibilizzazione delle problematiche familiari e alla pubblicizzazione dell'istituto dell'affido, nonché la definizione della responsabilità della presa in carico/sostegno/consulenza della famiglia affidataria e della famiglia di origine a tutela del minore;
  • il diritto al gioco ed all'attività motoria, con l'intento di promuovere interventi di concerto tra i dipartimenti interessati per l'elaborazione di interventi specifici per l'attivazione dei servizi, la gestione di attività e l'attrezzatura degli spazi pubblici; interventi che siano finalizzati alla promozione del gioco e dell'attività motoria come elemento di qualificazione della formazione personale del minore;
  • maltrattamenti, con l'obiettivo di costituire un gruppo di lavoro multidisciplinare (GOM) con compiti di conoscenza del fenomeno e di elaborazione di un Progetto di intervento;
  • la mediazione penale minorile, con l'intento di sperimentarla per giungere ad un'ottica riparativa e riconciliativa (18);
  • i servizi residenziali e semiresidenziali, con l'intento di verificare l'applicazione del Regolamento sulle Comunità per Minori (19) e del Protocollo degli accertamenti sanitari (20) per l'adeguamento alle nuove tipologie previste a livello nazionale. E con l'obiettivo di diffondere il Progetto di Qualità sui servizi residenziali per la sua estensione a tutto il territorio regionale e di stabilire che gli oneri di attuazione dei provvedimenti previsti dall'articolo 54, comma 1, della legge regionale 72/1997 siano a carico del comune di residenza del minore dalla entrata in vigore della legge 328/2000, in attesa della revisione della legge regionale 72/1997.

Il piano integrato regionale, riguardo al ruolo degli Enti locali, stabilisce che in ogni zona socio-sanitaria si possano istituire fondi di solidarietà per sostenere le situazioni di minori che necessitano di provvedimenti degli organi giudiziari, utilizzando anche una parte degli incentivi previsti per la gestione associata.

Un altro punto interessante sviluppato dal piano integrato regionale appare quello dedicato allo sviluppo dell'integrazione tra servizi sociali, socio sanitari e sanitari. Questo dovrà verificarsi attraverso la riorganizzazione dei servizi territoriali, avvalendosi anche della collaborazione delle aziende unità sanitarie locali, per attività che devono essere svolte a livello sovrazonale e/o di area vasta. Dette attività dovranno essere supportate e promosse dal Dipartimento del Diritto alla Salute e Politiche di Solidarietà sulla base di linee guida regionali e/o accordi di programma.

In ambito zonale sarà individuata una responsabilità unica per ricondurre a unità l'area degli interventi minorili nonché per attuare modalità di lavoro integrate con le ASL nei confronti dell'autorità giudiziaria ordinaria e minorile.

Sempre gli Enti locali dovranno sviluppare iniziative spontanee che da un lato rispondano alle esigenze partecipative emergenti dalla società civile, e dall'altro tengano conto del fatto che la soddisfazione di certi bisogni non può essere data solo dai servizi, ma richiede la collaborazione di tutta la comunità in un atteggiamento di solidarietà e di presa in carico effettiva dei problemi di ciascuno.

Tra i compiti del piano integrato regionale vi è poi quello di indirizzare l'attività degli Enti locali. Così, nell'attuazione dei diritti dei minori, la comunità locale organizzata viene invitata a considerare prioritario il tema della tutela e della promozione della personalità in formazione e di conseguenza a sviluppare adeguate politiche di sostegno del processo evolutivo e di aiuto al superamento di condizioni di disagio e di difficoltà delle persone. Il comune, al quale sono attribuite funzioni assistenziali e promozionali, nell'ambito della comunità locale, dovrà assumere la politica per l'infanzia e l'adolescenza all'interno del contesto sociale generale e conseguentemente predisporre adeguate risposte socio assistenziali. I molteplici diritti dei minori possono trovare effettive risposte solo attraverso la predisposizione di adeguate strutture e servizi, organizzati e gestiti sul piano amministrativo.

In attesa di definire una tipologia di livelli essenziali che dovrebbero, sul piano socio assistenziale, individuare gli standard da rispettare in ordine alle necessità ed ai bisogni espressi dai minori in situazione di difficoltà, gli interventi degli Enti locali devono essere svolti in stretta collaborazione con l'autorità giudiziaria ed orientati:

  • ad interventi di sostegno e di promozione, sviluppati predisponendo servizi propri, sia sollecitando risorse del privato sociale,
  • garantire opportune forme di integrazione socio-sanitaria indispensabile nel sistema dei servizi di promozione e tutela dei soggetti in età evolutiva. È perciò necessario tradurre nei servizi i principi previsti dalla adeguata produzione legislativa attraverso lo sviluppo di una politica locale che si preoccupi di rendere concretamente esercitabili i diritti che le leggi e provvedimenti stessi, hanno finalmente riconosciuto ai soggetti in formazione.

1.5. Il piano di zona del Comune di Firenze

Come abbiamo visto l'articolo 11 della legge regionale 72/1997 prevede la redazione del piano zonale di assistenza sociale. In questo atto sono contenuti i programmi e i progetti di intervento dei Comuni, della Provincia e degli altri soggetti pubblici o privati selezionati in sede di conferenza di zona. Scopo del piano è individuare l'entità dei finanziamenti messi a disposizione per ogni progetto dai Comuni, nonché i soggetti attuatori degli stessi.

La mancata approvazione del piano da parte della Conferenza di zona inibisce la concessione dei finanziamenti regionali.

La zona socio-sanitaria di Firenze è costituita unicamente dal Comune di Firenze e l'amministrazione comunale lavora su due livelli: quello centrale per le azioni di interesse cittadino; e quello decentrato, per la gestione degli interventi diretti al singolo cittadino che abbia residenza in quel territorio.

Nell'ambito della Conferenza di zona di Firenze, della cui nascita e formazione si è già detto, si realizza la gestione in forma associata delle attività sociali e delle attività ad integrazione socio-sanitaria.

Il 29 dicembre 2000 è stato poi sottoscritto l'Accordo di Programma fra Comune di Firenze e Azienda USL (21), concernente la gestione delle prestazioni socio-sanitarie che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale.

Gli indirizzi programmatici per il triennio 2002-2004, previsti dal Programma di zona, sono ripartiti per settori di intervento, quali le responsabilità familiari, i diritti dei minori, gli anziani o gli interventi per gli immigrati. Per ogni settore di intervento sono poi indicati i bisogni, i rischi e le criticità propri di ognuno di essi; ed infine gli obiettivi strategici da perseguire.

Per quanto riguarda il settore di intervento relativo ai diritti dei minori il piano di zona dell'attuale triennio indica tra i suoi obiettivi il sostegno allo sviluppo di nuove generazioni, attraverso la predisposizione di condizioni tali da consentire che il complesso percorso di crescita sia facilitato e che l'identità originale sia rispettata e valorizzata. Se tra i rischi e le criticità del settore è indicato un flusso immigratorio di minori non accompagnati fuori dalle previsioni, tra gli obiettivi da perseguire si può allora trovare la promozione di reti di solidarietà capaci di sviluppare l'integrazione tra i generi, l'etnie e le diverse generazioni; la rilettura del modello di assistenza di tipo residenziale e la creazione di tavoli interistituzionali.

Il Comune di Firenze ha indirizzato le proprie scelte sul rapporto genitori-figli, potenziando e qualificando iniziative già in atto. Le famiglie con figli, oggi, non sono riconducibili ad un'unica tipologia, ma a tipologie anche molto differenti tra loro ed esprimono bisogni dinamici e diversificati, ai quali non possono essere date risposte rigide e standardizzate.

Un elemento comune che può guidare questi interventi è la necessità di contrastare la solitudine quando la famiglia non è adeguatamente sostenuta nel suo fondamentale compito di cura e di educazione dei figli. Gli interventi di sostegno alle responsabilità familiari non sono da intendere unicamente in termini di aiuto economico, peraltro effettuato dai Servizi Sociali Territoriali, ma soprattutto come condivisione di responsabilità genitoriale.

Pertanto sono attivi nell'area comunale una serie di interventi prevalentemente rivolti a minori a rischio psicosociale o a famiglie in difficoltà, in cui il pericolo di abbandono è più forte. Tra questi i più significativi sono:

  • un servizio di assistenza educativa domiciliare (Progetto Charlie Brown) finalizzato al sostegno socio-educativo al minore e al supporto a nuclei familiari in difficoltà;
  • l'accoglienza in centri diurni per il sostegno socio-educativo di minori che necessitano di ambienti e figure specializzate allo scopo;
  • interventi di accoglienza residenziale presso comunità educative rivolte a bambini, adolescenti e madri con bambino, per situazioni a rischio oppure su indicazioni delle autorità giudiziarie;
  • l'affidamento familiare con particolare riferimento a quello consensuale, anche parziale, caratterizzato dal coinvolgimento attivo dei genitori, facendo leva sulle loro competenze e insieme sulla collaborazione tra servizi e specialisti, minori, famiglia ed educatori;
  • l'adozione, con particolare riferimento alle attività di informazione e di preparazione preventiva al percorso di idoneità alle coppie aspiranti, con l'obiettivo di limitare il fenomeno dei fallimenti adottivi;
  • i soggiorni estivi per minori, mirati alla continuità del progetto educativo durante il periodo di interruzione delle attività scolastiche;
  • gli interventi nelle situazioni di violenza, maltrattamento ed abuso, tesi a favorire la presa in carico multiprofessionale ed il sostegno psicosociale al minore.

