ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo 7
Associazionismo cittadino e immigrazione

Marco Poledrini, 2001

7.1 Le associazioni di cittadini italiani

Nel corso degli anni '90, fin dall'arrivo dei primi nuclei stranieri, si sono costituite nel territorio aretino associazioni di cittadini, interessate, in maniera più o meno diretta, al fenomeno dell'immigrazione. Ho intenzione di dedicare un intero capitolo alla descrizione delle loro attività e in particolare delle strutture e dei servizi messi a disposizione della popolazione straniera, in modo da illustrare, allo stesso tempo, la funzione che hanno avuto nel facilitare l'insediamento urbano delle nuove culture. Istituzioni di questo tipo nascono dalla volontà dei cittadini e sono per questo radicate, in maniera profonda, nel territorio in cui operano, rappresentano quindi una buona ottica per osservare il rapporto tra città e stranieri.

Il ruolo svolto dalle associazioni di cittadini italiani nei processi di integrazione aretina appare fondamentale sotto più aspetti. Prima di tutto, esse rappresentano gli unici ambiti cittadini che abbiano accettato e accolto al loro interno le comunità immigrate. Già negli anni '90, nel periodo iniziale del fenomeno, le prime (e timide) ammissioni degli stranieri nella vita sociale della città avvenivano tramite queste associazioni che rappresentavano dei punti di riferimento non solo per la popolazione immigrata ma anche per i residenti (e gli amministratori) che imparavano, per la prima volta, a confrontarsi con la nuova presenza. In seguito, le associazioni hanno avuto il merito di delineare spazi nei quali i cittadini potessero individuare (e associare) i nuovi arrivati; tuttora, esse, sono le uniche strutture della città capaci di ammettere gli stranieri ad una "visibilità" che non abbia finalità di puro controllo o emarginazione. Questa circostanza non è da sottovalutare soprattutto se considerato quanto, in una città di piccole medie dimensioni, il meccanismo di identificazione luogo-gruppo-intenzione, sia forte. La presenza di sedi associative aperte agli stranieri ha permesso che tale meccanismo non si esaurisse esclusivamente nei luoghi della prima accoglienza o della socialità di ripiego, o ancora, se non peggio, della Questura e della prostituzione, ma riguardasse anche ambiti considerati espressione della socialità aretina.

Per questi motivi è possibile affermare che le associazioni di italiani rappresentino, per le comunità presenti ad Arezzo, ambiti di visibilità 'privilegiata' contrastanti con l'immagine che di queste danno, le forme di socialità incontrate nel capitolo precedente. Le modalità aggregative espresse nella socialità 'di ripiego' svalutano, infatti, la rappresentazione della comunità immigrata che in esse appare confinata in zone predeterminate, senza locali pronti ad accoglierla o scopi che siano visibili agli occhi della città. Le associazioni permettono invece di identificare le pratiche sociali degli immigrati in un determinato contesto, attraverso una sede fisica visibile e con finalità anch'esse definite. In particolare grazie all'ospitalità offerta, prima a semplici gruppi di stranieri poi ad associazioni di comunità più strutturate, le sedi delle associazioni italiane stanno svolgendo un ruolo primario nel processo di contestualizzazione della socialità immigrata; un processo che, come abbiamo visto nel paragrafo sulla socialità "conquistata", è fortemente rallentato dalle difficoltà, per gli stranieri, di reperire locali idonei ad accogliere le proprie attività sociali. I residenti sembrano non comprendere infatti come le particolari modalità aggregative degli immigrati non dipendano tanto dalla volontà di assediare lampioni, panchine o atri ma dalla mancanza di locali disposti ad accoglierli. Tale circostanza, un po' come abbiamo visto in tema di pratiche di abitare, porta ad attribuire alle culture estere aspetti che non le sono propri ma che trovano ragione, invece, nella precarietà della condizione immigrata e nelle leggi naturali messe in evidenza precedentemente.

Il ruolo svolto dalle associazioni nei processi di integrazione cittadina non è circoscritto alla sola 'visibilità privilegiata', queste strutture si propongono allo stesso tempo anche come ambiti di 'relazione privilegiata'. Le associazioni, per la loro natura, sono infatti spazi in cui non sembrano presenti le barriere e le diffidenze tra autoctoni e immigrati, riscontrate invece in altri ambienti cittadini. Nel capitolo precedente, abbiamo visto come nella città siano sorte delle zone esclusive che hanno lentamente assorbito le attività sociali degli stranieri e le abbiano separate da qualsiasi altro contesto urbano. In P.za G. Monaco come negli altri spazi collettivi o nei Call Center, nonostante le due comunità si ritrovino ogni giorno a poca distanza, è stato osservato come le relazioni fra queste, sono pregiudicate dall'avvenuta spartizione dello spazio, attraverso le reciproche connotazioni ottenute con i meccanismi di presenza - simbolo - proprietà. Nelle associazioni, al contrario, la connotazione ha intensità ridotte e i confini, altrove rigidi, risultano meno marcati. Le relazioni tra le due comunità appaiono qui agevolate e le possibilità di conoscenze 'interculturali' sono realizzabili come in nessun altro luogo cittadino.

La spiegazione di questa attitudine possiede una chiara origine ecologica. Le associazioni richiamano al loro interno la parte di cittadinanza più sensibile al problema dell'immigrazione e desiderosa, allo stesso tempo, di conoscere persone con culture diverse dalla propria. Tale circostanza fornisce a questi ambiti urbani una connotazione che, benché sia sempre espressione del gruppo sociale dominante (gli iscritti alle associazioni), non esclude la presenza dei gruppi stranieri ma anzi la presuppone. Si parla in questo caso di 'connotazione interculturale'.

All'interno di questa entità più grande che chiamiamo città il sociologo scopre molti raggruppamenti di persone che sono il risultato di uno sviluppo e di un continuo processo di setacciamento e dislocazione. Ognuno di questi gruppi riveste un proprio carattere e produce un tipo particolare di abitante. Il sociologo scopre un certo numero di gruppi professionali e culturali i cui interessi e caratteristiche li distinguono gli uni dagli altri ma che tuttavia sono consapevoli dell'appartenenza al gruppo comune più grande noto come città e alla cui vita partecipano (1).

Il brano, ripreso da un saggio di Wirth contenuto nel libro La città, rende bene l'idea della mobilità culturale presente in una città. Nell'ambiente urbano infatti ad ogni gruppo sociale corrisponde un determinato ambiente con una sua propria connotazione ma anche una specifica unità culturale. Nelle associazioni che si occupano di immigrazione, anche in quelle che si pongono fini esclusivamente assistenziali, il desiderio di conoscenza delle comunità immigrate è la motivazione ultima della loro azione e rappresenta quindi l'unità culturale emergente.

Questa sensazione è confermata dalle iniziative che sono state intraprese per coinvolgere e sensibilizzare la cittadinanza sui temi dell'intercultura. Nel corso degli anni '90, soprattutto nella seconda parte, ogni associazione si è impegnata in attività che esortassero la cittadinanza al rispetto delle nuove culture e, allo stesso tempo, agevolassero le relazioni tra residenti e immigrati. Sono state organizzate feste, dibattiti, happening culinari e culturali, è stata addirittura allestita una squadra di calcio all'insegna della multiculturalità. Le manifestazioni organizzate sono state dei tentativi concreti con i quali avvicinare le diversità attraverso momenti di gioco ed istaurare una convivenza positiva fondata sulla conoscenza e il superamento della diffidenza.

Le attività di sensibilizzazione interculturale che le associazioni hanno allestito in città sono fondamentali e rappresentano un'ulteriore fase nei processi di integrazione urbana delle comunità immigrate. L'educazione interculturale è infatti un presupposto irrinunciabile per costruire una convivenza pacifica fra differenti gruppi etnici. Come già osservato nel precedente capitolo, tutte le volte che lo spazio non può intervenire nella composizione del conflitto, la funzione mediatrice deve essere affidata al dialogo e quindi alla conoscenza reciproca. In Arezzo, tuttavia, soltanto il mondo associativo e le comunità scolastiche hanno assunto il compito di sensibilizzare la città e veicolare, al suo interno, informazioni sulla natura e i costumi delle nuove comunità. Questa 'azione interculturale' risulta fondamentale perché non sembrano esservi altri canali che svolgano una funzione del genere. Si aggiunga, inoltre, che Arezzo, soltanto adesso e per la prima volta, impara a confrontarsi con comunità espressioni di culture 'importate'; lontana dal mare e in passato esclusa dalle vie di comunicazione, possiede un'università solo da pochi anni. La migrazione interna del dopoguerra non l'ha interessata troppo e non sono stati mai registrati flussi turistici rilevanti. Il recente fenomeno immigratorio non ha alcun tipo di precedente che possa in qualche modo agevolare il suo svolgimento.

Nonostante le attività delle associazioni, quindi, il grado di conoscenza delle culture immigrate, espresso dalla città, appare mediocre. Durante la ricerca ho annotato fraintendimenti e spesso pregiudizi, non solo in parte della cittadinanza ma anche in alcuni amministratori che pur si trovano a gestire aspetti specifici dell'immigrazione aretina. Nella comunicazione tra immigrato e i residenti, in particolare, sembrano esservi delle difficoltà che hanno origine senza dubbio da incomprensioni di tipo culturale.

Dopo mesi di richieste per un cimitero musulmano indipendente, ad esempio, l'A.c.i.t., l'associazione di cultura islamica, si è vista negare la concessione di tale spazio, con la motivazione che le amministrazioni lavorano per integrare gli stranieri e non per dividerli. In verità è la religione musulmana che impone cimiteri separati, così i musulmani di Arezzo sono ancora costretti a seppellire i loro morti a Firenze. Lo stesso avviene al momento dell'assegnazione del medico di famiglia. La religione islamica impone che le donne non siano toccate da uomini diversi che il marito, ma all'ufficio stranieri dell'Usl credono che ciò derivi da una "...certa chiusura di mentalità ..." e comunque ascrivono alla famiglia un medico uomo anche senza la loro autorizzazione, poiché i pochi dottori donna hanno i massimali ampiamente superati. Altro pregiudizio, più volte ascoltato durante la ricerca ed estremamente deleterio, riguarda le pratiche dell'abitare degli stranieri. Come visto nel capitolo precedente, la popolazione aretina associa il sovraffollamento, la coabitazione e a volte addirittura la scadente qualità delle soluzioni abitative, non tanto alla mancanza di case disponibili per gli stranieri e alla speculazione di qualche aguzzino ma ad un non ben definito 'modo di fare' o 'propria cultura'. Incomprensione di questo genere si registrano in molti ambiti della vita sociale e, cosa ancor più grave, sono riferite a stranieri in termini generici, senza nessuna distinzione di nazionalità, di sesso, di età. Il termine 'immigrato' è un contenitore generale e comunque esauriente, riempito con le informazioni più disparate, spesso provenienti da fonti inattendibili. In questo contesto si comprende allora come le attività delle associazioni, benché limitate nel numero e non strutturate, rappresentino uno dei pochi canali, forse l'unico, che possano invertire la tendenza messa in evidenza.

La funzione delle associazioni non si esaurisce negli elementi messi in evidenza, benché affrontato per ultimo vi è un ulteriore aspetto, nell'attività di queste istituzioni, che svolge un ruolo fondamentale nei processi di urbanizzazione delle comunità immigrate.

Nella città di Arezzo molte se non tutte le strutture che si occupano dei servizi alla popolazione immigrata, sono sorte grazie all'iniziativa e alla risolutezza delle associazioni di cittadini. Soltanto quando il fenomeno migratorio assumeva rilevanze numerica (e sociali) più accentuate, le amministrazione della città si sono affiancate nel finanziamento o nella gestione dei vari servizi, senza tuttavia sostituire completamente l'opera delle associazioni. In molte strutture appare addirittura difficile distinguere in maniera definita i due interventi poiché questi, grazie allo strumento della convenzione, sembrano cooperare fino a fondersi insieme.

La sensibilità di parte della società civile e l'impegno concreto di molte persone, hanno reso Arezzo una città attenta ai problemi dell'immigrazione prima ancora che il fenomeno assumesse rilevanti proporzioni ed interessasse l'opinione pubblica e le amministrazioni. I centri di accoglienza, lo sportello immigrati o la mensa, per rimanere in ambito assistenziale, sono state attivate grazie all'opera di associazioni aretine già agli inizi degli anni '90, nel momento dei primissimi arrivi. Questa circostanza ha permesso, anche in condizioni di emergenza, che pur nel corso degli anni ci sono state, di evitare il ricorso a soluzioni estreme quanto deleterie come l'utilizzo di container o di tendopoli, diversamente a quanto è accaduto in altre città.

