ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo II
Diario etnografico

Vieri Lenzi, 1999

Prima giornata: introdursi nella 'piazza', fare conoscenza e stabilire il proprio 'ruolo'

Oggi è molto freddo e in piazza non c'è nessuno. Ho concluso il "turno" quotidiano che da una settimana svolgo nella zona. Probabilmente, e inspiegabilmente, l'attività si dev'essere esaurita nella prima mattinata. Sono sotto l'arco di San Pier Maggiore detto di San Pierino dove avviene lo smercio maggiore di eroina a Firenze. In certi momenti della giornata sembra una vera e propria sala d'attesa di eroinomani che attendono smaniosi la "dose". Ma è soprattutto un luogo dove si va per emergenza.

In questi giorni a spacciare ci sono solo dei 'tunisini' (1).

Secondo alcuni "tossicomani", i tunisini contraffanno le dosi, Clint (detto così per la spiccata somiglianza con Clint Eastwood, l'attore americano), dice: "non hanno rispetto per nessuno", e aggiunge: "gli arabi sniffano solamente, quindi se sei giovane, ti 'fai' di eroina e vai da loro perché hai bisogno, o per essere uno di loro, ti sfruttano e basta. Lui, Clint, invece spaccia la "roba" (2) ma non è un 'infame'; perché spaccia per farsi, e non per mero guadagno. "Per guadagnare i tossici vendono droghe leggere..."- dice - "...all'idea di contraffare l'eroina con qualche additivo pericoloso" - aggiunge - "mi vengono i brividi".

Pare che ci sia un 'tunisino' che possiede un attico in una delle zone più costose del centro di Firenze. Molto probabilmente è soltanto in affitto o in subaffitto. Comunque, ogni mese, sempre per sentito dire, esce con un una ragazza diversa, "vistosamente dipendente".

Nella piazza chi spaccia non è visto di buon occhio dagli stessi eroinomani. Può capitare che qualche "tossico" venda dell'eroina per guadagnarci sopra una o due 'dosi', ma chi lo fa per abitudine rischia molto di più; per fare lo spacciatore abituale bisogna essere "svegli" e molto spregiudicati. È difficile o quasi impossibile che un eroinomane possa essere un bravo spacciatore perché egli stesso è succube di ciò che vende, e questo non va bene.

La polizia conosce tutti quelli che hanno a che fare con l'eroina per un periodo superiore all'anno e mezzo, perché prima o poi, chi fa uso di eroina entra inevitabilmente in contatto con essa, o con la giustizia in generale. Se si tratta di uno straniero, molto spesso si procede all'espulsione. Quando il tossicodipendente è Italiano se, durante una perquisizione, gli viene trovata addosso della droga gli viene sequestrata e poco dopo viene rilasciato sul luogo. Se viene sorpreso a smerciare eroina le cose cambiano e si fanno più gravi a seconda se il soggetto è recidivo o meno. Se viene colto in flagranza mentre la sta acquistando o vendendo, le cose si complicano di più.

Tra i tossici di vecchia data ce ne sono alcuni che sono 'buoni' confidenti della polizia già da tempo: Ottavio, ad esempio, pare che sia uno di questi. Lui ha iniziato a farsi in orfanotrofio...ha una storia tremenda alle spalle, (secondo quanto dice un altro tossico del medesimo giro). Ad un certo momento il padre "impazzito" sparò in testa alla madre e al fratello più piccolo; lui fu salvato in quel frangente dalla nonna che gli fece scudo col proprio corpo. Erano su una rampa di scale del condominio dove Ottavio viveva con il fratello, la madre, la nonna e il padre alcolizzato che, forse, per debiti da una parte, per follia o insoddisfazione dall'altra, compì questo gesto; i due ruzzolarono per le scale e Ottavio svenne. Qualche tempo dopo, seppe che suo padre si era sparato subito dopo alla testa... ed eravamo a metà degli anni settanta...

In questi giorni ho avuto pochi contatti con i soggetti del 'giro', ho saputo la storia di Ottavio da un altro 'tossico' perché per il momento sono restii a parlare di sé, preferiscono parlare degli altri. Quando capita, parlano con più facilità degli amici o dei conoscenti che si fanno, o con i quali condividono la vita di piazza, e non sempre in modo negativo. Il fine è quasi sempre quello di giustificarsi o di giustificare la propria condizione, specie quando si affrontano storie del passato. Fino ad ora mi sono astenuto dal porre domande specifiche ed è per questo forse, che la mia presenza ormai risulta accettata.

Ho contatti con i soggetti più tranquilli della piazza, sono tutti molto schivi e spesso scontrosi durante i 'movimenti' (3) o nelle attese tra un movimento e l'altro. Credo di aver individuato un buon punto d'incontro: parte dei tossici che stanno a "svoltare" (4) in piazza hanno un luogo di riferimento: il vinaino di via degli Alfani. (5)

Spesso vanno a bere e a riposarsi in questo luogo. È qui che ho conosciuto Ottavio, e Luca, un amalfitano, che 'non è mai stato' ad Amalfi il quale mi ha raccontato la storia di Ottavio, che mi è parsa verosimile... spesso bevono spuma e vino rosso, una bevanda mischiata che ho visto bere agli anziani nelle "Case del Popolo" o nei circoli ricreativi di Firenze. Ho cominciato a parlare con Luca, e per caso, siamo entrati nel discorso su Ottavio.

Luca è un ragazzo che ha tentato la disintossicazione più volte senza successo, anche se spera di riuscire a smettere un giorno o l'altro. Ci sono molti tossici che hanno questo atteggiamento, conoscono decine di comunità e spesso hanno trascorso periodi di detenzione. Ne ho conosciuti diversi, e alcuni anche se ti dicono di sperare di uscirne, in verità hanno perso tale speranza da tempo. Altri si vogliono convincere che prima o poi smetteranno, che è un fatto di circostanze fortunate; allora ogni volta è una 'botta' che ti fa perdere fiducia in te stesso e allora sia smettere che ricominciare è 'uguale'.

Il momento del 'calo' (della disintossicazione fisica), è tremendo e trovarsi ad affrontare la realtà è duro, lo sarebbe per chiunque... Luca mi ha raccontato di essere stato in diverse comunità d'Italia, forse esagerando, ma durante il nostro scambio mi ha fatto capire che ne conosceva davvero tante: mi ha raccontato che nel Nord ci sono comunità sperimentali e là è facile smettere di farsi, anche per diverso tempo; qualche volta resistono per anni, perché ti aiutano con i farmaci e con il sostegno di psicologi. Al Sud la faccenda è differente, ci sono le comunità religiose, mi disse: "..in certi posti ti trattano come un indemoniato o un 'tarantolato'. Quelle genericamente laico-cristiane sono simili da tutte le parti; c'è un leader che sostiene il morale un po' a tutti, poi c'è un'assistenza specializzata, ma spesso ti trovi meglio con i volontari perché sono più aperti a un dialogo umano, perché lo fanno anche per se stessi".

Luca è stato, in una di quelle sperimentali per un certo periodo, ma poi per un motivo o per l'altro è scappato, perché non era ancora pronto a smettere, o a farsi aiutare. Gli ho offerto un 'vino e spuma', dopo di che si è eclissato; aveva un modo di fare sfuggente, sembrava che in fondo non volesse parlare, ma come in altri casi, il bisogno di cambiare argomenti rispetto a quelli che si affrontano tutti i giorni tra i tossici, è stato più forte. Non mi aveva detto neanche' il suo nome, l'ho capito perché il vinaio lo richiamava per essere pagato, al che ho pagato e me ne sono andato a fare una passeggiata.

Dal vinaio è più facile entrare in contatto con qualcuno perché il bere è un buon mezzo per entrare in comunicazione. Questa fiaschetteria è una vera e propria zona 'franca', un luogo dove gli intrighi di piazza vengono solo commentati, e i rapporti rinforzati da belle 'bevute'. Anche dopo piccoli screzi si affoga tutto nel vino, e tra i tossici e gli abitanti della piazza si ristabiliscono la vecchia tolleranza e solidarietà 'sotto banco'. Ciò potrebbe apparire come un comportamento opportunista, ma che di fondo ha anche altri valori, che spero di riuscire a fare emergere nel seguito della narrazione.

Il vinaio ha una tradizione secolare, è come ho già detto un locale storico e i gestori sono persone, 'che ci sanno fare', sono capaci di trattare con alcolizzati e tossici. Ci sono locali nella zona del centro dove uno di questi 'devianti' non oserebbe mai mettere piede. È come se ci fosse un tacito accordo del tipo: "voi vi comportate bene nei nostri locali e noi non chiamiamo la polizia tutte le volte che in fondo ce ne sarebbe il bisogno".

Il locale a pranzo è pieno di persone 'normali' impiegati, studenti e insegnanti; nel pomeriggio ci sono alcuni abitanti della piazza che a seconda del clima bevono vino, vinsanto o grappa; è rarissimo che qualcuno consumi della birra. La birra può essere presa in considerazione solo in caso di reale sete estiva. Per tutto il tempo si avvicendano persone che si conoscono grazie alla frequentazione di piazza. Fuori dal locale, anche solo a cinque metri dal vinaio, le cose cambiano del tutto. Dal vinaio, tra chiacchiere e risate più o meno sguaiate e l'odore dei salumi, il tempo sembra fermarsi; appena fuori riparte nervosamente. Penso che se non avessi avuto la fortuna di frequentare questo locale mi sarebbe stato impossibile entrare in contatto con queste persone, o almeno ci sarebbe voluto molto più tempo.

È il caso di dire in vino veritas, perché il vino può certo esasperare certi aspetti della personalità, ma posso asserire tranquillamente che il bere allenta certe tensioni e pregiudizi che i tossici vivono nei confronti di una collettività che ha più o meno le stesse difficoltà nei loro confronti.

Considerazioni sulla prima giornata

L'etnologia può dunque aiutarci a comprendere ciò che ci è troppo familiare per non restarci estraneo e nel caso in questione, a chiarire il paradosso riassunto dalla nostra vaga intuizione: nulla è così individuale, così irrimediabilmente soggettivo come un percorso singolo nel metrò (anche se si trattasse solo di quello che effettua un adolescente dall'apparenza anodina, profilo anonimo di cui crediamo di riconoscere i gusti ed i colori, i tic e le mode, la pettinatura e la musica); ma allo stesso tempo nulla è più sociale di un tale percorso non solo perché esso si svolge in uno spazio-tempo sovracodificato, ma anche e soprattutto perché la soggettività che vi si esprime e che lo definisce in ogni circostanza (a ciascuno il suo punto di partenza, le sue coincidenze e il suo punto d'arrivo) è parte integrante, come tutte le altre, della sua definizione in quanto fatto sociale totale (6)

Vorrei sottolineare un aspetto della tossicodipendenza, che a mio avviso contiene elementi affascinanti, se considerati in base della lettura etnografica che qui svolgo: "veglia e sonno". Con questi due termini voglio sottolineare che la vita del tossicodipendente si svolge in una dimensione quasi onirica, dove tutte le emozioni vengono filtrate ed egli si trova in uno stato di sospensione emotiva, quasi di trance.

Nonostante il tossico possa far fronte a brevi periodi di astinenza, non vi è modo di ridurre l'assunzione di sostanze stupefacenti. Col tempo il tossico si abitua a riconoscere due momenti della propria veglia o forse del proprio sonno, ma questi sono ambiti che a me non è dato di esplorare. Possiamo dire tutto al più che nella propria veglia il tossico probabilmente vive due fasi: la prima è quella in cui l'individuo in parte rinnega il proprio vizio e gli dà dei connotati di transitorietà, cioè negativi, e la seconda dove il soggetto si può definire in "roba". Quando qualcuno è in "roba" non è detto che si possa capire dall'esterno. Quelle persone che a tutti è capitato di vedere "ciondolare" in un metro' o appoggiate ad un lampione sono solo in uno stato di cosiddetta "botta piena (7)." o se vogliamo, stato di esplosione neurovegetativa.

Tale stato è raggiunto dal tossico dopo aver assorbito una certa quantità di stupefacente, e può durare svariate ore; il compito del tossico a questo punto è quello di tenere alto il tasso di eroina nel sangue, fino al punto di riacquisire parte della propria lucidità; una lucidità che almeno consenta la sopravvivenza fisica. Per riuscire in tale iniziativa il tossicodipendente è capace di tutto perché al momento in cui raggiunge questo equilibrio chimico non ha più nessuna forma di inibizione, e può compiere qualunque atto per soddisfare l'assuefazione via via crescente. A questo punto, per le difficoltà di reperimento di quantità sempre maggiori, inizia il "calo" fisico e noi assistiamo a scene simili a quelle che ho definito prima di "botta piena". In questa fase, l'individuo si esaurisce fisicamente. Questo frangente può essere facilmente superato con un endovenosa di eroina sufficiente a riportare la quantità di droga nel sangue alla percentuale precedente. L'eroina non è un vero e proprio 'sballo' momentaneo, provoca un 'picco' di piacere estatico, ma l'effetto comporta uno stato di alienazione, che può variare da una settimana a tempi molto più dilatati. In alcuni casi si può parlare di anni di dipendenza ininterrotta.

Ovviamente più si allungano i tempi più il fisico si indebolisce e più si alza il rischio di immunodeficienza o di un arresto cardiaco e più è profondo lo stato di alienazione in cui l'individuo si ritrova dopo aver smesso. Questi effetti scompaiono con la disintossicazione e qualche tempo dopo la crisi di astinenza (8). Infatti quando il tossico intenzionato a smettere non tiene abbastanza alto il tasso di eroina nel sangue, si verifica una reazione chimico-fisica che fa sì che quasi tutta l'eroina ancora in circolo nel sangue, fuoriesca dall'organismo, per lo più con la sudorazione. Quando ciò accade la sofferenza è grande giacché si rientra in una realtà quasi dimenticata e per questo il più delle volte desolata (9).

Il pomeriggio cominciò la sarabanda. Ingoiavamo pillole su pillole e con metodo ci bevevamo del vino. Ma non serviva a niente. Improvvisamente non controllavamo più le gambe. Sentivo una pressione tremenda nel cavo delle ginocchia. Mi sdraiai sul pavimento e stesi le gambe. Tentai di distendere i muscoli delle gambe ma non riuscivo a controllarli. Spinsi le gambe contro l'armadio. E li rimasero. Non riuscivo a spostarle mi rotolavo sul pavimento, ma i piedi mi rimanevano come incollati all'armadio. Ero completamente madida di sudore gelato. Gelavo e tremavo e questo sudore freddo mi scorreva sul viso fino a dentro gli occhi. Questo sudore aveva un puzzo bestiale. Pensai: è veleno che ti sta uscendo fuori che puzza da morire. Mi sembrava che mi stessero esorcizzando. (10)

È per questo motivo che il metadone viene propinato. Il metadone è una sostanza che serve a rendere meno traumatica la disintossicazione da eroina, viene somministrato in dosi scalari anche per evitare impatti troppo bruschi con la realtà. Ci sono soggetti che arrivano ad un quantitativo minimo ma di cui per anni non possono fare a meno. Si tratta di una sostanza calmante che surroga l'eroina. Una volta smesso anche col metadone è facile che l'individuo cada in depressione e che di conseguenza alla prima occasione ricominci a farsi direttamente di eroina.

