ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo secondo
Corsi di istruzione in carcere: la scuola dell'obbligo e quella superiore

Monia Coralli, 2002

2.1 La scuola dell'obbligo: corsi di scuola elementare e medie inferiori

L'articolo 34 della Costituzione indica, al comma secondo che "L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita". Oggi, con la legge n. 9 del 20 gennaio 1999 (G.U. n. 21 del 27/1/1999), il percorso scolastico obbligatorio è stato prorogato sino a dieci anni. (1) La portata ed il contenuto dell'articolo costituzionale menzionato sono state oggetto di studio nel capitolo precedente, ed in questa sede ci limiteremo ad illustrare come, l'Ordinamento penitenziario ed i regolamenti di esecuzione del 1976 e del 2000, hanno provveduto a garantire, negli istituti penitenziari, corsi di scuola obbligatori, ovvero corsi di scuola elementare, media inferiore ed il biennio di scuola superiore obbligatorio introdotto dalla legge n. 9/99. Nel corso di questa analisi presumiamo acquisite sia l'importanza trattamentale riconosciuta all'istruzione nonché il dato di fatto che l'istruzione inferiore è innanzi tutto un diritto costituzionale riconosciuto a ciascun individuo dall'articolo 34, comma uno, della Costituzione.

L'Ordinamento penitenziario del 1975, come più volte ricordato, detta all'art. 19, elementi generali in merito all'istruzione in carcere. Limitandoci alle indicazioni riguardanti i corsi di scuola dell'obbligo, osserviamo che, il primo comma di detto articolo, affronta l'argomento prevedendo che la formazione culturale dei soggetti, negli istituti penitenziari, sia curata "mediante l'organizzazione dei corsi della scuola dell'obbligo..., secondo gli orientamenti vigenti e con l'ausilio di metodi adeguati alla condizione dei soggetti". Abbiamo già esposto le perplessità suscitate dal modo in cui l'istruzione è stata affrontata nel testo dell'Ordinamento, ma sembra opportuno ribadire che in detto testo non è stato minimamente evidenziato che l'istituzione di corsi scolastici, a maggior ragione quelli obbligatori, è innanzi tutto un adempimento cui lo Stato è obbligato dall'articolo 33, comma secondo, della Costituzione, nel quale è sancito l'impegno dello Stato stesso di istituire scuole statali per tutti gli ordini ed i gradi. Infatti è bene sottolineare che l'art. 19 non impone alcun obbligo scolastico per i detenuti adulti in quanto, vista l'età degli stessi, per nessun detenuto l'istruzione è più un obbligo, nonostante la prassi dell'attestazione degli anni scolastici svolti non sia praticamente mai osservata. Il fatto che l'art. 19 dell'Ordinamento penitenziario abbia previsto che la formazione culturale in carcere sia curata attraverso l'organizzazione di corsi della scuola dell'obbligo è una semplice indicazione del livello di corsi da istituire all'interno degli istituti penitenziari e non una imposizione dell'obbligo scolastico a carico dei detenuti per i quali invece l'istruzione rimanendo essenzialmente un diritto.

Il primo comma dell'articolo 19 dell'Ordinamento penitenziario completa le indicazioni in merito ai corsi di scuola obbligatori, argomento che è stato affrontato con maggior precisione nei testi dei regolamenti di esecuzione del 1976 e del 2000. Iniziamo l'esame di tali testi partendo dal regolamento del 1976 e dal relativo articolo 39 che affronta il tema dei corsi di istruzione obbligatori. Questo articolo, al primo comma, prevede che "Il Ministero della Pubblica Istruzione, previe opportune intese con il Ministero di Grazia e Giustizia, impartisce direttive agli organi periferici della pubblica istruzione per l'organizzazione di corsi a livello della scuola d'obbligo".

È stato attribuito al Ministero della Pubblica istruzione, in coordinamento con il Ministero di Grazia e Giustizia, il compito di indicare, agli organi competenti per l'istruzione presenti sul territorio, le direttive che questi devono seguire al fine di attivare i corsi scolastici obbligatori negli istituti penitenziari. Il compito attribuito al Ministero della pubblica istruzione soddisfa quanto previsto dal dettato costituzionale, ex art. 33, secondo comma. L'articolo 39 del regolamento del 1976, prosegue al secondo comma, indicando: "I provveditori agli studi, sulla base delle indicazioni e delle richieste formulate dalle direzioni degli istituti penitenziari, dai presidi, dai direttori didattici, concertano, con l'ispettore distrettuale per gli istituti di prevenzione e di pena (2), la dislocazione ed il tipo di vari corsi a livello di scuola dell'obbligo da istituire nell'ambito del distretto, secondo le esigenze della popolazione penitenziaria". Il contenuto di questo comma evidenzia innanzi tutto la necessità, da parte della direzione dell'istituto penitenziario di provvedere ad una valutazione del grado di istruzione della popolazione reclusa presente nel proprio istituto e, in conseguenza dei risultati di tale attività di monitoraggio, la direzione stessa deve formulare, previo raccordo con il personale didattico-scolatico, le richieste necessarie a soddisfare le esigenze scolastiche rilevate. È doveroso sottolineare che a tutt'oggi è praticamente assente la prassi di accertare il grado di istruzione dei reclusi al momento dell'ingresso in carcere e quindi è spesso difficile avere a disposizione dati relativi alle esigenze scolastiche della popolazione detenuta presente in istituto. Il compito di soddisfare tali esigenze è attribuito al provveditore agli studi, di concerto con il P.R.A.P che insieme provvederanno a stabilire dove e come dislocare, nell'ambito del distretto di loro competenza, i diversi corsi di scuola dell'obbligo. Nel decidere la dislocazione ed il numero dei corsi scolastici da attivare, gli organi suddetti devono regolarsi in considerazione delle esigenze della popolazione detenuta, presente negli istituti penitenziari di loro competenza territoriale, nonché delle risorse didattiche disponibili.

L'articolo 39 prosegue, al terzo comma, prevedendo che "L'organizzazione didattica e lo svolgimento dei corsi sono curati dai competenti organi della pubblica istruzione. Le direzioni degli istituti forniscono locali e attrezzature adeguati e sollecitano i detenuti e gli internati alla frequenza dei corsi stessi". Una volta deciso il numero di corsi scolastici necessari a soddisfare le esigenze della popolazione reclusa e dopo che l'istituto penitenziario ha provveduto ad allestire i locali da adibire alle attività scolastiche, è possibile procedere all'avviamento delle attività didattiche. Tali attività si svolgevano secondo programmi decisi dagli organi della pubblica istruzione, confidando in una partecipazione attiva da parte degli studenti reclusi stimolata, oltre che dall'impegno personale di ciascuno di loro, dal supporto e dagli incentivi cui si è impegnata ad offrire l'amministrazione carceraria.

Infine l'articolo 39 del regolamento del 1976 termina con la seguente indicazione: "Per lo svolgimento dei programmi e per le attività integrative di essi, a richiesta delle direzioni degli istituti, può essere utilizzato, previa opportuna intesa con le autorità scolastiche, il contributo volontario di persone qualificate, le quali operano sotto la responsabilità didattica del personale della pubblica istruzione". In quest'ultimo comma rinveniamo l'intenzione di perseguire l'attivazione di corsi di istruzione obbligatori adatti alle esigenze effettive della popolazione del penitenziario. Infatti, qualora il servizio pubblico istituzionale non sia in grado di soddisfare adeguatamente le esigenze scolastiche rilevate, è previsto che possano essere autorizzati volontari qualificati disposti ad offrire la loro attività al fine di integrare e migliorare il servizio scolastico attivato.

Prima di analizzare come la tematica dei corsi di istruzione obbligatori è stata affrontata nell'attuale regolamento di esecuzione del 2000, è opportuno fare alcune osservazioni. Il regolamento di esecuzione del '76 prevedeva che le direttive generali in merito all'istruzione obbligatoria negli istituti penitenziari fossero una competenza diretta del Ministero della pubblica istruzione, d'intesa con il Ministero di Grazia e Giustizia. Con questa indicazione lo Stato, nella figura delle amministrazioni competenti coinvolte, adempiva formalmente, a quanto indicato al comma due dell'art. 33 della Costituzione. Nel rispetto delle indicazioni ministeriali, gli organi amministrativi competenti per territorio dovevano attivare i corsi scolastici obbligatori. I corsi istituiti nel distretto territoriale dovevano soddisfare le esigenze e le domande che provenivano dall'istituto penitenziario, testimoniando che i soggetti reclusi sono membri della società, nonostante siano stati momentaneamente collocati ai margini di essa. Un tale messaggio è di fondamentale importanza ma continua ad essere smentito dalla realtà. Restituire le persone recluse alla società, mantenerli all'interno della stessa prevedendo che la società penetri nell'ambiente carcerario, adempiendo del resto ai propri oneri, renderebbe concreto il messaggio che lo stato di reclusione non sospende né lo status di cittadino né quello di individuo. Questo faciliterebbe il reinserimento sociale, effettivo e completo, dell'individuo stesso, attenuando l'influenza anti-educativa della sua esclusione forzata realtà.

Come sottolinea Donald Clemmer, il mondo del detenuto è un "mondo atomizzato" (3) dove i valori riconosciuti producono una miriade di attitudini configgenti. In questo "mondo atomizzato" non ci sono obbiettivi comuni definiti, l'inganno e la disonestà sovrastano la simpatia e la cooperazione. È un mondo di individui in balia di frustrazioni, infelicità, smania, rassegnazione, amarezza, astio e vendetta, le cui relazioni quotidiane sono personalizzate: è un mondo di "io", "me" e "mio". In questo mondo, dove il disinteresse è sempre presente, condito da sporcizia, puzza e sciatteria arrivano i detenuti appena condannati o coloro che attendono di essere giudicati. I nuovi arrivati penetrano nel gruppo dei 'già reclusi' e si fondono con essi. Inizia così il processo di prigionizzazione, ovvero "l'assunzione in grado maggiore o minore del folklore, dei modi di vita, dei costumi e della cultura generale del penitenziario" (4). Ogni uomo che entra in un penitenziario subisce, in una certa misura, la prigionizzazione. Essa investe innanzi tutto lo status di ciascun recluso, che diventa una figura anonima in un gruppo subordinato, amministrato dall'ambiente. L'apparente effetto riabilitante che la vita carceraria ha nei confronti di qualcuno avviene a dispetto delle sicure influenze dannose della cultura carceraria. Secondo il grado di prigionizzazione che un individuo raggiunge è possibile per questo lasciarsi o meno alle spalle l'esperienza della reclusione. Alcuni di questi soggetti, anche se in rarissimi casi, dimostrano la loro sincerità di riabilitarsi con il loro comportamento, scivolando fuori da quei gruppi di vita che li avevano precedentemente deviati, evitando stretti contatti con altri individui, cominciando nuovi studi e facendo progetti per una vita onesta una volta liberati.