Le associazioni, prima di tutti, hanno cercato di predisporre una prima accoglienza decorosa che non svalutasse troppo l'immagine dei nuovi arrivati agli occhi della città. Le soluzioni, adottate fin dall'inizio, contemplavano l'affitto di veri e propri appartamenti all'interno di edifici condominiali cittadini, il cui costo era sopportato dall'autotassazione degli associati. Anche aspetti relativi alla seconda accoglienza, quali l'educazione scolastica per i minori stranieri, la ricerca dell'abitazione o l'orientamento in ambito lavorativo, sono stati affrontati, prima che dalle amministrazioni, da istituzioni di tipo associativo. Questa tempestività ha permesso, ad esempio, che in Arezzo sia in funzione uno dei primi e meglio strutturati centri interculturali della Toscana e sia attiva un'agenzia immobiliare specifica per i problemi abitativi degli stranieri.

L'attività di sensibilizzazione interculturale che le associazioni hanno svolto nei confronti della città, è stata indirizzata anche verso le sue amministrazioni. Durante questi anni il mondo associativo ha proposto progetti e richiesto finanziamenti, ha indicato ai referenti amministrativi le possibilità istituite da leggi regionali o nazionali, ha comunque contribuito a creare nelle istituzioni un atteggiamento di attenzione nei confronti del problema che si è concretizzato nella realizzazione dei vari servizi per la cittadinanza straniera.

Questa attitudine ha permesso la realizzazione di un buon numero di strutture per l'immigrazione le quali, tuttavia, non riescono a soddisfare interamente la domanda. Anzi, proprio il numero di servizi, di tipo assistenziale e, sempre più, di seconda accoglienza, testimonia una presenza straniera crescente e quindi un bisogno di integrazione sempre più rilevanti. Le strutture associative, come quelle comunali, sono subissate da richieste di accesso ai servizi e spesso i tempi di attesa si dilatano profondamente. Soprattutto in questa fase di profonda crescita, la rapidità con cui i flussi variano, non solo di quantità ma anche per composizione, rende problematico un adeguamento delle strutture interessate in tempi rapidi. In particolare, l'aumento dei permessi di soggiorno rilasciati per motivi familiari, tale da collocare Arezzo al primo posto in percentuale per questo tipo di ingressi, ha prodotto notevoli conseguenze in tutto il panorama migratorio aretino. Con la crescita della componente familiare sono aumentate le relazioni degli immigrati con il tessuto sociale aretino ed in special modo con le istituzioni e i servizi cittadini. Le famiglie riunite hanno espresso bisogni e necessità diverse da quelle della popolazione straniera presente solo qualche anno fa; in questo senso anche il ruolo delle associazioni è cambiato. Servizi quali le mense o la prima accoglienza hanno registrato negli ultimi tre anni un calo di utenza straniera fino ad arrivare all'attuale maggioranza di utenza italiana mentre al contrario i servizi di seconda accoglienza, che riguardano gli aspetti principali del processo di stabilizzazione, quali abitazione, lavoro, educazione nelle scuole, sono sempre più richiesti. Tutto questo è il sintomo dell'avvenuto passaggio, nella città di Arezzo, della seconda fase del processo di immigrazione, la fase che Zucchetti (1999) definisce della 'territorializzazione'. In questa prospettiva la presenza delle associazioni, soprattutto di quelle di comunità, potrà essere una componente fondamentale nel decifrare i nuovi rapporti di convivenza che già adesso si stanno sviluppando.

7.1.1 Centro di ascolto del comune di Arezzo

Con il centro di ascolto, il comune di Arezzo ha attivato uno 'sportello' a cui i cittadini stranieri possono rivolgersi per ottenere le informazione relative alla loro condizione e l'accesso ai servizi che l'amministrazione ha disposto nei loro confronti. Il centro nacque nel Giugno del 1994, nel periodo in cui i primi gruppi stranieri giunsero in città ed è sempre stato gestito, per conto del comune, da associazione cittadine. L'Associazione Famiglie per una società multirazziale, ha avuto la gestione fino a pochi mesi fa, quando la convenzione è scaduta ed è stata rinnovata con la Caritas. Benché si tratti di un ufficio comunale, quindi, i suoi operatori provengono dal mondo associativo e non da quello dell'amministrazione come ci si potrebbe aspettare, una circostanza, come detto in precedenza, molto diffusa nel settore dei servizi allo straniero presenti in Arezzo.

Da un punto di vista istituzionale il centro si pone come un servizio di informazione comunale di secondo livello, rivolto a cittadini stranieri. Con gli anni, soprattutto negli ultimi tre, il bacino di utenza si è però allargato comprendendo anche cittadini italiani che versassero in condizioni di difficoltà o di emarginazione. Le funzioni del centro si sono così strutturate su due differenti ambiti. Nel primo ambito sono gestiti i servizi di prima accoglienza o di emergenza sociale. Si tratta di fornire pasti o ricoveri per chi ne sia sprovvisto o di intervenire in particolari situazioni familiari o personali; un'azione diretta quindi nei confronti della marginalità cittadina sia di nazionalità italiana che straniera, spesso esercitata in collaborazione con i servizi sociali del comune di Arezzo o di altri comuni presenti in Provincia. Il secondo ambito si indirizza in maniera specifica alla popolazione straniera e comprende tutte quelle attività o servizi che agevolino l'integrazione delle comunità nell'area cittadina. Oltre alle informazione in senso stretto riguardo alle strutture e alle opportunità dell'area cittadina, il centro prevede un intervento di ascolto 'approfondito' con la valutazione della situazione personale dell'utente, l'orientamento, il disbrigo di formalità burocratiche, fino all'accompagnamento nella risoluzione dei problemi di vita quotidiana quali alloggio, lavoro, sanità, scuola.

Il centro non dispone di mediatori culturali, i suoi quattro operatori sono di nazionalità italiana e la barriera linguistica risulta quindi uno dei problemi nel rapporto con l'utenza. L'ostacolo è superato facendo ricorso sia da parte degli operatori che da parte di utenti a persone straniere con una certa anzianità di migrazione che possono esprimersi in un buon italiano e fare quindi da interprete. Il centro ha una sua rete di 'amici' a cui si rivolge nei casi di incomunicabilità di questo genere, ma solitamente lo straniero che non parla la nostra lingua viene già accompagnato da un parente o conoscente che possa tradurre le sue richieste. I casi in cui non si è potuta instaurare alcuna comunicazione tra straniero e operatore sono quindi molto pochi e limitati alle comunità meno numerose e rappresentate.

Le richieste che pervengono al centro possono essere le più varie, gli operatori quando non riescano a soddisfarle con gli strumenti o le conoscenze a disposizione, indirizzano l'utente verso la struttura o l'amministrazione idonea. Una delle funzione principali dell'ufficio è infatti quella di fornire indicazioni e orientamento tanto che le richieste di informazioni, sia generiche che specifiche, rappresentano la maggioranza relativa fra tutte quelle pervenute. Questa circostanza rivela come il centro sia, ad Arezzo, l'interlocutore istituzionale degli stranieri, l'ufficio a cui si rivolgono per ottenere informazioni su regolamentazioni, leggi e iter burocratici ma anche per ricevere aiuto nella compilazione di un modulo o nella stesura di una dichiarazione di ospitalità da indirizzare alla Questura. Non è invece contemplato un servizio di accompagnamento 'fisico' negli uffici delle amministrazioni cittadine che agevoli (in alcuni casi permetta) il colloquio tra straniero e impiegato comunale. In ogni caso il centro ha tentato di creare, nel tempo, delle reti di collegamento con le altre istituzioni aretine coinvolte nel fenomeno migratorio; se questo è riuscito bene per alcuni istituzioni, come ad esempio il Provvidetorato agli studi, per il quale l'iscrizione a scuola di un minorenne straniero può essere fatta dagli stessi operatori con un fax ad esso indirizzato, per altre, prima fra tutte la Questura, la mancanza di collaborazione ha reso difficile ogni tentativo di mediazione.

Presso il centro è attivo un servizio di consulenza giuridica a cui gli stranieri possono accedere una volta alla settima tramite colloquio con un avvocato specializzato nelle normative sull'immigrazione. Se nei primi tempi le richieste di questo servizio si riferivano al permesso di soggiorno o a tematiche comunque connesse alla condizione di immigrato, negli ultimi periodi, a testimonianza di comunità straniere sempre più stabili, la consulenza affronta problemi della vita quotidiana come liti condominiali o incidenti d'auto. In ogni caso per la normativa sull'immigrazione il ricorso all'avvocato avviene solo per nei casi in cui sia necessaria una conoscenza tecnica o molto approfondita dell'argomento, nelle altre situazioni, che sono per la verità la maggioranza, gli operatori forniscono le informazioni sufficienti.

In ambito lavorativo il centro mette a disposizione degli utenti le offerte che settimanalmente giungono dall'ufficio di collocamento cittadino; inoltre gli operatori svolgono opera di orientamento al lavoro attraverso colloqui in cui, in base alle competenza e le esperienze dell'utente, vengono date informazione su come muoversi e dove andare per la ricerca di un lavoro. In un particolare ambito lavorativo l'ufficio si pone invece come vera e propria agenzia di collocamento. Nel campo dell'assistenza domiciliare di persone anziane infatti vengono raccolte sia le offerte di lavoro da parte delle famiglie aretine sia i curricula delle ragazze straniere (per gli uomini l'offerta è quasi nulla). L'impiego di persone straniere nell'assistenza agli anziani è un fenomeno molto diffuso nella città di Arezzo sia perché la popolazione sta diventando sempre più anziana sia perché questo tipo di lavoro è faticoso e gli aretini preferiscono non svolgerlo. Il centro si preoccupa di mettere in contatto famiglie e ragazze straniere le cui esigenze concordino, organizzando nelle sue strutture il primo colloquio di lavoro e cercano così di agevolare l'incontro e l'assunzione. I rapporti di lavoro sorti da quest'attività sono ormai più di sessanta. Il centro fornisce inoltre informazioni sui corsi professionali organizzati dalla provincia e in particolar modo su quelli indirizzati alla formazione degli immigrati; presso i suoi uffici vengono inoltre raccolte e gestite le iscrizioni ai corsi di lingua italiana organizzati da associazioni e le iscrizioni alle scuole per adulti organizzate dalle istituzioni scolastiche. L'Istituto tecnico Buonarroti dispone infatti due corsi serali, da Settembre a Maggio al termine dei quali, dopo il relativo esame, viene concessa la licenza elementare o media, quest'ultima, in particolare, necessaria per accedere ai corsi di formazione della Provincia. Gli alunni delle scuole serali non comprendono solo adulti immigrati che non si vedono riconosciuti i titoli acquisiti nel paese di origine, ma vi sono, sempre più spesso, adulti italiani che decidono in tarda età di prendere la licenza media o in alcuni casi addirittura l'elementare.

Molti sono anche le attività in ambito di prima accoglienza e di intervento nei confronti delle marginalità presenti nel territorio. Presso il centro vengono i distribuiti i buoni per usufruire di alcune mense cittadine (Caritas e Parrocchia di S. Agostino) e i buoni per accedere alle docce pubbliche in Piazza del Popolo (due buoni gratuiti il mese dopo di che pagamento di £4.000 a doccia). Sempre attraverso il centro vengono concessi i pass per accedere alle strutture residenziali gestite dal Comune. In Via Redi all'interno del Parco di Villa Severi si trova l'edificio, di proprietà della provincia di Arezzo, in cui è organizzata la prima accoglienza. Si tratta di un ex seccatoio del tabacco, riadattato tramite strutturazione leggera (divisori in materiale plastico, smontabili) a dormitorio. La struttura è aperta dalle 18.00 serali alle 8.00 di mattina e quindi gli ospiti non possono accedervi durante la giornata, la pulizia e la sorveglianza è comunque affidata ad una cooperativa esterna. L'edificio nel suo insieme consta di tre stanze ognuna con cinque letti per un numero massimo di presenze pari a quindici. Al suo interno sono compresi un punto cottura e dei servizi igienici con docce. Lo stato della struttura è fatiscente ed inoltre la vicinanza con un centro per anziani, anch'esso situato all'interno del parco, ha creato qualche problema di convivenza tanto che l'amministrazione ha previsto, in tempi brevi, la chiusura di questo spazio. In ogni caso possono accedervi solo persone di sesso maschile maggiorenni sia italiane che straniere regolarmente soggiornanti. La permanenza è prevista per un periodo massimo di trenta giorni di cui i primi quindici gratuiti e i seguenti dietro il pagamento di un buono giornaliero pari a £ 4.000.