Una premessa fondamentale per l'attivazione di questi servizi è l'elaborazione del progetto educativo individuale, sul quale i Servizi Sociali Territoriali cercano di ottenere il massimo livello di collaborazione e coinvolgimento del minore e del suo nucleo familiare. Tali servizi, che non svolgono solo una funzione protettiva nei confronti del minore, ma sono parte di un più ampio progetto di recupero di una famiglia temporaneamente in difficoltà a sostenere adeguatamente i propri figli, costituiscono una rete di interventi che occorre privilegiare per prevenire la separazione dei bambini dal loro ambiente di vita.

Le problematiche riguardanti i minori in disagio e a rischio provenienti dai Quartieri, che richiedono l'utilizzo di strutture residenziali e semiresidenziali, evidenziano una forte crescita numerica e di conseguenza di spesa (22). Per questi minori, che non sono quasi mai privi di legami familiari o parentali, i tentativi di contenimento del fenomeno sono dunque rivolti: alla razionalizzazione degli interventi sulla famiglia di provenienza, al potenziamento della capacità genitoriale, anche sfruttando maggiormente strumenti quali l'assistenza domiciliare, l'affido e i contributi mirati.

Anche per le problematiche relative ai minori non accompagnati, per i quali il Comune deve immediatamente intervenire poiché privi di riferimento familiare, il fenomeno, e di conseguenza anche la spesa sostenuta, si è rivelato in forte incremento. A questo scopo sono state riordinate e ridefinite le pronte accoglienze e le strutture residenziali con diversi livelli qualitativi di prestazioni. Inoltre, le linee di ottimizzazione proposte nel Piano zonale relativo al triennio 2002-2004 sono:

  • aprire un tavolo di lavoro integrato con Forze dell'ordine e magistratura per monitorizzare e contenere l'accoglienza dei minori stessi;
  • definire il progetto intercomunale per il Centro Sicuro con la regione Toscana, in quanto la struttura è raccoglitore di minori in stato di abbandono (23).

Il Centro Sicuro è un progetto che vede coinvolti più enti ed ha lo scopo di combattere il fenomeno dello sfruttamento dei minori. L'intervento prevede la nascita di un luogo protetto dove i bambini trovati in stato di abbandono vengono accompagnati in attesa che i genitori si presentino a riprenderli. Lo scopo è quello di identificare i genitori e avviare più interventi di tipo sociale e educativo al fine di strutturare un percorso familiare di crescita e recupero.

Dalla Direzione Sicurezza Sociale e Igiene Pubblica dipende l'unità operativa che si occupa del coordinamento della rete di pronta accoglienza per minori stranieri in stato di abbandono. Le strutture che ospitano tali minori, convenzionate con il Comune di Firenze, sono attualmente due: Centro Mercede e Giamburrasca.

I minori in stato di abbandono vengono accompagnati dalle Forze dell'Ordine presso il Centro di Pronta Accoglienza che comunica l'inserimento a questa Unità operativa. L'U.O.S. minori effettua le segnalazioni al Tribunale per i Minorenni e al Giudice Tutelare e si interessa del progetto educativo.

Per propria natura questa tipologia di struttura è organizzata per un'accoglienza a breve termine: è necessario quindi ridurre al massimo il tempo che il minore trascorre al suo interno così da tutelarlo maggiormente e da offrirgli un percorso di crescita e di autonomia più strutturato che può prevedere un successivo inserimento in una comunità educativa vera e propria, un affidamento eterofamiliare o presso parenti.

2. L'azione dei servizi sociali

2.1. Premessa

Nei capitoli precedenti si è visto come il panorama legislativo italiano, fin quando si affronta il problema del minore in stato di abbandono in generale, sia sufficientemente chiaro; mentre è alquanto confuso allorché si cerchi di affrontare, e risolvere, il fenomeno dell'immigrazione giovanile e dei minori stranieri non accompagnati in relazione all'abbandono stesso.

La confusione interpretativa, se vogliamo di carattere dottrinale, che caratterizza le leggi si riflette inevitabilmente nell'applicazione delle stesse. L'attribuzione delle competenze in materia di servizi sociali agli enti comunali, da parte della riforma intervenuta con la legge 328/2000, rende di fatto possibile che ogni singola amministrazione locale si trovi ad affrontare la questione sociale del minore straniero non accompagnato in maniera sostanzialmente autonoma e differenziata. Le scelte di carattere politico, i rapporti con i vari uffici giudiziari e le diverse proporzioni con le quali si manifesta il fenomeno nelle varie realtà locali sono gli elementi che valgono a diversificare il modus operandi delle amministrazioni comunali.

L'azione dei servizi sociali è, inoltre, fortemente condizionata da quelle che sono le strutture disponibili, dalla loro diffusione sul territorio, dallo sviluppo e dall'impegno del così detto terzo settore: in altre parole, dalle risorse finanziarie che l'amministrazione è in grado di disporre.

In un colloquio tenuto con il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Firenze, Dott. Nesticò, mi sono sembrate piuttosto significative le parole da lui usate per descrivere le ragioni del crescente fenomeno dell'immigrazione minorile in Toscana e in particolare a Firenze. Il Procuratore ha fatto riferimento ad un "tam tam", volendo così descrivere e spiegare il verificarsi di un passaparola fra extracomunitari che comporta un flusso immigratorio maggiore verso quelle regioni e quelle zone di Italia, tra cui anche Firenze, dove le possibilità di inserimento e accoglimento sono maggiori. Ciò è dovuto alle politiche adottate dall'amministrazione locale e dal Tribunale per i minorenni: politiche favorevoli, come vedremo più avanti, all'accoglimento e al rilascio di provvedimenti di affidamento per il minore stesso.

2.2. Servizi sociali territoriali e stato di abbandono

A Firenze, attraverso i SIAST di quartiere, esiste una diffusione territoriale piuttosto capillare del servizio sociale. Tali SIAST dipendono dall'ufficio decentramento e area metropolitana del Comune e la competenza di tali servizi è relativa a quei soggetti che detengono la residenza nel quartiere. A fronte di un'utenza senza fissa dimora il SIAST competente risulta quello del Quartiere 1.

L'approccio del servizio nei confronti della famiglia in situazione di disagio e del minore a rischio di abbandono materiale e morale si verifica, quindi, attraverso operatori che agiscono con una buona conoscenza del territorio, delle problematiche sociali presenti, delle carenze e delle disponibilità dal punto di vista di risorse e strutture che questo offre.

Esiste un protocollo operativo sullo stato di abbandono del minore, adottato per la prima volta dalla Regione Toscana con delibera della Giunta Regionale n. 5907 del 15 giugno 1987. Tale protocollo è stato successivamente rielaborato in virtù delle modifiche introdotte nell'ordinamento italiano in materia di adozione, sia quella nazionale che internazionale. L'intenzione del protocollo operativo è quella di fornire agli operatori una metodologia di lavoro riferita allo stato di abbandono del minore; una linea di orientamento atta a definire quantità e qualità delle informazioni necessarie per l'individuazione dello stato abbandonico e per la sua documentazione. Al fine, infatti, di dare omogeneità agli interventi professionali del servizio, è necessario individuare con precisione criteri e indicatori che facilitino la rilevazione delle situazioni personali, familiari e del contesto socio ambientale; e che, parallelamente, producano una documentazione puntuale ed obiettiva agli organi giudiziari a cui, tali rilevazioni, sono trasmesse.

Esistono così una serie di dati e di informazioni che il servizio, nel momento in cui viene in contatto con un caso di sospetto abbandono, deve raccogliere al fine di redigere una relazione il più possibile completa, con notizie circostanziate e valutazioni attendibili. Si tratta di informazioni dettagliate relative al minore, alla sua famiglia e all'abitazione. I dati personali non sono, ovviamente, sufficienti e occorre che vengano raccolte notizie concrete sulla storia della famiglia: carriera scolastica e percorso lavorativo dei genitori, stato di salute ed episodi patologici significativi di entrambi, storia di coppia, atteggiamenti affettivi ed educativi di ciascun genitore e modalità di relazione con l'ambiente sociale. Vanno raccolti dati riguardanti anche il minore: se nato da gravidanza indesiderata o a rischio, eventuali episodi di separazione dalla madre, esperienze scolastiche, disturbi del sonno e dell'alimentazione, difficoltà emergenti riguardo alla salute, all'educazione, alla socializzazione e all'istruzione.