Analizziamo adesso quanto indicato nel regolamento di esecuzione del 2000 il quale ha confermato ed ampliato, in merito ai corsi di istruzione obbligatoria in carcere, la disciplina prevista dal regolamento del '76, dedicando l'art. 41 del proprio testo interamente a questo argomento. Il primo comma (5) di questo articolo conferma il contenuto del primo comma dell'articolo del regolamento del 1976, salve alcune minime precisazioni. È previsto che l'attivazione, lo svolgimento ed il coordinamento dei corsi di istruzione inferiore obbligatoria siano realizzate, preferibilmente sulla base di protocolli d'intesa tra i ministeri preposti a tali adempimenti. Questa procedura consente di assicurare maggiore stabilità ed efficacia alla concreta realizzazione dei corsi. Inoltre è stato precisato che le direttive del Ministero della pubblica istruzione, d'intesa con il Ministero di grazia e giustizia, siano impartite agli organi periferici della pubblica istruzione al fine di organizzare i corsi di scuola obbligatoria "salvo quanto previsto dall'articolo 43, comma 1, relativamente alla scolarità obbligatoria nei corsi di istruzione secondaria superiore". I corsi di scuola superiore sono oggetto di studio del prossimo paragrafo ma è opportuno trattare in questa sede il biennio di studi divenuto obbligatorio con la legge n. 9 del 1999. Tale biennio, nonostante la sua obbligatorietà, non è sottoposto alla regolamentazione prevista dall'articolo 41 del regolamento del 2000. Le direttive generali che i ministeri competenti danno in merito agli studi obbligatori inferiori non si estendono al biennio di scuola superiore obbligatorio. Questo corso di studi è soggetto alla normativa prevista dal primo comma (6) dell'articolo 43 del regolamento di esecuzione del 2000. Da ciò si rileva che la disciplina in merito all'attivazione dei corsi scolastici obbligatori, espressamente prevista anteriormente all'entrata in vigore del regolamento del 2000, non è dettata in considerazione del requisito dell'obbligatorietà di tali corsi bensì del livello di istruzione degli stessi.

A conferma di quanto detto, l'articolo 43 del regolamento di esecuzione del 2000, al primo comma si esprime in questo modo "I corsi di istruzione secondaria superiore, comprensivi della scolarità obbligatoria prevista dalle vigenti disposizioni, sono organizzati, su richiesta dell'Amministrazione penitenziaria, dal ministero della pubblica istruzione a mezzo delle succursali di scuole del predetto livello in determinati penitenziari". Mentre l'articolo 41 prevede che necessariamente il Ministero della pubblica istruzione, d'intesa con il Ministero della giustizia impartisca direttive per l'organizzazione dei corsi di istruzione inferiore obbligatoria, l'articolo 43 prevede che i corsi di istruzione secondaria obbligatoria, al pari di quelli dello stesso grado, ma non obbligatori, siano attivati sì dal Ministero della pubblica istruzione ma previa richiesta dell'Amministrazione penitenziaria. Questa sottile differenza nasconde un considerevole valore pratico: in un caso il Ministero della pubblica istruzione deve azionarsi autonomamente al fine di gestire l'attivazione dei corsi scolastici obbligatori, mentre nell'altro, lo stesso Ministero si attiva solo su richiesta dell'Amministrazione penitenziaria. Rimane oscuro perché il biennio di scuola obbligatorio non sia stato assoggettato alle stesse procedure previste per i corsi di scuola inferiore, come esso obbligatori. Il significato del termine "obbligatorio" non è ambiguo, ma in questo caso lo diventa.

La seconda parte del primo comma dell'articolo 43, in merito ai corsi di scuola secondaria obbligatoria, prevede che la dislocazione delle succursali delle scuole di tale grado sia "decisa con riferimento alle indicazioni del protocollo d'intesa di cui al comma 1 dell'articolo 41, assicurando la presenza di almeno una delle succursali predette in ogni regione". Alla luce di questo enunciato, le direttive ministeriali aventi ad oggetto i corsi di scuola secondaria superiore affrontano solo il problema della dislocazione delle succursali delle scuole superiori. Inoltre non è indicato alcun criterio in base al quale differenziare la dislocazione dei corsi del biennio superiore obbligatorio rispetto a quelli del restante triennio facoltativo. Questo implica che, coloro i quali devono obbligatoriamente seguire il biennio superiore sono costretti a trasferirsi, al pari di coloro che desiderano frequentare il triennio superiore facoltativo, nell'istituto regionale in cui è prevista l'attivazione di questi corsi. Da quanto detto emerge che i testi normativi continuano a non garantire né l'incondizionato esercizio del diritto allo studio né l'altrettanta incondizionata possibilità di assolvere, da parte del cittadino recluso, al proprio dovere di conseguire il grado di istruzione obbligatoriamente richiesto. Il secondo comma (7) dell'articolo 41 del regolamento del 2000 ricalca sostanzialmente il secondo comma dell'articolo 39 del precedente regolamento di esecuzione, aggiornandone il contenuto in seguito alle modifiche normative nel frattempo intervenute. La figura dell'"ispettore distrettuale per gli istituti di prevenzione e di pena" è stata sostituita, in seguito agli articoli 32 e 33 della legge n. 395/1990, da quella del provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria. Il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria deve disporre, di concerto con il dirigente dell'ufficio scolastico regionale, la dislocazione ed il tipo di corsi, a livello di scuola dell'obbligo inferiore, da istituire dell'ambito del provveditorato (termine quest'ultimo usato in sostituzione di "distretto" presente nel precedente testo regolamentare del '76), nel rispetto delle richieste formulate dai dirigenti scolastici e dalle direzioni degli istituti penitenziari del territorio, espresse in considerazione delle esigenze della popolazione penitenziaria presente nelle carceri del territorio di sua competenza. Il terzo comma (8) dell'articolo in esame conferma le indicazioni del terzo comma dell'articolo 39 del precedente regolamento, mutando minimamente l'espressione usata e rinviando, al comma quattro dello stesso articolo, il compito della direzione dell'istituto penitenziario di sollecitare la partecipazione dei reclusi ai corsi di scuola dell'obbligo inferiore. Il comma quattro (9) infatti attribuisce alla direzione degli istituti penitenziari la cura di informare adeguatamente, i detenuti e gli internati, dello svolgimento dei corsi scolastici nonché di favorire la più ampia partecipazione di questi soggetti a detti corsi. L'informazione adeguata avviene utilizzando mezzi discrezionalmente scelti dalla direzione. Spesso questa decide di informare attraverso avvisi scritti affissi nelle bacheche delle varie sezioni dei reparti dell'istituto, oppure attraverso informazioni date personalmente dagli operatori dell'area trattamentale, e ancora attraverso l'attività degli scrivani, ovvero di quei detenuti che lavorano in ciascun reparto e che si occupano di aiutare gli altri detenuti a preparare istanze, a scrivere lettere e che dovrebbero essere in grado di dare informazioni di diverso genere, tra cui quelle in merito alle diverse attività trattamentali attive nell'istituto ed a come è possibile accedervi. Un ulteriore mezzo di informazione che comunque è sempre presente è il "passaparola", ovvero il passaggio della informazioni tra detenuto e detenuto avviene direttamente con il semplice dialogo tra questi.

Nel comma in esame sono poi affrontate altre due questioni che erano state completamente ignorate nel testo regolamentare del 1976: la non sovrapponibilità delle attività trattamentali e la regolamentazione dei trasferimenti degli studenti reclusi. La precisazione del principio di non sovrapponibilità delle attività trattamentali è stato un notevole passo avanti, ma il modo con cui detto principio è stato disciplinato non può definirsi soddisfacente. Le attività trattamentali devono essere attivate in modo da permettere al maggior numero di soggetti reclusi di parteciparvi ma prima di tutto è opportuno distinguere i vari tipi di attività. L'istruzione, al pari del lavoro, non è solo un'attività trattamentale irrinunciabile, ma un diritto costituzionale. L'esercizio di tale diritto, come quello al lavoro, nonostante si esplichi all'interno di un istituto penitenziario, non può essere subordinato alle esigenze organizzative dell'ambiente. L'autorevolezza della Costituzione non può essere svilita dalle esigenze amministrative del penitenziario ma solo coordinarsi con esse. Che un cittadino, anche se recluso, sia posto di fronte alla scelta di usufruire o meno di un proprio diritto a scapito dell'esercizio di un altro è, a parer mio, inconcepibile, come lo è porre questa scelta sullo stesso piano di quella se accedere o meno ad attività esclusivamente trattamentali. Al fine di chiarire quanto appena detto è opportuno riportare una parte del comma quattro dell'articolo 41: "Le direzioni curano che gli orari di svolgimento dei corsi siano compatibili con la partecipazione di persone impegnate in attività lavorativa o in altre attività organizzate nell'istituto". Da tale enunciato emerge sì il principio di non sovrapponibilità delle varie attività del trattamento ma continua ad essere assente una differenziazione tra quelle attività che prima di tutto sono l'esercizio di diritti e quelle che invece sono mere attività trattamentali. Evitare di porre il soggetto recluso di fronte alla scelta se esercitare il proprio diritto all'istruzione o al lavoro è essenziale, in quanto trattasi entrambi di diritti costituzionali, mentre porre al recluso la scelta se seguire o meno il corso di teatro, la palestra o altro, è qualcosa di assolutamente diverso. Queste ultime attività, insieme a molte altre dello stesso genere, sono rilevanti sotto il profilo trattamentale e rieducativo della pena. La loro importanza è indubbia, ma l'impossibilità di parteciparvi non viola, di per se, alcun diritto, bensì il fine cui la pena deve tendere, ovvero la rieducazione del condannato. Rinunciare, scegliere, ponderare il valore delle cose è una capacità fondamentale che ciascun individuo deve acquisire durante il proprio percorso di crescita, ma tale scelta in merito all'esercizio di diritti individualmente riconosciuti deve essere libera e propria del titolare del diritto stesso. Esistere implica scegliere, assumersi la responsabilità delle proprie opzioni, ma scegliere presuppone la possibilità di accedere ad alternative. I diritti non sono solo alternative, ma spazi, poteri, facoltà, pretese riconosciute a persone che ne devono poter usufruire condizionati solo dalle proprie valutazioni. La stessa problematica si presenta anche al quinto comma dell'articolo 45 del regolamento in vigore. In questo comma è ribadito che, ove non sia possibile gestire diversamente tempi e spazi, i corsi di scuola dell'obbligo possono svolgersi anche durante le ore dedicate al lavoro. Questa eventualità, non dovrebbe essere prevista! La Costituzione ricordiamo, riconosce il diritto al lavoro e all'istruzione, impone l'istituzione di scuole statali per tutti i gradi ed ordini nonché l'obbligo di frequentare i corsi di scuola obbligatori. In carcere tali diritti e doveri sono condizionati da vuoti drammatici quali la costante carenza di attività lavorative, di personale e di spazi. Come può una persona, in carcere, scegliere liberamente di seguire la scuola, a scapito del lavoro, se verte in una condizione economica critica e non può contare su alcun supporto economico all'esterno? Il vitto giornaliero e quant'altro previsto come gratuito dal regolamento penitenziario consente solo sulla carta una vita dignitosa al recluso: il livello qualitativo, nonché quantitativo di quasi tutto ciò che è previsto come gratuito è, a dir poco, indecente.

La soddisfazione di qualunque esigenza non appagabile in modo gratuito, anche se essenziale, è a carico del recluso che l'avverte, sia essa un'esigenza alimentare, di vestiario, medica o altro. Non è questa la sede per affrontare il problema del lavoro e delle risorse economiche necessarie a garantire ai reclusi una vita dignitosa, è sufficiente comprendere come, in considerazione della realtà sopra accennata, e che purtroppo accomuna la maggior parte della popolazione detenuta, la scelta di seguire o meno i corsi scolastici non può essere libera. Nella società "libera" le scuole presentano i requisiti essenziali al fine di rendere concretamente fruibile il servizio scolastico. Detto servizio scolastico non è altrettanto fruibile da chi è in carcere. Ne consegue che, se tali servizi sono limitatamente e, spesso, condizionatamente accessibili da chi è recluso, come si può considerare adempiuto quanto previsto dalla Costituzione? Nei testi normativi, anche i più recenti, continuano ad essere previste vie di fughe che giustificano il perdurare di tali inadempienze. Per vie di fuga intendo tutte quelle espressioni linguistiche come "possono", "nel caso in cui non sia possibile" ed altre di questo genere che consentono, all'amministrazione carceraria una flessibilità tale da fare scomparire ogni tipo di garanzia per i detenuti. Queste sono problematiche aperte e gravi cui si dovrebbe dare, prima possibile, soluzioni concrete, nel rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà.