In piazza molti bevono il metadone (11) continuando anche nell'utilizzo dell'eroina. Ciò accade perché avendo commesso dei piccoli crimini vengono intimati, pena la carcerazione, a fruire dei metodi di disintossicazione; ma anche se vengono scoperti a fare il 'doppio gioco', finché un tossico non compie un'infrazione molto grossa o un delitto la polizia si guarda bene dal metterlo in carcere, limitandosi ad ammonirlo, o facendogli passare qualche ora in guardina. Il tossico è spesso costretto a scontare pene detentive in comunità per periodi spesso pari alla pena lui ricevuta per qualche crimine: non scarseggiano i personaggi che vivono questi frangenti come delle vere vacanze, al termine delle quali ricominciano a drogarsi, contenti di aver recuperato un po' di vigore fisico, attraverso la disintossicazione forzata.

Seconda giornata: solidarietà e scambio d'informazioni

Soggetti come Ottavio, Clint, Luchino ed altri che non ho ancora nominato, ma di cui parlerò in seguito, come il Ciotti (detto così per la voce roca simile quella di Sandro Ciotti cronista delle partite di calcio fino a poco tempo fa), oppure Rachele e la Bischera (soprannome dispregiativo fiorentino che lei porta con grande disinvoltura) - queste due ultime sono una coppia lesbo-tossica che frequenta la piazza dai primi anni ottanta - inoltre il Napoletano, Domenico, lo Strizza e la sua donna nota ormai con l'appellativo di "Donna dello Strizza" e qualche altro soggetto compongono quello che ho denominato il "gruppo storico" (12) della piazza. Possono cambiare le mode, le fonti di approvvigionamento di droga, qualsiasi cosa, ma loro continuano ad orbitare qui...nel loro territorio, nel quadrilatero che prima ho definito.

Il rapporto di socialità-solidarietà permette a costoro di fruire di tante informazioni che per un soggetto che agisce da solo sarebbero impossibili da raccogliere; tali rapporti sono essenziali per la sopravvivenza di questi 'devianti', in una realtà dove il pericolo più grosso è quello di agire a vuoto, cioè perdere tempo e rischiare di entrare in astinenza, oppure di essere ingannati con sostanze da taglio spesso velenose, delle vere e proprie trappole mortali; senza parlare dei 'tranelli' della polizia o qualche partita di eroina fantasma che inserirebbe il tossico in una ' ruota per criceti'.

Il rapporto di solidarietà è importante in questo gruppo di tossici 'storici' della piazza, è il perno della loro sopravvivenza quotidiana. Essi però non dividono né soldi né droga e, salvo rarissimi casi, ognuno deve procurarsi la dose per conto proprio. Capita che qualcuno doni una dose ad un altro, ma solo se questo è in una grave crisi di astinenza e sempre se ne ha a sufficienza anche per sé.

Per esempio: non capita quasi mai che lo Strizza e la sua donna si spartiscano delle dosi anche se sono praticamente marito e moglie ed hanno un figlio in comune (che vive con i nonni di lei che sono benestanti). Tra loro vige la regola per la quale si può dividere tutto ma la roba, no! Ognuno deve procurarsi la 'roba' da sé, altrimenti rischierebbero di andare a fondo tutti e due contemporaneamente, e nessuno dei due potrebbe soccorrere l'altro con una dose di 'straforo'; se ciò accadesse sarebbe un grosso guaio...inizierebbe il calvario del calo e della disintossicazione, poi la comunità e i Ser.t (13), per ritornare comunque dopo un anno o due a mettersi l'ago nella vena....

Nella 'società' dei tossici e specificatamente nell'ambiente al quale mi riferisco esiste un sistema di solidarietà basato sull'informazione che spesso è gratuita ma che coinvolge solamente i soggetti che vengono identificati dal gruppo come appartenenti ad una medesima realtà. È possibile che questi soggetti abbiano trascorso del tempo in comune senza scambiarsi sostanze o soldi: questo ha creato un senso di solidarietà, separato da esigenze economiche o di reperimento.

Non è ovviamente sufficiente frequentare la piazza per inserirsi in questo sistema; bisogna provare agli altri attraverso un periodo di tempo di non essere uno 'sciacallo' (sciacallo viene definito chi cerca di farsi, o accaparrarsi sostanze stupefacenti anche se è già ampiamente soddisfatto), e ciò si dimostra non intralciando altri tossici, e per quanto possibile favorendone gli 'affari'. Un fatto indicativo è che per diventare un tossico 'storico' della piazza bisogna arrivare ad un tetto massimo di buchi giornalieri, un limite, altrimenti si rischia di divenire uno sciacallo e di essere definitivamente emarginato, ovvero escluso dal giro (le quantità dei cosiddetti buchi variano da una media di tre minimo giornalieri ad una di sette. I fattori che la condizionano sono soggettivi sia sul piano psichico che quello fisico).

Si tratta di un'etica che tutela questi tossicodipendenti dal trovarsi soli a confrontarsi con un mondo dove le difficoltà per sopravvivere sarebbero troppe, e questo è l'unico modo per andare avanti in una vita dove l'alternativa sarebbe quella di diventare un delinquente vero e proprio, recidivo e senza possibilità di recupero. Come dice il Sardo: "quando diventi così, facendo la vita di piazza, cioè di strada, va a finire che cominci a fare veramente del male alla gente, ti acciuffano ti rinchiudono e buttano via la chiave e se ti è rimasto un briciolo, non di amor proprio perché quello non ce l'hai più, non ce l'hai più da un pezzo, dico di cervello, a quel punto prendi la cintura e t'impicchi".

Considerazioni sulla seconda giornata

Si è compreso che i rapporti tra tossicodipendenti non toccano, se non raramente la sfera materiale degli interessi personali, tali relazioni si estrinsecano nella loro totalità attraverso un 'idea di solidarietà centrata sul reperimento delle informazioni. Come si è già detto il reperimento dell'eroina è sempre un'incognita determinata da svariati fattori. Molti di questi fattori dipendono da una corretta informazione, perché c'è da tenere presente che il tossicodipendente ha tempi stretti. 'Bucare' a scadenze regolari è l'unico modo che permette al soggetto di dedicarsi al resto delle attività che possono riguardare la normalità: vestirsi, mangiare, lavarsi e incontrare un compagno od una compagna. Nel momento in cui il tossico si getta alla ricerca della 'sostanza' è come se indossasse dei paraocchi al di là dei quali non vede nulla.

La disintossicazione è un problema complesso, ci sono vari metodi e soluzioni. A livello regionale o provinciale ci sono persone che hanno affrontato, o stanno affrontando più di un programma di recupero contemporaneamente: questo fatto ci può fare intuire quanto siano burocraticizzati i sistemi di recupero. In Europa si discute di programmi di disintossicazione differenziati, mentre in Italia si continua a curare il problema dell'eroina a livello ambulatoriale, somministrando farmaci e surrogati di oppiacei, terapie che, se protratte troppo a lungo, provocano anch'esse dipendenze e danni irreversibili alla psiche. Inoltre ho riscontrato dalla mia analisi che una grande quantità di tossicodipendenti continua ad utilizzare eroina o cocaina in combinazione alle cure che ricevono dalle U.S.L, e dai Ser.t. Soltanto un confronto ravvicinato, e non intendo dire di sorveglianza diretta, ma di intervento commisurato alle caratteristiche della persona, potrebbe abbassare notevolmente tali casi di pluridipendenza.

Terza giornata: eroinomani, i luoghi della subcultura e della devianza

Oggi ho deciso che passerò tutto il giorno nella piazza. In questo momento c'è un po' di sole, è 'quello primaverile, ma è forse ancora un po' grigio. Sono seduto sulle scale della costruzione dirimpetto all'Ospedale degli Innocenti. Sono circa le 11, sulle pareti del palazzo che fa angolo tra via dè Servi e piazza Santissima Annunziata ci sono degli annunci di riunioni e concerti presso il C.P.A.: (Centro Popolare Autogestito). Il C.P.A. ha sede presso l'ex area Longinotti, una vecchia fabbrica tenuta in attività fino alla fine degli anni '70, che è stata occupata nell'85 da dei "senza-tetto". Il centro sociale dell'area ex-Longinotti ha saputo in pochi anni porsi come punto di riferimento per migliaia di persone sbandate, extracomunitari e giovani disadattati.

Gli immensi spazi coperti, che prima ospitavano macchinari di fabbricazione, sono stati teatro di iniziative culturali che hanno attratto l'interesse di diverse migliaia di persone in Italia e all'estero (in tale struttura è stato realizzato un teatro che è stato tappa di spettacoli e prestigiose personalità della scena teatrale internazionale).

Alcuni sfruttano le strutture del C.P.A. per interessi personali, perpetrando spesso abusi ed illegalità, per esempio lo spaccio di droga.

Al C.P.A. i tossici non sono visti di buon occhio; c'è da dire che spesso il tossico diventa quasi un 'capro espiatorio' in questi ambienti che alla fin fine risultano fintamente libertari. Per strutture analoghe si può ricordare il "LeonCavallo" di Milano che è stato al centro di vari movimenti di contestazione giovanile dell'ultimo decennio. Attorno a tali strutture si è raccolta la maggior parte dei gruppi giovanili 'dissidenti'. La commistione di questi elementi in uno spazio, dove generalmente per l'illegalità si crea una zona franca, purtroppo rende tali aree ambiti di "coltura" delle dipendenze e spesso delle devianze. Pasticche, exstasi e altre innumerevoli droghe sintetiche condiscono le serate offerte dagli 'organizzatori'. Personalmente non sono contrario alle iniziative autonome di occupazioni o iniziative del genere.

Dalle esperienze che ho seguito a Firenze, come quella del C.S.A di ponte all'Indiano, e di quelle che mi hanno raccontato, per lo più riguardanti altre città, l'iter si riproponeva sempre allo stesso modo. Mi è capitato di udire spesso asserzioni di questo genere da membri di tali iniziative, prima i buoni propositi, poi: "ok tolleriamo le droghe leggere", e ancora, "qua dentro gli sbirri non ci devono mettere piede" ..per arrivare alle serate 'disco-dance' di gruppi 'pulp-international', dove alla fine sono tutti sono impasticcati, come in qualunque discoteca della riviera; allora tutti questi ideali dove finiscono? È facile vedere un paio di organizzatori con la cresta verde e gialla prendere a calci un eroinomane perché là dentro non ce lo vogliono? Perché è un "fattone di merda".

Nell'ambito della piazza vi sono svariate subculture che si incrociano e che in una certa misura convivono. Le forme di comunicazione e di comportamento sono ben distinte; ogni gruppo appartiene ad una subcultura e come tale ha luoghi di riferimento con caratteristiche diverse. La piazza è importante per quei gruppi che in qualche modo sono legati al piccolo traffico di stupefacenti. I tossicodipendenti sono tra i più legati a questo luogo proprio perché la loro specificità subculturale è la più coinvolta nel traffico di sostanze di ogni genere; la microcriminalità è la prima fonte di sostentamento per molti tossici e probabilmente anche per qualche punk.

Questa riflessione si può estendere a quella parte dei tossicodipendenti che vivono la dipendenza da eroina nella piazza. Esistono altri ambiti subculturali esterni alla piazza nei quali si fa consumo di eroina. Questi luoghi sono relegati nella periferia della città e il rapporto tra spacciatori e dipendenti è molto più diretto, nascosto e non osservabile. Non è escluso che alcuni dei tossicomani della zona delle Piagge si conoscano tra di loro, ma essi non condividono in alcun modo rapporti di solidarietà come quelli descritti da me nella piazza. L'origine sociale della dipendenza da eroina accomuna i tossicodipendenti 'sparsi' all'interno della società in una subcultura che ha in comune certamente molti elementi, nessuno dei quali giustifica la definizione di 'gruppo'.

Tra i gruppi giovanili di "tendenza" presenti in piazza sono particolarmente i cosiddetti "Punk a Bestia". Nati come fenomeno attorno alla metà degli anni novanta, sono una presenza significativa. Sono persone che come connotato principale hanno quello di non 'lavarsi mai' o il meno possibile, si comportano come animali, vivono sparsi nelle città, in genere si muovono in gruppo, si vestono con stracci, agghindandosi di ferraglie, e per quanto riguarda l'Italia, sono stati probabilmente i pionieri del "pearcing" (14). Tempo addietro, ne vidi uno, con una pentola per la pasta appesa ad un portachiavi. Questi individui si raccolgono in gruppi o in specie di piccoli clan ed hanno in comune il desiderio di ritorno ad una vita tribale.. il rifiuto della società con le sue regole di comunità "costruttiva" e civile viene sostituita dalle regole dello "stare insieme". Questo movimento giovanile è uno dei più estremi, il rifiuto per la vita della società civile è esasperato. Come movimento giovanile non è certo il primo ad assumere questo atteggiamento di rifiuto. I 'figli dei fiori' degli anni '60, i punk partiti come movimento dall'Inghilterra e dalla Scandinavia negli anni '70, i 'fricchettoni' degli anni '80. Tutti questi sono probabilmente i predecessori ideologici dei punk a bestia variante, leggermente degenerato, degli anni '90.

In questa prospettiva, la vita può essere considerata come un'opera d'arte collettiva: opera di cattivo gusto, kitsch, folklore, oppure anche frutto delle diverse manifestazioni del mass entertainment contemporaneo. Tutto ciò può sembrare futilità inutile e priva di senso, tuttavia se è innegabile l'esistenza di una società 'politica', di una società 'economica', c'è anche una realtà che non ha bisogno di aggettivi: quella della coesistenza sociale in quanto tale; propongo di chiamarla socialità, e potrebbe essere la "forma ludica della socializzazione". Nell'ambito del paradigma estetico che mi è caro, il ludico è ciò che non si aggrava di finalità, d'utilità, e di 'praticità', o delle cosiddette 'realtà', ma essendo ciò che si stilizza l'esistenza ne fa emergere la caratteristica essenziale. Così lo stare insieme, è a mio avviso un dato di base. Prima di qualunque determinazione o qualificazione, c'è questa spontaneità vitale che assicura ad una cultura forza e solidità specifiche; in seguito la spontaneità può artificializzarsi e cioè civilizzarsi e produrre opere notevoli (politiche, economiche, artistiche). Ma è sempre necessario, non fosse che per apprezzarne meglio i nuovi orientamenti (o ri-orientamenti), ritornare alla forma pura dello 'stare insieme senza impegno' che può in effetti fare da sfondo e da rilevatore per i nuovi modi di vita che rinascono sotto i nostri occhi. Nuova distribuzione concernente l'economia sessuale, il modo di rapportarsi al lavoro, la condivisione della parola, il tempo libero, la solidarietà sui raggruppamenti di base. Per comprendere tutto ciò, c'è bisogno della leva metodologica data dalla prospettiva organica del gruppo (15).