Una volta ricevuta la segnalazione di un sospetto caso di abbandono, affinché si possa considerare rispettato quello che è lo standard minimo previsto dal protocollo regionale per l'acquisizione di notizie e informazioni, dovranno essere eseguiti da parte del servizio i seguenti interventi (24):

  • almeno tre colloqui individuali con la madre e con il padre;
  • colloqui con ciascuna delle figure significative dell'ambiente (medico di famiglia, pediatra di libera scelta, educatori, insegnanti, operatori di comunità d'accoglienza);
  • un colloquio congiunto con i genitori;
  • almeno una visita domiciliare;
  • uno o più colloqui con il minore, compatibilmente con l'età; in ogni caso osservazione del minore nel suo ambiente di vita.

Un'altra fase molto importante a carico dei servizi sociosanitari è la relazione del servizio di psicologia per l'autorità giudiziaria sullo stato di abbandono del minore. Tale relazione contiene un'analisi della situazione problematica in cui si trova il minore con l'obiettivo di conoscere e valutare sia l'ambiente familiare del bambino, sia l'ambiente sociale del nucleo familiare, sia il genere di rapporti e di contatti che il minore ha con gli elementi che lo circondano. La relazione di valutazione psicologica clinica tende a comporre un quadro complessivo degli aspetti conosciuti e valutati sia nell'ambito familiare che nell'osservazione del minore. Il rischio abbandonico può emergere ed essere valutato: a partire dall'insieme dei dati oggettivi dell'abbandono, dalle distorsioni dell'accudimento familiare e dai segnali di sofferenza e disagio psichico del minore.

Tutto questo percorso di indagine e di lavoro, messo in atto per ogni caso di sospetto abbandono, consente di apportare l'aiuto più opportuno e più idoneo alla situazione concreta che può configurarsi. La condizione di grave abbandono morale e materiale da parte dei genitori che comporta la separazione del minore dalla famiglia di origine è, naturalmente, la situazione più estrema che si possa accertare; prima di ciò esiste un'ampia gamma di condizioni intermedie in cui vi sia una carenza di cure nei confronti del minore e un sostanziale rischio per la sua crescita e per il suo sviluppo psicofisico tali da richiedere l'intervento dei servizi a sostegno della famiglia e, se necessario, anche dell'autorità giudiziaria a tutela dell'interesse del minore (25), ma senza che vi sia la necessità di un provvedimento grave e definitivo come la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore.

Il protocollo operativo sullo stato di abbandono contiene, poi, una griglia di indicatori di maltrattamento e di trascuratezza grave del minore. Anche questa griglia è uno strumento pratico diretto ad aiutare gli operatori ad orientarsi nel difficile processo che porta ad individuare le situazioni di maltrattamento, di abuso, di trascuratezza e infine di abbandono.

La struttura della griglia si articola in indicatori (26):

  • di maltrattamento fisico, rilevatori di lesioni difficilmente imputabili ad eventi accidentali;
  • di abuso sessuale, riferiti al coinvolgimento di minori in attività sessuali intese in senso ampio;
  • di trascuratezza grave, rivelatori di carenze gravi dei genitori nella cura del minore, riguardo al soddisfacimento dei bisogni fisici e psicologici;
  • di maltrattamento psicologico: comprovanti atti ed omissioni che possono causare un'alterazione significativa della vita affettiva.

Gli indicatori delle prime tre classi vengono distinti tra quelli riscontrabili nel bambino (fisici e comportamentali), nella famiglia e nell'ambiente. Per la quarta classe vengono distinti quelli relativi al minore e quelli relativi alla famiglia.

Gli indicatori fisici (27) a sostegno dell'ipotesi di maltrattamento si reperiscono sia raccogliendo i rilievi e giudizi del personale sanitario, sia con le informazioni acquisite con l'osservazione protrattasi nel tempo da osservatori privilegiati, come ad esempio gli insegnanti, sia valutando l'atteggiamento dei familiari dinanzi agli eventi e al loro modo di presentarli.

La rilevazione, invece, dei segnali che indicano la presenza di un abuso sessuale sul minore è occasionale e difficile per alcuni operatori perché richiede un contatto frequente e personale con il bambino, come può essere quello del medico o quello dell'insegnante. È inoltre necessario che l'operatore abbia la competenza e la capacità di leggere ed affrontare situazioni così delicate e rischiose.

Anche l'individuazione dei segnali di maltrattamento psicologico è compito difficile perché non sempre i comportamenti del minore e i contesti relazionali che lo circondano possono avere manifestazioni esterne evidenti e clamorose. La rilevazione degli indicatori di maltrattamento psicologico ha come contesto privilegiato l'osservazione diretta della relazione famiglia-bambino e richiede, inoltre, l'intervento di professionisti che sappiano stabilire le cause del disturbo tra le molte possibili, cui imputare i sintomi (28). Nei casi di maltrattamento psicologico, a causa della difficoltà di dimostrarne la stretta connessione con il malessere del bambino, risulta essere più complessa l'impostazione di un progetto o di un programma di intervento che veda seriamente coinvolti i genitori.

Le famiglie che trascurano i propri figli spesso entrano a far parte dell'utenza dei servizi sociali, ai quali avanzano soprattutto richieste assistenziali di carattere economico. La Dott.ssa Dallai della Sicurezza Sociale di Firenze mi ha riferito con quanta frequenza i servizi, a seguito di indagini più accurate, scoprano che dietro a richieste di tipo esclusivamente economico vi sono situazioni familiari decisamente più gravi, che richiedono interventi molto più mirati e delicati di quanto possa essere un aiuto finanziario.

Può accadere, allora, che l'operatore ponga l'attenzione su quest'ultimo aspetto e sottovaluti il danno prodotto o che sta producendo la trascuratezza dei genitori, la quale può essere invece contrastata attivando tempestivamente provvedimenti di protezione dei minori. Gli indicatori di trascuratezza (29), inoltre, sono facilmente identificabili, perché connotano uno stile di vita rilevabile non solo dagli operatori socio sanitari, ma anche dalla gente comune e da altre istituzioni e gruppi sociali come i vicini, la parrocchia, i vigili urbani e i centri ricreativi. Da questo punto di vista è importante che si stabilisca un rapporto stretto tra operatori del servizio sociale territoriale e rete sociale per giungere a formulare un progetto di intervento efficace in tempi rapidi e per evitare la cronicizzazione delle singole situazioni di trascuratezza.

È necessario ricordare che il servizio sociale non si limita ad intervenire ex-post, quando il problema si è già manifestato ed ha prodotto danni individuali, familiari e collettivi. Sotto questo profilo, la griglia può dare contributi interessanti. L'informazione raccolta dall'operatore nel corso del processo d'aiuto può, così, divenire materiale da cui attingere input per scelte di politica sociale tese a prevenire le situazioni di rischio e le manifestazioni di disagio minorile e familiare.

L'esperienza coordinata e l'utilizzo di strumenti comuni può costituire la base analitica per elaborare indicatori sintetici che permettano una lettura d'insieme delle sofferenze dei minori e delle loro famiglie (30).

In sostanza, è possibile la produzione di una documentazione della casistica che si presti ad un impiego sistematizzato dei dati raccolti, al fine di ottenere quadri conoscitivi che oltrepassino il problema individuale. Ciò dovrebbe costituire un aiuto notevole ad elaborare proposte riguardo ai presidi e agli interventi che sostengano la famiglia nei suoi compiti di cura della prole e nei momenti critici della sua vita.

2.3. Azione coordinata del SIAST e del Tribunale

Una volta individuate le inadempienze genitoriali, la violazione degli obblighi di assistenza o educazione, i maltrattamenti o prevaricazioni sul minore il SIAST, mediante una relazione scritta, segnala la situazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.

La Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, una volta ricevuta la segnalazione, effettua le indagini necessarie, all'esito delle quali può: chiedere l'archiviazione del caso oppure presentare un ricorso nell'interesse del minore al Tribunale per i Minorenni. In entrambi i casi il Tribunale per i Minorenni informa il SIAST, che ha effettuato la segnalazione, dell'esito della procedura.

Qualora poi il Procuratore effettuasse il ricorso il Presidente del Tribunale per i Minorenni deve provvedere alla nomina di un giudice relatore, ossia il magistrato territorialmente competente a seguire il caso ed assumere informazioni; a tale ultimo scopo il Tribunale potrà in camera di consiglio delegare uno o più giudici onorari.

