ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusioni

Ornella Di Mauro, 2002

Lo straniero rappresenta ancora oggi l'altro, il diverso, colui che non fa parte del gruppo, colui del quale si ha paura e di cui non ci si fida, un soggetto pericoloso per l'ordine pubblico.

Il nuovo disegno di legge non discostandosi dalle scelte compiute dal legislatore del '98, mostra ancora una volta che l'obiettivo primario davanti al fenomeno dell'immigrazione è difendersi, ergere barriere ai propri confini, rassicurare l'elettorato dall'invasione di popoli alla fame. La via dell'integrazione come approccio al fenomeno dell'immigrazione appare lontana. Il legislatore italiano oggi, come ieri, individua nell'espulsione la sola risposta a qualsiasi forma di irregolarità, non prevedendo meccanismi di regolarizzazione fondati, ad esempio, sul decorso del tempo e su indici d'integrazione quali la mancata commissione di reati e il raggiungimento ex post delle condizioni che avrebbero giustificato l'ingresso. La scelta metodologica delle normative in materia di immigrazione è fondata sulla creazione di due circuiti diversi e non comunicanti: quello della regolarità (conseguente all'ingresso attraverso il sistema dei flussi e il successivo puntuale rinnovo del permesso di soggiorno) e quello dell'irregolarità (determinata dall'ingresso fuori dal sistema dei flussi o dalla permanenza nel territorio dello Stato dopo la scadenza del permesso di soggiorno). La incomunicabilità tra questi due circuiti comporta l'esclusione della rilevanza di ogni distinzione tra irregolari e clandestini e l'impossibilità di sanare in itinere la condizione di irregolarità. In questo approccio al fenomeno dell'immigrazione irregolare, i centri di permanenza temporanea appaiono come il punto di chiusura del sotto-sistema che presiede all'allontanamento dello straniero e rappresentano l'epilogo coerente delle scelta politica di affidare il governo delle irregolarità in via esclusiva allo strumento dell'espulsione.

Con il nuovo disegno di legge l'espulsione diventa anche strumento funzionale alla risoluzione del problema del sovraffollamento delle carceri. L'espulsione come sanzione sostitutiva alla detenzione, disposta dal magistrato di sorveglianza, consentirà di allontanare gli stranieri irregolari e clandestini condannati ad una pena, anche residua, inferiore ai due anni. Le persone recluse in carcere alle quali, una volta uscite, sarebbe applicabile l'espulsione amministrativa disposta dal prefetto, con il nuovo disegno di legge verranno pertanto allontanate ancor prima di aver finito di scontare la loro pena. La nuova figura dell'espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione non prevede il consenso dello straniero come presupposto all'espulsione. Tale mancata previsione "snatura il ruolo del magistrato di sorveglianza e il carattere di pena alternativa alla detenzione, che nel nostro ordinamento costituisce un favor per il condannato ed è applicabile solo a richiesta dello stesso" (1). La pena per lo straniero perde inoltre la funzione di reinserimento sociale. Con la possibilità di essere rimpatriati con un residuo pena di 2 anni, sarà presumibilmente vana ogni possibilità di accedere a misure alternative alla detenzione. Tali benefici e, in particolar modo, la misura dell'affidamento in prova, rappresentano ad oggi gli unici strumenti capaci di reinserire lo straniero nella società e sono spesso funzionali all'annullamento dell'espulsione disposta come misura di sicurezza e alla revisione dell'espulsione amministrativa in sede di ricorso. Non di rado lo straniero inserito in un percorso riabilitativo ottiene, con il ricorso avverso espulsione, la riduzione del periodo di divieto di reingresso o (anche se meno raramente) l'annullamento dello stesso provvedimento di allontanamento. In assenza di meccanismi di regolarizzazione, un affidamento in prova terminato con esito positivo ad oggi rappresenta l'unica speranza per poter avere qualche chance nel ricorso avverso l'espulsione e, in presenza di un lavoro, per poter addirittura ottenere un permesso di soggiorno.

La scelta fatta dal governo di effettuare l'espulsione direttamente dal carcere e ancor prima che lo straniero abbia terminato di scontare la pena mostra la scelta di ritenere preminente all'interesse alla pretesa punitiva dello Stato, l'interesse allo sfoltimento dell'affollamento di stranieri irregolari nell'ambito del sistema penitenziario, ed è funzionale anche all'eliminazione delle già scarse possibilità di reinserimento nel nostro territorio per lo straniero irregolare o clandestino detenuto.