I 'Punk a bestia', almeno quelli che ho visto io, sono sempre molto giovani e frequentano ambienti come quelli descritti prima, C.S.A, C.P.A, in cui si trovano anche con persone che non necessariamente condividono il loro stile di vita. È molto difficile entrare in contatto con qualcuno di loro, specie se donne. Tempo fa provai ad offrire da bere ad una 'ragazzetta', dall'accento romano, sui diciassette anni dall'aria molto delicata, nonostante avesse una decina di buchi da pearcing sulle cartilagini del cranio, e chissà quanti altri nascosti insieme a tatuaggi vari...non l'avessi mai fatto, mi sono ritrovato circondato da sei sette 'punk a bestia', uno più sudicio dell'altro, ognuno con una pretesa diversa: quello che voleva cento lire, quello che ne voleva mille e quell'altro che voleva una sigaretta... mi sono districato alla meno peggio, smettendo di rivolgermi alla diciassettenne che aspettava la sua lattina di cocacola.

I tossici della piazza intrattengono rapporti di mercato con i 'Punk a bestia'. Questi ultimi consumano droghe sintetiche, di origine farmaceutica, tipo Roipnol, e diverse altre sostanze a base anfetaminica. Alcuni tossici riescono a procurarsi certe quantità di farmaci presso le strutture mediche: ad esempio una scatola di Roipnol su prescrizione medica costa circa £ 11000 e contiene dodici compresse, un tossico la rivende a circa 5000£ cadauna, più o meno il costo di uno spinello.

Ci sono dei tossici che ancora non hanno trovato una "stabilità" e passano la maggior parte del tempo in Piazza cercando di essere accettati dalla 'comunità', di inserirsi in qualche forma per iniziare a fruire e delle informazioni. Tali relazioni, ripeto, non è sono ufficializzate in nessun senso, e molto probabilmente gli stessi membri non hanno la certezza di costituire una parte integrante della comunità.

Le attività della piazza, cioè partecipare ai movimenti e intrattenere pubbliche relazioni, sono importantissime per arrivare al reperimento di notizie 'fresche' e attendibili, e spesso ci vuole anche una buona dose di fortuna. È curioso osservare il tipo di relazione che un tossico instaura con gli altri tossici; in certi momenti si ha l'impressione che nessuno si fidi completamente dell'altro, ma nonostante tutto se tra gli individui non c'è stato qualche 'screzio' in particolare, si percepisce una solidarietà che ha qualcosa di puramente 'affettivo', perché, è sottinteso, in questo mondo vigono altre leggi. Se due tossici si conoscono da tanto tempo avranno l'uno per l'altro un occhio di riguardo; mi è capitato spesso di stare a parlare con qualcuno di loro ed è bastata la voce di un altro appena arrivato per distoglierlo dalla conversazione, anche se l'argomento di cui si discorreva era importante o personale...è come se avessero un orecchio sempre ben aperto su quello che gli viene detto dalle persone che vivono nella stessa condizione.

Quando un soggetto è in "roba" non ha altri interessi, quando sta 'scalando' col metadone - la sostanza distribuita dai Sert.t. per rendere meno sofferto il calo e la disintossicazione - il tossico è molto più disponibile. Quando invece arriva il successivo calo di metadone, nel senso che il tossico non ne ha più bisogno, è facile che la persona cada in uno stato di depressione mettendolo in una condizione di forte vulnerabilità nei confronti della realtà che si riscopre dopo un lungo periodo di alienazione e dipendenza. Gli unici rapporti che potrebbe intrattenere sono con altri tossici ma ciò vorrebbe dire non uscire mai dal 'giro' e ricominciare a farsi dopo poco. La condizione di chi si è disintossicato è per questo molto precaria perché non riceve fiducia quasi da nessuno e rimane in un vero e proprio 'limbo' per mesi, finché le cose non ricominciano a girare nel verso giusto. Perché questo avvenga spesso ci vuole più di un anno e nella quasi totalità dei casi il tossico, in questo lasso di tempo riprende a farsi.

Per quanto riguarda il movimento dei punk a 'bestia' non voglio soffermarmi su valutazioni sociologiche o culturali in senso stretto che, credo, non potrei elaborare in maniera soddisfacente e più estesa in questo contesto.

Ritengo che l'ambiente fisico dove si svolgono queste vicende, gli spazi di vita suburbani, non siano il punto di 'unione', o diffusione della dipendenza tra i vari tossicodipendenti, ma un punto d'incontro e di scambio d'informazioni. I 'punk a bestia' non sono certo l'unico gruppo all'interno della piazza ma è quello che nel periodo in cui ho raccolto le informazioni era il più a rischio. Il totale rifiuto per l'organizzazione sociale e l'aver trovato un alveo tra altri giovani che la pensano allo stesso modo, nel desiderio di una società senza regole, quasi animale, che vive degli avanzi della società organizzata, crea sicuramente negli individui dei grossi scompensi, dati dall'assenza di valori definiti per una qualsiasi ma possibile convivenza. Il rapporto tra uomo e donna per fare un esempio, in certi gruppi è totalmente indisciplinato. In questi gruppi di 'punk a bestia' la donna ha più di un uomo con i quali via, via si lega con patti di sangue od altre iniziative altrettanto cruente. È possibile che tale ragazza o forse sarebbe meglio definirla 'giovane femmina' perché in tali contesti questo risulta essere, è facile, abbia dei figli da diversi padri. L'inesistenza di un supporto culturale, che permetta all'individuo di affrontare determinate evenienze, provoca in breve tempo 'l'esplosione di questi bizzarri nuclei familiari.

Quarta giornata: la "multietnicità della piazza". La marginalità

In questa giornata tenterò di ritrarre quante e quali persone attraversano la piazza nell'arco della giornata, dalla mattina alla sera, per motivi che non hanno niente a che fare con la 'società civile'. Rendersi conto dell'esistenza di queste persone, di come siano in realtà, ci può offrire uno 'specchietto' di quello che nasconde la città. Se escludiamo turisti, lavoratori di varia natura, studenti e anziani, un esercito di disadattati condivide questo spazio, mangiano, commerciano e spesso stesi su dei cartoni, vi trascorrono l'intera notte.

"È assurdo vedere come si riduca la gente", sta dicendo tra sé un uomo che credo di aver già visto qualche volta in questa zona. So che è Sardo o forse Calabrese, ma molto più probabilmente è Sardo. Una volta l'ho sentito parlare con voce fioca e con un accento particolare, avvicinava molto la faccia al suo interlocutore. Ha uno sguardo intrusivo, irrequieto. Frequenta la piazza da qualche tempo, conosce diverse persone del giro; questo mi fa pensare che debba essersi allontanato per un periodo, forse per scontare un pena o chissà. Per il momento non ho intenzione di averci nulla a che fare proprio per timore del suo sguardo.

A Firenze, si vedono i 'Sardi', mi fa notare Stefanino dice: "i Sardi sono brave persone ma non capiscono un granché: se poi li metti tra i marocchini vuol dire che sei pazzo!" Stefanino, a mio avviso è esperto di certi meccanismi che regolano la convivenza in questo posto e ne descrive i principi a suo modo.

Nell'ultimo periodo Stefanino l'ho visto migliorare, era piuttosto triste appena tornato dall'Inghilterra, non conosco i motivi esatti per cui ci si sia recato, so che la madre ha un po' di soldi e allora gli fa fare delle dialisi per ripulirgli un poco il sangue. Probabilmente la speranza che suo figlio riesca a smettere di drogarsi è ancora viva in lei, e fargli ripulire il sangue ogni tanto, anche secondo me è un'ottima iniziativa, ma non solo nell'ottica di salvare il salvabile. Tenere il sangue pulito è un buon passo al fine di preservare l'organismo dal deterioramento che le sostanze tossiche immesse con l'eroina provocano. Le sostanze che vengono usate per tagliare l'eroina e aumentarne i quantitativi sono spesso dei veri e propri veleni, argomento che tratterò più ampiamente in seguito.

Pare che Stefanino stia cercando una ragazza; aveva cominciato ad andare 'dietro' alle straniere dicendogli di tutto, alcune volte si affiancava a qualcuna dicendogli: "come sei bella, lo sai che sei bellissima..." Lo ripeteva in quattro o cinque lingue nel tentativo di azzeccare quella giusta. D'estate è facile incontrare delle straniere, ce ne sono di tante nazionalità. Israeliane, francesi, orientali, e in gran numero, Americane e inglesi. Le inglesi a detta di Stefanino sono le più 'facili', ma nella piazza c'è chi sostiene diversamente. Stefanino alcune volte è volgare, quando viene ignorato completamente urla a squarciagola frasi come:"sei una pantegana, tornatene sul fiume!"

Capita che alcuni dei tossici della piazza conoscessero delle straniere e che qualcuno si fidanzasse per brevi periodi. Per le ragazze tossicodipendenti il discorso cambia sensibilmente, perché chi va con una di loro spesso lo fa per interesse e quindi quasi sempre è uno sfruttatore o un altro tossico (lo stato fisico di tutte le ragazze della zona a cui faccio testo in questo studio è molto deteriorato, e in questo anno e mezzo non le ho mai viste con persone non coinvolte nell'ambiente. Ogni tanto possono comparire con un parente, ma ciò avviene raramente).

Molto spesso i tossici passano la giornata in coppia, alternandosi tra loro a seconda dei periodi e delle simpatie del momento. Questo muoversi in coppia può limitarsi a dei movimenti per la città e può durare tutta la giornata. Forse è perché il 'tossico' si muove a piedi o al massimo in motorino. Uno dei compagni più stabili di Stefanino è lo Strizza che vive a Firenze da quando era piccolo, i genitori sono di Agrigento e pare che siano molto ricchi; lo Strizza, secondo Ottavio, è un 'figlio di papà', ed è possibile: perché è sempre vestito bene, molto meglio di quasi tutti gli altri, ha un cane che ama molto, e si vede, perché l'animale è sano e ben tenuto; ha di strano che ogni tanto abbaia senza motivo. In piazza lo si vede sempre dopo mezzogiorno. Il suo soprannome deriva dal fatto che è pauroso da cui 'Strizza' (avere 'strizza' della polizia, ecc., o di qualsiasi altra cosa è un modo di dire), è un acceso tifoso della Fiorentina e anche se la sua condizione non è una delle peggiori, non è 'tranquillo': spesso anche lui urla e quando è drogato o è sotto l'effetto di psicofarmaci o alcool, straparla, e c'è molta rabbia in quello che dice. Il tono violento che usa rivela un forte rancore verso la società e tutti gli altri. La sua ex compagna dalla quale ha avuto un figlio dice che lo Strizza, cioè il 'suo uomo' è "fondamentalmente e un essere infantile e che per questo risulta egoista e diffidente".

Oltre al tossico 'tipico' che trascorre quasi la totalità della sua giornata orbitando attorno alla piazza, facendo ogni tanto capolino dal vinaio, ci sono altre persone e ve ne sono tutte diverse, per ogni fascia oraria, e secondo le stagioni.

Alcune compaiono con una certa frequenza, ma non fanno propriamente parte della 'piazza', ci capitano rado perché non vivono a Firenze stabilmente. O perché hanno un'altra vita o perché sono spesso in comunità o in carcere per scontare brevi periodi di pene detentive, che vengono facilmente commutate in periodi di affidamento a comunità di disintossicazione o a centri di cura sperimentali.

Alcuni barboni capitano sporadicamente in piazza e hanno rapporti di dialogo o di mera conoscenza con i tossici, poi ci sono i vagabondi, che quando compaiono è sempre per qualche giorno, e dormono sotto uno dei loggiati di Santissima Annunziata. Insomma la 'fauna' più o meno di transito in questo luogo è piuttosto variegata. Un fatto importante è che in piazza c'è la mensa dei poveri, poco distante ci sono dei bagni comunali, e al centro ci sono delle fontane perfette per darsi una sciacquatina o per bere di notte e i loggiati permettono di dormire all'asciutto. Queste caratteristiche la rendono un luogo accogliente e piuttosto sicuro per un vagabondo o per gli sbandati senza fissa dimora.

Anche sul fronte del disadattamento cronico derivato da devianze psichiche si possono individuare: psicopatici, alienati e malati di mente come alcuni maniaci sessuali, depressi, e nevrotici. Ogni tanto compare un ragazzo affetto da sindrome Down, che però consuma solo droghe leggere.

I vagabondi fanno la loro comparsa nella zona quando, magari il giorno precedente erano a Ravenna o a Torino. A differenza dei tossici, questi girovaghi possono stazionare una quindicina di giorni, poi vanno via. Il tossico ha bisogno di tempo per ambientarsi in un luogo, deve stabilire rapporti di conoscenza e relazioni grazie alle quali si possa assicurare il reperimento della droga in poco tempo e senza rischi 'troppo' alti; è come se la dipendenza da eroina implicasse anche la dipendenza da un luogo e da determinate relazioni umane.

Non si trattava neanche' di barboni, anche se l'aspetto poteva darlo ad intendere. Alcuni sono molto giovani e si potrebbero definire vagabondi. E probabilmente è la definizione più appropriata, certi non sono nemmeno italiani, come Otto, un ex motociclista che, sulla scia, del film 'Easy rider' partì dalla Germania con la sua motocicletta, girovagò per l'Europa, finché in Francia gli sequestrarono il mezzo assieme alla patente per guida pericolosa in stato di ubriachezza. Da allora Otto ha continuato a piedi il suo vagabondaggio, dice di non essersi mai rassegnato all'idea di non avere più la moto. Dice anche che prima o poi se la riprocurerà. Intanto è completamente alcolizzato, il suo volto è un insieme di profonde rughe, la bocca è quasi completamente sdentata, i pochi denti rimastigli sono del colore giallo delle centinaia di sigarette che fuma tutti i giorni chi sa da quanti anni. Gli occhi sono azzurri anche se la cornea è quasi del colore dei denti.