Ogni ospite che accede all'accoglienza ottiene un numero di identificazione, un tesserino di riconoscimento, e inoltre una scheda personale con foto, dati anagrafici e altre informazioni generali che confluiscono nell'archivio del centro. L'utenza è controllata quasi giornalmente con possibilità di ricorrere ad espulsione nei casi in cui sia necessario. In particolare l'utente, al momento di accedere all'accoglienza, consegna il tesserino al custode che lo riporta dopo due o tre giorni, mai più di quattro, al centro così che questo è costretto a tornarvi per riottenerlo e proseguire la sua permanenza. Quando l'utente non abbia però rispettato il regolamento comunale (che viene consegnato al momento della schedatura) il tesserino non viene restituito precludendo così il rientro. Il regolamento non è dei più rigidi ma, oltre al rispetto delle normali regole di convivenza e condivisione di spazi e al rispetto degli orari di apertura e chiusura, impone che gli ospiti non portino alcool o stupefacenti all'interno della struttura e neppure che vi entrino quando sono sotto l'effetto di queste sostanze.

In Via Marco Perennio in un'immobile privato affittato al Comune è organizzata invece la seconda accoglienza in cui vengono ospitati immigrati maschi, maggiorenni, senza gruppo familiare al seguito, in possesso di un lavoro regolare e documentabile attraverso la busta paga. La seconda accoglienza prevede un periodo continuato di permanenza prolungato fino a sei mesi e presuppone da parte dell'ospite la volontà di ricercare, nel frattempo, un alloggio definitivo. Essa è quindi una soluzione residenziale intermedia concessa a quelle persone che sono in cerca di un'abitazione e che la difficoltà nel reperirne una, nonostante la disponibilità di reddito, renderebbe dei senza dimora. Più che un dormitorio quindi la struttura ha le caratteristiche di un alloggio sociale come testimonia anche la quota di partecipazione richiesta agli utenti (pari a £ 250.000 mensili pro capite). L'edificio dispone di otto camere doppie per un totale di sedici posti letto ed è dotato di lavanderia, di due punti cottura, servizi igienici con docce e telefono. L'accesso è precluso dalle 9.30 alle 12.30 per le pulizie, affidate, come per la sorveglianza notturna, ad una cooperativa esterna. La posizione centrale in cui è situato non ha creato alcun problema di convivenza né con gli edifici vicini né in generale con il quartiere. Le richieste di accesso a questa struttura sono numerose, come chiarito in precedenza, del resto, sono molti gli stranieri che pur avendo un regolare reddito da lavoro non riescono ad ottenere un'abitazione e sono costretti a rivolgersi all'assistenza pubblica. Il centro ha dovuto così istituire una lista di attesa per i richiedenti ma di solito trascorrono diversi mesi dalla richiesta prima che il posto possa essere concesso. I sedici letti a disposizione infatti, a fronte di una rotazione semestrale, non rendono frequente l'accesso di nuovi utenti. Inoltre nella struttura hanno trovato ricovero per periodi anche superiori l'anno, persone con particolari problemi segnalate dai servizi sociali cittadini (quasi sempre italiani residenti in Provincia) restringendo ulteriormente l'offerta.

I dati personali degli utenti di questa struttura, come per la precedente, confluiscono nell'archivio del centro in conformità a quanto stabilito dalle normative in materia di centri di accoglienza. Nell'archivio, tenuto in duplice copia (cartacea e informatica) confluiscono per la verità non solo i dati personali di coloro che abbiano avuto accesso a servizi di accoglienza ma anche di tutti quelli che per un qualunque motivo siano entrati in contatto con gli operatori. Per ogni utente, anche il semplice richiedente di informazioni, viene predisposta una scheda personale al momento del primo contatto con la struttura. La scheda confluisce nell'archivio ed è aggiornata successivamente ad ogni nuovo contatto. I dati raccolti sono di varia natura; vi sono dati personali come nome, nascita, residenza, domicilia, ma anche altri quali il motivo del ricorso al centro, il numero delle volte e il tipo di servizi, di prima o seconda accoglienza, usufruito. Per le ragazze che hanno richiesto il servizio di intermediazione per la ricerca di lavoro vengono catalogati anche gli esiti dell'esperienze lavorative ottenute grazie al centro. Per coloro che non hanno residenza fissa viene richiesto invece l'ultimo luogo frequentato e la nuova direzione verso cui si ha intenzione di dirigersi. All'archivio del centro hanno accesso gli operatori della struttura ma anche responsabili di altre amministrazioni quali U.S.L. e questura.

Nei progetti dell'amministrazione comunale il centro di ascolto dovrebbe confluire, entro breve, nel nascente consiglio territoriale per l'immigrazione la cui istituzione è prevista dall'art. 36 della legge n. 40\98. In questa nuova struttura verranno aperti gli sportelli di ogni amministrazione interessata al fenomeno dell'immigrazione, dalle U.S.L. al Provveditorato (ma forse sarà esclusa la Questura) di modo che l'utente straniero possa disbrigare facilmente ogni pratica che lo riguarda. Come le disposizioni di legge prevedono, nella gestione del centro dovrebbero essere coinvolte sia rappresentanti degli enti del territorio che iscritti alle associazioni straniere o a quelle italiane che maggiormente si occupano di immigrazione.

7.1.2 Centro di Documentazione

Il Centro di documentazione, nasce agli inizi degli anni novanta, dall'incontro di tre realtà associative già presenti nel territorio aretino (U.c.o.d.e.p., Amnesty International, e il club Unesco); si propone come associazione culturale senza fini di lucro con un consiglio direttivo composto dai rappresentati delle tre associazioni fondatrici in modo che convergano al suo interno le prospettive e gli interessi di ognuna di esse. Il Centro di documentazione ha rivestito e riveste un ruolo fondamentale nel processo di integrazione culturale e sociale nel territorio aretino. Da un inizio di semplice catalogazione e diffusione di libri e altri supporti culturali, le sue funzioni si sono sempre più definite, imponendosi come interlocutore privilegiato per tutte le istituzioni che affrontino le tematiche interculturali, specialmente in ambito educativo scolastico. In questo campo in particolare l'attività del centro diviene fondamentale per l'intera comunità scolastica anche per l'assenza, nel territorio aretino, di altre strutture che al pari di questa possano fornire materiali e assistenza adeguata alla realizzazione delle attività interculturali previste dai programmi ministeriali. I responsabili del centro hanno così aperto un vero e proprio sportello scuola e istituito un punto di ascolto per i singoli insegnanti che si trovano in difficoltà nel rapporto con la nuova popolazione scolastica. Le problematiche affrontate sono molte e rilevanti, si va da difficoltà nella comunicazione a distanze culturali che possono vanificare i propositi di educazione o di contatto con il nucleo familiare dell'alunno; alla difficoltà, ancora, di porre le differenze linguistiche e culturali come valore e base del rispetto reciproco nell'educazione interculturale. In ogni caso le linee di intervento sono differenti secondo quali dei due sportelli venga attivato.

Il punto di ascolto si occupa dei primi contatti con l'insegnante ma è accessibile anche da studenti, operatori e volontari. Fornisce consulenza didattica, supporto e orientamento con riguardo all'accoglienza scolastica degli alunni stranieri e alla realizzazione di attività o progetti interculturali. Il servizio è gratuito e finanziato con i contributi disposti dall'assessorato ai servizi educativi e scolastici del Comune di Arezzo nell'ambito del rapporto di collaborazione fra istituzioni e associazioni previsto dall'art. 40 della legge nº 40\98. Il centro è difatti un'associazione culturale riconosciuta e inscritta nel registro presso il Dipartimento degli Affari Sociali, come la legge richiede per accedere ai contributi disposti in materia di integrazione e attività interculturale.

Lo sportello scuola si occupa invece di far conoscere i corsi che il centro ha attivato in veste di agenzia formativa. Si tratta di vere proposte educative dirette ai referenti (presidi) delle comunità scolastiche che, grazie alle nuove leggi sull'autonomia, possono liberamente decidere di sfruttare. Grazie ad un protocollo di intesa fra Provincia e Provveditorato, ormai da alcuni anni l'accesso ai corsi che più da vicino riguardano la sensibilizzazione interculturale e la formazione degli insegnanti, sono finanziati dalla provincia stessa, la quale assicura alle comunità scolastiche la copertura fino a metà, dei costi dei corsi.

Alcuni dei corsi attivati nell'anno scolastico 2000\2001.

  1. Il giro del mondo in cento libri - Formazione per insegnanti "referente"nel territorio per la costituzione di uno "scaffale multiculturale"per una migliore accoglienza e comprensione degli alunni stranieri in ambito scolastico.
    25 ore totali
  2. Parlo Italiano - Formazione per insegnanti"referenti" nel territorio per l'attivazione di laboratori linguistici di italiano L2 negli istituti con presenza di alunni stranieri.
    25 ore totali.
  3. Alunni stranieri e accoglienza scolastica - Fornisce conoscenze di base per favorire l'accoglienza dei bambini stranieri nella scuola.
    9 ore totali.
  4. Giochi e percorsi di accoglienza - Facilitare le capacità empatiche e di deconcentramento cognitivo dei bambini. Decostruire gli stereotipi. Favorire l'interazione tra i bambini stranieri e italiani. 10 ore totali.
  5. Mediazione culturale - Conoscenza e confronto con culture e valori altri. Decostruzione di pregiudizi e stereotipi. Apprendimento di atteggiamenti interattivi e costruttivi rispetto alle differenze culturali.
    10 ore totali.

Le direttive in tema di educazione culturale proposte dalla legge Napoletano, sono state accolte, almeno nell'area aretina, da una struttura che affonda le radici nella realtà dell'associazionismo. Un'iniziativa politica (nel senso originario del termine) che nasce dall'impegno di privati cittadini ed è chiamata, in un secondo momento, in ambito pubblico per affrontare le tematiche interculturali disposte dai programmi ministeriali. Il centro, considerata la mancanza di strutture simili nella zona, svolge una funzione fondamentale nei processi di integrazione aretini. Affidandosi ai suoi corsi e alle sue attività di mediazioni gli istituti scolastici hanno potuto agevolare la non facile integrazione scolastica degli alunni stranieri; allo stesso tempo, attraverso le didattiche interculturali organizzate in collaborazione fra operatori e corpo insegnante sono stati sensibilizzati i giovani alunni aretini (e in maniera indiretta i loro genitori) sulle culture e le tradizioni delle comunità straniere stabilitesi in città; una circostanza quest'ultima, che abbiamo visto essere strategica, sopratutto in ambiti definiti come quelli cittadini, per la realizzazione di una convivenza pacifica fra differenti gruppi.

Oltre che con gli istituti scolastici, molto importante è il rapporto che il centro ha stretto con la comunità cittadina nel suo insieme. Sebbene da quanto riferito dagli operatori siano state molte le difficoltà affrontate negli anni per ottenere visibilità e mezzi economici, oggi il centro è una realtà culturale fra le più importanti della città e forse l'unica strutture impegnata nel far conoscere agli aretini le identità culturali dei nuovi cittadini. Da cinque anni può contare su una convenzione con la biblioteca comunale che permette la catalogazione e gestione di una nutrita biblioteca tematica. Nelle sue sale sono organizzati incontri, convegni, mostre e spettacoli incentrati sui temi dell'intercultura e la struttura è ormai un punto di riferimento per tutti coloro che operano nell'ambito dell'immigrazione.

Anche la regione Toscana ha ormai da tempo compreso l'importanza e il ruolo svolto dai centri interculturali nel tessuto sociale e educativo del territorio. La legge regionale n. 29\2000, integrativa della già vigente n. 14\1995, definisce le strategie e i criteri da impiegare nelle azioni di educazione e sensibilizzazione interculturale nell'ambito regionale. Lo strumento di attuazione principale, previsto nel testo, risulta la disposizione di una rete di centri interculturali, estesa sull'intero territorio toscano e inserita all'interno di un progetto 'Porto Franco, Toscana. Terra dei popoli e delle culture' in cui realizzi interventi di formazione e comunicazione sui terreni dell'intercultura. Il Centro di documentazione aretino è uno dei sessanta centri coinvolti nel progetto.

