ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Conclusioni

Monia Coralli, 2002

L'analisi svolta in questo lavoro mi sembra mostri chiaramente che nonostante da molto tempo l'istruzione sia parte integrante della vita carceraria non le è mai stato riconosciuto il rango di diritto costituzionale che invece l'art. 34 della Costituzione gli ha attribuito in modo chiaro.

È innegabile la maggiore considerazione che l'istruzione ha ottenuto in seguito all'entrata in vigore della legge n. 354 del 1975 sull'Ordinamento penitenziario, del Regolamento di esecuzione del 1976 e di quello in vigore del 2000, ma da tutti gli articoli di questi testi normativi è possibile rilevare una forte incongruenza con il dettato costituzionale. Infatti, sia nell'art. 19 dell'Ordinamento penitenziario che in entrambi i regolamenti di esecuzione, sia quello del 1976 che in quello in vigore, è mai stata usata la parola "diritto" per qualificare l'istruzione. L'istruzione, nei testi normativi citati, viene considerata esclusivamente come opportunità offerta all'interno degli istituti di pena e come elemento del trattamento penitenziario, dimenticando che prima di tutto è un diritto costituzionale riconosciuto a tutti gli individui, sia italiani che stranieri, sia ragazzi che adulti, sia reclusi che liberi.

L'art. 34 della Costituzione afferma al primo comma che: "La scuola è aperta a tutti", riconoscendo in modo chiaro che il diritto all'istruzione è di tutti, indipendente dalle condizioni di ciascun soggetto. L'art. 19 dell'Ordinamento penitenziario dispone che negli istituti di pena la formazione culturale sia curata "mediante l'organizzazione di corsi della scuola dell'obbligo". Il concetto di formazione culturale è più ampio e meno rigido dei quello di istruzione ed è legittimo attribuirgli una valenza puramente trattamentale, ma è una grave mancanza non menzionare che nella cura della formazione culturale si deve porre attenzione al rispetto del diritto all'istruzione costituzionalmente riconosciuto. L'assenza del termine "diritto", come ricordato, spicca anche nel testo normativo del regolamento di esecuzione del 2000, oggi in vigore, e non solo nel campo dell'istruzione ma in tutte le disposizioni del regolamento, qualsiasi sia il loro argomento. L'assenza del termine "diritto" nei testi normativi dedicati alla regolamentazione della vita carceraria sembra voler far intendere che la condizione di detenuto fa perdere ogni tipo di diritto e quindi ogni tipo di tutela. I termini che compaiono all'interno degli articoli del Regolamento di esecuzione del 2000 dedicati all'istruzione dei detenuti, ovvero gli articoli n. 41, 43, 44, 45 e 46, sono "possono", "agevolati", "favoriti" ma mai viene utilizzato il termine "diritto" o l'aggettivo "garantiti". Tutte le prescrizioni sembrano suscettibili di non essere osservate o di essere disapplicate quando lo richiedono esigenze di sicurezza.

L'articolo 15 dell'Ordinamento penitenziario, rubricato "Elementi del trattamento", ha attribuito all'istruzione la qualifica di elemento attraverso il quale si svolge il trattamento penitenziario ma non ha specificato, e nessuno lo ha fatto in seguito, che il trattamento penitenziario si deve svolgere avvalendosi dell'istruzione in modo tale da rispettarne la natura di diritto costituzionale riconosciuta all'istruzione stessa. L'art. 27 della Costituzione, al terzo comma indica che le pene devono "tendere alla rieducazione del condannato". Un detenuto che legge il regolamento di esecuzione in vigore o l'Ordinamento penitenziario, ovvero i testi che disciplinano la vita in carcere, non può fare a meno di notare che in nessuno di questi testi viene riconosciuto, alla persona detenuta o internata, alcun tipo di diritto ma solo possibilità, facilitazioni o agevolazioni e non credo che questo possa in qualche modo essere definito rieducativo. Inoltre, sempre al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione è indicato che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità". Personalmente in questa espressione non credo sia corretto far rientrare solo i maltrattamenti fisici bensì anche quelli psicologici e non credo che privare un individuo, in considerazione del fatto che si trova in un carcere, di quei diritti riconosciutigli in quanto essere umano, sia qualcosa di conforme al senso di umanità. Quindi mi sento di asserire che le prime grandi incongruenze tra lo stato delle cose ed il testo costituzionale nascono proprio da quanto il legislatore ha dichiarato da sempre e continua a dichiarare anche oggi, nei testi normativi che regolano la vita carceraria.