Adesso si è allontanato, è andato a vomitare il vino che beve da stamattina a stomaco vuoto. Mi ha chiesto del denaro, mi ha detto 'per favore' ma è stato come se mi avesse puntato un coltello alla gola. La sua parlata mantiene un accento di fondo germanico, ma il suo modo di esprimersi e un 'guazzabuglio' di accenti. Utilizza parole spagnole e francesi per comunicare con risultati tutto sommato comprensibili, è anche vero che gli argomenti che fino adesso abbiamo trattato sono molto semplici e una volta compreso il soggetto della risposta il significato si deduce facilmente. Otto è venuto a trovare un suo amico barbone, dice che vive vagando per Firenze e per le campagne circostanti da quasi quindici anni, dice che sono come due fratelli e quando le loro due strade si avvicinano, nel senso che stanno per incontrarsi, Otto comincia a percepirlo mesi prima, attraverso una serie di sogni premonitori e strani presagi. Dice anche che si sono conosciuti quando era vivo suo fratello, e che loro tre si drogavano insieme, ma non di eroina, di psicofarmaci e LSD per lo più. Otto era quello più avverso alla 'roba', perché aveva visto morirci diverse persone: una sera nonostante questo il fratello di Otto e l'amico che adesso fa' il barbone a Firenze comprarono dell'eroina e se la 'spararono' diritta in vena, dopo qualche ora Otto li raggiunse nella camera dove vivevano e li trovò tutti e due in fin di vita, chiamò l'ambulanza e vennero fatte iniezioni di adrenalina nel cuore dei due, ma per il fratello di Otto non ci fu niente da fare. Quando l'amico di Otto fu rimesso in circolazione, i due continuarono a vagabondare insieme ma dopo poco tempo dovettero separarsi per colpa di 'certe divergenze', che però, non mi ha potuto riferire perché, guardacaso, doveva andare a cercare il suo amico guardacaso.

Incontri come questo con Otto, nel tempo se ne sono verificati differenti. Dipende anche dalle stagioni dell'anno. C'è un certo genere di soggetti che compaiono nella piazza prevalentemente d'estate, e posso arrivare a dire che ce ne sono di differenti per ogni stagione dell'anno. Di questo aspetto ne sa qualcosa Mauro, il gestore della mescita di vini, in via degli Alfani.

Non molto tempo addietro feci la conoscenza di un altro personaggio che destò molto la mia curiosità; si tratta di un ragazzo della provincia di Firenze, è molto popolare nella piazza, il più delle volte si aggira il più delle volte con uno sterio portatile sulle spalle, che in qualche circostanza accende, ha in testa immancabilmente un basco azzurro e quasi tutto il suo abbigliamente varia su delle tonalità di blu. Indossa più sciarpe contemporaneamente e il suo modo di fare al primo contatto lo lascerebbe inquadrare, come un squilibrato. È interessante notare che egli è l'unico soggetto della piazza, che riesce a interagire con i vari elementi che la compongono: è bersaglio di gioviali commenti da parte dei commercianti, è ben voluto dagli studenti delle varie facoltà che ci sono nei paraggi, sembra che alcune volte facciano a gara per offrirgli un caffè. Ha infatti smesso da poco di accettare il caffè da tutti poiché si era reso conto che cominciavano a fargli veramente male. Così mi disse nel suo particolare modo di esprimersi, attraverso frasi brevissime che hanno sempre una inflessione ironica alcune volte particolarmente acute: "allora Massiccio", (così si fa chiamare ma è anche noto col soprannome di Celestino), esordii una mattina: "bene te?"

Io di seguito: "bene, bene si va a bere un caffeino?".

M.: "no, mi fanno male solo caffè, dammi millelire, meglio no?"

Io: "che ti sei messo a chiedere l'elemosina?"

M.: "no, se mi vuoi offrire il caffè tu mi poi dare anche millelire, giusta?, Giusta? No?

Io: "il caffè è il caffè, così è elemosina.."

M.: "è giusta o unnè giusta, io non lo so dimmelo te?"

Io: "che cosa ti devo dire Massiccio vabbene, sei massiccio ma io millelire non te le do'."

M.: "Non me le dare, il caffè me lo volevi offrire te, mica te l'ho chiesto io..."

Io: "in che senso.."

M.: "che ne ho bell'e bevuti diciannove da stamattina, e mi fanno male..."

Io: "allora ti bevi un succo di frutta..?"

M.: "guarda, lascia fare..."

Io: "Vuoi millelire"

M.: "no, i succhi di frutta un mi piacciono.."

Io: "Ciao Massiccio, mi raccomando, massicciò!"

M.: "Quello sempre.. anche te.. una mattina tu' m'offri il caffè..vabbono.."

Io: "Bono...ciao."

Il sistema di interlocuzione di 'Massiccio' si basa sul farsi rivolgere la parola dagli altri, senza mai essere lui il primo a rivolgerla, tutto il suo mondo e il suo modo di essere e improntato sull'attirare l'attenzione. Quando è lui a chiedere qualcosa trova sempre una forma indiretta, e non finalizzata alla richiesta in sé. I primi tempi lo vedevo di fronte al bar che rimane all'interno del loggiato della facoltà di lettere in piazza Brunelleschi, teneva lo stereo ad un volume che non disturbava, appoggiato su un motorino, un 'ciao della piaggio', che ogni settimana o al massimo ogni mese che ridipinge con una tonalità di blu. Su questo motorino ci saranno almeno duecento strati di vernice e in certi punti del telaio non si distingue più la lamiera dalla plastica, una vera e propria forma maniacale questo ridipingere. Salutava con cordialità tutti quelli che entravano, e aspettava di esserne risalutato all'uscita. Quando qualcuno ricambiava, la domanda successiva era: "ti piace questa canzone?".

Il sistema di interazione elaborato da 'Massiccio' nasce dall'esigenza di scambio, maturata negli anni, perché le sue difficoltà lo avranno messo spesso in situazioni imbarazzanti dove le caratteristiche di deviante mentale saranno uscite allo scoperto provocandogli disagi.

La reazione positiva di Massiccio a uno squilibrio mentale, è stata nell'accettare i propri limiti di comprensione mentale, arrivando a teatralizzare il suo modo di essere, rappresentando in maniera lampante il proprio scompenso: è come se dicesse, "attenzione, io ho dei problemi, sono azzurro e comprendo solo l'azzurro, in tutte le sue tonalità ma solo l'azzurro".

Un altro sforzo è stato quello di elaborare un sistema di comunicazione che lo tenesse il più possibile al riparo da interlocuzioni con difficili conseguenze e, che, in un certo senso lo mantenesse dalla parte ragione.

Quinta giornata: "l'eroina nella quotidianità"

Conoscere qualcuno nell'ambito strettamente riferito alla piazza è piuttosto difficile perché queste persone si rendono molto aggressive ai primi incontri, posso dire che le circostanze casuali per entrare in una comunicazione amichevole e disinteressata sono rare. È probabile che ci sia un senso di sfiducia nei confronti delle persone che non fanno espressamente parte di questa indefinibile, quanto eterogenea comunità di piazza. Bisognerà che io mi renda più conciliante con il panorama di individui che mi si presenta di fronte, sembra, a detta del Gioppa che io ce l'abbia scritto in fronte che sono uno studente ficcanaso o un giovane perdigiorno che cerca solo qualcuno da osservare e compatire.

È una fortuna, che nei pressi della piazza, in via degli Alfani, ci sia il Vinaio che è una vero e proprio rifugio per questi "instancabili". Questa mescita, di cui ho già parlato nelle giornate precedenti, è gestita da una famiglia fiorentina alla vecchia maniera, di stampo patriarcale. È in questo luogo che prima o poi sostano tutti. Specie in questa stagione (primavera), c'è gente a tutte le ore del giorno, i tossici generalmente sono quelli ridotti peggio per quanto riguarda le condizioni fisiche e quindi sono quelli che hanno più bisogno di riposare spesso, prima di intraprendere qualche iniziativa.

È qui che nelle mie sporadiche visite ho conosciuto la maggior parte dei soggetti che ho menzionato fino adesso; infatti la mia Facoltà è ad un centinaio di metri da questo locale che tra l'altro ha una convenzione con l'Ateneo Fiorentino che prevede dal 10 al 20 % di sconto per gli studenti. Attraverso la frequentazione di questo locale mi sono imbattuto nelle vicende di Clint, Ottavio, Sergino, della Bischera, e poi di altri, ho rincontrato il 'Gioppa' che in passato avevo già visto in compagnia di qualche studente dell'Istituto d'Arte di Firenze, scuola che ho frequentato prima d'iscrivermi a lettere; è nell'ambito dell'Istituto d'Arte che ho visto le prime vicende di persone invischiate nell'eroina.

Ho ricordi molto nitidi di una mattina del 1987, quando negli scantinati dell'istituto rinvennero la salma di un giovane studente morto di overdose, era ad uno dei suoi primi buchi: i ricordi continuano con il ritrovamento nel parco della scuola, ex scuderie reali, del corpo del 'Manzarella', spacciatore tossicodipendente anche lui.

Aveva cominciato a farsi all'Istituto d'Arte, fu trovato una mattina presto sul retro della scuola accovacciato dietro ad un cespuglio, aveva indosso una sahariana verde che quasi lo confondeva con le piante. I becchini della Fratellanza Militare lo misero nel furgone ancora tutto rattrappito in conseguenza del 'rigor mortis' che ne aveva bloccato le giunture.

Ed arriviamo al 1990 anno in cui il mio compagno di scuola, tale D.G. anch'egli al suo quarto o quinto buco morì dopo essersi iniettato una dose tagliata con una sostanza velenosa che se presa in una quantità appena superiore a quella normale provoca l'immediato arresto cardiaco.

Sono numerosi i giovani che ogni giorno muoiono per un partita di droga avariata o tagliata male. C'è da dire che le sostanze con cui si taglia l'eroina alcune volte potrebbero indurre a pensare che ci sia un intenzione omicida da parte di chi compie l'operazione appunto di 'taglio' della sostanza pura con dei diluenti. Alcune partite di eroina possono essere diluite per aumentarne la quantità o il peso, e il conseguente guadagno, capita a volte, che tale operazione venga svolta anche con l'aggiunta di polvere di marmo. Questi 'tagli' al di là della nocività della droga in se la rendono una sostanza velenosa nel pieno senso del significato. L'utilizzo di tali additivi per aumentarne la quantità, e il conseguente guadagno spesso è il pretesto per dei veri e propri atti criminali ben peggiori del mero spaccio o del semplice consumo.

Il problema dell'eroina si è insinuato a tale punto nella nostra società che tutti quanti almeno di riflesso ne siamo coinvolti. Questo fatto ci deve far sentire più vicini al problema molto più di quanto non si creda. Se teniamo presente che l'eroina può coinvolgere le persone più ingenue e meno consapevoli, è vero anche dobbiamo guardarcene non soltanto nel nostro interesse, ma è sopra tutto tutelando gli altri, i più giovani e in particolare tutte quelle persone che sappiamo sprovvedute. Solo così possiamo davvero tutelarci dall'eroina. Il male, come si è detto e si tenta di sostenere in questa tesi, non è legato solo alla sostanza o alla dipendenza che s'innesca, bensì a tutti quei riflessi che una dipendenza provoca. È il ruolo dello stigmatizzato che il dipendente va ad assumere all'interno della società. Dopo il "buco", attorno al soggetto si eleva un muro d'incomprensione e quello che è peggio è che lo stesso individuo non trova le ragioni del proprio sconforto e continua a drogarsi quasi come se l'eroina fosse l'unico rimedio alla dipendenza.

Molti giovani che iniziano, alcune volte è vero che lo fanno per sfidare il "sistema" o più semplicemente per attirare l'attenzione della collettività, dopo di che un forte senso di colpa comincia a torturare queste fragili personalità ed è a questo punto che l'eroina comincia a svelarsi per quello che davvero è. Piano piano, questa fuga si trasforma in un desiderio di autodistruzione, di non esserci più, che spesso porta al suicidio.

Nei casi più gravi alcuni soggetti cercano di sfuggire alla solitudine e di coinvolgere in questo problema altri giovani, per lo più un partner o amici, anche se di fondo è raro che ci sia una intenzione consapevolmente malvagia.

Per contrastare questo fenomeno è importante non emarginare questi individui. La solitudine è una specie di motore ausiliare che spinge il tossicodipendente ad incrementare il consumo di sostanza e alla conseguente alienazione.

Ogni individuo che non si droga deve farsi carico delle proprie responsabilità e sapere che quando giudica un eroinomane lasciandolo solo e rifiutandolo come si rifiuta un criminale, potrebbe trovarsi un giorno a dover giudicare con lo stesso parametro un fratello od un figlio, di cui si conoscono gli errori e le debolezze, ma per il quale non si può fare nulla.

L'eroina è nelle nostre piazze, nei nostri giardini, nelle scuole e in tantissimi altri ambiti, specie della città. Molte volte ci possiamo sedere per riposare un momento su uno scalino o su una panchina senza sapere che accanto a noi c'è uno di questi trafficanti di morte.

È vero che l'informazione ha fatto abbastanza nei confronti di questo pericolo, ma dalla ricerca che ho condotto, ho compreso che spesso la paura o sapere solamente che una cosa non è giusta non basta a salvarci da un pericolo.

Sesta giornata. Tolleranza e punizione. Ad ognuno un suo spazio

Mi sembra che la piazza oggi si stia preparando a qualcosa, Salvatore, che non ha ben chiaro ancora il motivo della mia presenza in questa zona, mi ha detto di sfuggita di stare attento, perché c'è la "madama in borghese" (16); dice che ci sono abbastanza spesso, ma in questi giorni stanno svolgendo delle indagini, perché devono incastrare uno spacciatore molto importante. Quindi non ci sarebbe da meravigliarsi se di punto in bianco mi ritrovassi seduto anch'io in una macchina della polizia che corre a circa 90 km all'ora per le vie del centro mentre ti stanno 'traducendo' in caserma per procedere ad un interrogatorio o a degli accertamenti.

Stando con questi soggetti dalla mattina alla sera, mi sono reso conto che la maggior parte di loro sono davvero delle persone alla deriva che continuano a trascinarsi per le piazze perché a qualcun'altro torna comodo. Il fatto che, di quando in quando alcuni tossici vengano 'spediti' in comunità o mandati in galera pare sia diventata o che sia una prassi collaudata. Ho parlato con Lello, uno degli indefessi lavoratori della piazza, lui, c'è anche il quindici agosto all'una del pomeriggio, se non è in galera, anche perché in comunità dice che non ce lo vogliono più.

Ha più di quarant'anni e si fa da circa diciotto. Non ha voluto essere intervistato e allora cercherò di riportare quello che mi ha raccontato riguardo al discorso sul rapporto con le strutture che a questo punto, vista la sua recidività nel continuare a drogarsi, non sono più quelle di recupero, ma solamente punitive.