7.1.3 Ucodep

Sempre su iniziativa di un'associazione attiva nel territorio e con i contributi della Provincia di Arezzo è stata data attuazione ad un'altra direttiva presente nella legge 40\98. L'associazione è UCODEP, già presente nel consiglio direttivo del centro di documentazione ha mantenuto comunque una sua attività indipendente ed una sua autonoma identità. Si occupa dal '90, di commercio equo e solidale nonché di cooperazione internazionale, ed è stata attiva sul territorio con un servizio di mensa, fino al '97. Nasce dalla proposta di questa associazione la realizzazione di quanto previsto dall'art. 42, comma 1, lettera d). Nell'articolo si fa riferimento alla stipulazione di convenzioni per l'impiego di stranieri in qualità di mediatori culturali al fine di "agevolare i rapporti tra le singola amministrazioni e gli stranieri appartenenti ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi"; il testo non precisa però dove queste figure professionali possano essere formate. Con il finanziamento ottenuto dalla provincia l'associazione ha organizzato, nel Settembre del '99, un corso di formazione professionale di 450 ore aperto ai cittadini extracomunitari in possesso di diploma, per la creazione di venti mediatori linguisti culturali. Il corso ha permesso la creazione di figure professionali, altrimenti assenti nel territorio aretino, che garantiscono una buona copertura rispetto alle aree culturali da raggiungere. Diverse sono le strutture pubbliche provinciali che hanno già usufruito dell'attività dei mediatori durante il tirocinio formativo, e sono giunte ulteriori e pressanti richieste di utilizzo soprattutto da altre strutture dell'amministrazione (S.e.r.t e Pronto Soccorso in particolare). Nei progetti dell'associazione vi è adesso quello di creare un'agenzia per la mediazione che operi anche nella struttura in costruendi prevista dal Consiglio Territoriale per l'Immigrazione, e che renda possibile l'impiego di questi operatori la cui attività è difficilmente inquadrabile nelle vigenti strutture contrattuali.

7.1.4 Associazione 'La casa'

L'associazione 'La casa' si occupa di agevolare la ricerca di un'abitazione per quei cittadini stranieri che ne sono sprovvisti. La sua attività inizia nel 1997 quando alcuni sindacati e associazioni della città (CGIL, SUNIA, ARCI, Donne Insieme, ACIAP, Associazione dei Domenicani) decidono di sfruttare i fondi messi a disposizione da una legge regionale per la creazione di agenzie sociali; questa struttura può essere dunque considerata un servizio di intermediazione regionale per l'accesso alle locazioni cui la stessa legge 40\98 fa riferimento (2) e di cui abbiamo visto esserne presenti ben nove sull'intero territorio toscano.

L'associazione si rivolge a quegli stranieri che non riescano a trovare un'abitazione dignitosa per sé e per la propria famiglia. I requisiti per accedere al servizio sono però un lavoro stabile e documentato da busta paga ed un permesso di soggiorno rinnovato da almeno due anni. Il progetto regionale dalla cui base è nata la struttura prevedeva un fondo di rotazione di 50.000.000 di lire a cui si sono aggiunti negli anni, contributi del Comune di Arezzo e della Provincia. L'insieme dei finanziamenti ha permesso la creazione di una vera e propria agenzia immobiliare, attiva nel mercato locale e capace di dare appoggio, assistenza giuridica ed economica ai nuclei stranieri in cerca di abitazione. Il compito principale dell'agenzia è la gestione del fondo regionale e ovviamente il reperimento di case sfitte con proprietari disposti a concederle a stranieri. In questo gli operatori si rivolgono al mercato privato, anche in collaborazione con le agenzie immobiliari più sensibili alla questione. Lo straniero è sostenuto nei non facili contatti con il proprietario (spesso anche l'intesa verbale può essere complicata) e nell'anticipazione delle spese necessarie alla stipulazione del contratto di affitto. È bene ricordare come per gli stranieri tali spese possono essere molto alte, fino a richiedere il pagamento anticipato di cinque o sei mensilità a titolo cautelativo. In ogni caso l'associazione copre le spese fino ad un importo massimo di 3.600.000 lire; l'alto valore della somma è giustificato non solo dalle salate caparre richieste per la stesura del contratto ma anche dall'alto costo dei canoni o dai sovrapprezzi al nero pretesi talvolta dai proprietari. Per ogni utente è studiato un piano finanziario personalizzato in linea con le sue esigenze e possibilità di restituzione, in genere però la cifra è restituita in piccole rate mensili di circa 300.000 lire in un tempo massimo di diciotto mesi, il tutto ovviamente senza interesse o valore aggiunto alcuno.

L'associazione si occupa anche di assicurare i rientri in modo da non dilapidare il fondo e poter continuare all'attività; in alcuni casi per recuperare il credito si è dovuto ricorrere alle vie legali, ma solo in due occasioni, su tre anni di attività, si è persa la garanzia prestata. Nel primo anno (1998) il fondo è stato interamene 'investito' e già da allora si è lavorato grazie ai rientri. Ciò testimonia non solo la funzionalità della struttura ma anche il numero di richieste per questo tipo di credito. Nonostante l'attività dell'agenzia, il disagio o l'esclusione abitativa sono molto diffusi nella città di Arezzo e rappresentano senza dubbio il maggiore ostacolo ai percorsi individuali di integrazione. L'agenzia non può soddisfare tutte le richieste, poiché i rientri sono dilazionati nel tempo e le cifre sono quasi sempre vicine al massimale.

In ogni caso le difficoltà a cui va incontro la popolazione straniera in ambito immobiliare non sono solo economiche ma anche relative, come visto in precedenza, alla presenza di un mercato parallelo che altera il normale incontro tra domanda e offerta. Come gli stessi operatori hanno confermato, il carattere assistenziale della associazione è giustificato dal fatto che gli stranieri giungono all'abitazione attraverso percorsi più complicati e sopratutto più costosi degli italiani. In Arezzo, la presenza di una immigrazione stabile e caratterizzata da tassi di occupazione relativamente alti, impone (ancor di più) di rivedere l'equazione che da sempre associa l'immigrato ad uno stato di indigenza o generale non autosufficienza. In realtà le cose non stanno così, chi si rivolge a questo servizio ha un lavoro stabile, intende fermarsi in Arezzo e vuole, di solito, far venire la famiglia dal paese di origine (il possesso di un abitazione idonea è il primo requisito per un progetto del genere). Le somme che l'agenzia presta sono un'opportunità che permette di superare le alterazioni del mercato e i pregiudizi dei locatari aretini (nonché la mancanza di scrupoli di alcuni di questi). Nella stessa situazione segregativa che abbiamo visto essere presente fra le caratteristiche del mercato immobiliare locale, anche un italiano, con un regolare lavoro, troverebbe difficoltà a stipulare un contratto di affitto senza aiuti esterni.

Nonostante lo straniero necessiti di una somma minima di almeno tre milioni solo per entrare nel mercato (la caparra è data dalla moltiplicazione per quattro ma spesso anche per cinque o sei, di canoni già di per se abbastanza esosi) sono molte, in ogni caso, le pratiche risolte dall'agenzia grazie all'attività di semplice intermediazione. Dal '98 sono stati conclusi 92 contratti su 213 pratiche avviate. Di questi, sono 39 quelli perfezionati grazie alla attività di 'accompagnamento' nel mercato, senza quindi un reale esborso da parte dell'associazione.

7.1.5 Associazione La Provvidenza

L'associazione La Provvidenza si occupa di un particolare aspetto del fenomeno migratorio, quello relativo ai minorenni stranieri che tentano il percorso migratorio da soli, nella clandestinità. Nella seconda parte degli anni '90, minori non accompagnati, alcuni di soli 13 o 14 anni, sono giunti ad Arezzo in cerca di lavoro, richiamati da amici che prima di loro avevano tentato l'avventura. Dall'Albania, in particolare, un vero e proprio canale parallelo di immigrazione, fondato sul tamtam di richiamo e su concrete possibilità di lavoro (apprendisti nelle ditte orafe della città), ha portato, direttamente nella città aretina, flussi consistenti di ragazzi, sprovvisti sia di regolare visto sia di accompagnamento.

Nel nostro ordinamento i minori stranieri hanno diritto ad usufruire di speciali permessi di soggiorno che la legge prevede in ottemperanza al divieto di espulsione, introdotta con l'adesione alla Convenzione per i Diritti del Fanciullo. Le disposizioni di legge prevedono inoltre che l'obbligo di mantenimento e tutela ricada sul Comune nel cui territorio il minore clandestino viene identificato.

Nel territorio aretino questo particolare flusso pare essersi ridimensionato da quando, con l'approvazione della legge Berlinguer, è stato introdotto l'obbligo formativo fino al compimento dei sedici anni che ha precluso ai minori la possibilità di lavorare se non attraverso i circuiti del lavoro nero. La presenza straniera minorile risulta però ancora rilevante e si è parlato in più di un occasione di emergenza per le difficoltà con cui le strutture comunali gestiscono un numero sempre crescente di questi ragazzi. Per avere un'idea delle dimensione che questo particolare aspetto ha assunto nel panorama migratorio aretino, si pensi che più di un terzo dei fondi annualmente disposti dalla legge 40\98 in favore dei comuni, siano stati spesi, ad Arezzo, per finanziare strutture di accoglienza per minori.

L'associazione La Provvidenza gestisce tre centri residenziali inseriti nella città e organizzati come 'case famiglia' allargate, capaci di accogliere fino a venti minori ciascuna. Ogni centro opera in maniera autonoma con finalità di massima tutela del minore come principio direttivo di base. Questa impostazione permette di perseguire la via del recupero dei contatti familiari e del successivo rimpatrio solo quando essa è realmente favorevole al ragazzo. Ogni ospite delle strutture è inserito in un progetto personalizzato, diretto all'inserimento scolastico o formativo come primo strumento di integrazione. I progetti sono redatti e monitorati da un'equipe di struttura formata da un responsabile, due o più educatori professionali, tre sorveglianti, un addetto ai servizi, un obbiettore e uno psicologo o neuro psichiatra infantile. Il centro si assume la completa responsabilità del minore, anche di tipo legale: i responsabili dichiarano al giudice la disponibilità ad assumersi la tutela giuridica, differentemente da quanto avviene nelle strutture pubbliche dove le tutele si sommano in capo al funzionario responsabile dei servizi sociali. Ai finanziamenti del centro provvedono gli enti pubblici comunali e provinciali aretini ma anche, per buona parte, una rete nazionale di strutture di cui l'associazione è parte; questo permette, a detta dei responsabili, maggiore libertà di movimento e autonomia. Nei centri sono attualmente ospitati una novantina di minori, dalle statistiche fornitemi risultano essere stati accolti dall'inizio dell'attività più di 800 ragazzi, di questi solo l'8% è entrato nel circuito penale.

7.1.6 Caritas Diocesana

La Caritas Diocesana è un organismo pastorale della conferenza episcopale che nasce nella diocesi di Arezzo nella metà degli anni '70. La struttura diocesana è stata attenta al fenomeno migratorio fin dai primi flussi quando gli stranieri giungevano nel territorio con pochissimi mezzi e nessun aiuto. La diocesi e la rete parrocchiale alla quale è a capo sono stati gli organismi più attivi nell'accogliere i nuovi arrivati e dar loro assistenza. Il carattere assistenziale dei servizi non è mutato nel corso degli anni ma si è anzi ampliato e strutturato nel territorio; oggi la Caritas è uno degli istituti più attivi nell'arginare le forma di povertà e di indigenza presenti in città. I contati con gli utenti stranieri sono ancora numerosi ma, soprattutto nella seconda parte degli anni 90, hanno registrato una graduale diminuzione a fronte di un costante aumento della presenza italiana.

La minore presenza immigrata, nella composizione dell'utenza è un'ulteriore testimonianza di come le condizioni della popolazione straniera siano migliorate negli anni nonché di come i percorsi di prima integrazione, benché ancora difficili, siano più accessibili. Nei primi anni 90, coloro che giunsero in città dovettero affrontare difficoltà tali che l'aiuto dalla rete assistenziale era un passaggio obbligato. Da ciò che mi è stato riferito ad esempio, se oggi il percorso abitativo è uno dei più problematici, allora il trovare una casa assumeva aspetti drammatici. I primi stranieri giunti nel territorio hanno dovuto tollerare condizioni durissime d'adattamento ma hanno aperto la strada ai successivi flussi che hanno potuto contare sull'aiuto di connazionali già inseriti, capaci di fornire sostegno e informazioni senza ulteriori mediazioni.

Chi approda ad Arezzo oggi, benché senza mezzi, può contare di solito sull'ospitalità di un parente o di un amico e trova, in ogni caso, un ambiente di comunità che agevola il suo inserimento iniziale. La rete di solidarietà e informazione tessuta tra connazionali sta sostituendosi lentamente ai servizi di tal genere gestiti dalle strutture cittadine. I servizi di prima accoglienza hanno un'utenza la cui maggioranza è ormai rappresentata dalla nazionalità italiana; l'utenza straniera riguarda in prevalenza le nazionalità che contano meno presenze nel territorio o quelle più portate all'individualismo. Si registra inoltre, nel centro Caritas come in quello comunale, l'aumento d'utenti di nazionalità straniera come italiana che non sono residenti nel territorio ma sono soliti spostarsi da una zona all'altra del paese. Questa categoria di persone non ha un progetto d'inserimento definito ma preferisce un utilizzo de servizio fine a se stesso per poi migrare verso altre zone d'Italia.

