ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo I
Le origini del lavoro carcerario

Laura Casciato, 2000

Sezione prima: la nascita del lavoro carcerario in Inghilterra ed Olanda

1.1.1 L'Inghilterra del XV e XVI secolo

Nell'esaminare l'istituto del lavoro carcerario non si può prescindere, seppur brevemente, da alcune considerazioni storiche, riguardanti i Paesi in cui esso ha avuto origine (1), Inghilterra ed Olanda.

L'Inghilterra dei secoli XV e XVI fu teatro di grandi trasformazioni sociali, prima fra tutte la formazione del proletariato; lo scioglimento dei seguiti feudali, la secolarizzazione dei beni ecclesiastici, il sempre più pesante carico di lavoro gravante sulle masse contadine e la conseguente fuga dalle campagne verso le grandi città furono senza dubbio elementi decisivi nella nascita di quella nuova classe sociale.

Tali masse di "ex contadini eslegi" (2) si dedicarono principalmente al brigantaggio, al vagabondaggio e alla mendicità, in dimensioni tali da mettere in crisi le strutture allora preposte a far fronte a questi fenomeni (3).

1.1.2 Le "Houses of Correction" o "Bridewells"

La risposta politica delle autorità inglesi, in un primo momento, consisté in una violenta repressione, che però si rivelò inefficace. Nel 1555 il Re concesse il Palazzo di Bridewells per internare vagabondi, oziosi, autori di piccoli reati e riformarli attraverso il lavoro obbligatorio e la disciplina; l'esperimento ebbe successo ed in poco tempo sorsero "houses of correction" nelle più importanti città inglesi.

Da queste istituzioni nascenti restarono esclusi gli autori dei reati più gravi, i cosiddetti "fellonies", ancora sottoposti alle pene tradizionali (mutilazione, deportazione, pena di morte, ecc.).

Il lavoro obbligatorio era l'elemento centrale della casa di correzione (4); l'internato non poteva rifiutarlo, pena la facoltà del giudice di trasferirlo al carcere comune.

1.1.3 La "Rasp-huis" olandese

Il contesto storico in cui sorsero le case-lavoro in Olanda differì da quello inglese e non ne subì l'influenza (5); i fattori determinanti furono l'incremento dei traffici commerciali e, diversamente dall'Inghilterra, la mancanza di offerta-lavoro sul mercato.

La "workhouse" olandese, denominata "rasp-huis", poiché vi si svolgeva una particolare lavorazione del legno, si finanziava con il lavoro degli internati e, per assicurare il conseguimento di utili elevati, le attività lavorative erano praticate con metodi produttivi arretrati, con un basso investimento di capitali.

La casa-lavoro olandese raggiunse il modello più sviluppato fra le istituzioni carcerarie del XVII secolo e divenne il punto di riferimento per la costituzione di istituti simili in Europa (6).

1.1.4 La funzione delle case - lavoro. Le teorie di Rusche e Kirchheimer

Un particolare studio sulla funzione delle istituzioni case-lavoro è stato svolto da Rusche e Kirchheimer.

Essi hanno sostenuto che l'impiego del lavoro forzato svolgeva un ruolo fondamentale nel controllo del livello dei salari "liberi": il lavoro forzato poteva essere utilizzato quando aumentava la domanda e diminuiva l'offerta di lavoro, cioè quando saliva il costo del lavoro libero. L'attività lavorativa forzata finiva, quindi, per svolgere una funzione calmieratrice sull'andamento dei costi del mercato del lavoro.

Circoscrivere all'aspetto sopra citato la funzione delle case di lavoro sarebbe tuttavia troppo riduttivo; esse, infatti, assolsero ad altri due compiti fondamentali.

In primo luogo realizzarono la conversione di "ex contadini eslegi" in proletariato da impiegare nel nascente sistema capitalistico; la cosiddetta funzione formativa, che permise l'apprendimento della disciplina del lavoro salariato (7).