A questo punto ha inizio una stretta collaborazione tra servizio sociale e Tribunale per i Minorenni; quest'ultimo da mandato al SIAST del luogo di residenza del minore di assumere e riferire tutte le informazioni del caso in relazione sia alle segnalazioni provenienti direttamente dal servizio, sia a quelle pervenute al Tribunale da altri soggetti. Le richieste del Tribunale per i Minorenni devono essere indirizzate al responsabile del SIAST affinché questi, pur assegnando il caso ad un singolo operatore, svolga la funzione di garante della reale presa in carico del minore da parte del Servizio (31).

In base alle segnalazioni provenienti dal servizio, il Tribunale per i Minorenni, a norma degli artt. 330 e seguenti del codice civile, può disporre una serie di provvedimenti atti a tutelare il minore allorché il genitore violi o trascuri i doveri inerenti alla potestà, come l'allontanamento temporaneo del minore dalla famiglia d'origine ed il suo affidamento ai soggetti previsti dall'art. 2 della legge 184/83 (32). Questi soggetti vengono individuati ed indicati dal SIAST, il quale attiva le risorse strutturali e finanziarie previste dal Comune.
Al riguardo è importante ricordare che il SIAST resta autonomamente competente per gli affidi consensuali e temporanei previsti dall'art. 4 della legge 184/83.

L'affidamento non consensuale di cui all'art. 2 della legge 184/83, così come modificata dalla legge 149/2001, e 333 c.c., può essere disposto dal Tribunale per i Minorenni sia prima dell'allontanamento del minore dalla famiglia d'origine, sia contemporaneamente all'applicazione di altre misure limitative della potestà genitoriale; ma può anche essere successivo e costituire la trasformazione di un affidamento originariamente consensuale o di un collocamento ex art. 403 del codice civile.

Un provvedimento di affidamento presuppone sempre, affinché non sia sviato lo scopo di cui all'art. 4, comma 4, della legge sull'adozione, un'attenta formulazione di una "diagnosi" delle carenze familiari, nonché di una "prognosi" dei tempi di loro soluzione in relazione alle risorse disponibili ed alla gravità della situazione.

Per l'attuazione dell'intervento dell'affidamento familiare devono essere rispettate le seguenti fasi:

  1. Si devono svolgere una serie di contatti tra il Tribunale per i Minorenni e il SIAST al fine di verificare la possibilità e la convenienza dell'intervento di allontanamento per il minore, anche sulla base delle effettive risorse umane che attraverso il Centro Affidi possono essere reperite e secondo quanto previsto dalle disposizioni del Comune.
  2. La seconda fase consta dell'emissione del provvedimento, il quale deve stabilire, oltre l'affido, una serie di altri elementi come: la sua prevedibile durata, le prescrizioni riguardanti sia la famiglia d'origine, sia la famiglia affidataria, sia il SIAST, sia infine altri eventuali servizi specifici.
  3. L'ultima fase è quella che prevede l'esecuzione del provvedimento da parte del SIAST secondo le modalità previste dal provvedimento del Tribunale e quelle di natura amministrativa previste dal Comune di Firenze (33).

Se il minore, invece che ad una famiglia, viene affidato ad una comunità residenziale il procedimento si distingue nella maniera seguente:

  1. Con una serie di contatti tra Tribunale per i Minorenni e SIAST si cerca di individuare la comunità residenziale il cui Progetto Educativo Generale (PEG) sia maggiormente rispondente alle specifiche esigenze del minore. Tale scelta viene compiuta fra la disponibilità delle strutture idonee e attivabili dal Comune secondo quanto previsto dalla normativa vigente (34).
  2. Successivamente viene emesso il provvedimento che indica la struttura affidataria e possibilmente la prevedibile durata dell'affidamento. La decisione del tribunale deve poi contenere le prescrizioni riguardanti il minore, la famiglia d'origine, la comunità residenziale, il SIAST.
  3. Infine vi è l'esecuzione del provvedimento secondo le modalità e le prescrizioni previste al punto precedente e secondo quelle di natura amministrativa previste dal Comune.

Qualora il minore abbia dimostrato irregolarità della condotta o difficoltà caratteriali tali da determinare anche l'assunzione di sanzioni amministrative, diviene indispensabile per l'affidamento del minore la formulazione di un Progetto Educativo Individuale, che presupponga la centralità del minore e la "presa in carico" del caso da parte del SIAST, in ottemperanza a quanto disposto dal Tribunale per i Minorenni. Con il termine Progetto Educativo Individuale (PEI) si intende l'insieme di azioni e strategie finalizzate al raggiungimento di obiettivi prefissati, attraverso l'attivazione di risorse sulla base di un piano concordato tra i soggetti responsabili del minore, istituzionali e non, nel rispetto ognuno dei propri ruoli, competenze e responsabilità. Con il PEI devono essere precisati gli interventi a sostegno del nucleo familiare di origine nonché di quello della famiglia affidataria o della comunità residenziale oltre che il periodico monitoraggio della vicenda affidataria.

Il Tribunale per i Minorenni, una volta che è stato aperto il procedimento per l'affidamento dei figli naturali, ai sensi dell'art. 317 bis del codice civile, richiede, salvo i casi in cui risulta evidente l'assenza di problematiche familiari, un'indagine socio familiare al SIAST. Da questa indagine, che avviene nei modi e negli schemi sopra descritti, dovrà emergere: la situazione attuale del minore, i rapporti con ciascuno dei genitori, con riferimento alla loro consistenza e significatività; e in caso di richiesta di affidamento da parte del genitore non convivente, anche la sussistenza o meno di fondati motivi per un allontanamento dal genitore con il quale il minore vive. Il SIAST, espressa la valutazione sulle richieste di affidamento, deve predisporre un progetto relativo alla regolamentazione degli incontri con il genitore non affidatario; nel redigerlo deve tener conto dell'età del minore, dello stato dei rapporti con lo stesso genitore, della disponibilità del genitore a rapporti costruttivi col figlio e della disponibilità da parte di entrambi i genitori all'eventuale collaborazione con lo stesso SIAST nella programmazione delle più idonee modalità degli incontri.

Laddove si delinei un possibile stato di abbandono e dunque una soluzione adottiva, il SIAST nella maniera più assoluta non deve predisporre interventi provvisori di affidamento eterofamiliare consensuale nella consapevolezza che gli stessi, possano pregiudicare irreversibilmente il successivo iter dell'adozione legittimante.

Il SIAST segnala allora, mediante relazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, le situazioni dei minori che si trovano in presunto stato di abbandono, nella quale devono essere indicati:

  • gli eventuali interventi già svolti dal SIAST a favore della famiglia e se è mancata o è stata insufficiente la collaborazione della famiglia stessa con i servizi;
  • le eventuali decisioni già adottate dal Tribunale per i Minorenni nell'interesse del minore;
  • l'esito della verifica della situazione relativa al minore ad elevato rischio abbandonico all'interno della famiglia e della verificata impossibilità di ovviarvi attraverso misure limitative della potestà genitoriale diverse dall'allontanamento;
  • la richiesta in ordine all'allontanamento del minore a scopo di adozione, dopo che sia stata verificata l'impossibilità di giungere a soluzioni alternative in ambito parentale (35);
  • l'analisi dei dati a conoscenza del SIAST sulla base dei quali viene formulata l'ipotesi della irreversibilità dello stato di abbandono; le eventuali richieste in corso di procedura dei genitori e dei parenti entro il quarto grado ed i limiti entro i quali gli interessati sono disposti a collaborare all'attuazione del programma predisposto dai Servizi.

Sarà poi con la richiesta di indagini ai Servizi Sociali del SIAST, che il tribunale informerà lo stesso in ordine all'apertura del procedimento per l'accertamento dello stato di adottabilità.

Quando il procedimento instaurato presso il Tribunale per i Minorenni giunge alla dichiarazione dello stato di adottabilità, e viene disposto l'affidamento preadottivo, il SIAST viene investito del compito di seguire, con gli interventi di sostegno necessari, la coppia interessata; segnalando al tribunale i problemi individuati e la possibilità o meno della loro soluzione, con aggiornamenti periodici e tempestivi.

2.4. La Sicurezza Sociale e i minori stranieri non accompagnati

La questione dei minori stranieri a Firenze, a causa dell'incremento che il fenomeno ha vissuto negli ultimi anni, necessita di particolari considerazioni, sia rispetto all'attività svolta dai servizi sociali del Comune, dal Tribunale per i Minorenni, dal Giudice tutelare, dalla Questura provinciale e dal Comitato per i minori stranieri che opera a Roma, sia dal punto di vista delle scelte politiche da questi operate.

Per quanto attiene all'intervento dei servizi sociali la competenza specifica sui minori stranieri non accompagnati, come individuati dall'art. 1, comma 2 del DPCM 535/99, è tutta della Direzione Sicurezza Sociale (36), attualmente diretta dalla Dott.ssa Lucietta Trerè. Così dicendo si vuol intendere che il primo e più immediato intervento, a sostegno del minore straniero che si trova in Italia senza un adulto esercente la potestà genitoriale, a Firenze viene attivato proprio dalla Direzione Sicurezza Sociale.