La gestione dei servizi Caritas è attuata attraverso il centro di ascolto, attivo dai primi anni '90 e strutturato pressappoco come quello comunale. Il centro di ascolto non è solo lo sportello attraverso il quale l'utente accede ai servizi, ma è anche il luogo dove può ottenere risposta alle proprie specifiche esigenze. Lo sportello fornisce ascolto e informazioni, indirizza, quando è necessario, verso le strutture cittadine competenti per la risoluzione del problema. I servizi assistenziali di prima accoglienza che la Caritas gestisce, comprendono una mensa, un ambulatorio medico, ed una recentissima struttura residenziale. La mensa, che è ospitata nei locali della parrocchia del Sacro Cuore in zona Giotto, offre per il pranzo dai 40 ai 60 pasti giornalieri. Il servizio è gestito dai volontari provenienti dalle diverse parrocchie della Diocesi ed è gratuito. Il centro di ascolto distribuisce una tessera di accesso della validità di tre mesi rinnovabile anche più volte secondo le situazioni personali dell'utente. Il Comune partecipa ai costi con un contributo annuo di 40.000.000 di lire ma il resto delle spese, che sono a detta dei responsabili ancora molte, è affrontato dalla Caritas attraverso offerte e contributi dei parrocchiani. La mensa ha iniziato la sua attività nel Febbraio del '97 per sostituire temporaneamente quella comunale fermatasi mesi prima a causa di un incendio. Da quella data non è stata istituita una nuova mensa comunale e la gestione del servizio, eccettuato il sopradetto contributo è totalmente a carico della Caritas. In realtà, è stato per molto tempo allo studio dell'amministrazione, un progetto che prevedeva l'istituzione di una mensa cittadina all'interno delle strutture USL presso il parco 'Il Pionta', parco che accoglie tra l'altro l'Università della città di Arezzo. Nel progetto, studenti, impiegati e indigenti, avrebbero dovuto usufruire dello stesso servizio all'interno di un unico locale. Il cambio di amministrazione ha però bloccato un'iniziativa che sembrava ad un passo dall'attuazione e adesso l'iter è ripartito da zero.

Nel centro storico, presso locali parrocchiali, sono aperte altre due mense cittadine anch'esse rivolte agli indigenti e gratuite. In S. Maria in Gradi vi è una mensa che fornisce, tutti i giorni, dai 15 ai 20 pasti serali. In S. Agostino il servizio è in funzione solo il Sabato sera per una quindicina di pasti. Anche in questo caso i servizi sono assicurati dall'impegno e dai contributi dei parrocchiani. In queste due mense, come anche quella Caritas, è ovviamente bandito il maiale.

Sempre alla Caritas fa riferimento la struttura residenziale di San Vincenzo inaugurata nel Febbraio 2001 e situata presso la sede stessa dell'ente in zona Garbasso. La struttura conta di 23 posti letto distribuiti in camere da tre o quattro posti destinati all'alloggio di uomini e in previsione, anche donne. Dei 23 posti, cinque sono riservati a persone di passaggio senza un progetto di residenza, gli altri 18 sono destinati ad appoggiare progetti individuali di inserimento sociale e quindi di lunghe residenze. Il centro è finanziato da contributi del comune che intende trasferire qui i servizi di seconda accoglienza e liberare la struttura a questi adibita in Via Perennio. Nei progetti dell'amministrazione quest'ultima dovrebbe a sua volta ospitare la prima accoglienza e permettere la chiusura dell'attuale centro ad essa adibito che risulta essere una struttura fatiscente con gravi difficoltà nel rispettare le più elementari norme igieniche e sanitarie.

Altro servizio gestito attraverso il centro di ascolto, è l'ambulatorio sanitario. Attivo due giorni la settimana, anch'esso presso la sede Caritas, è un servizio gratuito. L'idea di istituire un ambulatorio stabile è nata con la necessità che una persona con competenze mediche si occupasse in maniera diretta della distribuzione di medicinali, una mansione che il centro di ascolto ha svolto fin dall'inizio della attività. Da due anni un medico volontario si occupa di distribuire secondo esigenze, i medicinali di cui l'ente viene in possesso e allo stesso tempo visita e da consulenza a tutte quelle persone che si trovino in difficoltà ad usare le strutture sanitarie pubbliche (non solo clandestini che hanno paura di eventuali segnalazioni ma anche coloro che non hanno l'esperienza sufficiente per orientarsi). Nei casi più gravi o in quelli che richiedono cure specialistiche, il medico indirizza gli utenti nei presidi sanitari competenti, svolgendo un'opera di indirizzo e accompagnamento sanitario che risulta molto preziosa a chi, arrivato da poco nella città, non sa neppure quale è l'iter per iscriversi al sistema sanitario o quali sono le strutture dove poter ricevere determinate prestazioni.

Le attività della Caritas Diocesana non si esauriscono nel centro di ascolto, ad esso si affianca la rete delle Caritas Parrocchiali con la quale costituisce una struttura ben estesa nel territorio cittadino e capace di soccorrere in modo capillare ogni situazione di indigenza. Alcune parrocchie della città hanno infatti istituito dei singoli centri di ascolto che svolgono in piccolo le funzioni di quello diocesano e che si occupano in particolare della distribuzione di vestiario, denaro, cibo e altri beni. Grazie alla rete cittadina assicurata dalle parrocchie, la Caritas è stata in grado di pubblicare un rapporto sulle varie situazioni di indigenza nelle differenti zone della città. Questo studio, oltre ad essere un'interessante fotografia degli assetti sociali aretini ci indica come le richieste di aiuto da parte di cittadini stranieri siano giunte in larga parte a parrocchie del centro storico, in buona misura a quelle in zona Sud, e in percentuale basse in quella Nord Ovest ciò confermerebbe le zone già precedentemente segnalate in cui sembra individuarsi una maggiore presenza straniera pur sempre in una dislocazione a "raggiera" all'interno della città.

7.1.7 A.R.C.I.

L'A.R.C.I. nasce come associazione negli anni '50 ed ha una struttura che si estende ormai nell'intero territorio nazionale. I primi interessi dell'ente si sono orientate in ambito ricreativo e culturale, (come si desume dal nome), ma negli ultimi anni le attività si sono allargate, comprendendo svariati ambiti fra cui quello sociale con attività di solidarietà e assistenza. L'ARCI d'Arezzo si è occupata del fenomeno immigrazione soprattutto nella seconda parte degli anni '90 con la realizzazione d'attività specifiche in ambito assistenziale, di formazione e d'intercultura.

L'associazione ha allestito e gestito, con i fondi del Ministero dell'Interno, due strutture residenziali, una inserita nel centro storico della città per 10 persone, l'altra situata appena fuori, in zona Tregozzano, capace di ospitarne 20. Le strutture sono state utilizzate nell'accoglienza alle famiglie di profughi Kosovari, fuggite dal paese nel periodo successivo agli eventi bellici del'99. L'associazione si è occupata anche dell'inserimento sociale di queste persone provvedendo alla ricerca del lavoro e di sistemazioni abitative alternative. Il processo si è concluso in maniera positiva e la maggioranza dei nuclei familiari ha abbandonato le strutture residenziali che presto saranno riutilizzate per altri programmi rivolti all'assistenza di profughi.

Sempre in merito ad attività e progetti relativi all'immigrazione, l'associazione ha organizzato corsi gratuiti, finanziati dalla provincia, sia di formazione professionale sia diretti a dare informazioni in merito ai diritti dello straniero o alle opportunità del territorio. Da tre anni è in un funzione uno sportello informativo per l'orientamento e la consulenza in ambito lavorativo. Lo sportello non svolge una funzione di ricerca dell'impiego ma offre mediazione, a volte realizzata con l'accompagnamento negli uffici, tra lo straniero e le varie strutture amministrative, sindacali, ministeriali, che si occupano del tema.

L'ARCI è inoltre una delle associazioni più attive nella proposizione di iniziative interculturali, attraverso l'attività dei circoli e delle sezioni in cui è organizzata la propria struttura. Dato l'alto numero di questi è difficile ottenere un monitoraggio anche quantitativo delle attività ma durante gli ultimi anni, a detta dei responsabili, sono state realizzate nella città numerose iniziative quali concerti spettacoli e mostre relative al tema della cultura straniera.

7.1.8 Donne insieme

L'Associazione Donne Insieme nasce come gruppo agli inizi degli anni '90 e si costituisce in associazione qualche anno più tardi. La volontà che ha spinto le fondatrici del gruppo e che ha poi sostenuto negli anni le attività dell'associazione, è stata quella di occuparsi delle donne immigrate, che soprattutto nei primi anni '90 giungevano sole nella città in cerca di lavoro. Nonostante la presenza femminile fosse già all'inizio dei primi flussi molto elevata, esse hanno rappresentato per molto tempo la parte svantaggiata di un gruppo sociale, quello immigrato, che già doveva sottostare a condizioni di vita durissime. Il percorso di integrazione per una donna sola, senza un marito o famiglia al seguito, risultava allora più complicato di quanto già non lo fosse per un uomo. Per lei la ricerca di un lavoro o di una casa era un ostacolo spesso insuperabile e le stesse strutture che per prime si erano attivate in ambito assistenziale sembravano non occuparsi troppo di questa categoria. I centri comunali di accoglienza ad esempio, non ospitavano donne, la mancanza dell'assistenza sanitaria o dei più elementari servizi, rendevano drammatici problemi femminili specifici quale l'aborto. La condizione della donna sola con figli, poi, era ancora più incerta. Il gruppo di donne aretine da cui sarebbe nata l'associazione si attivò per risolvere questo tipo di problemi. Donne insieme esercitò un'azione di sensibilizzazione nei confronti dell'amministrazione al fine di allestire un'accoglienza femminile e allo stesso tempo cercò di educare le ragazze straniere all'utilizzo dei metodi contraccettivi in modo da evitare loro l'esperienza dell'aborto o di una gravidanza difficile da gestire.

Nella seconda parte degli anni '90, la situazione della donna immigrata è cambiate, non solo le condizioni di inserimento sono andate con il tempo ammorbidendosi ma anche i flussi di donne che adesso giungono Arezzo sono variati. Sono sempre più le donne che arrivano attraverso il ricongiungimenti familiare mentre l'immigrazione di donne sole, senza nucleo familiare, è diminuita. Si registra invece la presenza di ragazze che giungono dall'Est Europa non accompagnate per lavorare qualche mese in città, quasi sempre come infermiere o nell'assistenza degli anziani, e tornare nel paese di origine dopo aver messo via un po' di soldi.

Il gruppo si è costituito in associazione nel 1995 ed ha assunto da subito un carattere interculturale, le oltre ottanta donne iscritte rappresentano, infatti, 16 diverse nazionalità. Le sue attività sono molteplici e non solo di carattere assistenziale; benché nel corso degli anni questo aspetto non sia stato abbandonato si state privilegiate iniziative culturali o di formazione. L'associazione dispone di una sede, in cui le donne sia iscritte che esterne possono incontrarsi per un semplice the o per svolgere le attività che durante l'anno vengono intraprese. Questo è l'unico spazio della città in cui donne straniere e italiane possono frequentarsi e conoscersi; la referente che ho intervistato ha insistito molto sul fatto che questo processo avvenga in maniera più facile, "quasi naturale", fra le donne. Del resto questa sembra essere la caratteristica dell'associazione che cerca un dialogo interculturale ma da una prospettiva essenzialmente di genere. La sede svolge anche una funzione di dopo scuola per i figli delle donne straniere che li possono trovarvi aiuto per lo svolgimento dei compiti scolastici o per l'apprendimento dell'italiano ma ciò che più caratterizza questo spazio è la possibilità che rappresentanti delle due comunità (aretina e immigrata) possano, in un ambiente confortevole, parlarsi senza interferenze e quindi conoscersi. Tale circostanza rende questa sede, come gli altri locali delle associazioni aretine, gli unici luoghi della città dove le diversità culturali vengano in contatto senza che vi siano ulteriori fini (lavorativo, assistenziale, di controllo) se non quello di instaurare una conoscenza e comprensione reciproca. Il ruolo delle associazione di italiani nei processi di integrazione cittadina, quindi, appare fondamentale non solo per la capacità di trovare spazi urbani agli stranieri ma anche perché esse rappresentano una sorta di 'porta' che ogni aretino intenzionato a conoscere le comunità immigrate può utilizzare. Io stesso, come primo atto della ricerca ho preso contatto con le varie associazioni perché mi pareva la strada più veloce ed efficace per conoscere la realtà migratoria aretina.