L'altra questione considerata dal comma quattro dell'articolo 41 è il problema dei trasferimenti degli studenti reclusi impegnati in attività di studio. La mobilità dei detenuti è certamente una delle cause che inducono maggiormente la discontinuità negli studi degli studenti in carcere. Il quarto comma indica espressamente che sono esclusi, quando possibile, dai provvedimenti di trasferimento, anche per esigenze di sfollamento, coloro che sono impegnati in attività scolastiche. In ogni caso è previsto che, qualora la direzione dell'istituto ritenga opportuno procedere al trasferimento di uno studente detenuto, questa deve acquisire il parere degli operatori dell'osservazione e trattamento, nonché quello delle autorità scolastiche. Tali pareri devono essere uniti alla proposta di trasferimento e trasmessi, insieme alla stessa, agli organi competenti a decidere in merito al trasferimento. Nel caso in cui il trasferimento sia disposto, questo deve essere attuato, per quanto possibile, in un istituto che assicuri alla persona trasferita il proseguimento dell'attività scolastica intrapresa.

Non possiamo mancare di riconoscere l'estrema diplomazia adottata nell'affrontare il problema in questione. Nel testo del quarto comma dell'articolo 41 ricorre troppo spesso l'espressione "in quanto possibile" per reputare riconosciuta, al soggetto recluso, una tutela effettiva del proprio diritto all'istruzione. Questo comma prevede un iter che, se attuato, può garantire l'esercizio di tale diritto ma con l'utilizzo dell'espressione "in quanto possibile", qualora l'amministrazione penitenziaria non riesca, per qualunque motivo, a rispettare quanto previsto dal comma quattro in questione, le disposizioni in merito all'istruzione rimangono solo un proposito formale, a cui non segue un'effettiva attuazione. Parole sulla carta che non trasmettono sicurezza né rispetto per la persona reclusa. Parole che non sono in grado di garantire niente altro che una possibilità e mai un diritto. L'espressione "in quanto possibile" non può mai garantire l'esercizio di un diritto costituzionale, tanto più in carcere, dove le possibilità sono decise e valutate da altri. Il problema è che in carcere il diritto allo studio non riceve una tutela giurisdizionale quale spetta a tutti i diritti, attraverso il contraddittorio e l'intervento del magistrato, ma viene affidato ad una tutela paternalistica dell'amministrazione penitenziaria come un qualsiasi elemento del trattamento. Se un diritto è stato riconosciuto deve essere esercitabile, altrimenti viene relegato al rango di interesse, o, in un ambiente come quello carcerario, a mera opportunità trattamentale.

Il quinto comma (10) dell'articolo 41 del regolamento di esecuzione del 2000 riprende il concetto espresso dall'ultimo comma dell'articolo 39 del regolamento del 1976, prevedendo che, previa intesa tra le autorità scolastiche e la direzione dell'istituto, può essere accettato il contributo di volontari qualificati che, agendo sotto la responsabilità didattica del personale scolastico, integrano e/o spesso colmano eventuali carenze nell'attivazione dei corsi scolastici obbligatori. La portata di questo comma è stata oggetto di riflessione nel corso dell'esame dell'articolo 39 del regolamento del '76 e dato che il contenuto di tale disposizione è stato integralmente ricalcato nel regolamento attuale, si rinvia a quanto detto sopra.

Infine il sesto (11) ed ultimo comma dell'articolo in esame, introduce un'importante innovazione: la costituzione di una Commissione didattica. Tale Commissione ha compiti consultivi e propositivi, previsti allo scopo di attuare un raccordo tra le diverse forze impegnate nell'area trattamentale. La Commissione, è prevista come strumento attraverso il quale programmare, in modo costante e coordinato, il percorso scolastico-trattamentale. Perseguendo progetti annuali, o meglio pluriennali, è possibile garantire maggiore stabilità allo svolgimento dell'attività scolastica. Inoltre la Commissione consente ai propri componenti, operatori dell'area trattamentale, insegnanti nonché il direttore dell'istituto, a cui ne è stata affidata la presiedenza, di scambiarsi pareri, opinioni, affrontando problematiche ed ipotizzando soluzioni al fine di attuare un servizio scolastico efficace e rispondente alle esigenze proprie della popolazione reclusa, di volta in volta, in istituto. Fare periodicamente il punto della situazione carceraria a livello trattamentale, consente di avere sotto controllo la realtà presente nell'istituto. La gestione dei corsi scolastici all'interno degli istituti penitenziari presenta problematiche assolutamente diverse da quelle dei corsi all'esterno. La difficoltà di interloquire con persone adulte e spesso disabituate allo studio, l'improvviso ricambio dei componenti di una classe, la difficoltà di gestire gli umori e le menti di questo tipo di studenti costantemente o ciclicamente in balia dell'influenza altalenante dell'ambiente carcerario nonché dei momenti giudiziari che devono affrontare, sono tutti elementi che rendono particolare l'attività dell'insegnamento in carcere. Ogni professore, oltre ad aver seguito il corso di specializzazione (12) previsto dal Decreto Legislativo n. 297 del 1994, per gli insegnanti che esercitano la loro attività in carcere, deve adattare il proprio metodo di insegnamento coordinando le esigenze didattiche con quelle proprie di ciascuno studente recluso. A tal fine diviene essenziale lo scambio di opinioni tra i diversi operatori del trattamento: ciascuno di loro, in merito alle proprie competenze ed esperienze, può aiutare l'altro a completare la descrizione di ogni singolo studente detenuto, lavorando in sinergia e perseguendo programmi trattamentali realmente individualizzati.

Nel contesto dell'istruzione di base un ruolo fondamentale è oggi rivestito dai corsi di lingua italiana per stranieri (13). L'apprendimento della lingua italiana per i detenuti stranieri è un presupposto fondamentale al fine di attuare, nei riguardi di queste persone, programmi trattamentali adeguati. Attraverso la conoscenza della lingua italiana si offre a questi soggetti la possibilità di comprendere meglio la realtà che stanno vivendo, di accedere a corsi di formazione professionale spesso necessari al fine di prepararsi all'ammissione di eventuali misure alternative. Inoltre l'apprendimento della lingua è di fondamentale importanza per consentire ai detenuti stranieri, una volta liberi, un più adeguato ingresso nella società, sia italiana che non. In ogni caso, leggere, ampliare il proprio bagaglio culturale è necessario per comprendere il passato ed il futuro, acquisendo il coraggio di perseguire le proprie idee e la pazienza necessaria per attenderne i frutti.

2.2 La scuola superiore: dal biennio obbligatorio al diploma di maturità

In questo paragrafo esamineremo la disciplina che l'Ordinamento penitenziario ed il regolamento di esecuzione del '76 e poi quello del 2000 dettano per gli studi di istruzione superiore. L'articolo 19 dell'Ordinamento penitenziario, come più volte ribadito, affronta il tema dell'istruzione in carcere in modo estremamente generico. Questo è vero anche per l'istruzione superiore, che infatti è trattata esclusivamente nel terzo comma (14) dell'articolo in questione.

Il legislatore si è limitato a prevedere la possibilità di istituire scuole di istruzione secondaria di secondo grado all'interno degli istituti penitenziari, nel rispetto delle procedure previste dagli ordinamenti scolastici. Questo è tutto quanto il testo dell'Ordinamento penitenziario dice espressamente in tema dell'istruzione superiore. In questo comma non troviamo alcun cenno al biennio di scuola secondaria superiore obbligatorio previsto dalla legge n. 9/1999, né di tale argomento troveremo naturalmente traccia nel testo del regolamento di esecuzione del 1976. Solo il primo comma dell'articolo 43 del regolamento di esecuzione del 2000, che abbiamo già analizzato nel paragrafo precedente contiene indicazioni in merito al biennio di scuola superiore obbligatorio.

Tornando al testo dell'Ordinamento penitenziario, la seconda parte del quarto comma dell'articolo 19, prevede che "è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione". Nonostante la parte iniziale di detto comma sia dedicata ai corsi universitari od a corsi a questi equiparati, nella seconda parte, sopra riportata, non è stato specificato che i corsi per corrispondenza, radio o televisione indicati debbano affrontare gli studi del livello di cui alla prima parte di questo comma. In considerazione di tale mancata precisazione, è possibile interpretare che i mezzi didattici alternativi previsti nella seconda parte del comma in questione, possano essere utilizzati per tutti i corsi scolatici, compresi quelli di scuola secondaria superiore.

L'articolo che il regolamento del '76 dedicava ai corsi si istruzione secondaria di secondo grado è il n. 41. Tale articolo, al primo comma (15) prevedeva che i corsi scolastici in esame fossero organizzati, previa richiesta dell'Amministrazione penitenziaria, dal Ministero della pubblica istruzione. L'attivazione di detti corsi doveva avvenire attraverso l'istituzione, prevista solo in determinati istituti penitenziari, di succursali di scuole del predetto livello. Questa disposizione prevedeva implicitamente che i detenuti o gli internati che desideravano frequentare la scuola superiore, dovevano essere riuniti negli istituti dove erano state istituite le predette succursali delle scuole di tale grado. Il 21 maggio 1987 è stata emanata una Circolare Ministeriale con la quale "I direttori degli istituti penitenziari sono invitati a tenere presente l'esistenza di detti corsi per favorire la partecipazione di detenuti eventualmente interessati alla frequenza proponendone il trasferimento" (16). La circolare ha inoltre previsto che in ogni regione fosse disponibile almeno un corso di scuola superiore, al fine di agevolare la partecipazione dei detenuti a tali attività scolastiche, senza indurli a trasferimenti troppo lunghi. Prima di addentrarci nell'esame del primo comma dell'articolo 41 e della relativa circolare, aggiungiamo che il secondo comma (17) dell'articolo 41 indicava che potevano accedere ai corsi di scuola superiore coloro che erano in possesso del necessario titolo di studio, che avevano manifestato una "seria aspirazione" di proseguire il proprio percorso scolastico e che dovevano permanere in stato di reclusione per un periodo di tempo non inferiore ad un anno scolastico.