Ha un leggero accento del Sud, vive a Firenze da otto anni prima stava a Milano, mi ha detto: "è normale oramai ti conoscono, t'acchiappano quando cominciano a vedere che sei troppo spontaneo e fai troppi giri, allora viene il solito 'mastino', quello che ti conosce, e sa chi sei e che hai fatto, poi ti pigliano e ti fanno parlare di quello che fai e non fai, se tu non glielo dici per filo e per segno, e loro qualcosa sanno sempre, sono 'cazzi'. Quando ti mettono 'dentro' è peggio perché vuole dire che tu hai detto qualcosa...", qui Lello si riferisce al fatto che a lungo andare, a fare la vita di piazza, capita di incolpare qualcun altro per parare se stessi. Continua, "qualcuno in galera ce lo hai 'mandato' e allora se ti mettono dentro la prima cosa che fanno è picchiarti anche se non è detto che a picchiarti sia necessariamente colui che hai 'infamato' e mandato in galera, perché è un fatto di regole, di principio. Allora la cosa si mette male, e ti prendi un sacco di botte e cazzotti. I poliziotti non sono cattivi, io li capisco perché quello è un brutto lavoro, sempre a contatto con i malviventi che ti offendono la sorella, pure se non ce l'hai, è un brutto mestiere, vanno capiti se s'arrabbiano e ogni tanto ti pigli tre o quattro pugni e schiaffoni".

La testimonianza di Lello a mio avviso mirava anche a non dire male di nessuno perché oramai ha imparato a cercare di tenersi fuori dalle 'dicerie', e dalle faccende 'sporche'. È probabile che egli comprenda realmente il comportamento dei poliziotti; insieme al metodo del sospetto e altre forme di prevenzione della criminalità e sarebbe importante discutere riguardo alle metodologie di indagine e controllo delle forze dell'ordine, non sempre applicate in quest'ambito. Le forze dell'ordine potrebbero avvalersi di mezzi tecnologici e scientifici anche per la tutela degli individui coinvolti in queste vicende.

La realtà disciplinare è gestita tuttora con una mentalità militare, che è purtroppo oppressiva e che ci aspetteremmo più facilmente in una società arretrata, che non ha pur volendo, i mezzi per sopperire a certe lacune procedurali. In Italia cultura e metodo (17) potrebbero già convivere da anni, se solo il nostro vecchio sistema burocratico si orientasse in questa direzione. Nel senso che legge e sistemi di recupero solo da pochi anni convergono nella stessa direzione, e ciò non è ancora sufficiente al fine di salvaguardare tutti coloro che sono immersi in questo problema.

Spesso l'atteggiamento inquisitorio e repressivo si esplica anche con gente che non c'entra niente, soltanto perché rientranti in categorie sospette (18). Capita ogni tanto, che qualcuno venga prelevato e rimesso in circolazione neanche dopo un'ora. Si tratta per lo più di extra-comunitari che non hanno niente a che "vedere con la nostra civiltà" (occidentale), come dice Michele un giovane siracusano che vive a Firenze dal '92 "... il terzo mondo... al di là dei lecca culo che pullulano in questa 'vita' (cioè dovunque).. assieme a tutto ciò che desideri paradossalmente... ma che di fondo (con queste parole Michele intende offrire la visione della vita) che è veramente e soltanto campare..." Credo di aver inteso che Michele con questo discorso intenda accomunarsi a un genere o una categoria di uomini che desiderano solo vivere in pace, senza distinzioni di colore, religione e categoria, intendendo con 'nostra civiltà' quegli uomini che la pensano come lui, uomini di cui si sente egli stesso parte.

L'altra mattina, sempre nei paraggi del vinaio, uno dei miei informatori è stato fermato e perquisito dalla polizia in borghese. Loro sono al corrente dell'attività del suddetto nella piazza, è prassi fermarlo e perquisirlo, e spesso non gli sequestrano niente, e se in tasca gli trovano qualche sostanza stupefacente.

La violenza dell'approccio delle forze dell'ordine è determinata dalla gravità del frangente in cui il mio informatore viene colto, Michele dice che lo fanno "per fargli paura" e questo potrebbe anche darsi, essendomi fatto una certa idea delle regole che vigono in piazza.

Avevo già sentito parlare di 'lui', e quello che mi aveva colpito da un lato era il senso di rispetto che i tossici esprimevano quando lo nominavano. Si tratta di uno dei poliziotti in borghese che da anni segue i movimenti di piazza...sarebbe bello poterlo conoscere e magari intervistarlo. Mi hanno detto che è una persona molto 'brava' perché è l'unico poliziotto che 'afferra' abbastanza chiaramente le difficoltà dei tossici. Se hai a che fare con lui, mi disse una volta Michele, "la cosa migliore è dirgli subito la verità, così lui ti fa rimanere libero e in qualche modo ti protegge dagli arabi, o dagli 'altri' ecc.". Sembra capire bene le problematiche di un tossico, in qualche modo è come se si calasse nei panni di costoro. "Quello che non sopporta", sempre a detta di Michele, "è essere preso 'in giro'. Se tu lo conosci lui non ti 'infama' e se può, quando ti portano in centrale, si occupa di te. Sembra attaccato al suo lavoro. Conosce tutti nella piazza, magari conosce, anche te" aggiunge Michele, forse non ha capito ancora cosa ci faccio in piazza ma la mia faccia l'ha vista quasi di sicuro. Perché ogni tre o quattro settimane, la polizia, da una delle stanze dell'albergo che c'è in piazza Santissima Annunziata, fa delle 'fotografie' a tutti quanti, sembra che il proprietario dell'albergo sia un confidente della polizia, perché dei tossici nella 'sua piazza' non ne può davvero più. Anche se ti 'beccano', cioè ti fotografano, mentre stai combinando qualcosa di illegale, non ti fanno niente li per lì, aspettano il momento buono. Se combini qualcosa di più grosso o che ti acciuffano durante una retata, allora fai i conti anche per le vicende precedenti, specie se ci sono foto o fatti particolarmente incriminatori.

Alcune volte i poliziotti in borghese, sarebbe meglio dire i poliziotti camuffati come ha specificato Michele, vanno in giro a comperare del 'fumo' o delle 'pasticche' per sapere chi spaccia e chi no. "È facile che anche io abbia venduto un paio di 'canne' (spinelli)", ha proseguito, "a qualche 'sbirro'. Loro fanno così, per tenersi informati su quello che succede in piazza, su chi spaccia e chi no, se c'è qualcuno di nuovo e via dicendo; e al momento buono 'zacchete'... una sera tardi, quando meno te lo aspetti, (a meno che tu non sia un veterano della piazza allora ti viene proprio l'istinto, e la mattina appena ti svegli hai già addosso una strana sensazione) arrivano con i furgoncini blindati, chiudono le strade, mettono tutti contro il muro e ritirano i documenti; è capitato che certa gente fosse portata in centrale per accertamenti, solo perché passava 'di là' per caso al momento del 'blitz'".

La polizia è presente su diversi fronti nella vita dei tossicomani, per un verso l'esistenza del drogato si lega indissolubilmente ai problemi riguardanti la giustizia. Il fatto che la sostanza che utilizza sia vietata lo mette in una condizione di clandestinità. Dopo di che il mercato è il secondo fattore di rilievo. L'eroina è costosa e le quantità di cui necessita un soggetto, che ne fa uso da tempo, vanno ad aumentare fino a stabilizzarsi. L'eroinomane si trova a dover far fronte a spese via via maggiori, infrangendo sempre più leggi e regole, al fine di procurarsi la sostanza, senza rendersi conto di essere divenuto un vero e proprio criminale. Quando non si hanno i soldi, si inizia con lo spaccio di droghe, spesso quelle 'tollerate' come marijuana ed hashish, queste droghe se rinvenute indosso a qualcuno, vengono confiscate dalla polizia, dopo di che il soggetto è libero. Se però vi è una flagranza di spaccio, vendita o cessione, cioè il soggetto viene sorpreso mentre vende, e a l'acquirente viene fatta firmare una confessione, il venditore, viene incriminato, incappando nel rischio di detenzione e, a meno che non sia la prima volta che viene sorpreso, il soggetto non può essere incarcerato, se non per un breve periodo di accertamento. Per un tossico conosciuto dalla polizia questa prassi non viene applicata, se si tratta della vendita di droghe leggere, l'individuo viene segnalato un ennesima volta alla questura, ed il materiale sequestrato.

In seguito, se il soggetto viene visto di nuovo in circostanze sospette, spetta al buon senso del capo pattuglia fermarlo o meno. In questi casi, se vengono effettuati controlli sulla solita persona, e la recidività è confermata diventa quasi inevitabile il fermo o l'arresto. Nel caso il tossico, o chiunque altro, venga sorpreso con quantitativi anche minimi di psicofarmaci o pasticche tipo extasy e via dicendo le cose cambiano e si complicano.

La polizia tende a non incarcerare gli individui tossicodipendenti, perché consapevole che una disintossicazione forzata, durante l'isolamento, ha breve durata. E spesso inoltre è provocata senza l'appoggio di farmaci né altro, (cosa descritta da chi vi è passato, o chi vi ha semplicemente assistito, come disumana; il termine gergale è 'togliersi la scimmia o togliere la scimmia').

La disintossicazione ha breve durata, anche perché fino a che dura l'isolamento nel carcere, una volta che il soggetto viene rimesso con gli altri detenuti, quasi inevitabilmente ricomincia a farsi; è notizia comune che nelle carceri le droghe, pagando o predisponendosi a qualche sacrificio, si trovano facilmente.

Ecco comunque spiegato perché il tossico cerca di tenersi il più lontano possibile da un tipo di criminalità che metterebbe le forze dell'ordine nell'ottica di prendere misure disciplinari serie. Si può intuire l'esigenza connaturata alla base della dipendenza "incallita, storica" di elaborare un sistema di solidarietà tra gl'individui che continuano a drogarsi. Tale solidarietà è basata sull'informazione di due generi: una serie di notizie riguardano il commercio dell'eroina, attraverso queste fonti il tossicodipendente può sapere chi la vende e conoscerne il prezzo e la qualità. Il secondo genere d'informazioni riguardano la polizia e gli organi di controllo e mettono il tossicodipendente in grado di fare fronte ai 'blitz' della polizia e agli interrogatori, che altrimenti pregiudicherebbero la sopravvivenza dei tossici nella piazza.

Capita che la polizia costringa un tossico a testimoniare contro un altro tossico, magari per incastrare uno spacciatore; questo è un grave rischio per le relazioni della piazza, che verrebbero compromesse dal pericolo di essere spiati.

In città questo gruppo di tossici affonda le proprie radici nella consapevolezza istintiva del bisogno reciproco per la sopravvivenza e quindi si sono create delle regole, sottintese e principi coerenti, nel tentativo di definire dei rapporti di fiducia e di solidarietà.

Mi viene in mente quel genere di solidarietà che ci può essere tra gli allibratori o tra i 'broker' di borsa e che nella tossicodipendenza ha tempi più ristretti, perché legati alla quantità di sostanza che uno ha nel sangue, la cui riduzione crea stati di alterazione e d'immediata sofferenza fisica.

Nella piazza esiste un mercato clandestino di droghe leggere e droghe più pesanti; i tossicodipendenti da droghe pesanti, eroina e via dicendo, vivono vendendo droghe leggere, una specie di gerarchia delle dipendenze. Per utilizzare una metafora, sono come degli operai di una immensa industria con tutti i suoi livelli, il cui ultimo gradino, non tanto della produzione quanto della vendita al dettaglio, è occupato dagli eroinomani. Essi possono godere di periodi di recupero e di disintossicazione presso le comunità, ma ancora procedendo su questa metafora hanno anche la loro cassa-integrazione, cioè il metadone, che è il surrogato momentaneo dell'eroina somministrato tutte le mattine in quantità scalari dai ser.t. di quartiere, al fine di sostenere la disintossicazione da eroina, e di non affrontarla tutta in una volta.

Questa dimensione è abbastanza chiara alle forze dell'ordine che si attengono ad un forte margine di tolleranza per le "marachelle" dei tossici di piazza. sono tutti consapevoli che il nemico è un altro, e molto potente, tentacolare ed astuto. I tossici della piazza sono spesso dei mediatori a rischio, perché coinvolti nelle dinamiche di guerra tra la 'mala' più o meno organizzata e le forze dell'ordine, e troppo spesso entrambe non si curano delle eventuali vittime.

Talvolta è capitato che qualcuno ne abbia pagato le conseguenze con la vita. Tale pericolo è più presente dove ovviamente i commercianti di droga sono maggiormente spregiudicati e potenti e la vita di un tossico non ha valore, o se ce l'ha è minimo, ma solo nel caso che quest'ultimo sia un eccellente consumatore. (19)

Settima giornata: dall'eroina alla farmacodipendenza. Un caso speciale: Marino

Ho avuto un po' d'influenza, mi sono però deciso ad intraprendere il lavoro di raccolta diretta di esperienze e testimonianze dei tossici della piazza. Mi sono convinto della necessità di avvalermi dei contributi diretti delle loro esperienze, al fine di elaborare una ricostruzione più veridica del mondo dell'eroina di piazza, e delle collettività coinvolte.

Fino ad ora dalla pura interazione con loro ho raccolto informazioni senza fargli capire esplicitamente lo scopo della mia presenza in piazza; alcuni, come ho già detto, non associano a niente di preciso la mia assidua presenza, anche se, sotto molti aspetti, il mio atteggiamento è evidentemente "distante" dal loro, ma ciò non sembra destare particolari sospetti.

Un ex studentessa che, per ragioni indipendenti da questo studio, ho incontrato in piazza, mi ha indicato un soggetto alquanto anomalo, che non credevo facesse uso di eroina, e che quindi non appartenesse alla categoria di individui che studio. Anche se più di una volta l'ho visto in situazioni e in compagnie che avrebbero dovuto subito insospettirmi...insomma, credevo fosse uno di quei soggetti sicuramente sui generis, associabile al genere del 'maniaco depressivo', che vive aggirandosi per i posti più malfamati della città con la speranza di incappare in una qualunque vicenda, pur di non starsene solo tutto il giorno, chiuso chissà dove, forse su un letto a fissare un soffitto.

Invece è proprio un ex tossico che ha finito adesso di scontare una pena penitenziaria e che tempo addietro è stato protagonista di un fatto di cronaca. In sintesi, 10 anni fa all'incirca, gli fu condonata una pena, a patto che si sottoponesse ad una cura sperimentale a base di farmaci. Il soggetto fu inviato in una clinica nei pressi di Udine e sottoposto a questo esperimento; dopo circa un anno, trascorso in parte in questa clinica, e poi presso una comune di Roma gestita da un eminente psichiatra, fu rimesso in circolazione. Pare che per i primi anni la disintossicazione fosse riuscita, ma in seguito ci sono stati degli sviluppi che chiarirò dopo aver riportato l'intervista da lui rilasciatami; tengo a precisare che le domande sono consequenziali, ma senza un'intenzione precisa se non quella di provocare un'apertura da parte di chi è intervistato. Ho riportato questa intervista e tutte le altre presenti in questo diario per esteso, con il fine di alterare il meno possibile il pensiero dei soggetti intervistati.