In secondo luogo risposero ad una esigenza di prevenzione generale, scoraggiando gli uomini liberi dalla commissione di reati per il miglioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro, infatti qualsiasi condizione lavorativa nel libero mercato era, comunque, migliore di quella che veniva riservata agli internati nelle istituzioni carcerarie. Le "workhouses" furono quindi un deterrente alla lotta di classe (8).

Sezione seconda: l'esperienza americana nei penitenziari di Auburn e Philadelphia

1.2.1 Il "solitary confinement" di Philadelphia

Il problema delle istituzioni segreganti fu affrontato e risolto a cavallo tra il XVIII e XIX secolo negli Stati Uniti d'America con la scelta dell'isolamento cellulare, che si articolò in due differenti sistemi penitenziari.

Il primo fu realizzato alla fine del XVIII secolo in Pennsylvania, nella città di Philadelphia.

I cardini di questa istituzione erano l'isolamento continuato, anche diurno, l'obbligo del silenzio, la meditazione e la preghiera. Il lavoro, svolto nelle celle in isolamento e in silenzio, consisteva in attività artigianali condotte con sistemi antieconomici. Il suo compito principale era l'esercizio di una funzione terapeutica psico-fisica, per nulla curandosi delle esigenze economiche e produttive: il lavoro era per se stesso un premio, in quanto rappresentava l'unica alternativa all'ozio e all'inerzia forzati (9).

Questo sistema, detto anche "solitary confinement", entrò presto in crisi per la necessità di introdurre il lavoro produttivo anche nelle istituzioni carcerarie.

1.2.2 La risposta di "Auburn prison"

Determinante per la fine del modello filadelfiano fu il crescere della domanda di lavoro ed il conseguente aumento del suo costo (10).

Si rese allora necessario che le istituzioni segreganti contribuissero, con l'impiego della forza lavoro a loro disposizione, a far fronte alle nuove esigenze del mercato. Fu realizzato un esperimento nel penitenziario di Auburn, dove l'isolamento era solo notturno ed il lavoro diurno si svolgeva in silenzio, ma in comune. Ciò permise l'introduzione di strutture lavorative simili a quelle della fabbrica e l'ingresso, anche in carcere, del lavoro produttivo.

La concessione a privati dello sfruttamento del lavoro forzato contribuì ad abbassare i costi di alcuni settori industriali (11) e istituzioni modellate su quella di Auburn si diffusero in tutti gli Stati Uniti d'America.

Sezione terza: la situazione italiana nel periodo preunitario

1.3.1 Il contesto storico generale

Tentare di ricostruire l'evoluzione dell'istituzione carceraria, con particolare riguardo all'aspetto lavorativo, nell'Italia preunitaria, è cosa assai difficile per la mancanza di unità nazionale, di una storia comune e talvolta anche di documenti (12).

Dovendo necessariamente prendere in esame le situazioni dei diversi Stati che formavano la compagine italiana, si scopre che non esistevano istituti degni di stare al passo con il resto d'Europa, e ciò per le condizioni di arretratezza economica diffusa (13).

1.3.2 L'illuminismo in Lombardia e Toscana

Le prime esperienze degne di nota risalgono al periodo illuministico (14).

La regione che più beneficiò del pensiero illuministico fu la Lombardia. Nel '700 a Milano intensi erano i contatti con le culture austriaca e francese; il risultato fu il fiorire di nuove idee attorno ad un folto gruppo di intellettuali, primi fra tutti Pietro Verri e Cesare Beccaria.

In questo periodo sorsero due tipologie di stabilimenti carcerari, la "casa di correzione" e "l'ergastolo"; in essi il lavoro dei reclusi si articolava diversamente. Nel primo si praticavano lavorazioni produttive tipiche dell'epoca (la manifattura tessile in particolare); nel secondo, i condannati a pene molto lunghe venivano impiegati in opere di pubblica utilità.