Il contenuto dei primi due commi dell'articolo 41 del regolamento del 1976, nonché della circolare ministeriale citata, evidenziano come diversi aspetti dei corsi di istruzione secondaria erano trattati in modo poco soddisfacente. Uno di questi è la considerevole scarsità numerica dei corsi di scuola superiore organizzati negli istituti penitenziari: è infatti previsto che tali corsi siano attivati solo in determinate carceri. Problema che non è sempre facile aggirare mediante il sistema delle convenzioni di appoggio ad istituti scolastici esterni previsti dal comma quattro dell'articolo 41 del regolamento di esecuzione. Questo implica che il diritto allo studio spesso era subordinato al trasferimento nell'istituto penitenziario in cui tali corsi erano stati attivati, sottoponendo l'aspirante studente recluso a tutte le conseguenze che un trasferimento ha, innanzi tutto, sulla persona nonché sugli altri aspetti del trattamento. Al fine di limitare il più possibile tali ripercussioni, è intervenuta la circolare ministeriale citata. Leggendo il testo di detta circolare si può avere il sospetto che chi l'ha scritta non sia mai entrato in un carcere. Prevedere che un detenuto al fine di poter frequentare la scuola superiore debba essere trasferito in un carcere diverso, anche se nella stessa regione dell'istituto in cui si trova al momento, è a dir poco inaudito. Il fatto che la regione dell'istituto in cui lo studente detenuto deve trasferirsi rimanga la stessa limita alcune ripercussioni negative che un trasferimento di per se implica, ma considerando le troppe difficoltà che comunque persistono, non si può ritenere che la soluzione prevista dalla circolare, in conformità a quanto espresso dal comma primo dell'art. 41, garantisca l'esercizio del diritto allo studio al detenuto. Il trasferimento in un diverso istituto penitenziario destabilizza ciascun recluso e non è pensabile che, al fine di esercitare un proprio diritto, come quello di usufruire del servizio pubblico scolastico, una persona debba subire un tale sacrificio. L'acquisizione di una certa confidenza con una struttura penitenziaria spesso richiede settimane, mesi se non anni. Abituarsi all'ambiente, ai reparti, ai compagni di sezione e di cella, ai tempi, ai ritmi, agli operatori del trattamento, al personale di sicurezza e quant'altro caratterizza la vita in ciascun istituto di pena, impone uno stravolgimento mentale e fisico a ciascun recluso. Ogni istituto ha la propria realtà, anche se a pochi chilometri di distanza da un altro. Considerando quella che era l'ordinaria prassi dei trasferimenti non va dimenticato che essi possono per converso costituire un "grave ostacolo" (18) ad una compiuta frequenza dei corsi, vanificando la stabilità didattica per quei detenuti e quegli internati che vi partecipano. A tale riguardo è intervenuta la circolare ministeriale del 24 aprile 1989, che riguarda in generale tutti i detenuti che frequentano corsi scolastici e professionali, con la quale si raccomanda che "nei limiti del possibile, e sempre nel rispetto delle esigenze di sicurezza" nei confronti di chi è impegnato in questo settore, si eviti di procedere a spostamenti che possano compromettere l'assolvimento degli impegni connessi all'istruzione. Infatti dando per scontato che un trasferimento rappresenta per il detenuto una rottura con l'ambiente penitenziario nel quale è inserito, l'eventuale trasferimento che avviene durante lo svolgimento di un corso scolstico iniziato, oltre alla rottura con l'ambiente penitenziario produrrà anche l'interruzione dell'attività didattica intrapresa, che nel migliore dei casi proseguirà nel nuovo istituto gravando comunque il detenuto trasferito del peso di doversi riadattare ad un nuovo programma di studi rispetto a quello già iniziato.

Inoltre, al fine di consentire al detenuto aspirante studente di esercitare il proprio diritto allo studio, era richiesto che questi avesse manifestato una "seria aspirazione alla prosecuzione degli studi" e che dovesse rimanere in stato di reclusione almeno per il tempo di un anno scolastico. Riguardo a detti requisiti potremmo dilungarci per pagine intere ma in questa sede ci limiteremo a proporre qualche spunto di riflessione. Se il diritto costituzionale allo studio, come è stato ampiamente sottolineato, riconosce a tutti la facoltà di usufruire del servizio scolastico statale istituito, perché l'esercizio di tale diritto, da parte di un soggetto recluso, è subordinato alla manifestazione della sua seria aspirazione di proseguire gli studi? Perché detta "seria aspirazione" non è prevista per gli studenti in libertà, ai quali è concesso scegliere se trascorrere o meno sui banchi di un istituto scolastico superiore l'intera adolescenza se non di più? Ed ancora, per qual motivo è richiesto al soggetto recluso di "garantire", in qualche modo, la propria presenza costante ai corsi, quando la stessa richiesta non è assolutamente ipotizzata per nessuno studente libero? L'esercizio del diritto di fruire del servizio scolastico superiore può essere liberamente interrotto da ciascuno studente che frequenta un corso di tale grado all'esterno, perché la stessa possibilità non è riconosciuto anche allo studente recluso? Consideriamo inoltre che studente recluso, vista la sua condizione, non sempre è in grado di quantificare la permanenza del proprio stato di "non libertà" sia a causa del lungo periodo di tempo che assai spesso può trascorrere in custodia cautelare, sia perché può accadere che lo stesso soggetto, in seguito all'introduzione della legge "Gozzini" n. 663 del 1986, sia ammesso ad una misura alternativa alla detenzione. Premesso questo ed in considerazione del fatto che la legge Gozzini è successiva sia all'Ordinamento penitenziario del 1975 che al regolamento di esecuzione del 1976, i corsi di istruzione superiore di fatto erano riservati a coloro che erano stati condannati a pene considerevoli ed, a maggior ragione dopo l'entrata in vigore della legge Gozzini, il dato di fatto di dover scontare una condanna lunga era, ed è, l'unica ipotesi in cui l'accesso ad una misura alternativa può verificarsi solo in una fase avanzata della carcerazione. Inoltre è importante osservare che non era stata considerata la possibilità di continuare gli studi intrapresi in carcere all'esterno, al fine di concludere l'anno scolastico intrapreso, né in caso di ritorno in libertà che in caso di esecuzione della condanna in misura alternativa. L'unica occasione di poter completare l'anno scolastico iniziato in carcere era quella di continuare a stare in carcere.

Tutte le limitazioni e le condizioni sopra enunciate, non permettevano allo studente recluso di esercitare liberamente il proprio diritto allo studio, contravvenendo così al dettato costituzionale che, ricordiamo, non indica alcuna limitazione, indotta da condizioni personali o di altro genere, all'esercizio di tale diritto.

Il terzo comma (19) dell'articolo 41 del regolamento di esecuzione del '76 prevedeva, anche in merito all'attivazione dei corsi di scuola superiore, il contributo volontario di persone qualificate che potevano integrare l'attività didattica necessaria al fine di perseguire l'effettività di detti corsi scolastici. Il quarto comma (20) prevedeva, a favore di quei detenuti che non possono seguire i regolari corsi di istruzione attivati nell'istituto penitenziario, anche se imputati, la possibilità di essere assistiti, durante l'attività di studio individuale, da insegnanti di una scuola superiore presente sul territorio. Questo era possibile previa intesa tra la direzione del carcere e la presidenza della scuola individuata. In questo modo si consentiva anche a coloro che non potevano essere ammessi alla frequenza dei corsi regolari di esercitare il proprio diritto allo studio. Diverse possono essere le situazioni che precludono, ad uno studente recluso, la frequenza dei corsi regolari istituiti all'interno del penitenziario. Normalmente negli istituti penitenziari, siano essi Case Circondariali (C.C.), ovvero strutture destinate a contenere coloro che non sono condannati definitivamente e coloro che riportano condanne in ultimo grado, quindi definitive, o Case di Reclusione (C.R.), ovvero istituti per lo più destinati a persone condannate in modo definitivo, sono spesso presenti sezioni dedicate a detenuti che sono sottoposti alla limitazione di non potersi incontrare con i detenuti delle altre sezioni. Pensiamo a chi è sottoposto alla limitazione del "divieto di incontro", oppure a chi si trova in una "sezione protetta" (21) e così via. Il quarto comma consentiva di evitare che questi studenti detenuti, oltre alla limitazione impostagli in conseguenza del tipo di condanna subita o per incompatibilità con altri membri della sezione o per motivi di sicurezza, sanitari nonché disciplinari, potessero essere ulteriormente penalizzati sotto l'aspetto umano e trattamentale.

Il penultimo comma (22) dell'articolo 41 prevedeva che fossero stabilite opportune intese con le autorità scolastiche in modo tale da concedere la possibilità, agli studenti negli istituti penitenziari, di sostenere, da privatisti, gli esami previsti per i vari corsi. La presente disposizione garantiva alla persona reclusa di usufruire, se non del supporto didattico che gli sarebbe spettato, almeno della possibilità di essere valutato, nel corso della propria preparazione scolastica da autodidatta, da una commissione competente.

L'articolo 41 del regolamento di esecuzione del 1976 terminava prevedendo l'esonero dal lavoro degli studenti detenuti durante l'orario dedicato alla frequenza dei corsi scolastici superiori istituiti, nonché la possibilità di esonerare dal lavoro, qualora ne avessero fatta richiesta, gli studenti impegnati individualmente in studi dello stesso livello, spesso con il sostegno, durante la preparazione degli esami da privatisti, di insegnanti volontari. Ricordiamo che rifiutare un impegno lavorativo all'interno di un carcere implica generalmente per il detenuto ripercussioni a livello trattamentali perché viene considerata come una mancanza di collaborazione al programma di rieducazione stabilito. La superficialità con cui è stato affrontato il problema della non sovrapponibilità delle attività trattamentali, nonché la mancata differenziazione e salvaguardia di quelle attività trattamentali che prima di tutto sono diritti, come il lavoro e l'istruzione, sono stati argomenti di riflessione nel precedente paragrafo. Infatti, anche se il grado di istruzione che stiamo trattando è diverso da quello oggetto del paragrafo a cui si rinvia, siamo comunque di fronte al diritto all'istruzione costituzionalmente previsto, a cui è stata riconosciuta valenza esclusivamente trattamentale ma che prima di tutto è un diritto.

Il D.P.R. n. 230 del 2000, attualmente in vigore, dedica alla disciplina dei corsi di istruzione superiore l'intero art. 43, anche se purtroppo molti commi di detto articolo ricalcano perfettamente il contenuto di quelli del regolamento appena esaminato, lasciando ancora irrisolti tutti i quesiti aperti che ci siamo posti nel corso dell'esame appena concluso del regolamento del '76. Questo testimonia una staticità del pensiero in materia penitenziaria nonché un permanente atteggiamento arretrato in questo campo. Il primo comma dell'art. 43 articolo è già stato oggetto di studio nel paragrafo precedente, in quanto affronta il tema del biennio di scuola superiore obbligatorio, introdotto ex art. 1 della legge n. 9 del 1999 ed è stato perciò preferibile affrontare la disciplina di detti corsi di studio nel paragrafo dedicato agli studi della scuola dell'obbligo. Il secondo comma dell'articolo 43 riprende il contenuto del secondo comma dell'articolo del regolamento del '76 sopra trattato, ribadendo la necessità di ammettere ai corsi di scuola superiore gli studenti detenuti che hanno "manifestato una seria aspirazione allo svolgimento di detti studi" nonché coloro che dovranno permanere in stato di reclusione per il tempo di almeno un anno scolastico. Le perplessità di tali enunciati sono state sollevate nel corso dell'esame del regolamento del '76, così ci limitiamo a ribadirle.

Tutti gli altri commi dell'articolo 43 del regolamento del 2000 riportano esattamente il contenuto dell'articolo del regolamento del '76 fatto salva l'introduzione, al comma tre dell'art. 43 del regolamento in vigore, della commissione didattica prevista al comma sei dell'articolo 41 dello stesso testo regolamentare, di cui abbiamo discusso l'importanza e la funzione nel precedente paragrafo. È importante sottolineare che il regolamento di esecuzione del 2000 è successivo alla legge Gozzini n. 663/1986 che, come ricordato in precedenza, ha introdotto le misure alternative alla detenzione. Ciò nonostante nel testo regolamentare del 2000 non è stata posta alcuna attenzione particolare a tale eventualità, né alle ripercussioni ed alle influenze che possono verificarsi, dal punto di vista dell'istruzione, sullo studente detenuto ammesso ad una misura alternativa. È stato sostanzialmente ricalcato quanto era stato indicato dal regolamento di esecuzione del 1976, il quale dato che era antecedente a tale importantissima innovazione era ovviamente privo di qualsiasi dispositivo in materia. Purtroppo tale mancanza è stata riconfermata nel regolamento di esecuzione del 2000 che invece come indicato è successivo alla legge Gozzini e che non trova scusanti nel fatto di averne ignorato l'esistenza e l'influenza.

2.3 Benefici economici per gli studenti e l'esclusione dai corsi scolastici

Nei paragrafi precedenti abbiamo analizzato la normativa che regola l'attuazione di un servizio scolastico che possa essere realmente accessibile agli studenti reclusi. In questo paragrafo affrontiamo altri due argomenti inerenti all'istruzione in carcere e soprattutto alla condizione degli studenti detenuti: i benefici economici previsti per gli studenti detenuti e l'eventuale esclusione dai corsi scolastici di detti studenti.