Nella maggior parte dei casi la segnalazione del minore non accompagnato proviene sempre dal medesimo circuito: Caritas, associazioni di volontariato, polizia municipale, questura e carabinieri. Quando sono le forze dell'ordine ad individuare il minore queste effettuano sul soggetto una prima identificazione, il cui esito è spesso approssimativo; tuttavia, secondo quanto mi ha riferito il Dott. Pomponio, dirigente dell'Ufficio Stranieri della Questura di Firenze, al fine di indirizzare il minore verso il servizio sociale il più velocemente possibile, è loro pratica affidarsi a ciò che viene dichiarato dal soggetto, soprattutto per quanto concerne la minore età. È questa una fase in cui l'intervento dell'U. O. minori (unità operativa sociale minori) è ritenuto urgente: le forze dell'ordine segnalano e conducono il minore presso il servizio sociale il quale provvede al collocamento in un centro di pronta accoglienza (37) e ad informare di tale operazione l'Ufficio Immigrazione, Squadra Espulsioni, della Questura di Firenze. Qualora le forze dell'ordine individuino il minore non accompagnato durante la notte o in un giorno festivo l'inserimento presso una pronta accoglienza sarà effettuato direttamente da loro.

Sempre in questa fase gli operatori della Sicurezza Sociale effettuano immediatamente una prima segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni e al Giudice Tutelare, i quali vengono informati del collocamento presso un determinato Centro di prima accoglienza di un "minore straniero non accompagnato in stato di abbandono" da parte del Comune ai sensi dell'art. 403 del codice civile. Sempre nell'ambito della prima fase dell'intervento, è compito del servizio effettuare la segnalazione, tramite la compilazione della scheda censimentaria del Comitato per i minori stranieri (38), alla Prefettura entro un limite temporale indicativo di due o tre giorni.

In una seconda fase, successiva all'urgenza del primo intervento, si verifica, come mi ha riferito la Dott.ssa Lucia Dallai, assistente sociale della Sicurezza Sociale, la presa in carico del minore inserito in Pronta Accoglienza. Entro una settimana dal suo ingresso in prima accoglienza il minore, infatti, deve tenere un colloquio con un assistente sociale dell'U.O. Minori. In questo colloquio l'assistente sociale generalmente cerca di spiegare al minore, se necessario con l'aiuto di un'interprete, quale sia la situazione in cui verte, sia dal punto di vista giuridico, sia dal punto di vista strettamente pratico. Il minore deve essere informato su quali siano i suoi diritti e le possibilità concessegli dalla legge italiana: spesso accade che molti giovani immigrati non siano a conoscenza del fatto che il permesso di soggiorno, cui hanno diritto per via del divieto di espulsione sancito dal nostro ordinamento, non consente loro di lavorare e che la legge italiana prevede il rimpatrio assistito per la loro situazione. In tale incontro l'operatore dovrà anche illustrare al minore il percorso che ha appena intrapreso e persuaderlo della bontà di esso, informandolo su quali siano le possibilità che l'amministrazione pubblica è in grado di offrirgli, e quali possano essere, invece, i pericoli di un soggiorno in Italia vissuto da immigrato irregolare (39).

Obiettivo del colloquio con l'assistente sociale, poi, non è solo quello di ragguagliare il minore a proposito della sua condizione, ma anche cercare di ottenere alcune importanti informazioni sui motivi che hanno spinto il soggetto ad emigrare, sulle sue condizioni di vita nel paese di origine, sulla sua famiglia e, soprattutto, sull'eventuale presenza in Italia di parenti.

Sempre nell'arco della prima settimana, come esito del colloquio con il minore, l'U.O. Minori ha un secondo contatto con il Comitato per i minori stranieri, l'invio di una relazione dettagliata contenente:

  • la dichiarazione che il minore è stato informato circa la normativa vigente in materia di minori stranieri non accompagnati;
  • dell'avvenuta segnalazione alla Procura, al Giudice tutelare e allo stesso Comitato ai fini del censimento (40);
  • notizie relative al genere di interventi adoperati dal servizio, collocamento, iscrizione a corsi di scolarizzazione o formazione professionale;
  • le dichiarazioni del minore in merito alla famiglia di origine, la loro eventuale reperibilità, la situazione socio-economica del nucleo;
  • il parere del minore e la sua motivazione in merito ad un rientro presso il proprio paese di origine;
  • una breve relazione sociale sul minore.

Come già detto, dal colloquio con il minore il servizio, tra le altre cose, dovrebbe trarre l'informazione riguardante il fatto se il minore abbia o meno dei parenti presenti in Italia. Nel caso che il minore sia assolutamente solo sul territorio italiano, nel caso cioè che sia del tutto "privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili" (41), entro trenta giorni dal suo inserimento presso il centro di pronta accoglienza il servizio provvede ad aggiornare la situazione al Giudice tutelare affinché sia aperto il procedimento per la tutela. La comunicazione, in queste condizioni, contiene la relazione dell'assistente sociale della Direzione e l'informazione che la stessa Direzione non è a conoscenza dell'esito delle indagini di competenza del Comitato. Il giudice tutelare viene informato sulle generalità del minore straniero, sulla sua collocazione, più una serie di notizie contenenti un resoconto del suo viaggio, la sua motivazione, se è stato condiviso e sostenuto dalla famiglia e sulle sue condizioni psico-fisiche. La Direzione, infine, invia al giudice tutelare anche la proposta di un progetto per il minore con la segnalazione di un nome per la tutela, allegando con essa la documentazione necessaria. Si tratta questo di un primo passaggio verso la "presa in carico" del minore straniero da parte del servizio sociale del Comune di Firenze. Come mi ha riferito il Dott. Gatta, Giudice Tutelare presso il Tribunale ordinario di Firenze, in un colloquio telefonico, la nomina tutoria per questi soggetti è un atto puramente formale che avviene, quando non vi sono parenti disponibili, nei confronti di un dirigente della Sicurezza Sociale (42).

Il giudice tutelare è una figura che con il progressivo miglioramento delle condizioni sociali dei minorenni italiani era andato svuotandosi di compiti effettivi, riducendosi a competenze di tipo burocratico. Di fronte alla presenza e ai bisogni di un grande numero di ragazzi stranieri irregolari, si è da parte di alcuni formalisticamente dichiarata l'estraneità del giudice tutelare rispetto a questi casi, astrattamente da ricomprendersi fra i casi di abbandono di competenza del Tribunale per i Minorenni; altri invece hanno operato un'interpretazione aperta delle norme, rivitalizzando l'operato e la funzione del magistrato ordinario (43).

La questione, come si è detto nel precedente capitolo va affrontata e risolta evidenziando come la fattispecie del minore straniero che si trovi in Italia da solo costituisca una delle precise ipotesi (la stabile lontananza dei genitori) in cui deve essere aperta una tutela; e come la nomina di un tutore garantisce al minore di avere assistenza e di vedere rappresentato il proprio interesse anche nel corso delle procedure amministrative che porteranno o al suo rimpatrio o all'accoglienza nel nostro paese.

La nomina del tutore è un atto formale, dunque, ma indispensabile, sia per il rilascio del permesso di soggiorno per minore età, sia per l'eventuale successivo accoglimento del minore.

La situazione cambia di molto qualora il minore disponga di un parente presente in Italia. Infatti, se le informazioni fornite dal minore riguardo al suo recapito sono esatte o dopo una ricerca svolta dalla Direzione, il parente, sempre entro il termine approssimativo di trenta giorni, viene convocato presso la sede di viale De Amicis affinché sostenga un colloquio con l'assistente sociale che si occupa del caso. Da questo colloquio devono emergere due aspetti: l'affidabilità del parente e, soprattutto, la sua disponibilità ad assumere la rappresentanza legale del minore.

Se il parente è disponibile ad assumere la tutela del minore, la Direzione si rivolge ancora al Giudice tutelare compiendo il medesimo atto sopra descritto, ma segnalando al giudice l'esistenza di un parente e proponendone la candidatura per la nomina tutoria.

Qualora, invece, il parente sia disponibile ad ottenere l'affidamento formale ex artt. 2 e 4 della legge sull'adozione nazionale, la Direzione provvede ad aggiornare al riguardo la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per l'apertura del fascicolo inerente a questo tipo di procedura. Analogamente con quanto avviene con il giudice tutelare la Procura riceve dal servizio una relazione dell'assistente sociale, tutte le informazioni riguardanti il minore e la sua condizione psico-fisica e la segnalazione del nome del parente disponibile all'affidamento con tutte le informazioni utili e i documenti necessari.

