ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Valentina Adduci, 2002

Il presente studio ha per oggetto le modalità di definizione del processo penale minorile ispirate al principio della minima offensività: il perdono giudiziale, l'irrilevanza del fatto e l'estinzione del reato per esito positivo della prova. Il lavoro si suddivide in una prima parte nella quale viene condotta un'analisi teorica di tali istituti, con particolare riferimento alla previsione legislativa ed alle posizioni dottrinarie e giurisprudenziali, e in una seconda parte in cui l'analisi viene condotta a livello pratico in relazione all'esperienza applicativa dei Tribunali per i Minorenni di tre città italiane: Trieste, Firenze e Napoli.

In particolare nel primo capitolo viene ripercorsa l'evoluzione storica della giustizia minorile, della quale vengono messe in evidenza le tappe principali, dall'introduzione del Tribunale per i Minorenni nel 1934 fino all'elaborazione del nuovo processo penale minorile nel 1988, passando per i nuovi principi introdotti dalla Costituzione del 1948, la giurisprudenza della Corte Costituzionale e le principali fonti internazionali. Viene anche fatto riferimento al principio della minima offensività, come principio attraverso il quale si realizza lo scopo che il legislatore ha sotteso al nuovo processo penale minorile, il recupero del minore che ha commesso un reato. Tale recupero infatti si realizza oltre che con la capacità educativa del processo, anche con la capacità del processo stesso di non interferire con le esigenze educative proprie del minore, in quanto soggetto in età evolutiva. Si sottolineano, infine le disposizioni del nuovo processo penale minorile che si ispirano a tale principio.

Il secondo capitolo è dedicato propriamente all'analisi del perdono giudiziale, della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e dell'estinzione del reato per esito positivo della prova, che rappresentano modalità di definizione del processo penale minorile ispirate al principio della minima offensività, in quanto evitano la condanna del minore che ha commesso un reato. L'analisi di tali istituti viene condotta sulla base della previsione legislativa, dei diversi orientamenti della dottrina e delle più importanti pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.

Vengono trattati anche degli aspetti, particolarmente rilevanti sotto il profilo sociologico, propri del fenomeno della criminalità minorile in Italia, quali la criminalità dei minori stranieri, la criminalità organizzata e il bullismo. Viene messo in risalto il nesso fra tali fenomeni e le modalità di definizione del processo penale minorile analizzate, prestando particolare attenzione ad evidenziare eventuali difficoltà applicative individuate dalla dottrina.

L'ultima parte del presente lavoro sposta il livello dell'indagine dal piano teorico a quello pratico, riguardando l'analisi della prassi applicativa dei Tribunali per i Minorenni di Trieste, di Firenze e di Napoli in relazione agli istituti in esame nel periodo di tempo compreso fra il gennaio 1999 e il giugno 2002. Per quanto riguarda il Tribunale dei Minorenni di Napoli l'analisi parte dal gennaio 2000, in quanto il Presidente di tale Tribunale, il Dott. Stefano Trapani, ha autorizzato la ricerca in esame solamente a partire da tale data. La scelta delle città non è stata casuale, ma sono state scelte tre città, una del nord, una del centro e una del sud d'Italia, caratterizzate da realtà socio-economiche e da problematiche connesse al fenomeno della criminalità minorile molto diverse fra loro.

Si è trattato di una vera e propria indagine 'sul campo'. Mi sono infatti recata fisicamente nei tribunali, dove ho letto le statistiche ufficiali redatte dai tribunali relative all'applicazione degli istituti esaminati, le sentenze ed in particolare le motivazioni di esse e i fascicoli relativi ai singoli processi definiti con sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato a seguito dell'esito positivo della prova e dove ho fatto varie interviste a magistrati minorili. In particolare dalla lettura della sentenze sono emerse le tipologie di reato per le quali sono stati applicati gli istituti esaminati e la nazionalità dei minori. Dalle motivazioni delle sentenze è emersa l'importanza attribuita dai giudici ai vari requisiti previsti dalla legge per l'applicazione degli istituti in esame e l'interpretazione che viene data di essi. Nel caso dell'estinzione del reato per esito positivo della prova si è resa necessaria la lettura delle relazioni redatte dai servizi sociali minorili ministeriali, contenute nei fascicoli dei singoli processi, per mettere in evidenza il progetto di intervento elaborato, le modalità di elaborazione di tale intervento, le condizioni socio-familiari del minore e i parametri utilizzati per la valutazione in ordine all'esito positivo della prova. In ogni Tribunale sono stati intervistati un giudice ed un pubblico ministero, per avere i due diversi punti di vista del magistrato giudicante e della pubblica accusa, i quali hanno riferito le loro opinioni in merito all'utilità delle modalità di definizione del processo penale minorile analizzate e alla funzione per la quale vengono utilizzate. Tali interviste sono servite anche per avere delle delucidazioni in ordine alla prassi emersa dalla lettura delle motivazioni delle sentenze. A Trieste è stata intervistata anche un'assistente sociale dell'Ufficio di Servizio Sociale per Minorenni operante in tale città.

Lo scopo perseguito con il presente lavoro è stato individuare delle differenze nella prassi applicativa seguita dai tribunali esaminati, riguardante le modalità di definizione del processo penale minorile oggetto di studio, in relazione alla diversa interpretazione dei requisiti previsti dalla legge per la concessione degli istituti esaminati, alle diverse risorse presenti sul territorio che condizionano l'applicazione della messa alla prova e alla diversa tipologia della criminalità minorile.