L'argomento dei benefici economici per gli studenti non è stato affrontato, in modo specifico, nel testo dell'Ordinamento penitenziario, il quale si è limitato ad indicare che la partecipazione dei reclusi alle attività scolastiche deve essere incentivata da parte degli operatori dell'area trattamentali, dalla direzione del carcere e dall'amministrazione penitenziaria, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze. Nel regolamento di esecuzione del '76 sono stati invece previsti, all'art. 43, particolari incentivi offerti agli studenti detenuti: incentivi economici previsti sotto forma di benefici. Prima di procedere all'analisi del contenuto dell'articolo del regolamento di esecuzione del '76 è necessario precisare che il contenuto di detto articolo è stato confermato quasi interamente dall'art. 45 del vigente regolamento di esecuzione del 2000, così nel corso dell'analisi dell'art. 43 del regolamentare del '76, richiameremo i corrispondenti commi dell'art. 45, del regolamento del 2000, che riportano lo stesso contenuto, provvedendo ad evidenziare eventuali differenze tra i testi. Iniziamo l'analisi dei benefici economici partendo da quelli previsti per tutti gli studenti detenuti, indipendentemente da corso scolastico in cui sono impegnati. A tal proposito è previsto, al sesto comma dell'art. 43 del regolamento di esecuzione del '76, il versamento di un premio di rendimento, la cui misura è stabilita dal "Ministero", a favore "dei detenuti e degli internati che hanno superato con esito positivo il corso frequentato". Nel comma sei dell'articolo 45 del regolamento del 2000 detto premio di rendimento è invece stabilito quantitativamente dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.). Il fatto di aver previsto un "premio" per il profitto degli studenti detenuti ha sollevato non pochi dubbi. Il fulcro di tali dubbi si rinviene nell'incertezza se questa normativa sia o meno conforme al principio costituzionale di uguaglianza in considerazione del fatto che non è stato previsto alcun premio di rendimento per gli studenti tuot court.

Al comma sette del regolamento del '76, ricalcato integralmente dal comma sette dell'art. 45 del regolamento del 2000, leggiamo che "i soggetti che fruiscono di assegni familiari o borse di studio non percepiscono i benefici economici previsti dal presente articolo". Negli altri commi di detto articolo, che successivamente esamineremo, i contributi economici previsti per gli studenti detenuti sono stati differenziati in base al livello del corso scolastico seguito. Detti contributi però non hanno nulla a che vedere con i sostegni economici previsti dal sesto comma dell'articolo in esame in quanto sono previsti dal comma quattro dell'art. 34 della Costituzione, limitatamente ai corsi d'istruzione superiore (ricordiamo che i corsi scolastici obbligatori sono gratuiti), allo scopo di rendere effettivo il diritto riconosciuto ai "più capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi ...di raggiungere i gradi più alti degli studi". I benefici che esamineremo a breve e che sono invece previsti nei testi dei regolamenti di esecuzione, hanno la funzione di incentivare la partecipazione dei detenuti all'attività scolastica, la loro funzione non deve essere quindi confusa con quella generale dei sussidi previsti costituzionalmente.

L'ultimo comma dell'art. 43 del regolamento del '76, anch'esso ripreso integralmente dall'ottavo comma dell'articolo 45 del regolamento del 2000, prevede che "L'importo complessivo dei sussidi e dei premi di rendimento preveduti dal presente articolo è determinato annualmente con decreto del ministero per la grazia e giustizia di concerto con il Ministero del tesoro". Tali decreti vengono emessi annualmente anche se non con termini fissi e successivamente alla loro emissione vengono accreditate le somme di denaro decise nei rispettivi capitoli di bilancio dei provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria.

Ci sono poi benefici riservati specificamente agli studenti detenuti che frequentano determinati corsi scolastici. Cominciamo ad esaminare i benefici economici previsti per coloro che seguono i corsi scolastici obbligatori. Il quinto comma dell'art. 43 del regolamento di esecuzione del '76, sostanzialmente ripreso dal quinto comma del regolamento di esecuzione del 2000, prevede che i corsi di scuola dell'obbligo possono svolgersi anche durante le ore lavorative, ed in tal caso, i detenuti e gli internati che li frequentano percepiscono, per il lavoro prestato, una mercede (23) proporzionata al numero delle ore di lavoro effettivamente svolte. Il quinto comma del regolamento del 2000 aggiunge solo che l'eventualità di sovrapporre il tempo dedicato al lavoro a quello dedicato all'istruzione deve essere una necessità indotta dall'impossibilità dell'amministrazione del carcere di gestire spazi e tempi in modo diverso, come previsto dal comma 4 dell'articolo 41, dello stesso testo regolamentare. Sull'importanza di non sovrapporre l'esercizio di detti diritti ci siamo ampiamente dilungati in precedenza, limitandoci in questa sede a riconoscere che in qualche modo, anche se blandamente, è stato concesso agli studenti detenuti di mantenere comunque l'impegno di lavoro propostogli dall'amministrazione carceraria, senza porre il detenuto di fronte alla scelta drastica di rinunciare totalmente all'esercizio di uno dei due diritti. In merito ai corsi della scuola dell'obbligo, dato che ne è prevista la gratuità, non è stato indicato altro.

Il terzo e quarto comma dell'articolo 43 del regolamento del '76 indica i benefici economici riservati agli studenti che frequentano i corsi scolastici superiori nonché quelli universitari o equiparati. In merito a questi ultimi rinviamo al terzo capitolo di questo lavoro, interamente dedicate allo studio universitario in carcere e dove sono stati analizzati tutti gli aspetti inerenti a tale tipo di attività didattica. Per quanto concerne i benefici economici previsti per gli studenti detenuti che frequentano i corsi di istruzione superiore, osserviamo innanzi tutto che le disposizioni contenute nei commi tre e quattro dell'art. 43 del regolamento di esecuzione del '76 sono integralmente riprese dai commi tre e quattro dell'art. 45 del regolamento del 2000. È innanzi tutto previsto, al terzo comma (24) dell'art. 43 del regolamento del '76 (nonché quarto comma dell'art. 45 del regolamento del 2000) che i condannati e gli internati studenti che frequentano i corsi scolastici in esame ricevano un sussidio giornaliero, determinato con decreto ministeriale, per ogni giorno di frequenza o di assenza non volontaria. Il sussidio è ridotto, nella misura determinata con decreto ministeriale, per i giorni feriali del periodo di vacanza tra una anno scolastico e l'altro. L'erogazione di tale sussidio giornaliero è prevista qualora gli studenti non percepiscano alcuna mercede ed abbiano superato, con esito positivo, il corso scolastico seguito. Il contenuto di questo comma rispetta fedelmente i criteri stabiliti dal dettato costituzionale: è previsto un sussidio per coloro i quali, non percependo alcuna mercede, si presume vertano in disagiate condizioni economiche, e che comunque possono ottenere, secondo i profitti scolastici conseguiti, la qualifica di "meritevoli e capaci" costituzionalmente richiesta. In merito a quest'ultimo requisito, a mio avviso discriminatorio, ci siamo ampiamente dilungati in precedenza, così in questa sede ci limitiamo ad interpretare che forse il metro di valutazione dello studente "meritevole e capace", in questo caso, potrebbe essere quello di aver conseguito un profitto pari alla sufficienza, ovvero il semplice superamento del corso scolastico frequentato. Tale problema rimane aperto come del resto non è possibile, in questa sede, sviscerare il problema della discriminazione, a mio avviso, palese nel prevedere aiuti per "raggiungere i gradi più alti dell'istruzione" limitatamente verso coloro che sono "capaci e meritevoli".

Il diritto all'istruzione è diverso dal diritto al sussidio per gli studi ma essendo quest'ultimo strumentale ad una più puntuale e concreta soddisfazione del primo, non dovrebbe essere soggetto ad alcun tipo di filtro meritocratico o di capacità.

Il quarto ed ultimo comma (25) dell'art. 43 del regolamento del '76, il cui contenuto è riportato anche nel comma quattro dell'art. 45 del regolamento del 2000, prevede, per i detenuti studenti che hanno frequentato corsi scolastici superiori individuali, che versano in disagiate condizioni economiche e che hanno superato gli esami da privatisti previsti per il rispettivo anno scolastico seguito, il rimborso delle spese, da questi sostenute per tasse, contributi scolastici e libri di testo. Il fatto di aver previsto tali benefici anche per coloro i quali non possono seguire i corsi regolari di istruzione superiore, rispetta il principio di uguaglianza e di pari opportunità che devrebbero essere assicurati a tutti gli studenti detenuti, sia che possano o meno accedere ai corsi di istruzione regolarmente istituiti in carcere. Anche qui si ripropone il problema sopra esposto nonché rilevato in occasione dell'esame dell'art. 34 della Costituzione, ovvero quello di subordinare l'erogazione di detti contributi economici solo a favore di coloro che hanno riportato risultati scolastici positivi, e non a tutti coloro che versano in disagiate condizioni economiche. Resta da sottolineare un punto: in ognuno dei commi esaminati, sia del regolamento di esecuzione del '76 che in quello in vigore del 2000, non possiamo fare a meno di osservare che i benefici economici previsti sono stati attribuiti esclusivamente ai "detenuti e gli internati" ma non è stata mai indicata la posizione giuridica necessaria al "detenuto" considerata quale precondizione per l'accesso ai benefici economici. Rimane il dubbio infatti se può essere considerato detenuto chiunque si trovi ristretto in carcere, indipendentemente dal fatto che sia in custodia cautelare, in esecuzione pena. Visto che in altri articoli dell'Ordinamento penitenziario e dei regolamenti di esecuzione tale distinzione è stata evidenziata, possiamo presumere che, in mancanza di indicazioni specifiche, con il termine "detenuto" si voglia indicare colui che si trova ristretto in un istituto penitenziario indipendentemente dalla propria posizione giuridica, prescindendo quindi dal fatto che sia in attesa di giudizio, appellante, ricorrente o definitivo. Un'interpretazione diversa implicherebbe un atteggiamento discriminatorio, difficile da giustificare, nei confronti dei presunti innocenti.

Conclusa l'analisi dei benefici economici previsti per gli studenti detenuti, esaminiamo adesso le indicazioni in merito all'esclusione di un studente detenuto dai corsi di istruzione. L'articolo 44 del regolamento di esecuzione del '76 in questa materia presenta una disciplina diversa rispetto a quella contemplata dall'art. 46 del regolamento di esecuzione del 2000.

L'art. 44 (26) del regolamento del '76 prevedeva l'esclusione del detenuto nel caso in cui questo, durante il corso scolastico, anche individuale, avesse assunto un comportamento tale da essere considerato non rispettoso dei propri impegni scolastici. L'esclusione era disposta dal direttore, il quale poteva inoltre procedere all'esclusione del detenuto, sentite le autorità scolastiche, anche nel caso in cui questi non conseguisse profitti sufficienti. La prima parte di questo articolo è stata confermata dal primo comma dell'art. 46 del regolamento di esecuzione del 2000, il quale si limita ad enunciare che "Il detenuto o l'internato che, nei corsi di istruzione, anche individuale, ..., tenga un comportamento che configuri sostanziale inadempimento dei suoi compiti scolastici è escluso dal corso". La seconda parte dell'articolo del regolamento del '76 è, fortunatamente, stata abrogata e sostituita da una più opportuna regolamentazione del provvedimento di esclusione dello studente dal corso scolastico. Infatti, il secondo comma (27) dell'art. 46 del regolamento del 2000, impone al direttore, previo parere delle autorità competenti per il trattamento e la scuola, l'obbligo di motivare il provvedimento di esclusione, e la possibilità di revocare in qualsiasi momento, il provvedimento di esclusione, qualora il comportamento complessivo dello studente detenuto escluso sia tale da consentirne la riammissione al corso. Comunque è da osservare che l'esercizio di un diritto costituzionale come quello allo studio può essere interrotto da un provvedimento amministrativo e questo è assolutamente illegittimo oltre che una conferma che in carcere allo studio viene riconosciuta solo una rilevanza trattamentale.