Intervista a Marino, trentatre anni, tossico da cinque anni, disintossicato da due anni

Luogo dell'intervista: loggiato dell'Università di piazza Brunelleschi

Intervistatore: Parlaci del tuo rapporto con l'eroina

Marino: boia, che storia, mi buttava di fuori, roba da pazzi, uno sballo! Uno sballo che però non ti serve a nulla, tutto sommato solo a stare male dopo, allora uno smette e fa in un altro modo.

I: E quanto tempo sei andato avanti?

M: La roba? Cinque anni.

I: Non è un periodo molto lungo, tutto sommato hai trentatre anni.

M: Dipende da come stai, se stai bene, se stai male, quando c'hai il calo stai male cazzo! Non è una bella storia quando ti piglia il calo poi ti sconvolge tutto il metabolismo, capito? Perché le endorfine sono importanti per l'organismo, sono delle ghiandole capito?

I: A che età hai iniziato?

M.: Ventisei anni.

I: Tardi! Hai usato altre sostanze prima?

M: È vent'anni che sperimento sostanze.

I: Che sostanze?

M: Stupefacenti, come minimo

I: Hai iniziato a fumare droghe leggere e quindi?

M: Ho continuato e fumo ancora francamente

I: Allora il concetto che da una sostanza leggera si passa a una sostanza più potente con facilità, è valido anche per te?

M: Dipende, io ho cominciato dopo, infatti, in genere c'è chi comincia prima a usare l'eroina. Il fatto è questo, c'è chi inizia in età molto giovane, c'è chi comincia anche a dieci anni, Madonna che storia dev'essere incominciare a quell'età! Ti blocca tutto lo sviluppo.

C'è un motivo che ti ha spinto a provare? La conoscenza di che cosa?

M: Conoscenza esteriore e interiore, endogena e esogena.

I: Era un mezzo di conoscenza?

M: Si, uno strumento.

I: volevi provare e basta?

M: La conoscenza soprattutto, cercare di capire.

I: Un buono strumento?

M: Lo è ancora, mi drogo ancora, fumo per esempio. È un modo per scalare, con l'eroina basta, sto usando il Catapresan e altri farmaci, fumo soprattutto tabacco, il bevo molto caffè, poi il resto va bene, è normale. È un casino, lo spiega bene la filosofia: il principio della sostanza prima. È una questione di sostanze, per capire l'essenza dell'energia. È vero, lo dice anche Einstein e c'ha ragione, un grammo di materia contiene la velocità della luce al quadrato, non è altro che l'applicazione della fisica alla filosofia, capito? È il modo migliore di vivere, e quello lo trovi di volta in volta, basta che ti sforzi un attimino di essere il più naturale possibile, magari anche in maniera teatrale, drammatica, come ti pare, capito? Basta tu sia spontaneo, poi quel che viene, capito, capisci?

I: Puoi dire cosa hai ottenuto dalla tue esperienze?

M: Non tanto importante dire cosa hai ottenuto, l'importante è viverle. Devi essere spontaneo nelle cose, non puoi stare sempre dietro al risultato quando fai qualcosa, al guadagno, che ne so!

I: Tu avevi parlato di viaggio, di conoscenza interiore.

M: Bisogna mettersi nell'atto del conoscere, di scoprire, non tanto nella conoscenza in sé per sé! Lo dice anche la fisica, il nodo poi è li', il punto da dove riparti, attimo dopo attimo. Riparti da te o da quello che fai "per" chi sa cosa? È li' che ottieni un risultato! Questo ti posso rispondere, ed è un po' quello che dicevi tu parlando di viaggio interiore.

I: Quindi ai terminato di sperimentare?

M: Adesso è una questione di priorità, di benessere, anche se in delle cose ci credo fermamente, sono convinto proprio.

I: All'eroina ci sei arrivato progressivamente o per caso?

M: Ho cominciato per caso a farmi, non sapevo neanche il perché lì per lì, stavo con una tipa.

I: Avete iniziato insieme?

M: No, lei si faceva già. Poi quando è finita ho smesso varie volte, ora invece è come se dovessi smettere per forza.

I: Che effetto ti faceva l'eroina?

M: È relativo. Quando te la fai stai bene, quando ti passa stai male. Come diceva Freud: "una dose precisa, giornaliera, pura magari, allora non ci hai mai il calo", lui si faceva la coca, comunque. Ma se ti devi fare le storie, poi c'è la piazza, la piazza con le leggi e tutto il resto, come le applicano e tutto il discorso che vuoi, capito? È chiaro che ci rimetti se ci credi in queste cose, tu usi le sostanze però sono tagliate, ti devi sbattere per trovare i soldi, neanche pochi perché costa un casino, poi ci hai la polizia addosso, perché le figure dell'ordine al loro lavoro ci credono e sono mal pagati. Alla fine si fa la guerra tra di noi, si litiga per le 'cazzate' quando si potrebbe stare bene con poco, avere un po' più di filosofia!

I: La sopravvivenza è stata molto difficile per te?

M: Mi sono sempre arrangiato bene purtroppo!

I: Legge e strutture ti hanno appoggiato in qualche misura?

M: Le possibilità ci sono, e le ho avute, la disponibilità c'è.

Lo dicono anche i giornali, questo meccanismo è già in moto, il meccanismo di questa fisica meccanica applicata a quella quantistica, cioè messa in relazione, più esattamente. Per il momento è così, per arrivare a quella famosa legge.

I: Quale legge?

M: La legge delle quattro forze universali in un'unica soluzione, ci potrebbe essere anche un salto quantico, la possibilità è anche questa, hai capito? Non riesco a esprimerlo bene con le parole!

I: La legge combatte la droga e giudica i drogati dei criminali. Ti senti trattato come un criminale?

M: Si ritorna al solito punto, cazzo. Scusa se parlo così, ma è vero. Il buddismo lo spiega bene, come funziona a livello di componenti, cinque componenti che spiegano il funzionamento della dinamica, tra quello che fai, come agisci e quello che pensi, e come lo dici, la percezione è la porta....È la forma che si applica alla concezione, o meglio che si traduce in un concetto che poi diventa uno stile di vita, una cosa in cui bene o male ci hai sempre creduto, anche istintivamente, anche se credi solo negli spaghetti, che va bene perché ti danno il modo di vivere, o nei maccheroni, o quello che è, patate ..nel cibo o nell'acqua... ancora meglio, "veramente senza bere è un casino"...vivi meno, eppure il pianeta è fatto per la maggioranza di acqua, capito? Il pianeta sa come provvedere alle esigenze di tutti gli esseri che ospita, tutti gli esseri non solo quelli umani, perché siamo veramente tanti in questo pianeta come creature, è una consapevolezza pazzesca, se ti rendi conto di quanta razze, quante specie viventi si stanno estinguendo, è una cosa inquietante eppure fa parte di un cammino evolutivo, è normale tutto sommato, il DNA evolutivo ce lo ha solo l'essere umano, le altre specie animali hanno una cosa più standard a livello naturale. È un processo biologico, puramente biologico. Invece l'essere umano ha una prerogativa che si può definire incidente, qualcosa che non si può nemmeno calcolare, non si può misurare l'infinito con la matematica e basta, definisci una cosa e basta.

I: Nei cinque anni in cui ti sei drogato hai avuto problemi?

M: Ho avuto dei casini, ho fatto anche delle rapine, cazzo! Sempre per farmi, arrivavo alla mattina e stavo malissimo... che storia, ragazzi....mi sono fatto un anno e quattro mesi di galera!

I: La pena era giusta secondo te?

M: In un certo senso sì, ho imparato molte cose, ho trovato molta solidarietà tra i detenuti, forse più che fuori, mi hanno aiutato, non avevo nulla, mi davano tutto, le sigarette, il caffè, poi ho ricambiato anch'io. Più che altro psicologicamente, quando sei rinchiuso in una cella più di tanto non puoi fare, se gli togli il televisore vanno di fuori, cosa fanno tutto il giorno chiusi lì dentro? È una questione psicologica, non tanto di prigionia, capito? C'è anche chi si fa l'ergastolo e bene o male sopravvive, non bene ma sopravvive.

I: Hai fatto il "calo" in galera?

M: In galera ho preso anche il metadone, il calo lo ho fatto bene, e poi un monte di psicofarmaci! Insomma mi hanno imbottito come un pallone, non riuscivo più a mangiare.

I: Psicofarmaci per che cosa?

M: Sono quindici anni che uso psicofarmaci! Sono droghe consentite dalla legge, legali, perché vai dal dottore, fa le ricette, te le prendi. Quindi da una parte potrebbero legalizzare l'hashish o la marijuana, come stanno facendo in America a livello terapeutico, e dall'altra controllare meglio la distribuzione degli psicofarmaci.

I: A cosa ti servivano gli psicofarmaci?

M: Sono andato in psicosi tossica per via degli allucinogeni, perché ho usato anche parecchi allucinogeni, per lo più le piante.....Madonna, che storia....sono stato malissimo, avevo quindicianni...ho usato lo strammonio, ma non mi ci fare pensare!

Allora per farmi riprendere mi hanno dato gli psicofarmaci, sono stato un mese senza dormire e ho continuato a prenderli. Sono arrivato a quaranta chili, non riuscivo a camminare da quanto ero imbottito, però sono riuscito a riprendere il sonno e in due anni a arrivare ad un livello quasi normale di vita, però da quel giorno non è stata più la stessa cosa, ed è così anche per gli altri, credo.

I: Come definiresti la tua attuale condizione?

M: Io spero positiva, una cosa buona.

I: Da parte tua c'è stata una forte volontà per uscirne?

M: Certo, probabilmente avrei fatto anche di peggio, quasi sicuramente per andare avanti a fare esperimenti su di me, per la conoscenza, mi sentivo un laboratorio vivente, sperimentavo su di me delle sostanze ed era la migliore garanzia per conoscere il risultato.

I: Questo atteggiamento ti deve aver cambiato radicalmente anche il metabolismo?

M: Se uno mi fa l'analisi genetica viene fuori un casino. I geni si modificano in base all'esperienza che hai, è come impressionare una lastra fotografica, le impressioni sono il primo nutrimento in assoluto....forma percezione.....si ritorna al solito punto. Quindi le sostanze sono importanti per capire la funzione che hai nella vita, poi ti ritorna il rispetto e queste cose qui. Nel momento in cui sfondi il muro dell'oscurità che è in tutti noi conosci tutto ciò che avviene nei meandri del cervello, è come conoscere una galassia, può essere l'eternità in un certo senso...lo diceva anche Einstein: "l'uomo utilizza il 10 % del suo cervello", pensa utilizzarne il 100%! E quindi vai.

I: A che punto sei arrivato alla conoscenza di te?

M.: Totale, perché reale!

I: È come se avessi riportato i piedi in terra?

M.: Cammino per le strade infatti! Poi quello che faccio va bene, lo sento, per cui lo faccio! Meglio, no?

Marino, non mi ha raccontato l'evento della sperimentazione con i farmaci, mi ha fatto capire che però ha avuto dei problemi per colpa di questi; è infatti cosa consueta sentire persone che raccontano di avere avuto dei problemi con la droga e che per disintossicarsi hanno fatto ricorso a farmaci, spinti per lo più dai medici, finendo poi per non riuscire più a disintossicarsi da questi ultimi.

Considerazioni inerenti alla settima giornata

Dall'84 al'94: in questi ultimi dieci anni molte pubblicazioni hanno cercato di mettere a fuoco il complesso fenomeno della farmaco-tossico-dipendenza e di fornire agli operatori del settore opportuni strumenti di intervento e di valutazione degli esiti. Sebbene sia diffusa la convinzione che si tratti di una patologia che necessita un approccio multidisciplinare, la maggioranza dei contributi ha finora riguardato gli aspetti socio-educativi e psico-relazionali, con rari approfondimenti di tipo sanitario, psicopatologico e psichiatrico.

Gli interventi a carattere più specificatamente medico si sono finora limitati alla disamina dell'intervento farmacologico con il metadone; farmaco che a tutt'oggi rimane di centrale importanza nel trattamento del paziente eroinomane, dando l'impressione di una scarsa possibilità di opzioni terapeutiche, prevalentemente centrata sul trattamento delle patologie organiche legate alle dipendenze e agli interventi che oggi comunemente vengono definiti di "riduzione del danno, vale a dire interventi farmacologici non severamente legati ad una condizione 'drug-free' del soggetto in cura...la regione Lombardia ha sperimentato in questi anni le cure sostitutive. (20) "

Queste sperimentazioni hanno l'intento di trovare un sostitutivo all'eroina, che ne mantenga stabili alcuni dei principi attivi legati agli effetti espliciti e fisiologici, sul fisico e sulla mente, ma che allo stesso tempo non dia una dipendenza completa, o totale come quella che dà l'eroina. Il naltrexone è la 'scommessa' attorno a cui si è svolto il progetto di sostituzione di una droga con un farmaco, dando ad intendere che è possibile, con sostanze psicoattive meno potenti, creare i presupposti per un reinserimento del soggetto in una vita affettiva e lavorativa normale, nella quale il soddisfacimento delle proprie esigenze diventi lo spartiacque tra la dipendenza e la disintossicazione. Purtroppo anche il naltrexone, come il metadone, ha dato dei problemi specie su persone con inclinazioni particolarmente depressive o autolesionistiche: ciò ha fatto dedurre agli esperti l'esistenza di una effettiva predisposizione del soggetto all'utilizzo di droghe, specie per quanto riguarda quelle pesanti.

(...) quasi tutti sono concordi nel sottolineare l'importanza dei disturbi narcisistici di personalità in questi soggetti. Gli aspetti dell'io più frequentemente collegati con la farmaco-dipendenza sarebbero quindi: la gestione degli affetti e degli impulsi, le funzioni difensive, l'autostima, il narcisismo, le relazioni oggettuali, la capacità di giudizio. (21)

Parlare con i tossici spesso mi ha portato a comprenderne la matrice personale, comune a molti di loro, composta di fattori per lo più culturali. I canoni di valutazione di quasi tutta la realtà per un tossico non si distanziano dai parametri di valutazione della comunità di appartenenza.

Quello che salta all'attenzione è il fatto che il giudizio che hanno di se stessi è spesso molto negativo, e viene raggiunto con semplicità: quindi è facile che assumano atteggiamenti giustificatori per motivare agli altri e a loro stessi tale condizione.

Nella stragrande maggioranza dei casi il tossico è infelice della propria situazione e del proprio "vizietto" (22); la tossicodipendenza è vissuta consapevolmente dalla maggioranza come una condizione di emarginazione per lo più non voluta. Altre volte è il mezzo per fare emergere le difficoltà che il soggetto ha avuto nell'infanzia, e nella vita adolescenziàle. Si è dovuto ammettere in questo senso che spesso colui che utilizza eroina ha nel suo passato delle condizioni di vita quasi mai "normali", anzi nella maggioranza dei casi è facile che abbia vissuto esperienze profondamente negative sul piano per lo più 'sentimentale', e nella relazione affettiva con i genitori e con i coetanei.