Il sistema dell'allontanamento delineato nel nuovo disegno di legge, prevedendo l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica come regola generale per l'esecuzione delle espulsioni, assegna un ruolo primario alla misura del trattenimento presso i centri di permanenza temporanea e assistenza. La previsione che il trattenimento presso questi centri riesca a garantire l'efficacia dell'espulsione da eseguirsi con accompagnamento coattivo è illusoria e, a mio avviso, risponde a esigenze mediatiche di rassicurazione della società più che a valutazioni reali. Sul piano politico-simbolico i centri di permanenza hanno infatti acquisito, accanto alla loro funzione ufficiale, il compito di rassicurare il corpo sociale dal pericolo di 'invasione degli immigrati'. L'esecuzione delle espulsioni in questi anni non è stata incrementata dai centri di permanenza: l'incidenza del trattenimento sul rimpatrio è per lo più limitata ai casi di stranieri provenienti da paesi con cui l'Italia ha stipulato accordi di riammissione. Dai dati riportati in questo lavoro, relativi al 1999, emerge con chiarezza l'inefficacia della misura del trattenimento e, dalle numerose reiterazioni della misura, si evince come non serva aumentare la permanenza per superare gli ostacoli che si frappongono all'allontanamento. Per riuscire ad eseguire le espulsioni sarebbe più opportuno, come ha suggerito il dottor Mancini della questura di Roma, stringere accordi di riammissione con i diversi paesi di emigrazione e migliorare la collaborazione con i loro consolati.

Di fronte, poi, al probabile trattenimento nel prossimo futuro di un numero sempre crescente di immigrati e per un periodo sempre più lungo, viene da chiedersi se, in attesa della istituzione di nuovi centri, i direttori di quelli attualmente in funzione accetteranno di ospitare gli stranieri fino al raggiungimento del regime di massima capienza della loro struttura o se, piuttosto, si assisterà alla nascita di strutture emergenziali, con il pericolo di avere così una terza generazione di centri del tutto simile alla prima. L'impossibilità delle strutture di soddisfare alle richieste di trattenimento comporterà inoltre l'ulteriore pericolo che gli stranieri, da allontanare coattivamente, possano essere trattenuti a lungo nei centri di smistamento. Questi ultimi, che dovrebbero servire alle prime operazioni di identificazione ed essere funzionali all'adozione dell'eventuale provvedimento di espulsione o di respingimento e, ove necessario, al conseguente trasferimento dello straniero nel centro di permanenza più vicino, "sono nati per trovare un escamotage al divieto di prolungare il fermo di una persona oltre i termini di legge" (2). Oggi questi centri si stanno moltiplicando e il rischio è che si trasformino di fatto in centri di permanenza. Questa eventualità sarebbe particolarmente inopportuna dato che queste strutture sono prive di controllo e non sono regolate da alcuna fonte normativa, lacuna che il disegno di legge Bossi Fini non colma. In particolar modo, la durata della permanenza dello straniero nei centri di smistamento non va a diminuire il periodo massimo di trattenimento nel centro di permanenza in cui lo straniero verrà successivamente condotto. Inoltre, la privazione della libertà che avviene nei centri di smistamento non è soggetta al vaglio giurisdizionale.

Se, da un lato, i centri di permanenza sono per il legislatore italiano il futuro su cui puntare per una politica più efficace contro l'immigrazione clandestina e irregolare, dall'altro, l'interesse del legislatore verso queste strutture non arriva al punto di disciplinare con una norma di legge la condizione dello straniero ivi trattenuto. Il periodo di permanenza, seppur raddoppiato, continuerà ad essere regolato dalle scarne disposizioni della circolare del 30 agosto del 2000.

A mio avviso, a seguito dell'approvazione del nuovo disegno di legge, la giornata dello straniero all'interno di questa particolare istituzione totale apparirà ancora più "buia". Ad oggi, la frattura con il mondo esterno creata dal trattenimento può essere più o meno ricomposta a seconda dell'esito della misura. Lo straniero che non viene espulso coattivamente e che, nonostante l'intimazione, sceglie di restare sul territorio italiano, nel caso in cui sia fermato dalle forze dell'ordine e sussistano ancora impedimenti all'allontanamento viene nuovamente condotto in un centro di permanenza. Da lì può sperare di essere ancora una volta rilasciato per scadenza dei termini massimi di trattenimento e tornare alla sua vita da clandestino.