2.4 Due anni di insegnamento nel carcere di Sollicciano

Nel 1999 l'Associazione di Volontariato Penitenziario, che da alcuni anni aveva attivato, in accordo con la direzione dell'istituto penitenziario di Sollicciano, un corso di scuola superiore all'interno del carcere fiorentino, aveva bisogno di un insegnante volontario per le materie di diritto ed economia politica. Il corso comprendeva il biennio di scuola superiore di un istituto tecnico commerciale. Le lezioni erano tenute da insegnanti volontari che preparavano i detenuti di Sollicciano ammessi al corso per l'esame da privatisti. Mi sono offerta di fare questa esperienza che di per se è stata molto interessante, tant'è che ho deciso di ripeterla anche l'anno seguente. Oggi a Sollicciano la scuola superiore è stata istituzionalizzata e le lezioni sono tenute da insegnanti di ruolo dell'Istituto tecnico commerciale di Scandicci, "Sassetti". La mia prima classe di studenti dell'anno scolastico 1999/2000 era inizialmente composta da undici studenti uomini, mentre quella dell'anno 2000/2001 da ventitre.

Il primo anno solo sei studenti hanno concluso l'intero anno scolastico mentre il secondo anno sono arrivati a sostenere l'esame in dodici. Gli studenti che non hanno concluso l'anno scolastico sono andati in misura alternativa o sono usciti per fine pena. Purtroppo negli anni in cui ho insegnato sono state poche le reintegrazioni dei posti scolastici lasciati liberi e quelle che si sono verificate sono avvenute dopo molto tempo che il banco a scuola era stato lasciato vuoto. Ricordo di aver sollecitato in tutti i modi gli operatori del trattamento perché provvedessero a reintegrare i componenti delle classi dato che ero a conoscenza di una lunga lista di attesa di detenuti aspiranti studenti. Purtroppo a poco sono valse le sollecitazioni contro i tempi lentissimi del carcere.

Quella del 1999 è stata la mia prima esperienza di insegnamento a persone adulte, prima avevo solo dato qualche ripetizione a ragazzi delle superiori rimandati a settembre nelle materie giuridiche. Trovarsi di fronte a persone per lo più di 40/50 anni, in un carcere e cercare di parlare di diritto non è stata cosa facile. La classe era composta da studenti italiani e stranieri e dato il luogo in cui si trovavano, parlare di diritti, principi costituzionali spesso ha suscitato dibattiti in classe che tendevano velocemente a scaldarsi, trasformandosi in vere e proprie discussioni. Forse sarà stato perché la materia li toccava da vicino, ma prima o poi si finiva sempre per parlare delle esperienze giudiziarie personali degli studenti. La confusione tra diritto e giustizia era all'ordine del giorno. Ho compreso che dovevo dimenticare come ero abituata concepire una lezione alle scuole superiori. Il modo usuale con cui avevano fatto lezione a me a scuola non poteva essere preso come esempio in un ambiente come quello del carcere e con alunni adulti che oramai avevano dimenticato come fosse fatto un libro. I voti, i richiami o chissà che altro in carcere non avevano valore né significato, l'unico potere che potevo e dovevo esercitare era stimolare la loro curiosità rendendo le lezioni divertenti e concrete. Per questo il tu era d'obbligo, la cattedra usata come sgabello o come banco poggia borsa, e mi preparavo schemi, indovinelli nonché un mare di esempi per attirare la loro attenzione. Spesso le vicende giudiziarie che ciascuno di loro aveva in corso portavano le loro menti altrove e non era il caso certo di arrabbiarsi di fronte a distrazioni indotte da tali pensieri. Per questo ad inizio lezione chiedevo sempre se e chi se la sentisse di seguire la mia ora di chiacchere e magari, a loro discrezione, se volevano parlarmi dei loro problemi o di altro potevano sfruttare, a turno, il quarto d'ora che ogni volta dedicavo loro a fine lezione. Le mie lezioni infatti funzionavano così: arrivavo e facevo l'appello, molto informalmente ed anzi, vista la mia scarsa memoria, si era trasformato in una sorta di autointerrogazione per vedere se imparavo tutti i nomi, soprattutto quelli dei ragazzi stranieri. Dopo l'appello iniziava la lezione, durante la quale giravo tra i banchi e mi sedevo in mezzo a loro e quindici minuti prima della fine dell'ora interrompevo per dedicare il restante tempo a chiacchere varie, sia individuali che di gruppo. Questa organizzazione ha funzionato benissimo per entrambi gli anni ed i ragazzi che hanno sostenuto l'esame non sono mai stati rimandati in nessuna delle mie materie. Sapevo che in cella non avrebbero studiato, un po' per mancanza di voglia un po' per impossibilità logistiche che mi riferivano, così il massimo che potevo chiedere era attenzione in classe e magari qualche compito scritto che consisteva nel ritrovare nel libro di testo la risposta a delle domande che annualmente preparavo e portavo loro e che erano mirate al superamento dell'esame finale.

Insegnare economia politica non mi ha mai creato problemi ma durante le lezioni di diritto non è stato raro qualche scontro verbale e molte difficoltà nell'insegnare l'utilizzo di certe espressioni e termini nonché nel far comprendere ma soprattutto accettare certi principi. Ricordo quanto è stato difficile spiegare ai ragazzi stranieri l'art. 3 della Costituzione italiana...il principio di uguaglianza...ogni parola dell'articolo era fonte di discussione! Nei due anni di insegnamento i ragazzi (li chiamo ragazzi anche se molti di loro avevano l'età di mio padre) delle mie classi non sono mai stati assenti volontariamente e devo dire che mi hanno portato sempre il massimo rispetto nonostante ci fosse spesso una grande differenza di età e si fosse instaurato un clima molto confidenziale. I patti erano chiari ed i ragazzi li avevano concordati con me: quando si studiava lo si faceva seriamente anche se non in modo cattedratico, quando si chiacchierava si scherzava e parlava liberamente di cose serie o meno, a piacimento.

Mi sono resa conto che di fronte avevo persone che venivano a scuola prima di tutto per uscire dalla loro cella, poi per distrarsi, incontrare persone e parlare, quindi anche per essere stimolati, incuriositi ascoltando e parlando di qualcosa che non fossero i loro problemi o il carcere. Dovevo dimenticarmi i voti, i compiti in classe e le interrogazioni, dovevo raggiungere lo scopo che imparassero ma prima di tutto che si divertissero nel farlo. Questo è stato l'aspetto più interessante, anche se impegnativo della mia esperienza di insegnamento in carcere. Inventarsi ogni giorno un modo originale, dinamico, concreto e spiritoso attraverso il quale si parlava di diritto e di economia. Spesso mi sono dimenticata di essere una ragazza e mi comportavo come un uomo, facendo battute e rispondendo alle loro, sempre nei limiti della decenza ma senza scandalizzarsi. Devo dire che è stata un esperienza molto divertente e costruttiva che mi ha fatto scoprire altri volti della materia alla quale ho dedicato gran parte della mia vita. I ragazzi erano curiosi e mi facevano domande, sia personali che scolastiche, che spaziavano dal diritto pubblico a quello privato, da quello commerciale a quello amministrativo, dal diritto dell'esecuzione al diritto penale generale... Per me era un esame continuo ed su materie a sorpresa... Bellissimo! Credo che un'esperienza così sia costruttiva per tutti, laureandi e docenti perché costringe chi è nella veste di trasmettere quanto sa ad inventarsi un modo nuovo di esporre le sue conoscenze, scoprendo egli stesso altri punti di vista sul suo sapere.

2.5 Il servizio di biblioteca

Al fine di attivare un servizio scolastico, in carcere, efficiente e completo, è fondamentale mettere a disposizione degli studenti detenuti, come del resto accade all'esterno, strumenti e testi consultabili al fine di approfondire ed integrare le nozioni apprese nel corso delle lezioni o direttamente dallo studio dei testi scolastici. Inoltre, essendo stata riconosciuta l'importanza della lettura quale strumento di formazione e crescita culturale per l'intera popolazione carceraria, il testo dell'Ordinamento penitenziario, nonché i regolamenti di esecuzione del '76 e del 2000, hanno dedicato una specifica disciplina al servizio di biblioteca. L'articolo 12 dell'Ordinamento penitenziario prevede, al secondo comma (28), l'allestimento di una biblioteca interna a ciascun istituto penitenziario, "costituita da libri e periodici" scelti dalla commissione prevista dal secondo comma dell'articolo 16 (29). Il terzo comma dello stesso articolo 12 dell'Ordinamento penitenziario prevede che alla gestione della biblioteca partecipino i rappresentanti dei detenuti e degli internati. Quest'ultima disposizione è di rilevante importanza in quanto è stata posta a garanzia del pericolo che potrebbe rappresentare una gestione assolutamente discrezionale del servizio di biblioteca da parte dell'amministrazione carceraria, capace di condizionare gli orientamenti culturali nonché lo stesso pensiero dei detenuti. Inoltre i testi della biblioteca devono essere scelti in modo da rispettare il pluralismo culturale esistente nella società esterna nonché interna al carcere.

L'articolo 19 dell'ordinamento penitenziario, nell'ultimo comma prevede che è "favorito l'accesso alle pubblicazioni contenute nella biblioteca, con piena libertà di scelta delle letture". Anche in detto comma è ribadita l'importanza di favorire l'accesso, dei detenuti presenti in ciascun istituto, alle fonti di informazione e di cultura.

Credo che sia opportuno riflettere sul doppio contributo che l'accesso alle pubblicazioni ed ai testi della biblioteca può assumere, osservando che tali contributi giungeranno infine a compenetrarsi. Ricordando che il tema di questo lavoro è l'istruzione in carcere, il servizio di biblioteca che stiamo esaminando sarà analizzato innanzi tutto come un servizio integrativo e strumentale al fine di rendere effettivo e completo il diritto all'istruzione. In ogni caso non possiamo certo dimenticare che l'istruzione, all'interno degli istituti penitenziari è definita elemento irrinunciabile del trattamento. Nei confronti dei detenuti italiani, l'allestimento di una biblioteca interna al carcere, assolve ad una doppia funzione: quella di completare e rendere effettivo l'esercizio del diritto allo studio riconosciuto dalla Costituzione, nonché di mezzo attraverso il quale perseguire, al di la dell'istruzione, la propria formazione culturale esplicando così una funzione prettamente trattamentale. In considerazione della realtà multietnica sempre più evidente della popolazione reclusa, non possiamo non riconoscere l'importanza che riveste la formazione culturale nei confronti di coloro che non sono cittadini italiani. È importante ribadire che l'istruzione è un diritto civico, e per questo di tutti gli uomini. Con l'espressione "formazione culturale" si vuole esprimere un concetto più ampio dell'istruzione che la comprende andando oltre, facendovi rientrare anche il diritto alla lettura. L'allestimento di una biblioteca accessibile all'interno del carcere, in cui sono presenti volumi tali da tenere in considerazione le pluralità linguistiche della popolazione detenuta, nonché in grado di offrire una varietà di testi che possano stimolare la curiosità, l'intelletto di ciascun recluso straniero ed italiano, costituisce uno strumento necessario al fine di rendere effettivamente possibile l'istruzione e la formazione culturale di questi soggetti.