Fra le altre attività organizzate dall'associazione Donne insieme viene gestisce un'accoglienza per donne sole o con figli, inserita in un appartamento nella zona Est della città. La struttura è finanziata con i contributi della Provincia, ed accoglie fino a nove persone, in camere di tre posti ciascuna. Per ogni accolta l'associazione provvede alla formazione di un percorso di integrazione personale in cui si cerca, se possibile e quando necessario, di ottenere i documenti, quindi di trovare lavoro e una sistemazione alternativa. In tre mesi le ragazze devono comunque essere capaci di abbandonare l'accoglienza per far posto ad altre utenti, il termine diviene meno rigido nei casi di donne con figli al seguito.

L'associazione organizza inoltre, tramite contributi della Provincia, corsi di formazione diretti a dare una qualifica professionale alle donne, sia italiane che straniere, nei settori dove maggiore è la richiesta di lavoratori qualificati. I corsi, non più di due o tre ogni anno, sono gratuiti e hanno dato luogo, in alcuni casi, a progetti di piccola imprenditoria che si sono trasformati in opportunità di lavoro per le partecipanti. Dall'associazione tramite questi corsi, sono nate una cooperativa di sartoria ed una di ristorazione, veloce tuttora attive.

7.1.9 Associazione 'Arcobaleno'

L'associazione Arcobaleno è la seconda associazione interculturale presente in città. È stata fondata nel Giugno del '99 dalla volontà di otto soci che hanno voluto sfruttare le potenzialità offerte dall'incontro di nazionalità diverse, per creare uno spazio di solidarietà, socialità e condivisione delle proprie culture. Tra i suoi iscritti si contano adesso 25 nazionalità, 19 lingue e 13 religioni, vi è anche un buon numero di associati italiani. L'associazione è stata una delle più attive nel fare intercultura in Arezzo. Nei due anni di attività sono state promosse iniziative dirette a sensibilizzare la cittadinanza ed a promuovere la conoscenza delle nuove culture. Il discorso interculturale rappresenta il fine ultimo di ogni attività associativa, sia che si rivolga agli iscritti sia che coinvolga la città, ed è perseguito nella convinzione che questa sia la strada più efficace per agevolare la convivenza di etnie all'interno della città.

L'associazione non possiede ancora una sede e per svolgere la propria attività si appoggia al centro di documentazione che mette a disposizione i locali di cui dispone dopo la chiusura delle proprie attività. Nelle ore serali il centro diviene così, per il tramite dell'associazione, uno degli spazi cittadini in cui gli stranieri possano ritrovarsi ed esprimere la propria socialità. In questo caso ci troviamo di fronte alla terza modalità di accesso allo spazio cittadino che, nel capitolo sulla socialità conquistata, abbiamo visto caratterizzare il comportamento urbano delle comunità immigrate, insieme alla conquista per avviamento di attività o per connotazione da presenza intensiva. La concessione di locali da parte delle associazione italiane alle comunità straniere, che altrimenti avrebbero difficoltà a riunirsi, è una pratica molto diffusa nell'area aretina. Il centro di documentazione si è distinto negli anni ospitando oltre l'associazione arcobaleno anche quella bengalese e pakistana; altre associazioni di residenti tuttavia sono state molto attive in questo campo, in particolare A.R.C.I., C.G.I.L., Forum della solidarietà e lo stesso Centro di ascolto comunale.

La vivacità dell'associazione arcobaleno è da attribuire proprio a questa 'possibilità' di spazio, che ha permesso agli associati di riunirsi, di svolgere attività ricreative ed anche di lavorare a dei progetti specifici sui temi dell'intercultura. Alcuni esempi significativi sono la creazione di una compagnia teatrale che interpreta per i bambini nelle scuola, ma anche per la cittadinanza, testi di propria creazione che affrontano il tema della nuova società multi etnica; corsi di lingua bengalese per i bambini del Bangladesh (in collaborazione con l'associazione bengalese) nati in Italia; l'organizzazione di dibattiti, aperti alla cittadinanza, che affrontano temi cruciali dei percorsi di integrazione; corsi di lingua italiana per donne immigrate (in collaborazione con il centro di documentazione); organizzazione di feste multi etniche, aperte alla cittadinanza e seguitissime, con musiche e cibi caratteristici delle nazioni da dove provengono i ragazzi dell'associazione.

7.2 Le associazioni di cittadini immigrati

Nella città d'Arezzo ci sono 11 associazioni di comunità legalmente riconosciute. Nel corso degli anni, più o meno tutte le nazionalità più rappresentate hanno provveduto, anche da un punto di vista giuridico, a costituirsi in associazioni. Sono presenti le comunità Marocchina, Algerina, Bengalese, Egiziana Palestinese, Senegalese, Somala, Tunisina, Domenicana, Albanese, Pakistana.

Queste associazioni nascono dal naturale desiderio di ogni immigrato di riunirsi con i propri connazionali per condividere le esperienze migratorie e sostenersi reciprocamente nei percorsi di immigrazione. Le comunità sono, infatti, lo strumento attraverso cui gli immigrati più anziani mettono a disposizione dei nuovi arrivati il loro bagaglio di conoscenze e esperienze risultato del superamento dei primi passaggi, di solito i più duri, dei percorsi di adattamento. Nella comunità lo straniero ottiene le informazioni riguardo ai documenti, alle strutture cittadine, alle opportunità del territorio o ai percorsi per ottenere un lavoro e una casa. È nella comunità che si apprendono le prime regole di convivenza; attraverso i consigli dei connazionali, lo straniero impara a muoversi all'interno della nuova città e a relazionarsi con le sue strutture.

In molti casi insieme all'aiuto e all'orientamento sono messe a disposizione degli associati, risorse economiche. I nuovi arrivati, come gli immigrati temporaneamente in difficoltà, trovano sempre più spesso tra i connazionali, aiuti concreti e ospitalità tanto che il ricorso alle strutture assistenziali è meno frequente per le nazionalità che possono contare su una folta rappresentanza. Le comunità sono ormai il terminale di una rete di informazione e solidarietà a cui ogni associato sembra partecipare. Tale rete riesce a mediare ed agevolare il rapporto tra immigrato e città. Ogni comunità è impegnata nella ricerca di alloggi e di opportunità di lavoro per gli associati, interviene negli uffici delle amministrazioni quando è necessaria la mediazione, possiede canali privilegiati che la collegano a studi professionali (giuridici, commerciali, medici ...) con i quali sono istaurati rapporti che agevolano una comunicazione altrimenti difficile.

Le associazioni di comunità, in definitiva, hanno intenzione di strutturarsi come una 'interfaccia istituzionale' che renda possibile anche ai connazionali con meno esperienza l'utilizzo delle strutture e delle possibilità presenti in città. In questi ultimi anni, processi di questo tipo sono stato avviati, più o meno da ogni associazioni, sebbene le possibilità di riuscita siano messe in discussione dalla mancanza di mezzi adeguati. Le associazioni di stranieri non hanno infatti né possibilità economiche rilevanti, né soprattutto peso politico. Si tenga conto che il non riconoscimento del diritto al voto e quindi l'incapacità di spostare consenso politico, vanifica le pressioni fatte sulle amministrazioni per ottenere finanziamenti. Comunità, attive già da molti anni, che contano in alcuni casi anche più di cinquecento iscritti, non ricevono alcun tipo di contributo esterno né ottengono, a differenza di associazioni italiane, l'utilizzo di locali comunali da adibire a sedi.

La mancanza di spazi adeguati in particolare risulta deleteria ed è un problema che si avverte subito nei colloqui con i referenti poiché "...vanifica ogni volontà di fare qualcosa.." Questa circostanza non permette alle associazioni la realizzazione delle attività che si propongono, e soprattutto svaluta il loro principale fine che è quello di costituire un punto di riferimento per l'intera comunità di cui sono espressione. La mancanza di un luogo fisico determinato, non permette che l'identità del gruppo nazionale si fortifichi intorno ad uno spazio comune solo ad essa appartenente ed allo stesso tempo compromette la visibilità e il riconoscimento dell'associazione agli occhi della città.

Nessuna delle associazioni, eccetto quella islamica, possiede i fondi per affittare i locali da adibire a sedi e le amministrazioni non concedono gli spazi comunali se non per singole giornate e, in alcuni casi, a pagamento. Le soluzioni trovate sono quindi soluzioni di ripiego: alcune associazioni si ritrovano in appartamenti privati, altre sfruttano i locali che associazioni di italiani prestano quando non sono occupate dalle loro attività, altre ancora (ma sono pochi i casi) ottengono, sempre da associazioni di italiani, la gestione esclusiva di stanze all'interno dei locali associativi.

Le eventualità descritte, se non altro, confermano come le associazioni di italiani siano state le prime strutture cittadine ad aprirsi agli stranieri. Benché anch'esse non abbiano una grande disponibilità di locali, hanno ospitate le comunità straniere e le loro attività confermandosi aree privilegiate di spazio e di visibilità per la popolazione immigrata aretina. Soluzioni di questo genere non sono però sostenibili nel lungo periodo. In Arezzo il processo migratorio ha ormai raggiunto i caratteri della territorializzazione, l'attività delle comunità diviene quindi fondamentale per decifrare i nuovi rapporti di convivenza. La città deve produrre gli spazi che garantiscano associazioni di stranieri forti e attive, in grado di agevolare il processo di integrazione delle comunità di cui sono espressione.

Nel definire la problematica urbana dell'immigrazione, non si può dimenticare infatti come le associazioni di comunità abbiano un ruolo fondamentale in diversi ambiti. Una comunità di origine già strutturata nella città di immigrazione, rappresenta non solo una protezione dal disorientamento iniziale e una fonte di informazioni privilegiate ma anche un valido agente di controllo sociale. L'individuo all'inizio della sua avventura migratoria lasciando il suo paese perde molti dei riferimenti identitari (lingua, cibo, famiglia, religioni, affetti) senza sostituirli con altri che facciano parte del suo bagaglio culturale. Il processo di migrazione dal suo punto di vista non è altro che un faticoso processo di adattamento alle mutate circostanza, dove l'esito finale è dato sia dalla elasticità mentale che dall'opportunità di non dimenticare la propria storia e i propri valori.

Come La Cecla (1997) ha fatto notare, l'esagerazione impiegata nel sottolineare gli aspetti negativi dei processi di concentrazione, ha spostato l'attenzione sul carattere ideologico del tema (concentrazione-segregazione), oscurando il fatto che la tendenza a raggrupparsi è del tutto 'naturale' e appare in qualsiasi studio ecologico sulle città. La comunità nasce dal riconoscimento reciproco e dalla possibilità dell'immigrato di non smarrire se stesso attraverso la relazione con propri simili con i quali divide intenti e interessi. La comunità difende dallo smarrimento, dall'inaccoglienza e dalle forze di seduzione della società ospite, e deve essere protetta e aiutata nel suo strutturarsi in istituzione. Inoltre la comunità produce un tipo di controllo non invasivo ma legato alla sua natura di gruppo primario, che surroga i differenti gruppi di tale tipo lasciati dall'immigrato (famiglia, amici, vicinato) mantenendo attivi i freni e le inibizioni verso la disorganizzazione e costituendo allo stesso tempo un punto di riferimento unico nel suo genere. Park nel libro "La Città" descrive così un gruppo primario e l'attività di controllo sociale che riflette.

Per gruppi primari s'intendono quei gruppi caratterizzati da un'intima associazione e cooperazione, essi sono primari in parecchi sensi ma soprattutto in quanto svolgono una funzione fondamentale nella formazione della natura sociale degli individui. Il risultato di un'associazione intima è da un punto di vista psicologico una certa fusione dell'individualità in un insieme comune, tale che l'io proprio di ciascuno è costituito, almeno per molti aspetti, dalla vita comune e dallo scopo del gruppo. Forse il modo migliore di descrivere questo carattere dell'insieme è dire che esso è un noi; esso implica una specie di simpatia e di identificazione reciproca per la quale il termine noi rappresenta l'espressione naturale. L'individuo vive sentendosi parte dell'insieme e trova gli scopi principali della sua volontà in questo modo di sentire.

Uno spazio urbano definito che accolga le singole comunità permetterebbe loro di strutturarsi in istituzione fornendo maggiore sostanza alle attività e al ruolo sociale che le competono. La mancanza di locali e sedi adeguate obbliga questi gruppi a ritrovarsi negli spazi aperti e comuni, con due conseguenze: viene moltiplicata la percezione della presenza straniera e amplificata quella sensazione di accerchiamento o minaccia che parte della cittadinanza da segno di provare, con evidenti riflessi in tema di convivenza ed equilibrio sociale; viene svalutata agli occhi della città la socialità che questi gruppi esprimono, perpetuando il malinteso che attribuisce ad una non precisata 'certa cultura' quello che gli stranieri sono portati a fare per necessità.