Esiste una narrativa autobiografica che chiarisce questo punto, e infiniti sarebbero i documenti sui casi di una cattiva educazione affettiva che nel nostro paese avrebbe portato i giovani dalla dipendenza da eroina degli anni '70/80 alla tossicodipendenza di massa dei nostri giorni.

L'opportunità dell'eroina si presenta all'orizzonte del depresso, dell'infelice, dell'inadatto o di chi si sente tale come un'alternativa, che nonostante tutti i pericoli e le controindicazioni è pur sempre un'alternativa, apparentemente più semplice e che purtroppo porta a una breve durata della vita. Ciò non è facile da comprendere quando si nasce in circostanze dove le opportunità sono scarse o inesistenti come negli ambienti marginali di una subcultura. Possiamo rendercene conto, mettendoci al posto di un tossico, che vede nell'eroina, paradossalmente, la facilitazione per una vita insostenibile.

Dialogare con un tossicodipendente che ha vissuto la sua esperienza in modo tutto sommato "equilibrato ti fa capire che non lo puoi accusare di aver ceduto a una tale tentazione, anzi, saresti spinto a dire che ha agito ad una 'circostanza' incappando in una sostanza assai pericolosa, e che poi la dipendenza lo ha portato a inesorabili conseguenze." (23)

L'effetto è duplice: se da un lato deteriora l'organismo indebolendolo e logorandone alcune parti in maniera irreversibile, dall'altro provoca problemi più gravi e altrettanto distruttivi socialmente e cioè quelli legati alla criminalità e ai metodi di reperimento della droga. Esiste un mercato molto costoso, che in base al fabbisogno, aumenta il suoi prezzi e i suoi rischi; con la durata della dipendenza aumenta la somma da pagare in molti sensi. Dalla dipendenza il soggetto è spinto verso una realtà "criminosa" che aggrava sempre di più il suo status sociale, in una sorta di circolo vizioso (precedenti penali che si accumulano, carcerazioni, perdita del lavoro e del rispetto sociale). Nei confronti del deviante si svilupperà, in seguito, un atteggiamento repressivo da parte degli organi di controllo, che complica la condizione del deviante anziché semplificarla in funzione della disintossicazione e del recupero.

La droga, per l'esattezza, l'eroina, non è molto distante da una vasta gamma di farmaci, il fatto che nasca come uno di essi, ne è la riprova. Hanno in comune gli effetti di dipendenza "psicologica" e spesso una medesima funzione, quindi, o presentano esiti simili, con sintomatologie distinte ma caratterizzate da una forte dipendenza psichica. Oggi vengono somministrati farmaci di potenziale analogo a quello dell'eroina, in cure psichiatriche o anche psicoterapeutiche (24).

La disinformazione non favorisce una presa di coscienza, che dovrebbe aiutare a relativizzare un concetto come: "che cosa è la droga, e se tante cose possono rappresentare un pericolo analogo?". La fobia della droga è la paura di un pericolo che andava affrontato diversi anni orsono dalla società intera e non solo dagli organi preposti al recupero. Il fatto di averlo lasciato fermentare rappresenta un grosso errore, la cui gravità è legata al fatto che l'eroina è diventata una trappola 'naturale' per i soggetti che avevano sofferto di forme depressive sviluppatesi in periodi posteriori all'adolescenza o alla prima maturità. (25)

La droga è un male che a mio avviso occorre prevenire; è difficile pensare di poter risolvere il problema solo creando strutture e consolidando realtà di esclusivo recupero.

Un altro errore potremmo identificarlo nella relazione che la società ha con una serie di soggetti che hanno attraversato svariate esperienze di un 'certo genere' sempre nell'ambito inerente alle droghe, e che dunque decidono di sperimentare anche quest'ultima sostanza, per il semplice gusto di provare una nuova esperienza.

Dalle statistiche risulta che il sesso maschile è in forte maggioranza nel fare uso di eroina, e in quest'ambito la mortalità degli uomini è enormemente più alta: nel 1991 in Italia la Lombardia ha detenuto il primato dei decessi e il 90% dei morti erano di sesso maschile (26).

Enti sociali danno forza ad organizzazioni dove i soprusi sono continui; all'interno delle strutture di recupero che si creano attorno al problema regna un clima di tensione non trascurabile. Se pensiamo che in queste strutture l'elaborazione del senso di colpa è la prima imposizione che viene fatta sul piano mentale, dobbiamo anche fare mente locale su alcune riflessioni precedenti: chi sono i tossicodipendenti? E quali sono generalmente le loro caratteristiche psicologiche? Se il bambino viene influenzato male fin dalla nascita, gli sarà difficile scoprire quali siano i vantaggi di un'esistenza, quanto possibile, regolare e disciplinata. Da un lato non avrà gli strumenti per elaborare una personalità se non omologandosi agli stereotipi dei mass-media, e dall'altro gli mancheranno gli strumenti per un tale impegno, perché molto probabilmente non ne avrà le forze. Per mettere in discussione un modo di leggere l'esistenza, seppure sbagliato e lacunoso, ci vogliono delle energie che solo una fortissima fede può sprigionare. Ciò vorrebbe dire aver elaborato delle difese psicologiche tali che solo una persona su un migliaio potrebbe riuscire ad elaborare una volta incappata nell'eroina. La duplice criminalizzazione, che la collettività elabora nei confronti di un deviante che utilizza determinate sostanze, ha dello sconcertante, se poi si aggiunge una terza forma di autocriminalizzazione; mi sentirei di asserire ironicamente che se, un deviante, sommando le difficoltà del suo caso, riuscisse a sconfiggere tutte le dipendenze, senza passare da una all'altra e senza essere plagiato da 'sette sataniche' o 'santoni', ci troveremmo di fronte a un prodigio della natura.

Nella prossima giornata, che è dedicata agli aspetti della critica e della tolleranza, cercherò di esprimere meglio questa tripartizione del senso di colpa.

L'esempio delle "casalinghe tossicodipendenti" dell'hinterland milanese ci deve far comprendere che l'eroina sta trovando un terreno fertile negli ambienti popolari di città fortemente industrializzate. Là dove la modernizzazione e le realtà sociali sono improntate alla produzione, in modo sorprendentemente visibile e invivibile, si verifica spesso che le persone coinvolte in queste sub-realtà siano sempre più spesso vittime dell'idea che l'eroina sia una soluzione non tanto diversa dagli psicofarmaci del S.S.N. Il caso delle casalinghe lombarde è un diretto riflesso di questo disagio e di questo equivoco (l'eroina filtra in tali ambienti come rimedio a eventuali psicopatologie) che risulta comunque mortale, anche se si ha la sensazione che lo spirito di sopravvivenza di una donna matura sia certamente più raffinato di quello di un adolescente. Questo problema, come ho già tentato di esplicitare e su cui mi fermerò ancora, non è legato tanto alla pericolosità della sostanza in sé, quanto alla sua contraffazione con additivi spesso velenosi.

Secondo l'OMS, l'organizzazione mondiale della sanità, la tossicodipendenza è uno stato di intossicazione periodica o cronica nociva all'individuo e alla società, provocata dal consumo ripetuto di una droga naturale o sintetica.

Le caratteristiche delle tossicodipendenze comprendono:

  1. un irresistibile desiderio od un bisogno imperativo di assumere la droga procurandosela con ogni mezzo e a scapito di ogni fatica.
  2. La tendenza ad aumentare le dosi per ottenere gli stessi effetti. L'effetto delle droghe si ottiene infatti a dosi sempre maggiori che l'organismo diventa progressivamente capace di sopportare: questo fenomeno viene chiamato "tolleranza".
  3. Una dipendenza psicologica e fisica dagli effetti della droga.

Sia la tolleranza che la dipendenza fisica hanno con assoluta certezza una base biologica che è costituita da particolari strutture, chiamate "recettori", a cui la sostanza deve legarsi per provocare l'effetto ricercato. Questo si produce essenzialmente a livello di sistema nervoso centrale, ma ciò non esclude la possibile capacità di queste sostanze di legarsi ad una cellula di tessuti e organi non direttamente interessati.

Il fenomeno della tolleranza comporta evidentemente una sorta di adattamento fisico che spiega la diminuzione dell'effetto della droga col ripetersi delle somministrazioni. Ciò può avvenire o per aumento delle capacità dell'organismo di inattivare la sostanza, oppure per la diminuita sensibilità dei recettori al seguito dell'esposizione continua allo stesso tipo di droga (assuefazione).

La dipendenza assume connotati sempre più evidenti; una brusca interruzione dell'assunzione della sostanza crea una "sindrome da astinenza" che può durare diversi giorni. Questo fenomeno, che consiste in uno stato di grave malessere con evidenti sintomi fisici, sembra trovare una spiegazione nell'attivazione di recettori inattivi per mancanza di sostanze, di origine sia esterna all'organismo, sia prodotte dallo stesso ed atte a saturarle.

La dipendenza cosiddetta "psichica" consiste invece in uno stato di disagio, inquietudine ed angoscia che può aumentare nel tempo, portando il soggetto ad un desiderio incontenibile di riassumere la sostanza che fino ad allora era riuscita a sedare le proprie angosce. Nel caso specifico dell'eroina, per la dipendenza fisica il tempo di disintossicazione è, in confronto ad altre sostanze, relativamente breve, ma per quella psichica i tempi non hanno un limite. È opinione dei medici e degli stessi tossici che per essere in qualche modo tentati dall'eroina sia sufficiente essere a conoscenza del fatto che esiste e ha determinati effetti.

L'eroina dà origine ad una cultura... Non una cultura marginale, o laterale, una sottocultura e neppure una cultura alternativa. Ma una cultura per così dire interstiziale', secreta da tutti i pori della nostra società. (...) Ora gli elementi significativi di questa cultura mi sembrano essere, nelle persone che ho conosciuto, da un lato, una particolare forma di trasgressione nei confronti della cultura dei padri e, dall'altro, una impostazione o un'attesa di tipo 'estatico'. (...) Con l'eroina e proprio per lo stato di dipendenza profonda, psicofisica, che si instaura, sembra realizzarsi uno dei fantasmi di questa cultura: vale a dire il raggiungimento, attraverso momenti parziali, di uno stato di unità, completezza, fusione senza tempo che da sempre le religioni hanno riconosciuto come stato estatico. (27)

Distrarre la mente ed essere facilitati in un reinserimento sociale spesso non basta a far del tutto svanire il ricordo di una tale tentazione (28).

Ottava giornata: i rapporti con la società civile. Critica e tolleranza. Intervista a Fabio D. "Il senso di colpa"

Oggi nella chiesa di Santissima Annunziata c'è stato un ritrovo dei cosiddetti 'ciellini' ovvero dei giovani membri di Comunione e Liberazione. Dopo la funzione sono rimasti in piazza a gruppetti parlando tra di loro. Non sembravano urtati dalla presenza dei punk o dei tossici, ma probabilmente erano in una realtà troppo distante dalla loro perché questi potessero rendersi conto di quei particolari abitanti della piazza...ogni tanto qualche punk si avventurava tra di loro in cerca di una sigaretta o di spiccioli; tutti si comportavano come si trattasse di semplice routine, come se tutti dessero per scontate le infinite differenze esistenti tra i gruppi della piazza. Nonostante questi ragazzi avessero la stessa età, altrettante possibilità e appartenessero ad un strato sociale originariamente simile, l'interazione rasentava l'indifferenza.

Non stupisca questa affermazione: è vero che, i tossicodipendenti provengono di solito da ambienti proletari, o almeno quelli che si incontrano più spesso in piazza; tuttavia nella particolare realtà fiorentina, la cosa è più sfumata socialmente: tra gli sbandati ci sono persone provenienti da famiglie borghesi, in misura adeguata ad una città come Firenze, in cui tutte le classi sociali tendono all'adeguamento. In determinati luoghi l'eroina è riuscita a penetrare in diversi strati sociali, come a Roma, Firenze o Napoli; l'eroina è penetrata in realtà urbane ridotte, province, paesi, borgate ma è anche rimasta circoscritta ai singoli casi. L'informazione in queste comunità è evidentemente riuscita a fare un'opera di prevenzione, stimolando la coesione sociale e la conseguente reazione al fenomeno.

Nella realtà urbane l'edulcorazione dei rapporti umani da un lato, e l'anonimato dall'altro creano quelle 'nicchie' di clandestinità che facilitano lo spaccio e il traffico di droga e la tossicodipendenza. (29)

Uno dei punk "a bestia" mi fece notare due aspetti, che secondo lui, definiscono la così detta gente per bene: uno è che non si meravigliano di nulla di veramente importante, anzi, al limite si scandalizzano se vedono qualcuno fare pipì contro un albero o se qualcuno alza la voce. E in secondo luogo, questa 'gente' è dotata quasi sempre di una memoria infallibile per le "cazzate" mentre le cose serie passano inosservate.

Ai punk non piacciono i drogati perché, "non ci si può mai fidare...appena ti distrai te lo mettono in quel posto". Mi sto rendendo conto che anche nell'ambito della piazza si potrebbero fare centinaia di distinzioni; vi sono difatti tipologie di individui che tra di loro non possono essere associate su nessun piano, se non per il fatto che sono esseri umani e che passano la maggior parte del loro tempo in una Piazza, respirando, sgranocchiando o pensando a...lo sa soltanto Dio a cosa!

La presenza di svariate 'subculture' non vuole dire che tutti gli individui appartengano ad una di esse, e che tali si spartiscano un territorio, la piazza è una vera e propria zona franca popolata da 'outsiders'. I membri delle subculture, come i tossicodipendenti che ho osservato, seguono le strategie comportamentali indifferenti a queste presenze "liminali".

Interessanti sono anche i comportamenti delle persone 'normali' quando interagiscono con i tossicodipendenti; a Firenze ho avuto modo di osservare l'atteggiamento che le cosiddette persone sane hanno nei confronti di questi individui, come se costoro non avessero nessun genere di connotazione specificatamente 'umana', neanche di sesso, o di età. A un tossico il fiorentino medio riesce a rivolgersi come un adulto nei confronti di un bambino.

In qualche bar della zona mi è capitato più volte di veder un tossico che barcolla e magari rovescia qualcosa in terra; in questi casi le reazioni sono generalmente due: o il barista s'arrabbia, e questo avviene più facilmente quando costui è il proprietario del locale, o 'tutti' fanno finta di niente, ignorando gli accadimenti e andando a ripulire soltanto dopo che il tossico si è allontanato dal locale. Ciò succede anche nei confronti dei barboni, ma molto più spesso questi ultimi sono interdetti dai locali perché 'maleodoranti'.

Per quanto riguarda il centro di Firenze, credo che le diverse reazioni da me descritte, una sorta di paternalismo, in primo luogo, e una tolleranza prossima all'indifferenza, siano frutto dell'abitudine che la popolazione ha raggiunto nei confronti del fenomeno. In alcuni posti, per lo più in ambienti pubblici, bar o negozi, mi è capitato di sentire fare dei commenti a voce alta, una volta che questi se ne fossero andati.