Esaminiamo adesso come il servizio di biblioteca era disciplinato dal regolamento di esecuzione del '76, all'art. 21 (30). Il primo comma di detto articolo ha innanzi tutto confermato il dovere di facilitare l'accesso dei soggetti reclusi al materiale bibliotecario presente nell'istituto, ed ha previsto per i reclusi, previe opportune intese, la possibilità di leggere pubblicazioni esistenti in biblioteche e centri di lettura pubblici presenti sul territorio in cui è situato l'istituto penitenziario. Il secondo comma dello stesso articolo confermava ed indicava che la scelta dei libri della biblioteca doveva rispettare il pluralismo culturale presente nella società esterna, mentre il terzo comma si preoccupava di affidare il servizio di biblioteca ad un educatore, il quale per tutte le attività di gestione di tale servizio si doveva avvalere dei rappresentanti dei detenuti e degli internati, previsti dall'articolo 12 dell'Ordinamento penitenziario. Questi ultimi rappresentanti prestavano la loro attività durante il tempo libero. Il contenuto dell'articolo n. 21 del regolamento del '76 è stato confermato in quasi tutte le sue disposizioni dall'articolo 21 del regolamento di esecuzione del 2000, che ne amplia il contenuto apportandovi alcune modifiche. La parte finale del terzo comma dell'articolo 21 del regolamento di esecuzione del 2000 aggiunge a quanto detto nel terzo comma dell'articolo 21 del regolamento di esecuzione del '76, il seguente enunciato: "Si avvale altresì di uno o più detenuti scrivani, regolarmente retribuiti". È stato così previsto un nuovo incarico lavorativo, da attribuire ad uno o più detenuti, aventi la qualifica di scrivani, ovvero persone in grado di scrivere e comprendere bene la lingua italiana, offrendo a tali soggetti una regolare retribuzione per l'esercizio dell'attività di bibliotecario. Infatti ricordiamo che l'art. 21 del regolamento di esecuzione del 1976 in considerazione della sua formulazione escludeva a priori il lavoro penitenziario di bibliotecario, cosa che invece è stata espressamente prevista nel regolamento di esecuzione del 2000, creando in questo modo un nuovo posto di lavoro all'interno del carcere. Come già osservato, gli scrivani esercitano il loro impegno lavorativo all'interno delle sezioni dell'istituto penitenziario, informando ed aiutando i detenuti nella compilazione di istanze, nella composizione di lettere ed in quant'altro possa essere utile a coloro che non conoscono la lingua e/o non sono esperti di procedure giuridiche.

L'articolo 21 del regolamento del 2000 prevede un nuovo comma, il quinto (31), nel quale è contemplato che l'allestimento della biblioteca implica la predisposizione e l'attrezzamento di una sala di lettura cui vengono ammessi i detenuti e gli internati. Questo nuovo comma ha previsto l'allestimento di uno spazio comune dove i soggetti reclusi possono recarsi al fine di consultare, leggere e scegliere i testi della biblioteca e nel frattempo parlare con altre persone in un ambiente diverso dal corridoio della rispettiva sezione o il box di cemento destinata alle ore d'aria. Gli orari e le modalità di accesso alla sala di lettura ed alla biblioteca sono stabiliti dal regolamento carcerario interno di ciascun istituto penitenziario. Inoltre è previsto che i detenuti (e internati) studenti e lavoratori possono accedere alla sala di lettura anche in orari successivi a quelli delle rispettive attività di lavoro e di studio.

È opportuno fare un rapido cenno alla struttura interna pressoché comune a ciascun carcere, sia esso una Casa Circondariale o una Casa di Reclusione, prescindendo dalla struttura degli istituti penitenziari a custodia attenuata che sovente presentano strutture diverse tra loro e con le carceri cosiddetti "ordinarie". Ogni istituto è diviso in reparti ed i reparti in sezioni. Nelle sezioni sono presenti le celle che normalmente contengono due, quattro, sei, otto detenuti, a seconda del grado di sovraffollamento dell'istituto. I detenuti trascorrono la maggior parte del loro tempo diurno in cella, che nei rari casi di non grave sovraffollamento rimane aperta altrimenti è chiusa. Nel periodo di tempo in cui le celle sono aperte i detenuti della sezione possono circolare all'interno della stessa. È previsto che i reclusi escano dalla sezione per almeno due o quattro ore al giorno al fine di poter andare ai "passeggi", ovvero cortili recintati con muri di cemento che inibiscono totalmente la vista del mondo esterno e che, nel migliore dei casi, sono a cielo aperto altrimenti può accadere che siano sovrastati da una grata di ferro...insomma vere e proprie scatole di calcestruzzo! In ciascun istituto è presente la cucina o le cucine a seconda delle dimensioni dell'istituto stesso. A volte è prevista una palestra ed infine c'è l'area dedicata alle attività trattamentali. In quest'ultimo spazio sono predisposte ed allestite le aule, la biblioteca, la chiesa e solo coloro che sono stati ammessi all'esercizio delle opportunità attivate possono accedervi, sempre sotto sorveglianza costante, negli orari decisi dalla direzione dell'istituto e compatibilmente con le esigenze di sicurezza e la disponibilità del personale di polizia penitenziaria.

L'esame delle disposizioni di legge e regolamentari, in merito al servizio di biblioteca, può considerarsi concluso, ma ritengo opportuno procedere ad un approfondimento generale sull'argomento nonché ad un aggiornamento delle attività in campo bibliotecario-carcerario in corso sul nostro territorio. Possiamo concordare, in linea con il manifesto dell'Unesco, che le biblioteche in carcere devono offrire alle persone recluse la possibilità di godere delle stesse opportunità che offrono le biblioteche pubbliche nella società libera. L'importanza della lettura, per la rieducazione ed il reinserimento nella società delle persone detenute, è qualcosa di assodato; la lettura è probabilmente la migliore forma di recupero della popolazione detenuta ed inoltre contribuisce a vivacizzare l'esperienza scolastica. È stata istituita l'ABC (32), Associazione Biblioteche Carcerarie, nella convinzione che chiunque sia posto nelle condizioni di liberarsi dalla schiavitù dell'ignoranza può avere maggiori probabilità di condurre un'esistenza armonica, fatta di scelte consapevoli e condotta conformemente ai propri desideri ed alle proprie aspirazioni. La lettura può diventare un punto di forza dell'istituzione penitenziaria, un aspetto importante della diffusione della cultura e della ri-nascita di ideali, valori, sogni. Un programma sistematico di sollecitazione alla lettura tramite il canale delle biblioteche, può avere il duplice effetto di soddisfare bisogni conoscitivi nonché di crearne di nuovi, sempre più specifici, in un crescendo di maturazione intellettuale. Come afferma Ranganathan, "la biblioteca è un organismo in continua evoluzione, che funge da smistamento di libri ed informazioni in modo tale che ciascun individuo possa trovarvi ciò di cui ha bisogno". La realtà delle biblioteche negli istituti penitenziari è qualcosa di ancora poco conosciuto e di cui le istituzioni nonché le associazioni professionali non hanno preso completa coscienza.

Al fine di raggiungere un buon grado di efficienza è necessario che l'attività della biblioteca sia esercitata da un professionista, un bibliotecario. Nel corso del convegno sulla "giornata nazionale sulle biblioteche in carcere", svoltosi l'11 maggio del 2001, in cui si è svolto il primo confronto tra le biblioteche "ristrette", sono stati individuati tre possibili campi d'azione nei quali dirigere gli interventi in merito alle biblioteche carcerarie: l'ambito istituzionale, il settore culturale ed il circuito strettamente professionale. Lo scopo del convegno è stato quello di porre fine allo stato di estremo isolamento in cui spesso è relegata, la realtà delle biblioteche carcerarie. L'ABC si propone di costituire un Centro di documentazione che svolga la funzione di punto di contatto tra le biblioteche carcerarie italiane in modo che dialoghino tra loro come ogni altra biblioteca che opera sul territorio pubblico all'esterno. Questo migliorerebbe la condizione disastrosa in cui vertono molte biblioteche carcerarie spesso scelte come alternative ai cassonetti dell'immondizia da quei benefattori che concepiscono ancora il carcere come una possibilità umanitaria. Occorrono biblioteche vere, che facciano parte a tutti gli effetti del sistema bibliotecario del territorio, centri di documentazione aperti ai detenuti, attrezzati per far circolare l'informazione dentro e fuori dal carcere, questa è la sfida che hanno oggi di fronte le biblioteche delle carceri. Alle biblioteche civiche è richiesto di fare la loro parte, riconoscendo che il carcere sta dentro la società, dentro le città e come tale non può essere tagliato fuori dai circuiti bibliotecari, dai cataloghi on- line, dalle iniziative di promozione culturale. Il regolamento di esecuzione del 2000, in questo caso, si può dire che è "nato vecchio" in quanto parla solo di libri, mentre fuori, quasi ovunque, la biblioteca è supportata da altre risorse come il materiale documentario, riviste e prodotti multimediali. Inoltre, detto testo regolamentare prevede sì il nuovo ruolo del detenuto-bibliotecario ma non un corso di preparazione a tale ruolo e forse sarebbe stato anche opportuno prevedere un esperto cui affidare il compito di mantenere i collegamenti con l'esterno. A tal fine accenniamo all'idea nata all'interno del Centro di documentazione dell'ABC: istituire corsi di catalogazione per detenuti. La prima esperienza è stata attivata nel carcere di Opera, a Milano, dove undici detenuti hanno frequentato un corso di formazione ed oggi pensano di costituire una cooperativa, offrendosi sul mercato... Questa è l'ennesima dimostrazione che "il sapere libera".

Note

1. Legge n. 9 del 20 gennaio 1999, art. 1, comma 1 (G.U. n. 21 del 27/1/1999): "A decorrere dall'anno scolastico 1999-2000 l'obbligo di istruzione è elevato da otto a dieci anni. L'istruzione obbligatoria è gratuita. In sede di prima applicazione, fino all'approvazione di un generale riordino del sistema scolastico e formativo, l'obbligo di istruzione ha durata novennale. Mediante programmazione da definire nel quadro del suddetto riordino, sarà introdotto l'obbligo di istruzione e formazione fino al diciottesimo anno di età, a conclusione del quale tutti i giovani possano acquisire un diploma di scuola secondaria superiore o una qualifica professionale".

2. In seguito agli articolo 32 e 33 della legge n. 395 del 15 dicembre 1990 "l'ispettore distrettuale per gli istituti di prevenzione e di pena" è stato sostituito dal "Provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria".

3. D. CLEMMER, La comunità carceraria, tratto da E. Santoro, Carcere e società liberale, ed. G. Giappichelli Editore, Torino, 1997, pag. 205.

4. D. CLEMMER, La comunità carceraria, cit., pag. 206.

5. Art 41 del D.P.R. n. 230 del 2000, primo comma: "Il Ministero della pubblica istruzione, previe le opportune intese con il Ministero di grazia e giustizia, impartisce direttive agli organi periferici della pubblica istruzione per l'organizzazione di corsi a livello della scuola dell'obbligo, fatto salvo quanto previsto dall'art. 43, comma 1, relativamente alla scolarità obbligatoria nei corsi di istruzione secondaria superiore. L'attivazione, lo svolgimento e il coordinamento dei corsi di istruzione si attuano preferibilmente sulla base di protocolli di intesa fra i ministeri predetti".

6. Art 43 del D.P.R. n. 230 del 2000, primo comma: "I corsi di istruzione secondaria superiore, comprensivi della scolarità obbligatoria prevista dalle vigenti disposizioni, sono organizzati, su richiesta dell'Amministrazione penitenziaria, dal ministero della pubblica istruzione a mezzo della istituzione di succursali di scuole del predetto livello in determinati istituti penitenziari. La dislocazione di tali succursali è decisa con riferimento alle indicazioni del protocollo di intesa di cui al comma 1 dell'articolo 41, assicurando la presenza di almeno una delle succursali predette in ogni regione".

7. Art. 41 del D.P.R. n. 230 del 2000, secondo comma: "Il dirigente dell'ufficio scolastico regionale, sulla base delle indicazioni e delle richieste formulate dagli istituti penitenziari e dai dirigenti scolastici, concerta con il provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria, la dislocazione ed il tipo dei vari corsi a livello della scuola dell'obbligo da istituire nell'ambito del provveditorato, secondo le esigenze della popolazione penitenziaria".