In merito a questa seconda eventualità, e alle altre imprudenti 'attribuzioni culturali' in precedenza menzionate, vorrei introdurre un ulteriore aspetto, cruciale, del processo di integrazione che riguarda direttamente il ruolo delle associazioni di comunità. Il processo di integrazione, comunque voglia essere definito, non è un processo unidirezionale. La presenza di culture straniere in uno spazio limitato ma densamente popolato quale quello cittadino ha un impatto sulle strutture e sulle culture di maggioranza le quali ridefiniscono i propri lineamenti attraverso il rapporto con le nuove popolazioni. Sia nella prospettiva integrativa-assimilazionista, dove si propone un mantenimento minimo delle identità straniere a favore di un'uniformità (funzionale), che nella prospettiva multiculturale dove si propone una base minima (anch' essa funzionale) di integrazione in un'area di tolleranza e differenza, non può essere taciuto come nelle relazioni tra nuovi e vecchi residenti vi sia una qualità transazionale, un adattamento reciproco, alla base di ogni processo di comunicazione.

Quanto gli stranieri assumono nuovi codici di comunicazione e di comportamento quando devono muoversi in ambito urbano e relazionarsi con i suoi cittadini, tanto gli abitanti assumono codici di comportamento e di comunicazione diversi quando devono relazionarsi con culture a loro nuove (nel lavoro, negli uffici, per strada). Il fatto che gli stranieri apprendano i codici di comunicazione comuni e condivisi per interagire, non limita il fatto che tali codici sono usati comunque da persone che hanno background di riferimento spesso molto lontano dai codici stessi. Questa circostanza entra in gioco in ogni tentativo d'interazione straniero-residente.

Lo straniero sa che se vuole comunicare deve utilizzare determinati codici, l'italiano a sua volta si trova di fronte ad un linguaggio adottato da una persona che può non avere i riferimenti culturali, normativi, o anche linguistici per un corretto utilizzo. Il processo d'interazione è il risultato quindi della capacità d'utilizzo dei codici da parte dell'attore straniero ma anche dalla dimestichezza dell'attore italiano con la cultura e con i valori di riferimento propri dello straniero. Il contesto interpretativo che s'instaura nelle interazioni italiano straniero nasce sempre da questa mediazione e dipende in maniera non certo esigua, da quanto della cultura straniera è conosciuto nonché da come. Una riprova di ciò può essere il diverso grado di problematicità nell'adattamento di uno straniero proveniente dall'Est Europa rispetto ad uno proveniente dall'area islamica.

Se la possibilità di comunicazione e di comprensione fra i due universi (in verità non sono due ma molteplici) passa attraverso la reciproca conoscenza dell'altro, bisogna chiedersi quali sono i canali che veicolano alla città informazioni sugli stranieri e sulle loro culture. Associazioni di comunità forti e strutturate potrebbero affiancare l'informazione piatta e stereotipata che è diffusa nella città dai mezzi di comunicazione o dalla semplice ripetizione di luoghi comuni in bar e piazze.

Durante la ricerca è emerso un dato costante. Nei colloqui con i cittadini italiani spesso anche referenti di strutture dell'amministrazione pubblica è stato attribuito ad una non definita 'certa cultura' alcuni aspetti della vita da immigrato che nulla hanno a che vedere con la cultura d'alcun popolo. Un caso emblematico sono i già citati pregiudizi in tema di pratiche dell'abitare o i malintesi riguardo ad alcuni precetti religiosi ma gli esempi sono molteplici.

Il processo d'urbanizzazione di nuove culture in ambito cittadino è un processo bidirezionale che implica un adattamento reciproco, indipendentemente dalle intenzioni della società ospite. Se la città vuole esprimere tolleranza e curiosità o invece vuole chiudersi e accettare solo chi utilizza i suoi linguaggi, deve comunque conoscere i canoni di riferimento dei suoi ospiti, altrimenti il malinteso ed il pregiudizio rischiano di bloccare qualsiasi forma di convivenza.

Le strutture competenti per un'azione di sensibilizzazione di questo tipo sono le associazioni di comunità. Esse hanno tutto l'interesse affinché siano ben compresi, nella città, almeno quegli elementi della loro cultura che hanno una rilevanza più stretta in tema di convivenza sociale e utilizzo delle medesime strutture e servizi.

In parte, come detto in precedenza, le comunità aretine sono già attive in quest'opera di sensibilizzazione. Quando barriere culturali ma anche linguistiche, non permettono comunicazione tra un cittadino straniero e ad esempio, un ufficio amministrativo, un presidio medico, uno studio professionale o ancora la Questura; sono le varie associazioni di comunità che si attivano, spesso nella persona di singoli referenti, per sensibilizzare le strutture cittadine ed aiutare il connazionale a comunicare le proprie intenzioni.

Quest'attività avviene in maniera del tutto informale e volontaria su basi, come dire, amicali. Molte associazioni come detto non sono ancora strutturate, soltanto una possiede una sede, nessuna riceve contributi e la loro attività di mediazione non ha alcuna corresponsione né un'inquadratura a livello istituzionale. La mancanza di sedi, in particolare, sottrae alle comunità quell'importanza necessaria per presentarsi come istituzioni formali legittimate al dialogo. Nei rapporti con le strutture cittadine ogni associazione ha dovuto sempre proporsi ed esporsi per far valere i propri punti di vista o per accedere a particolari opportunità. Il meccanismo inverso, per cui un'amministrazione sanitaria si rivolge alle comunità per comprendere il particolare atteggiamento delle donne islamiche, o magari per richiedere la traduzione della modulistica per gli utenti stranieri, non si è mai verificato almeno a detta dei responsabili delle associazioni.

Questa 'invisibilità' associativa, peggiore nelle sue conseguenze di quell'individuale, è il principale esito dell'atteggiamento legislativo con il quale ci ostiniamo a negare il diritto di voto allo straniero. Nell'ambito politico aretino, ad esempio, le associazioni di comunità non sono ascoltate neppure per i provvedimenti che le riguardano e quando sono loro a proporsi, gli è concesso attraverso canali informali non istituzionalizzati, che svalutano la qualità del rapporto. Il dialogo attuale tra giunta della città e le comunità si struttura sulla semplice iniziativa personale a cui segue colloquio privato. Vi è la mancanza di un rapporto continuativo di tipo consultivo che possa surrogare la mancanza di voto politico ed elevare la qualità del rapporto al di sopra del colloquio informale.

In questa direzione, nei primi mesi dell'anno 2000, l'associazione Forum del Terzo settore ha cercato di costituire una consulta di immigrati a cui partecipassero i rappresentanti di tutte le nazionalità presenti nel territorio aretino. Il fine dell'associazione era di istaurare un dialogo fra le varie comunità che permettesse l'individuazione di una linea comune di intervento e la creazione di un direttivo su base elettiva che rappresentasse le istanze degli stranieri presso i responsabili politici di Arezzo. Quest'esigenza era stata avvertita dopo che l'attuale amministrazione aveva convocato, in maniera informale, due associazioni di comunità per sottoporli un documento programmatico relativo alla politica comunale verso gli stranieri. L'amministrazione chiedeva sostanzialmente l'adesione delle due comunità al documento così come presentato senza alcuna possibilità di mediazione, un aut-aut che impediva qualsiasi occasione di dialogo.

Mozione sull'accoglienza e integrazione degli stranieri e sulla sicurezza ad Arezzo

Considerato che la differenza di culture e le tensioni derivanti dai bisogni possono generare relazioni difficili nella comunità;
Vista la necessità di accompagnare gli stranieri nelle fasi iniziali dell'inserimento dal punto di vista logistico e socio sanitario;
Valutata la presenza degli stranieri come arricchimento culturale e economico;
Al fine di assicurare le politiche di integrazione, al fine di una responsabile politica di accoglienza, anche per eliminare fenomeni criminali devianti;

Il Consiglio Comunale di Arezzo impegna la Giunta a:

  • Creare un centro di mediazione culturale e sociale in grado di funzionare come primo filtro di inserimento ed in stretto rapporto con i centri di prima accoglienza e con i servizi di mediazione per l'avviamento lavorativo e per il reperimento dell'abitazione;
  • Assicurare la partecipazione a scuole dedicate per la piena conoscenza della lingua, educazione civica ed istituzionale locale
  • Istituire una consulta permanente per gli stranieri al fine di incentivare il rapporto tra comunità straniere, le Istituzioni, la città
  • Eleggere un coordinamento tra Comune Istituzioni magistratura e forze dell'ordine per dare risposte immediate sul piano della sicurezza individuale e collettiva e per tutelare la qualità della vita in Arezzo.

Le due associazioni di comunità, dopo aver fatto presente di non essere le sole presenti nella città di Arezzo (la Giunta non era al corrente!), hanno rifiutato l'adesione immediata ed hanno chiesto tempo per studiare il documento e discuterlo all'interno della propria comunità.

Nel Marzo 2000 si è tenuto così, per opera dell'associazione Forum del terzo settore, il primo incontro interculturale aretino in cui ogni comunità è stata invitata a partecipare con tre rappresentanti (di cui uno necessariamente donna) attraverso i quali esporre le due proposte ritenute prioritarie. La consulta in tal modo formata si è riunita più volte nei mesi seguenti fino ad esprimere una giunta rappresentativa ed un documento programmatico che definiva una linea comune d'azione. Il documento è stato consegnato alla Commissione Consiliare delle Politiche Sociali nella speranza che attraverso tale canale, giungesse in Consiglio Comunale ed aprisse una discussione. Ad oggi questo rimane l'unico tentativo, se si escludono quelli della passata amministrazione, di formalizzare il rapporto fra stranieri e responsabili politici della città. Il documento non ha trovato alcuna risposta da parte dei destinatari e la giunta si è sfaldata poco tempo dopo anche a causa di dissidi interni. I rapporti tra amministrazione e comunità sono ripresi, in maniera più faticosa di prima, attraverso i canali del colloquio informale e dell'azione singola per ogni comunità. Il documento rimane però un valido strumento per comprendere i bisogni e le priorità delle comunità straniere e, in seconda analisi, per capire il loro punto di vista sui temi dell'integrazione e adattamento.

1º incontro interculturale aretino

  1. Ogni comunità nazionale ha bisogno di una sede propria per creare un minimo di vita associativa, per ritrovare la propria identità attraverso contatti più regolari e seguiti tra persone dello stesso paese, per rafforzare legami di solidarietà interni più forti, per consentire così anche un integrazione che rispetti il proprio passato e la propria origine. È certamente difficile immaginare di avere nello stesso luogo i locali per tutte le comunità esistenti ad Arezzo. S'invitano pertanto associazioni italiane, Enti, Circoscrizioni a permettere l'uso di una o due stanze per una comunità straniera. Questo può facilitare anche un contatto utile con una realtà associativa italiana. Le comunità straniere possono, in alcuni casi, essere disponibili a partecipare, con un piccolo contributo a coprire le spese correnti.
  2. Luogo particolare per eventi. Le comunità straniere hanno bisogno in alcuni momenti, all'occasione di feste nazionali, ricorrenze, riti religiosi dibattiti incontri tra famiglie o gruppi, incontri culturali, di un luogo di medie o grandi dimensioni, capace di accogliere molte persone. Sono state individuate molte soluzioni: una è l'utilizzo dei locali di Via Buonconte da Montefeltro, in accordo con le associazioni italiane, come era stato previsto negli incontri precedenti, con un direttivo misto per gestire questo centro; l'altra era richiedere la collaborazione dei vari centri sociali o centri di aggregazione presenti nella nostra città. In diverse occasioni il centro sociale del 'Pionta' ha permesso la tenuta di feste delle comunità straniere nei suoi locali. Questa seconda proposta faciliterebbe ancor di più l'integrazione nel territorio.
  3. Centro di Informazione e ascolto. L'integrazione degli stranieri e delle loro famiglie richiede tutta una serie di informazioni in settori diversi: scuola sanità uffici del lavoro, amministrazione pubblica, Questura, formazione professionale ecc. Si richiede quindi di migliorare le strutture già esistenti come ad esempio il centro di ascolto, oppure una nuova struttura, dandogli un'organizzazione più improntata alla partecipazione ed integrazione degli immigrati e non alle problematiche dell'emergenza. Questo centro dovrebbe avere spazi più grandi dove possono essere inseriti, secondo delle necessità, immigrati formati come mediatori linguistici culturali. Infatti uno dei problemi maggiori degli immigrati viene dalla scarsa comprensione della lingua e delle leggi italiane. Questo centro dovrebbe avvalersi di una consulenza legale.
  4. Processo di democratizzazione delle associazioni di immigrati attraverso il rafforzamento della vita associativa. Le comunità nazionali sentono il bisogno di creare associazioni sempre più democratiche. Per questo sono necessari corsi di formazione per dirigenti di comunità, corsi di educazione civica ed istituzionale. In particolare le comunità sentono l'esigenza di rendere più trasparente le modalità di elezione dei propri rappresentanti, sia a livello di singole associazioni che a livello di un coordinamento di tutte le associazioni.
  5. Creare un organo di rappresentanza di tutti gli immigrati in Arezzo. È stato ritenuto prioritario creare un organo di rappresentanza di tutte le comunità straniere. Tra un mese queste si ritroveranno per approvare un regolamento e uno statuto per far funzionare, in maniera trasparente e democratica, questo consiglio che potrebbe diventare l'interlocutore privilegiato dei vari Enti Pubblici ed Istituzioni.
  6. Rapporti con gli uffici pubblici. È ritenuto necessario un incontro coi vari responsabili per migliorare la recettività dell'utenza straniera, evitando disagi dovuti a volte ad incomprensioni reciproche, a burocrazie complesse e a spazi non idonei ad accogliere una presenza numerosa. Una soluzione potrebbe venire da una maggiore collaborazione tra gli uffici pubblici ed i coordinamenti delle associazioni straniere.
  7. Corsi di alfabetizzazione continua e di formazione professionale per adulti, sostegno scolastico ai bambini. È stata avanzata la richiesta di incrementare il numero di corsi di alfabetizzazione, con conseguenze articolate nel corso dell'anno. Questo per facilitare anche la partecipazione ai corsi di formazione professionale, di cui gli immigrati sentono un gran bisogno per un più qualificato inserimento nel mondo del lavoro. Visto l'aumento importante dei minori stranieri che frequentano le scuole, insieme ai coetanei aretini, si ritiene necessario migliorare la capacità di accoglienza, fornendo loro anche un supporto per il rapido apprendimento della lingua italiana, tutto questo in relazione anche con le loro famiglie.