Per quanto riguarda le altre regioni italiane, l'unica in cui attecchì il pensiero illuministico fu la Toscana. Qui già in passato si registrò un episodio degno di nota: a metà del XVII secolo, Filippo Franci, un sacerdote protetto da Leopoldo de' Medici, decise di dar vita ad una istituzione in cui venivano accolti giovani disoccupati e ragazzi "ribelli" di buona famiglia, rieducati attraverso il lavoro in botteghe cittadine.

Nel XVII secolo, sotto la guida di Pietro Leopoldo, intensa fu l'attività di riforma, con l'abolizione della pena di morte e la sua sostituzione con i lavori forzati. Gli internati erano impiegati nello svolgimento di opere pubbliche, per la quali venivano retribuiti.

Una situazione di arretratezza caratterizzava invece il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio; in quest'ultimo si registrò solo la costituzione di una casa di correzione per i giovani, l'Ospizio di S. Michele, dove la pena si scontava con lo svolgimento in comune di lavorazioni tessili.

1.3.3 Il XIX secolo

a. Nel Regno di Sardegna

Lo Stato sabaudo, il più sviluppato della penisola, assunse un ruolo di guida, così come in molti settori, anche in quello penitenziario; sulle basi del suo ordinamento carcerario sarebbe nato poi l'ordinamento italiano (15).

Nella prima metà dell'800, contemporaneamente alla pubblicazione di un nuovo codice penale, il conte Ilarione Petitti di Roreto si occupò di riformare l'istituzione carceraria. Nell'acceso dibattito fra il sistema filadelfiano e quello auburniano, egli si schierò a favore del secondo. Questa fu dunque la scelta compiuta dal Piemonte, in quanto meglio rispondente alle esigenze economiche dell'industria nascente.

Non fu però una scelta definitiva, perché, ben presto, grazie all'inserimento di Cavour nel dibattito, il parlamento approvò il passaggio alla scuola di Philadelphia.

b. Nel Granducato di Toscana

In Toscana, dopo la Restaurazione, fu svolta un'opera fondamentale nella riforma delle istituzioni carcerarie, introducendo il sistema dell'isolamento continuato in tutti gli stabilimenti.

Severe furono le critiche, soprattutto sulle condizioni igieniche; ne seguì un dibattito che si concluse con una nuova riforma, entrata in vigore il 10 gennaio 1860, in clima preunitario, con la quale venne introdotto il sistema misto. Con esso si stabiliva che la prima parte della condanna venisse scontata in isolamento continuato e la seconda svolgendo lavoro in comune ed in silenzio. La normativa del 1860 ebbe una importanza particolare perché restò in vigore fino al codice Zanardelli, ma ancor più perché questo stesso codice adottò il sistema misto per le pene detentive (16).

Note

1. Per un completo esame dell'argomento e considerazioni storiche, politiche, economiche e sociali si veda MELOSSI-PAVARINI, Carcere e Fabbrica, Bologna, 1977, passim.

2. Così definiti da Marx in Il Capitale, Roma, 1970, I, 3, p. 192, citato in MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 33.

3. MELOSSI, Il Lavoro in carcere: alcune osservazioni storiche, in CAPPELLETTO-LOMBROSO, Carcere e Società, Padova, 1976, p. 136.

4. MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 35.
SELLIN, Appunti storici su problemi penali e penitenziari, in Rass. st. penit., 1934, pp. 500 ss.

5. MELOSSI-PAVARINI, op. cit, p. 37.
Sull'incertezza del rapporto fra le case-lavoro inglesi ed olandesi si veda anche SELLIN op. cit., p. 501.

6. SELLIN, op. cit., p. 501.

7. MELOSSI op. cit., p. 140.

8. MELOSSI-PAVARINI, op. cit., pp. 43-44.

9. MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 214.

10. MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p.180.

11. MELOSSI, op. cit., p. 142, aderisce alla tesi di Rusche e Kirchheimer che attribuisce al lavoro forzato una funzione calmieratrice del salario "libero".

12. MELOSSI, op. cit., p. 143.

13. MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 97.

14. MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p.108.

15. MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 126.

16. MELOSSI-PAVARINI, op. cit., p. 130.