8. Art 41 del D.P.R. n. 230 del 2000, terzo comma: "L'organizzazione didattica e lo svolgimento dei corsi sono curati dai competenti organi dell'amministrazione scolastica. Le direzioni degli istituti forniscono locali ed attrezzature adeguate".

9. Art 41 del D.P.R. n. 230 del 2000, quarto comma: "Le direzioni degli istituti curano che venga data adeguata informazione ai detenuti e agli internati dello svolgimento dei corsi scolastici e ne favoriscono la più ampia partecipazione. Le direzioni curano che gli orari di svolgimento dei corsi siano compatibili con la partecipazione di persone già impegnate in attività lavorativa o in altre attività organizzate nell'istituto. Sono evitati, in quanto possibile, i trasferimenti ad altri istituti, dei detenuti ed internati impegnati in attività scolastiche, anche se motivati da esigenze di sfollamento, e qualunque intervento che possa interrompere la partecipazione a tali attività. Le direzioni quando ritengono opportuno proporre il trasferimento di detenuti o internati che frequentano i corsi, acquisiscono in proposito il parere degli operatori dell'osservazione e trattamento e quello delle autorità scolastiche, pareri che sono uniti alla proposta di trasferimento trasmessa agli organi competenti a decidere. Se viene deciso il trasferimento, lo stesso è attuato, in quanto possibile, in un istituto che assicuri alla persona trasferita la continuità didattica".

10. Art 41 del D.P.R. n. 230 del 2000, quinto comma: "Per lo svolgimento dei corsi e delle attività integrative dei relativi curricoli, può essere utilizzato dalle autorità scolastiche, d'intesa con le direzioni degli istituti, il contributo volontario di persone qualificate, le quali operano sotto la responsabilità didattica del personale scolastico".

11. Art 41 del D.P.R. n. 230 del 2000, quinto comma: "In ciascun istituto penitenziario è costituita una commissione didattica, con compiti consultivi e propositivi, della quale fanno parte il direttore dell'istituto, che la presiede, il responsabile dell'area trattamentali e gli insegnanti. La commissione è convocata dal direttore e formula un progetto annuale o pluriennale di istruzione".

12. In merito ai corsi di specializzazione per gli insegnati che esercitano la loro attività negli istituti di prevenzione e di pena si ricordano gli artt. 135 e 171 del T.U. delle disposizioni legislative in materia di istruzione, Decreto Legislativo n. 297 del 16 aprile 1994. Primo comma art. 135: "Ai sensi della legge del 26 luglio 1975 n. 354, negli istituti penitenziari, la formazione culturale e professionale è curata mediante l'organizzazione dei corsi della scuola d'obbligo e di corsi di addestramento professionale, secondo gli orientamenti vigenti e con l'ausilio di metodi adeguati alla condizione dei soggetti"; secondo comma art. 135: "Per l'insegnamento elementare presso le carceri e gli stabilimenti penitenziari è istituito, un ruolo speciale, al quale si accede mediante concorso per titoli ed esami riservato a coloro che, essendo in possesso dei requisiti prescritti per la partecipazione al concorso per i posti di ruolo normale, abbiano conseguito il titolo di specializzazione di cui al comma 7"; comma tre art. 135: "I programmi e le modalità delle prove di esame sono stabiliti con ordinanza del Ministero della pubblica istruzione di concerto con il Ministero di Grazia e Giustizia; comma quattro art. 135: "I docenti iscritti nel ruolo speciale delle scuole elementari carcerarie della provincia e possono chiedere il trasferimento ad altra provincia limitatamente ai posti disponibili nel medesimo ruolo. Ad essi spetta il trattamento giuridico ed economico dei docenti elementari di ruolo normale"; comma cinque art. 135: "I docenti medesimi, dopo 10 anni di permanenza nel ruolo, possono, su domanda, ottenere il passaggio nel ruolo normale"; comma sei dell'art. 135: "All'eventuale aumento del numero dei posti del ruolo speciale, quale risulta fissato in prima applicazione dalla legge 3 febbraio 1963, n. 72, si provvede in conformità delle disposizioni che regolano il normale incremento delle classi delle scuole elementari"; comma sette art. 135: "I docenti elementari del ruolo speciale debbono essere forniti dei titoli di specializzazione stabiliti con decreto del ministero della pubblica istruzione di concerto con il Ministero di Grazia e Giustizia. Per il rilascio dei predetti titoli il Ministero della pubblica istruzione d'intesa con il Ministero di Grazia e Giustizia istituisce ed autorizza appositi corsi di specializzazione". Art. 171: "Per i corsi di istruzione media negli istituti penitenziari si applicano le disposizioni di cui all'art. 135 commi 1 e 6".

13. Circ. Min. 24 aprile 1989.

14. Art. 19, legge n. 354/75, comma tre: "Con le procedure previste dagli ordinamenti scolastici possono essere istituite scuole d'istruzione secondaria di secondo grado negli istituti penitenziari".

15. Art. 41 regolamento di esecuzione del 1976, comma primo: "I corsi di istruzione secondaria di secondo grado sono organizzati, su richiesta dell'amministrazione penitenziaria, dal Ministero della pubblica istruzione a mezzo dell'istituzione di succursali di scuole del predetto livello in determinati istituti penitenziari".

16. V. GREVI, G. GIOSTRA, F. DELLA CASA L'Ordinamento penitenziario, Cedam, Padova 1997, p. 193.

17. Art 41 regolamento di esecuzione del 1976, comma secondo: "Il numero delle succursali e la loro dislocazione sono determinati in relazione all'esistenza di gruppi di condannati o di internati che siano in possesso del titolo di studio richiesto per l'ammissione, che manifestino seria aspirazione alla prosecuzione degli studi e che debbano permanere in esecuzione della misura privativa della libertà per un periodo di tempo non inferiore ad un anno scolastico".

18. V. GREVI, G. GIOSTRA, F. DELLA CASA L'Ordinamento penitenziario, Cedam, Padova 1997, p. 193.

19. Art 41 regolamento di esecuzione del 1976, terzo comma: "Si applicano le disposizioni dell'ultimo comma dell'art. 39".

20. Art. 41 regolamento di esecuzione del 1976, quarto comma: "Per agevolare i condannati e gli internati che, pur avendo il titolo di studio richiesto, non siano in condizioni di frequentare i corsi regolari, la direzione dell'istituto richiede alla presidenza di una vicina scuola secondaria di secondo grado di assistere coloro che manifestino una seria aspirazione alla prosecuzione degli studi nello svolgimento individuale dei programmi di istruzione. Analoga agevolazione è offerta agli imputati".

21. Sezione alla quale sono destinate persone che hanno commesso particolari tipologie di reati, per lo più a sfondo sessuale, o comunque che se fossero messi nelle sezioni cosiddette comuni rischierebbero la loro incolumità personale.

22. Art. 41 regolamento di esecuzione del 1976, quinto comma: "Sono stabilite intese con le autorità scolastiche per offrire la possibilità agli studenti di sostenere gli esami previsti per i vari corsi".

23. Def: dal latino merce-de (m), da merx genitivo mercis "merce", retribuzione, salario, paga, ricompensa, premio. Zingarelli, ed. Zanichelli, 1998.

24. Art. 43, comma terzo, regolamento del '76: "per la frequenza ai corsi di istruzione secondaria di secondo grado i condannati e gli internati ricevono un sussidio giornaliero nella misura determinata con decreto ministeriale per ciascuna giornata di frequenza o di assenza non volontaria. Nell'intervallo tra la chiusura dell'anno scolastico e l'inizio del nuovo corso, agli studenti è corrisposto un sussidio ridotto per i giorni feriali, nella misura determinata con decreto ministeriale, purché abbiano superato con esito positivo il corso effettuato nell'anno scolastico e non percepiscano mercede".

25. Art. 43, comma quarto, regolamento del '76: "A conclusione di ciascun anno scolastico, gi studenti che seguono corsi individuali di scuola di istruzione secondaria di secondo grado e che hanno superato gli esami con effetti legali, ..., vengono rimborsate, qualora versino in disagiate condizioni economiche, le spese sostenute per tasse, contributi scolastici e libri di testo, e viene corrisposto un premio di rendimento nella misura stabilita dal Ministero".

26. Art. 44 del regolamento di esecuzione del 1976: "Il detenuto o l'internato che, nel corso di istruzione, anche individuale ... tenga un comportamento che configuri sostanziale inadempimento dei suoi compiti è escluso dal corso con provvedimento del direttore. L'esclusione dal corso è disposta dal direttore, anche nel caso in cui il detenuto o l'internato non consegua sufficiente profitto, sentite le autorità scolastiche".

27. Art. 46 del D.P.R. n. 230 del 2000, comma secondo: "Il provvedimento di esclusione dal corso è adottato dal direttore dell'istituto, sentito il parere del gruppo di osservazione e trattamento e delle autorità scolastiche e deve essere motivato, particolarmente nel caso in cui l'esclusione sia disposta in difformità del parere espresso dalle autorità predette. Il provvedimento di esclusione può essere sempre revocato ove il complessivo comportamento del detenuto o dell'internato ne consenta la riammissione ai corsi".

28. Art. 12, comma secondo, dell'Ordinamento penitenziario: "Gli istituti devono inoltre essere forniti di una biblioteca costituita da libri e periodici, scelti dalla commissione prevista dal secondo comma dell'art. 16".

29. Art. 16 comma secondo dell'Ordinamento penitenziario: "Le modalità del trattamento da seguire in ciascun istituto sono disciplinate nel regolamento interno, che è predisposto e modificato da una commissione composta dal magistrato di sorveglianza, che la presiede, dal direttore, dal medico, dal cappellano, dal preposto alle attività lavorative, da un educatore e da una assistente sociale. La commissione può avvalersi della collaborazione degli esperti indicati nel quarto comma dell'art. 80".

30. Art. 21 del regolamento di esecuzione del 1976, primo, secondo, terzo comma: "La direzione dell'istituto deve curare che i detenuti e gli internati abbiano agevole accesso alle pubblicazioni della biblioteca dell'istituto, nonché la possibilità, a mezzo di opportune intese, di usufruire della lettura di pubblicazioni esistenti in biblioteche e centri di lettura pubblici, funzionanti nel luogo in cui è situato l'istituto stesso. Nella scelta dei libri e dei periodici si deve avere cura che vi sia una equilibrata rappresentazione del pluralismo culturale esistente nella società esterna. Il servizio di biblioteca è affidato, di regola, ad un educatore. Il responsabile del servizio si avvale, per la tenuta delle pubblicazioni, per la formazione degli schedari, per la distribuzione dei libri e dei periodici nonché per lo svolgimento di iniziative per la diffusione della cultura, dei rappresentanti dei detenuti e degli internati preveduti dall'art. 12 della legge, i quali espletano le suddette attività durante il tempo libero".

31. Art. 21 del regolamento di esecuzione del 2000, quinto comma: "Nell'ambito del servizio di biblioteca, è attrezzata una sala di lettura, cui vengono ammessi i detenuti e gli internati. I detenuti e internati lavoratori e studenti possono frequentare la sala di lettura anche in orari successivi a quelli di svolgimento dell'attività di lavoro e di studio. Il regolamento interno stabilisce le modalità e gli orari di accesso alla sala di lettura".

32. L'ABC, Associazione Biblioteche Carcerarie, ha preso vita da un'iniziativa della cattedra di biblioteconomia dell'università statale di Milano, che si occupa dal 1992 della biblioteca del carcere di Opera, attraverso il lavoro del professor Giorgio Montecchi, presidente dell'ABC, e della bibliotecaria Emanuela Costanzo, sua collaboratrice.