Affrontando poi la realtà attuale dell'istruzione in carcere, alla luce della ricerca svolta in occasione di questo lavoro, mi permetto di fare una piccola premessa. Innanzi tutto prima di per poter dire se e quanto il diritto allo studio sia rispettato all'interno degli istituti penitenziari nazionali dobbiamo chiarire cosa intendiamo per diritto allo studio e quali sono i parametri secondo i quali è possibile affermare se questo è o no osservato. Se per rispetto del diritto allo studio in carcere intendiamo la possibilità offerta ai detenuti di frequentare corsi scolastici, è possibile dichiarare che il diritto allo studio è teoricamente rispettato in tutte le carceri nazionali, dato che, dalle informazioni raccolte, nel 98 per cento delle carceri italiane sono stati attivati corsi di istruzione, retti da volontari o istituzionalizzati. Ma se per reputare garantito il diritto allo studio in carcere intendiamo che tutti i detenuti che lo desiderano possono frequentare corsi scolastici e che gli stessi studenti detenuti sono posti nella condizione di poter effettivamente studiare, allora il diritto allo studio è ancora una chimera per la maggior parte della popolazione detenuta.

Non è sufficiente che siano stati attivati corsi di istruzione in tutte le carceri nazionali, il dato determinante è sapere se i corsi attivati soddisfano l'intera domanda proveniente della popolazione detenuta nazionale. Ed ancora è fondamentale sapere se gli studenti detenuti che frequentano i corsi scolastici sono posti nella condizione di poter studiare una volta che terminano le lezioni. Infatti, come tutti sappiamo, lo studio non è fatto solo di lezioni ma anche di applicazione individuale dello studente. Quindi il quesito a cui dare risposta è il seguente: "Possono gli studenti detenuti, tutti gli studenti detenuti, studiare una volta che lasciano le aule di lezione (ammesso e non concesso che tutti coloro che desiderano frequentare le lezioni siano posti nella condizione di accedere alle lezioni)? In merito al quesito se tutti i detenuti che desiderano frequentare la corsi scolastici possono farlo non ho purtroppo dati precisi, ma posso solo dedurli dalle informazioni raccolte dalla ricerca svolta. Infatti, se in media ciascuna classe di studenti detenuti è composta da 10-15 alunni, è chiaro che la possibilità di frequentare la scuola è riservata solo a questo numero di persone o ad un numero pari ai componenti di ciascuna classe moltiplicato per il numero delle classi esistenti. Visto che in pochissimi istituti sono attivati più di due corsi di istruzione e comunque mai per ciascun livello di scuola, facendo un rapido calcolo, in ciascun carcere, per ogni livello di istruzione, viene offerta la possibilità di andare a scuola al massimo solo a 20-30 detenuti. Considerando che la maggior parte degli istituti penitenziari è afflitta dalla piaga del sovraffollamento, quanti istituti penitenziari secondo voi ricevono un così limitato numero di richieste da detenuti che intendono frequentare corsi scolastici? Non mi è permesso di conoscere questo dato con esattezza ma credo che, visti i detenuti ad oggi presenti in ciascun carcere e considerato che sono spesso alla disperata ricerca di un modo utile di impiegare il loro tempo, gli istituti con un numero tanto limitato di richiedenti non siano più di dieci in tutto il territorio nazionale.

Passiamo adesso alla seconda parte del quesito. Rifacendomi sempre ai dati raccolti dalla mia ricerca e considerato che nessun istituto penitenziario, se non quelli presso i quali è stato attivato un polo universitario, ha indicato di avere allestito un luogo dove gli studenti detenuti possono dedicarsi allo studio, dato che per la maggior parte degli istituti penitenziari è spesso impossibile riservare una cella singola anche agli studenti iscritti all'università, figuriamoci agli altri, e considerando che quasi tutti gli istituti penitenziari sono in condizione di sovraffollamento, come è possibile pensare che gli studenti detenuti siano posti nelle condizioni di potersi dedicare alla loro attività di studenti in conformità al diritto allo studio riconosciutogli costituzionalmente? Allo stato attuale delle cose mi sento purtroppo tranquilla nell'affermare che, nella maggior parte degli istituti penitenziari italiani, il diritto allo studio non è assolutamente garantito, salvo in rari casi, vedi gli istituti dove è stato istituito un Polo universitario o gli istituti di piccole dimensioni, e comunque, anche in questi casi, il diritto allo studio è rispettato solo con riguardo a certi corsi, come quelli universitari o quelli della scuola dell'obbligo ...che è già qualcosa.

È necessario attivare più corsi scolastici in modo da soddisfare l'intera richiesta da parte della popolazione detenuta, creare sezioni in cui riunire coloro che sono impegnati nello studio e ricavare spazi comuni in cui gli studenti detenuti possono dedicarsi allo studio, ritagliandosi quel minimo di tranquillità necessaria per applicarsi sui libri.

Siamo ancora molto lontani dalla realizzazione di progetti di questo tipo e lo dico perché in molti casi sembra che le direzioni degli istituti penitenziari si accontentino di come stanno le cose, nascondendosi dietro la mancanza di fondi e di personale, convinte di non poter fare di più.

La pena deve tendere alla rieducazione del condannato, non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, l'istruzione è un diritto costituzionale ed un elemento del trattamento...

Reputo tutte queste ottime ragioni per lottare affinché le cose, anche se lentamente, cambino, riempiendo il significato di parole troppo spesso usate o, in alcuni casi, mai usate a dovere.