Se il parente viene rintracciato dalla Direzione ed incontra gli assistenti sociali, secondo quanto riferitomi dalla Dott.ssa Dallai, verrà da essi aiutato nella composizione della formale domanda di affidamento che necessariamente dovrà presentare alla Procura. Il procedimento, successivamente, comporta l'apertura del fascicolo e l'inizio di indagini sull'idoneità del soggetto ad ottenere l'affidamento. Tali indagini vengono richieste ai servizi e da questi svolte. Una volta che sono raccolte tutte le informazioni necessarie la Procura effettua il ricorso con parere favorevole.

Durante questa fase, definita di "post urgenza" il servizio sociale è in attesa delle decisioni del Comitato per i minori stranieri che ha tempo novanta giorni per emettere un provvedimento.

Di regola il Comitato, entro questo termine, dovrebbe giungere a una conclusione del caso, ma i tempi sono molto più lunghi: in certi casi il provvedimento, che sia o meno di rimpatrio arriva solo dopo due o tre anni dalla segnalazione. Nella maggior parte dei casi il minore raggiunge la maggiore età prima che il Comitato decida la sua "sorte". Nei colloqui che ho tenuto presso i servizi sociali, la Procura minorile, la Questura di Firenze e il Tribunale per i Minorenni ho riscontrato come sia un parere generalizzato che, al momento dell'istituzione del Comitato e dell'attribuzione delle competenze in materia di minori non accompagnati, nessuno si aspettasse che il fenomeno fosse di tali dimensioni e che le segnalazioni cominciassero a piovere a migliaia da ogni parte di Italia.

Il Comitato opera in maniera indipendente dai servizi sociali degli enti locali, se si fa eccezione per la prima relazione che questi ultimi inviano al Ministero, la cui accuratezza è scrupolo dello stesso servizio, non vi sono praticamente rapporti fra i due organi.

Il Comitato, nel prendere una decisione sul rimpatrio del minore, deve necessariamente condurre delle indagini presso il paese di origine del minore. Vengono all'uopo sviluppate delle intese con delle organizzazioni non governative che si occupano delle indagini. Ad esempio, per quel che riguarda l'Albania e il Marocco operano i Servizi sociali internazionali, mentre in Romania le indagini sono condotte dall'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).

Riguardo al Comitato per i minori stranieri il Dott. Nesticò ha espresso chiaramente l'opinione che si tratta di un organo non funzionante, questo a suo giudizio è normale essendo una struttura centrale che deve far fronte alle migliaia di segnalazioni provenienti da tutta Italia. In numerose riunioni con i dirigenti della sicurezza sociale il Dott. Nesticò suggerisce ai servizi di "continuare per la propria strada": aspettare novanta giorni (ma non si verifica mai che siano così pochi) è inutile e spesso dannoso. Quanto al provvedimento di rimpatrio il Procuratore non esclude in assoluto nemmeno la possibilità di disattenderlo qualora, nel tempo trascorso fra la segnalazione al Comitato e l'assunzione del decreto di rimpatrio, siano emersi elementi nuovi e maturate nuove condizioni che, valutate nell'insieme, indichino nell'accoglienza il perseguimento dell'interesse del minore.

Con la nomina del tutore il minore straniero acquista anche la possibilità di vedersi rilasciato il permesso di soggiorno per minore età. Se dal punto di vista della prima identificazione la pratica della Questura si dimostra decisamente informale e si basa semplicemente sulla parola del minore, per quel che riguarda la fase del rilascio del permesso di soggiorno per minore età l'atteggiamento è, invece, molto più rigido. Infatti, è pratica della Questura di Firenze un'applicazione restrittiva della normativa sull'immigrazione: se non vi è la certezza della minore età del richiedente non vi è il rilascio del permesso di soggiorno. A fronte di casi in cui l'individuazione dell'età è incerta la Questura di Firenze, fino a circa un anno fa, attendeva la nomina del tutore e quindi l'accertamento formale da parte dell'autorità giudiziaria: Giudice tutelare o Tribunale per i minorenni. Adesso, a causa del continuo incremento del fenomeno immigratorio, tale accertamento è divenuto indispensabile per l'avviamento di tutte le pratiche.

Una volta ottenuto il permesso di soggiorno, in tempi che si aggirano attorno ai trenta quaranta giorni (44), il minore viene trasferito dal centro di pronta accoglienza per essere inserito presso una comunità educativa. Le condizioni di vita all'interno di un Centro di prima accoglienza non sono le migliori che si possano auspicare. Il problema non sta nella qualità delle strutture o nella capacità o efficienza degli operatori che vi lavorano; il problema è piuttosto nella disomogenea composizione del gruppo ospite: per razze, culture, età e soprattutto caratterialità. Vi sono minori che scappano dai centri di prima accoglienza poco dopo avervi fatto ingresso (45), questo avviene per le ragioni più disparate: o per raggiungere parenti irregolari che non possono compiere i passi previsti dalla legge per ottenere la tutela del minore, o in quanto sono soggetti giunti in Italia con intenzioni diverse dal ricevere accoglimento in una comunità educativa. Il Centro di prima accoglienza è perciò un luogo dove il continuo movimento in entrata e in uscita dei minori impedisce un facile ambientamento per i suoi abitanti, dove i problemi comportamentali di alcuni soggetti possono generare tensione all'ambiente e dove la lontananza dalla famiglia di origine e la precarietà del proprio futuro è causa di ansia e depressione per un minore.

Il rilascio del permesso di soggiorno, la formulazione di un progetto individuale che veda il minore impegnato in un percorso scolastico o di formazione lavorativa e il trasferimento dalla pronta accoglienza ad una comunità educativa sono i passaggi che segnano la fase della "presa in carico" del minore da parte dei servizi sociali.

Quando invece si è in presenza di un parente disponibile all'affidamento, non appena interviene il decreto di affido si ha la naturale dimissione del minore e la Direzione provvede ad informare il Comitato.

Come già detto il Comitato non funziona e le possibilità che, prima del raggiungimento della maggiore età del minore, intervenga il provvedimento che decide il rimpatrio assistito sono poche. Dai colloqui tenuti sia con la Dott.ssa Treré che con la Dott.ssa Dallai è emerso che, su circa centocinquanta casi di minori stranieri non accompagnati segnalati dal Comune di Firenze al Comitato negli ultimi diciotto mesi, gli ordini di rimpatrio provenienti da Roma sono stati solamente tre. In un caso era stato lo stesso ragazzo ad esprimere il desiderio di tornare in patria (46), in un altro il servizio prese la decisione di disattendere il provvedimento di rimpatrio per via di sopravvenuti problemi di salute del minore, mentre nell'ultimo caso il giovane si trova ancora a Firenze in quanto non fu trovato nessuno che desse esecuzione materiale al provvedimento (47).

La volontà, presso i servizi sociali dell'amministrazione fiorentina, sarebbe quella di credere nel rimpatrio assistito, ma l'immobilismo del Comitato costringe a non fare affidamento su questo istituto. L'alternativa, così, è l'accoglienza, ma il problema, anche da un punto di vista finanziario, è grave e il fatto che sia un fenomeno in crescita peggiora le cose. Lavorare in direzioni diverse, cercando di gettare le basi per una soluzione a monte del problema è una possibilità sulla quale, a parole, sembrano essere tutti d'accordo. Il Comune di Firenze, ho saputo dalla Dott.ssa Treré, ha avuto contatti con l'Albania (lì esiste la Caritas), ma le prospettive e le possibilità di creare delle basi affinché si impedisca l'emigrazione minorile non sono molte. I costi, in alternativa all'accoglienza, sarebbero più sostenibili anche attribuendo al ragazzo che fa ritorno nel paese di origine una borsa di studio, tuttavia, dai contatti avuti con i servizi sociali locali, non sussistono le garanzie per un buon impiego di questi soldi.

Così la situazione è che quando il minore in possesso unicamente del permesso di soggiorno per minore età compie diciotto anni viene rimandato a casa con l'interruzione del programma di inserimento che aveva iniziato oppure con in mano una formazione lavorativa che potrà utilizzare solo in patria.

2.5. Il Tribunale per i Minorenni di Firenze

Come si era visto nel precedente capitolo uno dei problemi più dibattuti riguardo alla questione dei minori stranieri non accompagnati è quello della non convertibilità del permesso di soggiorno per minore età al compimento del diciottesimo anno e della consequenziale espulsione del neo maggiorenne dall'Italia. La legge n. 189/2002 ha modificato l'art. 32 consentendo il rinnovo del permesso di soggiorno per quei soggetti che risiedono in Italia da almeno tre anni e che da almeno due siano inseriti in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato con rappresentanza nazionale, ribadendo così una sostanziale disparità di trattamento contraria al principio del superiore interesse del fanciullo sancito dal diritto internazionale e fatto proprio dall'ordinamento italiano.