Con il nuovo disegno di legge la speranza di essere rilasciati dal centro di permanenza per scadenza dei termini apparirà vana e, forse, angoscerà ancorpiù dell'allontanamento coattivo. Lo straniero uscito dal centro se, senza giustificato motivo, non ottempererà all'intimazione a lasciare il territorio entro 5 giorni sarà punibile con la reclusione in carcere da 6 mesi ad 1 anno. Da questo stesso istituto dovrebbe essere rimpatriato entro la scadenza della pena. Pertanto, con il nuovo disegno di legge, per lo straniero che verrà nuovamente fermato sul territorio dopo un primo trattenimento in un centro di permanenza, non vi dovrebbe essere la reiterazione della misura né un'ulteriore possibilità di tornare alla vita da clandestino, bensì lo aspetterà una nuova restrizione della libertà, di durata maggiore e in un carcere. Il disegno di legge non specifica se l'insufficienza di mezzi economici per poter affrontare il rimpatrio e la mancanza di un titolo di viaggio, che garantisca di non essere respinti alle frontiere del proprio paese, saranno 'giustificati motivi' a permanere nel territorio italiano anche oltre i 5 giorni intimati dalla questura. Nel caso in cui questi non verranno ritenuti giustificati motivi a disattendere all'intimazione, tutti gli immigrati rilasciati dal centro che resteranno sul nostro territorio potranno essere arrestati e detenuti in carcere per un minimo di 6 mesi. Gli unici a poter evitare tale sanzione saranno coloro che riusciranno a dimostrare la loro 'inespellibilità', ovvero coloro che in un centro di permanenza non sarebbero dovuti neanche entrare.

La legge Bossi Fini prevede inoltre l'ipotesi che, durante la detenzione, non si riesca ad effettuare il rimpatrio, mostrando così la consapevolezza che l'esito dell'allontnamaneto coattivo può non dipendere dal tempo a disposizione della questura per provvedere al superamento degli impedimenti all'espulsione dello straniero (3). Nel caso in cui, al momento della scarcerazione, non si possa procedere all'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, allo straniero verrà nuovamente intimato di lasciare il territorio. In conseguenza di un suo ulteriore inadempimento lo straniero sarà passibile di una pena da 1 anno a 4 anni. Per coloro che non avranno un giustificato motivo per rimanere sul territorio italiano, la condizione di irregolarità o di clandestinità si tramuterà in una vera e propria latitanza.

Con l'approvazione del progetto di legge, ad angosciare ulteriormente lo straniero, trattenuto in un centro, sarà anche la successiva minaccia del carcere nel caso in cui faccia reingresso nel nostro paese prima della scadenza del periodo di 10 anni dall'espulsione, o di quello ridotto non inferiore a 5. Al primo tentativo di tornare ad inseguire il sogno di emigrazione, le modifiche al T.U. prevedono per lo straniero la pena da 6 mesi ad 1 anno e l'espulsione con accompagnamento coattivo effettuata direttamente dal carcere. Ad un secondo tentativo è previsto un inasprimento della pena che verrà commisurata da 1 anno a 4 anni.

A mio avviso le disposizioni del nuovo disegno di legge sopra richiamate aggiungeranno all'ansia per il possibile rimpatrio l'angoscia del pericolo di una futura carcerazione. Durante l'attesa della propria sorte, che con il nuovo disegno di legge potrà protrarsi fino a 60 giorni, la persona trattenuta sarà inoltre soggetta agli attacchi al sé caratteristici di ogni istituzione totale. La mortificazione del sé, il processo di spoliazione, l'esposizione contaminante, la perdita dell'autonomia dell'azione si accaniscono in un centro di permanenza su persone emarginate, stigmatizzate dalla società, individui che hanno dovuto lasciare la loro patria in cerca di un futuro migliore e che spesso hanno pagato a caro prezzo il loro 'viaggio della speranza'.

Note

1. Osservazioni dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione e Magistratura democratica sul disegno di legge n. 795/Senato, "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 2001, 4, pp. 225.

2. F. Vassallo, intervento al convegno "Immigrazione: centri detentivi (cpt) e attuali tendenze normative" del 9 Febbraio 2002, tenutosi a Padova.

3. Il disegno di legge prevede che venga data tempestiva comunicazione al questore ed alla competente autorità consolare della emissione di provvedimenti restrittivi nei confronti dello straniero proveniente da paesi extracomunitari. Tali organi, al fine di consentire l'esecuzione dell'espulsione subito dopo la cessazione del periodo di detenzione, dovranno quanto prima avviare la procedura di identificazione dello straniero e provvedere al reperimento dei documenti necessari per il rimpatrio.