È interessante notare come delle sette proposte ben cinque si riferiscono al concetto di spazio. Appare in modo chiaro per la richiesta di sedi, di luoghi da adibire a particolari eventi, e per un nuovo centro di informazione. Appare invece in modo indiretto per punti cinque e sei, che affrontano il tema della rappresentanza e dei rapporti con gli uffici pubblici.

Per la richiesta di un organo di rappresentanza, un'assemblea di tal genere per istituzionalizzarsi e diventare struttura stabile necessità di uno spazio fisico, la richiesta di una consulta è quindi anche la richiesta di una sede che accolga le sue attività e le renda esplicite agli occhi della città. Uno dei vari motivi che ha portato al fallimento la consulta del "Forum" ad esempio, è stato il venir meno della sede dell'organo.

Per quanto riguarda i rapporti con gli uffici pubblici, il problema 'spazio' si riferisce principalmente agli uffici della Questura; il documento né fa un breve accenno, in maniera indiretta, quando parla di "spazi non idonei ad accogliere una presenza numerosa". In realtà il problema è molto sentito dagli stranieri ed è emerso spesso nelle interviste condotte. I termini della questione in questo caso sono però invertiti, non è tanto la visibilità cittadina, ma la qualità della visibilità ad entrare in gioco. L'ufficio stranieri della Questura non dispone di una sala di aspetto e nei periodi di maggior lavoro, in prossimità dei rinnovi o ancor più di sanatorie, gli utenti sono costretti ad aspettare lunghi periodi nei marciapiedi antistanti. Le file di stranieri in coda di fronte alle Questure sono divenute da qualche anno, uno dei tratti caratteristici delle nostre città, e anche Arezzo non si esime da questa situazione.

La legge continua ad affidare alle Questure la gestione del fenomeno immigrazione senza preoccuparsi troppo delle capacità di queste ad affrontare flussi di stranieri sempre crescenti. Ad Arezzo in particolare, la mancanza di spazi adeguati si associa ad un'organico insufficiente che pur lavorando intensamente, dilata oltremodo i tempi di attesa per le documentazione richieste. Questa situazione crea uno stato di tensione nello straniero il quale deve aspettare lunghi periodi, per ottenere le documentazioni che sono necessarie al suo soggiorno nel territorio nonché alla possibilità di trovare lavoro o di ricongiungersi con i familiari.

Inoltre, come detto in precedenza, il rapporto Questura - Stranieri è uno dei più ambigui poiché la Questura è da sempre il tutore dell'ordine pubblico e viene associato da tutti alla criminalità. Gli stranieri non provano piacere a trascorrervi il loro tempo ma ne sono costretti da una legge che affida alla Polizia l'amministrazione esclusiva della questione migratoria. È inutile rilevare come ogni straniero preferirebbe rivolgersi ad altre strutture per ottenere le documentazioni di legge ma in ogni caso, se deve rivolgersi alla Questura, vorrebbe trascorrervi il minor tempo possibile ed in spazi adeguati che non permettano oltre modo, alla città, l'associazione straniero- Questura -criminalità. I capannelli di stranieri nei marciapiedi antistanti, magari guardati dai piantoni che cercano di appianare l'inevitabile confusione, non giovano né all'immagine né all'accoglienza cittadina e instaurano nello straniero una sensazione di paura e tensione per molti versi ingiustificata.

Per tornare al documento, l'analisi complessiva mostra come i tentativi delle comunità per migliorare la propria condizione e quella degli associati, passino in primo luogo attraverso la rivendicazione di spazio urbano. Questo conferma come lo spazio all'interno della città abbia un valore ulteriore rispetto a quello che gli è proprio. Lo spazio urbano è uno strumento che definisce gli equilibri politici delle comunità che abitano la città. L'acquisizione di spazio concorre nel definire l'importanza di un gruppo e la sua forza di proposizione nella mediazione dei conflitti. A causa della limitata disponibilità di superficie cittadina ogni comunità partecipa ad una sorta di lotta per la visibilità che è poi una lotta per la sopravvivenza. All'interno di questa dinamica si può inquadrare la difficoltà per le comunità straniere a raggiungere degli spazi di visibilità idonei. Nella lotta per lo spazio le comunità risultano presto sconfitte da una disposizione di mezzi, non solo economici ma anche relazionali o più propriamente politici, nettamente inferiore rispetto alle altre comunità con cui entrano in competizione.

7.2.1 A.C.I.T.

L'A.C.I.T., associazione culturale islamica toscana, è una delle prime realtà associative costituite dalla popolazione straniera aretina. La sua nascita risale al 1992 anno in cui è stata inaugurata la moschea, luogo di culto e di riferimento per tutti i musulmani presenti nel territorio. L'associazione si occupa direttamente della gestione della moschea e delle attività religiose ad essa collegate. Il suo presidente è l'Imam, la guida spirituale della comunità musulmana, una comunità presente in tutta la Provincia con 8000 persone, 2000 delle quali si calcola siano praticanti. L'associazione ha più di 900 iscritti provenienti dalle differenti nazionalità di area islamica, vi sono associati dal Marocco dall'Algeria, dalla Tunisia, dall'Egitto ma anche Pakistan, Bangladesh, Palestina, Paesi slavi, Albania, Somalia. Il direttivo è formato da un rappresentante di ogni nazione a cui si aggiungono gli anziani della comunità, considerati dalla cultura islamica persone di rilevante autorità. La moschea rimane aperta tutto il giorno per assecondare la particolare liturgia che prevede cinque momenti di preghiera in differenti ore della giornata. Verso sera c'è la funzione principale quando l'intera comunità si riunisce per la lettura del corano.

La struttura è situata all'interno di una villetta nella zona Saione della città, benché la sua visibilità sia limitata tutti nel quartiere sembrano sapere che ve ne sia una, del resto la piazzetta antistante è subito identificata come 'la piazzetta degli immigrati'. La moschea è infatti uno dei luoghi di aggregazione più frequentati dagli stranieri anche perché unico nel suo genere. La difficoltà nel reperire spazi di aggregazione all'interno della città ha permesso a quei pochi ottenuti di diventare velocemente punti di riferimento fondamentali. Del resto, la disponibilità di locali ha consentito alla associazione di creare non solo uno spazio in cui coltivare il proprio culto religioso, ma anche un luogo in cui intraprendere attività sociali e di festeggiare le proprie feste (riti sociali), in modo da rafforzare il senso di comunità degli iscritti. L'associazione dispone di una videoteca religiosa, di una biblioteca di libri arabi e di quasi cento cassette di musiche sacre, materiale che è dato in prestito agli iscritti ma che può essere consultato anche nelle sale dell'associazione. Nello stesso spazio sono tenuti dagli anziani, per i bambini della comunità, corsi di insegnamento religioso e della lingua di origine (araba e Bengalese); inoltre sono organizzati corsi di approfondimento religioso per adulti.

Nonostante confluiscano nell'associazioni differenti nazionalità, spesso molto diverse per cultura, il senso di comunità è forte e diffuso tra gli iscritti. L'associazione non solo rappresenta la possibilità di coltivare la propria identità religiosa ma è un luogo di aiuto e orientamento in molti altri aspetti della vita di un musulmano all'interno di un paese straniero. L'associazione fornisce assistenza legale per i documenti e offre mediazione linguistica negli uffici delle amministrazioni. Nelle sua sede è attivo un consultorio sanitario che indirizza verso le strutture competenti cittadine e fornisce informazioni in merito all'assistenza sanitaria. La struttura religiosa è anche a capo di una rete di informazione e solidarietà, a cui ogni associato sembra partecipare, che assiste e indirizza gli immigrati musulmani appena giunti nella città, nelle prime fasi dell'ambientamento. L'associazione rappresenta un canale privilegiato per arrivare ad un'abitazione, ad un lavoro o per conoscere le opportunità presenti nel territorio. In altri casi, la stessa rete si attiva per soccorrere, anche economicamente, iscritti in situazioni di difficoltà.

L'associazione non riceve alcun contributo esterno per queste iniziative che vengono svolte con spirito di volontariato dalle persone più coinvolte nelle sue attività. La stessa sede ed il luogo adibito alla preghiera sono finanziati esclusivamente con le offerte dei fedeli e le quote associative degli iscritti.

Le attività di mediazione e sostegno ai processi di integrazione, non si esauriscono con l'assistenza ai fedeli. L'associazione svolge una ruolo importante anche in tutti quelle circostanza in cui un suo intervento diretto ha permesso la sensibilizzazione di amministratori o di referenti di strutture in merito a particolari aspetti della cultura islamica. Ho già citato in precedenza la questione dello spazio cimiteriale separato, ma vi sono altri casi che possono rendere l'idea della attività di sensibilizzazione verso la città; più che nella diffusione della cultura islamica comunque, l'associazione sembra essersi impegnata nell'affrontare quelle situazioni concrete in cui, sopratutto nei rapporti con le amministrazioni, un cittadino islamico non è tutelato né rispettato nella sua particolare identità.

Un suo semplice intervento ha permesso, ad esempio, ai responsabili della struttura ospedaliera aretina, di comprendere l'importanza per una donna musulmana al non avere "contatti" con medici uomini. L'ospedale ha cambiato il proprio regolamento interno e adesso le donne islamiche usufruiscono senza timore dei servizi perché sanno che è un loro diritto ottenere medici donna (ovviamente non in caso di emergenza in cui sia in rischio la salute della paziente, ma in questo caso anche il precetto religioso non opera).

Un altro caso significativo sono i moduli che lo straniero nei suoi rapporti con la pubblica amministrazione è tenuto a compilare. La situazione della modulistica nelle strutture aretine è quantomeno confusa, in nessun ente si è addivenuti ad una traduzione se non, in alcuni casi e per alcune lingue, dietro iniziativa personale degli impiegati. Questa situazione, come si può comprendere, causa notevoli disagi all'utenza straniera, ma in alcuni casi questi disagi si trasformano in veri e propri danni. Nei paesi di area islamica al momento della nascita è l'ospedale ad occuparsi di tutti i documenti e di tutte le pratiche che attestano la nascita del bambino; in Italia i genitori sono tenuti a compilare dei moduli e a consegnarli per certificare l'avvenuta nascita. Nel caso di genitori stranieri, vengono consegnati a mano, senza nessuna avvertenza sull'importanza, dei moduli scritti esclusivamente in italiano. Avviene spessissimo che i genitori, non sospettando l'importanza di tali moduli e distratti dall'euforia della nascita, non si occupano della pratica con la conseguenza che anche dopo molto tempo il bambino risulta inesistente per lo Stato italiano. L'Acit si è quindi impegnata a tradurre in Arabo e in Urdu almeno tutti quei moduli la cui non compilazione comporti conseguenze così gravi.

Note

1. Park, E., (a cura di), The city, The university of Chicago press, Chicago, 1925.

2. Cfr. art. 38, comma 6, legge n. 40\98.