Il Tribunale per i Minorenni di Firenze, sia adesso che prima della riforma voluta dall'attuale Governo, ha adottato una politica favorevole all'accoglimento del minore straniero attraverso l'applicazione nei suoi confronti della legge italiana sull'adozione e decretando l'affidamento ex artt. 2 e 4 nei confronti di parenti, quando questi sono regolarmente soggiornanti in Italia, o delle comunità residenziali che ai minori offrono alloggio e sostegno educativo.

Le strutture che accolgono il minore, le comunità educative e le case famiglia, dunque, possono far domanda presso la Procura della Repubblica per ottenere l'affidamento del minore straniero da loro ospitato. La pratica, secondo quanto riferitomi dal Dott. Nesticò, è piuttosto diffusa e, a suo avviso, non sembra essere un ostacolo per l'adozione del provvedimento l'eventuale ricorso con parere negativo effettuato dalla Procura.

A seguito del ricorso ex art. 4 legge n. 184/1983, il Tribunale fa formale richiesta al servizio sociale territoriale competente di svolgere un'inchiesta socio-familiare al fine di acquisire gli elementi di valutazione necessari per la relativa decisione. La richiesta di indagini, tuttavia può essere indirizzata anche a Carabinieri, Questura e altre forze di polizia giudiziaria. In questo caso le informazioni da raccogliere dovranno riferire circa la moralità, la condotta di vita ed eventuali pendenze penali del ricorrente.

Una volta raccolte le informazioni necessarie e valutata la situazione il Tribunale emette il decreto di affidamento.

Il provvedimento, in diritto, viene giustificato in quanto la normativa interna e internazionale vigente assicura speciale protezione ad ogni minore che per qualsiasi ragione si trovi in Italia, per il solo ed esclusivo fatto di tale presenza ed a prescindere da ogni considerazione di razza, cittadinanza, colore, sesso e tipologie comportamentali (48). E che tale speciale protezione si concreta nel garantire al minore quei diritti fondamentali senza i quali gli sarebbe impedito di crescere, primo tra tutti il diritto all'educazione in una famiglia o comunque in un ambiente di tipo familiare. Questo in quanto in aperta deroga alle regole generali in materia di immigrazione l'art. 19, comma 2, lettera a, del D.L.vo n. 286/98 non consente l'espulsione di minore straniero se non per motivi attinenti alla sicurezza dello Stato ed all'ordine pubblico e di conseguenza viene così ad imporre l'obbligo di buon governo dell'"esistente" e, dunque di tutela dello stesso minore una volta che sia entrato nel territorio dello Stato, anche all'eventuale fine di consentire la sua successiva regolarizzazione ex art. 30 e ss. del medesimo decreto legislativo ove possibile; e secondo quanto previsto dagli artt. 33, comma 5, e 37 bis della legge n. 184/1983.

Per quanto riguarda il fatto, invece, viene preso atto che il minore è riuscito, evitando ogni controllo, ad entrare in Italia ed a stabilirvi da qualche tempo abituale dimora; che, appare indubitabile che versi in stato di abbandono in quanto privo di figure parentali valide e legittimate ad occuparsene ed a rappresentarlo o, almeno e comunque, sia temporaneamente privo di ambiente familiare adeguato ed idoneo (49); ed infine che, non appare ragionevolmente ipotizzabile né la realizzazione del suo rimpatrio assistito in tempi compatibili con le urgenze di una situazione di così grave disagio né la sua espulsione per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato che appaiono altamente improbabili in una fattispecie di ordinaria devianza minorile.

Il Tribunale ritiene, inoltre, che in virtù del sistema normativo interno e internazionale, debba inderogabilmente essere assicurata al minore straniero non accompagnato, una volta che di fatto si trovi in territorio nazionale, la stessa protezione prevista per un qualsiasi minore di nazionalità italiana. E, a fronte di un parere negativo espresso dal Pubblico Ministero, questo viene giudicato discriminatorio, dal momento che non si rinvengono, da parte dell'autorità giudiziaria, elementi da cui desumere un tentativo del richiedente l'affidamento di "utilizzare la legge come mero espediente per aggirare la vigente disciplina normativa concernente l'ingresso e la condizione dei cittadini stranieri in Italia". Anche se così fosse, secondo il Tribunale non sarebbe comunque conforme a legge non intervenire in aiuto di un minore sicuramente non accompagnato dalle sue figure parentali e dunque in balia, in territorio non familiare non sempre accogliente, di ormai notorie carenze affettive e socio culturali oltre che di verosimile precarietà economica e di una normale immaturità connaturata all'età. Pertanto il Tribunale dispone l'affidamento, in quanto corrispondente all'interesse del minore e precisa che, con il raggiungimento della maggiore età questo non avrà più effetti limitativi, ma acquisterà natura meramente assistenziale e potrà durare fino al compimento del ventunesimo anno di età (50).

Per quanto riguarda il rito, la procedura che decreta l'affidamento è attività di volontaria giurisdizione priva di qualsiasi natura contenziosa; il Tribunale di Firenze esclude, quindi, che Ministero dell'Interno e Questura in persona dei rispettivi rappresentanti debbano essere sentiti in applicazione del principio del contraddittorio, come avevano inizialmente lamentato nell'ambito di questo tipo di procedura.

È molto importante ricordare che il decreto di affidamento viene adottato anche nei confronti di soggetti stranieri che non sono più minorenni, purché abbiano compiuto i diciotto anni in corso di procedura. Si tratta di una procedura ormai radicata presso il Tribunale per i minorenni di Firenze e motivata in forza del principio di perpetuatio iurisdictionis sancito dall'art. 5 del codice di procedura civile (51).

Il Tribunale per i Minorenni di Firenze, con l'adozione di tale politica, a mio modo di vedere, manifesta l'intenzione di non voler assumere nei confronti dei minori stranieri un atteggiamento diverso da quello tenuto nei confronti dei minorenni italiani. Il giudice, quando applica la legge, non può ricercare esasperatamente la mediazione fra tutti gli interessi contrapposti, facendosi carico di esigenze sociali diverse dalla tutela del minore, quali possono essere la sicurezza, l'ordine pubblico e altre simili esigenze. L'autorità giudiziaria minorile fiorentina, nel rispetto della legge e della sua imparzialità, sceglie, a mio avviso, di essere dalla parte dei diritti del minore, che esso sia cittadino italiano o meno; ritenendo che il giusto servizio alla società non sia un'applicazione burocratica della norma, ma un appropriato e misurato apporto all'evoluzione della società in senso moderno e democratico, anche attraverso il favorire l'inserimento e la partecipazione dei soggetti meno fortunati e protetti.

Note

1. Giannino, P., Avallone, P., I servizi di assistenza ai minori, Cedam, Padova, 2000.

2. Vercellone, P., I rapporti del Tribunale ordinario, del Tribunale per i minorenni, e del Giudice tutelare con il mondo dei servizi sociali, in "Quaderni del C.S.M.", n. 109, 2000.

3. Art. 6 della legge 8 novembre 2000, n. 328.

4. In materia di minori le Province si occupavano ancora di gestanti nubili, dei minori riconosciuti da un solo genitore, quelli non vedenti e non udenti.

5. Art. 8 della legge 8 novembre 2000, n. 328.

6. Art. 16 della legge 8 novembre 2000, n. 328.

7. Art. 22, comma 1 della legge 8 novembre 2000, n. 328.

8. Art. 22, comma 2, lett. c) della legge 8 novembre 2000, n. 328.

9. Rispettivamente lett. a), b) e c) dell'art. 18, comma 3 della legge 8 novembre 2000, n. 328.

10. L'art. 18, comma 4, disponeva che l'adozione del primo Piano nazionale avvenisse entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge.

11. Art. 22, comma 1, lettera c) della legge 8 novembre 2000, n. 328.

12. Art. 2, comma 2 della legge 28 agosto 1997, n. 285.

13. Art. 1, comma 3, lett. a) della legge regionale 3 ottobre 1997, n. 72.

14. Art. 9, comma 3 della legge regionale 3 ottobre 1997, n. 72.

15. L'art. 16, comma 2, riserva una quota del fondo regionale per l'assistenza sociale, non superiore al dieci per cento, per le seguenti finalità:

  1. finanziare progetti programmi innovativi e sperimentali di interesse regionale;
  2. finanziare progetti cui sono sorretti da fondi, programmi, bandi europei, nella logica del cofinanziamento;
  3. finanziare studi e ricerche.

16. Sono fatti salvi gli interventi che prevedono affidamento e i servizi residenziali di cui all'art. 52 della stessa legge n. 72/97 che, invece, sono a carico del Comune nel quale il minore ha maturato il domicilio di soccorso di cui agli artt. 72 e seguenti della legge 6972/1890.

17. Art. 54, comma 3 della legge regionale 3 ottobre 1997, n. 72.

18. Uno degli obiettivi primari della mediazione è quello di dare rilievo e riconoscimento alla vittima del reato, aiutandola a prendersi carico del conflitto al fine di eliminare o ridurre i sentimenti di insicurezza, di disagio e di rabbia suscitati dal reato; del riconoscimento da parte del minore della propria responsabilità del fatto-reato e consente di agevolare la comprensione del reato nei suoi aspetti relazionali e non soltanto come astratta violazione di una norma.

19. Risoluzione del Consiglio regionale del 20 marzo 1990.

20. Deliberazione del Consiglio regionale del 15 dicembre 1987, n. 489.

21. Accordo pubblicato sul BURT n. 22 del 30 maggio 2001, parte II, sezione IV.

22. Comune di Firenze, Piano zonale di Assistenza Sociale 2002-2004.

23. Tra l'altro si propone l'acquisizione di idonei finanziamenti, in quanto si tratta di una struttura dai costi particolarmente elevati e già dal prossimo anno potrebbe risultare un problema continuare l'attività.

24. Regione Toscana, Istituto degli Innocenti di Firenze, I procedimenti civili dei minori in Toscana, Regione Toscana - Istituto degli Innocenti di Firenze, Firenze, 2002.

25. È opportuno ricordare che se, nel condurre l'indagine, si acquisiscono elementi che configurano o fanno ipotizzare comportamenti verso il minore di rilevanza penale è indispensabile provvedere a presentare e trasmettere denuncia al Pubblico Ministero presso il Tribunale ordinario e al Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni. L'intervento dei servizi a tutela del minore si svilupperà, quindi, con riferimento al mandato dell'autorità giudiziaria.

26. Regione Toscana, Istituto degli Innocenti di Firenze, I procedimenti civili dei minori in Toscana, Regione Toscana - Istituto degli Innocenti di Firenze, Firenze, 2002.

27. Gli indicatori di maltrattamento fisico del minore sono: ogni genere di ustione, bruciature di sigarette, lividi procurati da oggetti contundenti, fratture nasali e mascellari, chiazze di calvizie, lesioni alla mucosa da alimentazione forzata.

28. Fra i sintomi di maltrattamento psicologico è possibile ricordare: il ritardo nello sviluppo del bambino, iperattività, reazioni nevrotiche, pseudomaturità e assunzione di ruoli impropri, disordini alimentari.

29. Tra gli indicatori di trascuratezza grave possiamo ricordare: la malnutrizione, la persistente scarsa igiene del bambino, la carenza di cure mediche, la stanchezza permanente e la disattenzione, l'assenteismo scolastico, passività e apatia.

30. Regione Toscana, Istituto degli Innocenti di Firenze, I procedimenti civili dei minori in Toscana, Regione Toscana - Istituto degli Innocenti di Firenze, Firenze, 2002.

31. Se le informazioni relative al caso appaiono incomplete ovvero la situazione appare suscettibile di trasformazioni, il magistrato richiede direttamente al SIAST ulteriori approfondimenti. Qualora la situazione lo richieda, il Tribunale può prendere provvedimenti provvisori e urgenti utilizzando lo strumento giuridico dell'ordinanza. Contro l'ordinanza, gli interessati possono proporre opposizione innanzi allo stesso Tribunale per i Minorenni, chiedendone revoca o modifica. Concluse le indagini, trascorsi comunque di massima non oltre sei mesi dal provvedimento provvisorio, il Tribunale per i Minorenni, in camera di consiglio, emette il provvedimento definitivo, ossia un decreto, contro il quale gli interessati possono proporre impugnazione innanzi alla Corte D'Appello Sezione per i Minorenni. Il decreto, che deve contenere prescrizioni il più possibile chiare e attuabili dal SIAST, potrà prevedere, solo su specifica richiesta del SIAST medesimo, la facoltà da parte del SIAST di avvalersi dell'intervento della forza pubblica. Al fine di seguire il caso e verificarne l'evoluzione, si prevede:

  • relazioni scritte al giudice competente, come aggiornamento;
  • relazione scritta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per gli effetti di cui all'art. 336 c.c., in caso di richiesta di modifica o cessazione dell'intervento.

32. L'affidamento avviene preferibilmente ad una famiglia, ma qualora non sia possibile è ancora consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza pubblico o privato.

33. Delibera del Consiglio Comunale del 18 Marzo 1991, n.796, "Servizio Affidamento Familiare. Approvazione nuovo Regolamento ai sensi della Legge Regionale 15.01.1954 n.4".

34. Delibera del Consiglio Comunale del 14 Ottobre 1991, n.3980, "Regolamento relativo ai requisiti di idoneità delle comunità per minori".

35. È il caso di parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto rapporti significativi. Si dovrà comunque fornire al Tribunale un quadro chiaro in ordine allo stato dei rapporti con i parenti, dei quali vanno indicate le esatte generalità e il domicilio.

36. La delega per i minori stranieri non accompagnati, per quanto riguarda il Comune di Firenze, è attribuita all'Assessore alla Pubblica Istruzione e alle Politiche per l'Infanzia Adolescenza e Giovani Dott.ssa Daniela Lastri.

37. I Centri di prima accoglienza presso i quali, nella maggior parte dei casi, vengono inseriti i minori non accompagnati sono: il Gian Burrasca in via Casamorata a Firenze, il Centro Alberto in via del Guardone e il Centro Mercede in via Accursio, sempre a Firenze.

38. Tale scheda contiene informazioni relative ai dati personali del minore: la documentazione di cui è in possesso, la sua provenienza, i termini del suo ingresso in Italia; e al tipo di misure adottate nei suoi confronti: presso quale struttura o privato è stato collocato e se è stato emesso un permesso di soggiorno da parte dell'autorità competente.

39. In base all'art. 7 del DPCM n. 535 del 9 dicembre 1999, il minore deve essere "previamente sentito, anche dagli enti interessati all'accoglienza, nel corso della procedura".

40. La segnalazione censimentaria è prevista dall'art. 2, comma 2, lettera i) e dall'art. 5 del DPCM n. 535 del 9 dicembre 1999.

41. Art. 1, comma 2 del DPCM n. 535 del 9 dicembre 1999.

42. Da quando la Direzione della sicurezza sociale ha acquisito la competenza relativa ai minori stranieri non accompagnati il soggetto designato per l'assunzione delle tutele è la Dott.ssa. Anna Bini, dirigente dell'ufficio Servizi territoriali e programmazione.

43. Miazzi, L., I giudici minorili e la tutela dei minori stranieri nell'applicazione della legge n. 40/1998, in "Diritto, immigrazione e cittadinanza", n. 1, 2001.

44. I tempi di permanenza dei minori stranieri nei Centri di prima accoglienza si sono recentemente abbassati. Fino ad un anno e mezzo fa potevano trascorrere diversi mesi prima che il minore trovasse una collocazione alternativa al centro di pronta accoglienza.

45. Il caso di fuga dalla prima accoglienza è un'eventualità che si verifica piuttosto di frequente, tanto che alla Direzione della Sicurezza Sociale hanno già pronto un modulo prestampato con il quale informano la Procura della Repubblica preso il Tribunale per i Minorenni che "il minore in oggetto si è allontanato arbitrariamente dalla struttura subito dopo il suo inserimento".

46. È utile ricordare che in base all'art. 7 del DPCM n. 535 del 9 dicembre 1999, si prevede l'obbligo di ascoltare il minore in merito al suo stesso rimpatrio. La prestazione del consenso è, naturalmente, un elemento importante ai fini dell'adozione del provvedimento, ma non appare indispensabile.

47. Il problema della mancanza di assistenza durante l'operazione di rimpatrio sembra avere connotazioni di tipo finanziario: il Testo unico sull'immigrazione all'art. 33, comma 3, stabilisce che "Il Comitato si avvale, per l'espletamento delle attività di competenza, del personale e dei mezzi in dotazione al Dipartimento degli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ha sede presso il Dipartimento medesimo". L'onere delle spese relative al rimpatrio sono, quindi, a carico del Governo.

48. Artt. 1 e 2 della Convezione di New York del 20 novembre 1989; art. 14 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, novellata ed entrata in vigore in data 1 novembre 1998; art. 42 della legge 31 maggio 1995, n. 218 che, quanto alla protezione dl minore straniero da parte dello Stato italiano fa rinvio alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre a961, resa esecutiva in Italia con legge n. 742/1980.

49. Di cui al combinato disposto dell'art. 357 c.c., con gli artt. 3, commi 1 e 2, e 5, comma 1 della legge n. 184/1983.

50. Art. 23 della legge 8 marzo 1975, n. 39.

51. Art. 5 c.p.c.: (Momento determinante della giurisdizione e della competenza) "La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo". Articolo così sostituito dall'art. 2 della legge 26 novembre 1990, n. 353.