Di recente ho assistito a una simile circostanza: uno scambio di considerazioni riguardanti una ragazza tossicodipendente, di cui so poco e che vedo raramente in piazza, in seguito all'affermazione di una signora fiorentina sui settant'anni.

Credo che si prostituisca, ma non ne ho le prove; spesso è in compagnia di qualche nord-africano, sempre diverso, tra quelli che comunque spacciano abitudinariamente.

Prima signora: "poveretta, chissà la su' mamma è una parrucchiera tanto brava", risposta di un'altra signora; "davvero poerina, e n'do la lavora?"

" La sta a Sesto, io la vedevo da piccina perché ci abitavo, mi sono trasferita a Firenze nel '92, però a lei l'ho riconosciuta, mi sembra ci avesse anche una sorellina, vedesse belline": subentra una terza signora, "...e ì babbo?"

"...guardi, quello un glie lo so dire ma credo ci avessero qualche problema perché le piccole le vedevo sempre a giro da sole.."

" ..ehhh! Quello gli è un brutto segno". A questo punto subentra il barista: "l'ha fatto davvero una brutta fine allora! Ogni tanto la viene con qualche marocchino, perché sono loro che c'hanno la droga, a regola lei la ci 'tromba' per drogassi.."

La prima signora: "... queste sono le disgrazie ...", esce dal bar.

Barista: "... io questi marocchini li farei fori tutti, vengono qui a spacciare la droga e poi la sera se un tu stai attento ti accoltellano...certe volte la sera quande chiudo i bandone mi tocca uscire con i' bastone".

Terza signora: "..la si figuri in che mondo..".

Seconda signora: "via, via, vo a finire di fare la spesa...".

Spesso i commenti assumono valutazioni meno sprezzanti, ma quello che mi ha colpito di questa conversazione è stato il totale assenso tra quelle persone, che condividevano una mancanza assoluta di speranza nei confronti della ragazza tossicodipendente, riconosciuta dalla prima signora come figlia di una parrucchiera di Sesto Fiorentino.

Tali atteggiamenti sono sintomatici di una società che non ammette errori, e che vede in chi sbaglia non una vittima ma, spesso e volentieri, anche un criminale. In questo caso le tre signore si sono espresse bonariamente, ma in genere, nell'opinione delle persone comuni, almeno per quanto una città come Firenze possa far testo, posso azzardarmi a dire che i tossicodipendenti sono visti come veri e propri delinquenti.

Se è vero che una rilevante fetta della micro-criminalità trae origine dalla sub-cultura della tossicodipendenza, è anche vero che proprio il fatto di dipendere dal consumo di eroina inasprisce i giudizi della gente, che vede il fenomeno come qualcosa che non può in alcun modo suscitare pietà. Un giudizio definitivo di questo genere da parte della maggioranza è molto più negativo di quanto non ci si aspetti, perché crea un ulteriore ostacolo tra la persone che cercano di uscire sinceramente dalla tossicodipendenza e il resto della collettività.

Il caso di Fabio D. è esemplare in questo senso: dopo una serie di vicende drammatiche la sua è diventata un'esistenza molto dolorosa, molto probabilmente Fabio ha iniziato a farsi di eroina per questo. Lui dice di essersi lasciato trascinare, senza rendersi subito conto di quello che gli stava accadendo, e in che cosa si stava 'infilando'. Proprio, perché a sentire lui, aveva un 'sacco' di altri problemi. L'iniziare con l'eroina è stata una cosa spontanea come è stato spontaneo cercare di smettere, arrivato ad un certo 'punto'.

Ma ciò che m'interessa dell'esperienza di Fabio, non è tanto la dipendenza dalla quale vuole uscire, anche se ancora non ce l'ha fatta del tutto, quanto le difficoltà che sta attraversando nel tentativo di reinserirsi.

Qualche anno fa Fabio è stato coinvolto in un incidente automobilistico molto grave e, avendone riportato una invalidità permanente, ha trovato lavoro presso un ente pubblico, nel quale svolge la funzione di generico sorvegliante, ed è lì che ho fatto la sua conoscenza. Per un certo periodo l'ho frequentato assiduamente andandolo a trovare per lo più sul lavoro, perché il resto della giornata se ne sta rintanato in casa.

Fabio non teneva nascosto quasi a nessuno che si stesse disintossicando, e che i ritardi di tutte la mattine erano giustificati dal fatto che dovesse andare a bere il metadone al ser.t., per non incappare nel pericolo di una ricaduta nell'eroina. Tale fatto, al mio avviso non era assolutamente sufficiente a giustificarlo agli occhi dei colleghi di lavoro. Spesso gli manifestavano un astio totalmente ingiustificato. Infatti mi sentii in dovere di consigliargli di non dare troppe informazioni sul suo passato, e di fargli capire chi gli era contro per motivi di antipatia personale e chi perché prevenuto per il fatto che lui fosse un ex tossico.

Dopo un breve periodo di comunità Fabio ha trovato questo lavoro e l'importanza di uno stipendio anche all'interno del suo 'ménage' familiare (vive con i genitori), lo ha spinto ad abbandonare gli ambienti canonici di recupero: infatti Fabio stava portando avanti presso il C.e.i.s. di Firenze un programma a frequenza pomeridiana che gli ha dato molto sollievo.

Questa esperienza mi ha fatto comprendere quanto poco la maggior parte delle persone sia disposta a perdonare la devianza e quanto, di conseguenza, il loro comportamento possa nuocere a quegli individui che vivono un momento difficile come quello della disintossicazione. Momento in cui hanno bisogno di ogni sostegno possibile. Spesso la sensazione di essere irrecuperabili, li spinge, in più di un caso, a rientrare nella dipendenza, che a quel punto può diventare davvero irresolubile.

Nel periodo in cui frequentavo Fabio ebbi la sensazione che in quell'ambiente più di una persona in mi ritenesse un drogato, probabilmente per i capelli lunghi, la carnagione piuttosto chiara e le occhiaie che compaiono quando sono stanco. Tutti elementi che a prima vista, per un superficiale o un ignorante, possono essere più che sufficienti per identificare un tossico, sommati al fatto che mi intrattenevo senza un motivo ufficiale in compagnia di qualcuno che era pregiudicato come deviante e che, 'caduto' realmente nella droga, tentava affannosamente di uscirne.

L'aspetto deleterio di queste vicende è la diffusione del pregiudizio. E le conseguenti innumerevoli difficoltà, con le quali deve fare i conti un soggetto, che tenta di rimediare ad un errore, devono essere tenute presenti quanto meno dagli studiosi e dagli addetti al sostegno e al recupero di queste "vittime".

Intervista a Fabio:

Int.: Fabio tu ti sei drogato in passato, ora lavori, ma hai ancora diversi problemi sia con le droghe, o farmaci, sia con l'ambiente dove lavori. Potresti parlarmene?

Fabio: Si ancora prendo sostanze come le benzodiazepine, per combattere la depressione; a lungo andare queste sostanze mi hanno creato una dipendenza abbastanza forte, e in più prendo il metadone giornaliero, poco, ma lo prendo da più di un anno.

I: È difficile incontrare persone che come te hanno avuto il problema dell'eroina, e ancora non ne sono del tutto fuori, e nonostante ciò riescano a lavorare in ambienti distinti da quelli canonicamente abilitati al recupero..

F: Devo premettere che lavorando per lo stato ho molti più vantaggi. Se lavorassi per un privato penso che le cose andrebbero diversamente; da un privato sarei stato sicuramente licenziato, perché molte volte fo tardi la mattina, molte volte ho bisogno di permessi. Insomma nello Stato ho più diritti che mi permettono, di andare avanti, poi si tratta di sei ore giornaliere, quindi.. bene o male il servizio che svolgo è di sorveglianza, quindi riesco a gestirla la storia..

I: Come si conciliano le tue dipendenze attuali con l'ambiente di lavoro?

F: Male, il muro, grosso muro è soprattutto il pregiudizio, un ambiente statale dove le persone hanno poco da fare e allora 'chiacchierano' e il pregiudizio aumenta..

Molte volte vengo additato gratuitamente; per farti un esempio, sono dieci anni che ho problemi con la droga e non ho mai rubato, ma qui tutte le volte che c'è una situazione... dei portafogli o delle borse dimenticate, le persone mi tengono gli occhi puntati contro, mi sento controllato, quando io non ho rubato mai, escluso a casa. Si! a casa mia delle cose le ho prese, ma fuori mai. Quindi, secondo me, queste persone basano il loro pregiudizio sull'ignoranza, perché non conoscono bene la persona con cui hanno a che fare..

Pensano alla problematica in generale e si fanno un'idea, senza cercare di capire me come Fabio con i miei tentativi di uscirne.

I: Ti sentiresti in grado di definirti un ex tossicodipendente?

F: Mi faccio, saltuariamente, quindi non posso dire di avere risolto il problema; poi ci sono le altre dipendenze, prendendo il metadone tutti i giorni ho una dipendenza da questo. Poi ci sono le pasticche di cui ti parlavo prima.

I: Precisa sulla dipendenza da eroina, se puoi..

F: Obbiettivamente con l'eroina ho fatto dei passi avanti..

I: Ma il fatto di avere tali problemi ed essere esposto in un ambiente saturo di pregiudizio aggrava la tua condizione?

F: Ora sarei in comunità, sarei più controllato e sicuramente starei meglio, perché sarei in una situazione protetta e mi metterei in discussione con più facilità. Chiaramente, lavorando e non avendo un confronto con persone competenti...è un'arma a doppio taglio, perché lavori e quindi hai soldi. I soldi mi hanno permesso di comprare una macchina, la macchina mi ha costretto a fare un mutuo e di conseguenza sono costretto a lavorare; questo meccanismo mi tiene esposto e spesso mi mette in una situazione di debolezza e avere il cinquantino in tasca qualche volta mi spinge a comprarmi di nuovo l'eroina..

I: Il pregiudizio delle persone ti indebolisce nei riguardi della tentazione a bucarti, soprattutto quand'è più forte?

F: Si, è fondamentale, perché poi nella mentalità 'tossica' arriva a essere una giustificazione, quando mi sento in crisi mi vedo inserito in questa società che mi crea delle difficoltà ulteriori a quelli che ho già io 'realmente', e mi spingono a giustificare le mie ulteriori ricadute, nell'eventuale uso della sostanza. Nel senso che se io mi ritrovo in un luogo dove sono capito, dove sento più affetto nei miei confronti ecco che l'idea di drogarmi si allontana. Mi giustifica a farmi il comportamento degli altri.

I: In un ambiente senza pregiudizi pensi potresti liberarti delle dipendenze da farmaci?

F: Ora come ora l'unica arma che ho per fronteggiare questo problema è il sentimento allo stato puro, il sentirsi 'voluto-bene', anche il volere bene è importante ma sostanzialmente il sentirsi accolto...hai bisogno di sentirti, di sentire gli altri che ti vogliono bene. Quando è che sono stato bene: quando ero innamorato, e ero amato da una ragazza, quell'anno e mezzo della mia vita è stato l'anno e mezzo della mia vita più bello in assoluto. In quel tempo io, non ci pensavo lontanamente a bucarmi. L'unica arma che hai contro la droga sono i sentimenti, allo stato puro.

I: Quanto il pregiudizio, nel definire un criminale un tossico è distruttivo per il soggetto che lo subisce?

F: ...è logico che un tossico che ha delle difficoltà può andare a rubare ed è un criminale, ma se stai male!? L'astinenza...hai bisogno di soldi e subito...

Per forza se stai male fai azioni stupide, rubi etc.

I: Capire la situazione e non criminalizzare il tossicodipendente pensi favorirebbe la disintossicazione?

F: Il pregiudizio incide tantissimo, perché ti ripeto, il tossico nel pregiudizio ci si butta a capo fitto, per lui diventa una scusa, per continuare a 'bucare'.. se al tossico gli togli il pregiudizio gli togli anche una scusa per continuare a 'bucare'. Dovrei trovarmi altre giustificazioni, anche più deboli per giustificare il fatto che ho voglia di continuare a bucare. Il pregiudizio diventa a lungo andare il motivo principale perché il tossico ci si butti a capo fitto, perché è un motivo più che valido per continuare.

I: Il tossico quindi non nasce come criminale ma è il seguito della dipendenza che lo coinvolge in storie criminose...dal contatto con la criminalità, ogni tossico può essere portato a sviluppare attività criminose; c'è chi, come dicevi prima tu, è più portato e chi meno a compiere atti criminosi...sapere che in un certo senso sono gli altri a sbagliare, ti aiuta in qualche modo a sfuggire al pregiudizio, e a non utilizzarlo più come scusa per farti?

F: Si sono convinto di questo; paradossalmente io mi sento superiore al 90% delle persone, io come normale, io chiaramente come tossicodipendente no. Ma questo è un fatto complicato, come posso dirti, anche questo 'sentirti superiore' alla fin fine ti porta di nuovo a giustificarti, è il fatto che senti male per colpa degli altri. In mezzo agli altri, questo male non mi porta a fronteggiarli, mi porta a sfuggire, a tirarmene fuori, perché sento male (ne soffro), perché questa indifferenza, questi pregiudizi, questi problemi che ho mi fanno talmente male che poi alla fine pur di non sentire ecco che ricorri a queste sostanze. Poi è anche vero che mi sento superiore agli altri, superiore.

I: Nel tuo ambito sociale, dove tutti ti conoscono, e conoscono principalmente il tuo passato, vivi così', ma fuori, all'esterno, dove nessuno ti conosce?

F: Nel sociale è tutto più attenuato, nel sociale in genere i problemi sono gli stessi, ma le persone te le scegli da te. Io fuori da qua cerco di frequentare persone positive quando sto bene, quando sto male più vicine a me.

Quindi è diverso...i problemi sono gli stessi...la famiglia per dire, spesso i problemi partono di là. Io ho un padre che non ha mai accettato la mia situazione, non mi permette di mangiare con lui in cucina, mi tocca mangiare in salotto, mi tocca poi portarmi dietro i sensi di colpa che viviamo sotto lo stesso tetto senza parlare da due anni. Lui mi parla solo quando c'è da criticare e da alzare la voce.

Questa situazione la trovi sia nel lavoro, sia nella società, ma che fondamentalmente parte dalla famiglia, ecco, volevo dire questo.

Il pregiudizio parte dalla famiglia, poi l'ignoranza, la trovi dovunque...

I: Come lo vedi il tuo futuro?

F: Ho paura, ho paura di avere delle malattie incurabili e ho paura di farmi le analisi. Riesco a vedere un futuro, ma ancora ho molta paura..

I: La paura non riesce ad allontanarti da certe sostanze? O addirittura complica le cose provocandoti la necessità di rivolgerti ai farmaci?

F: No, non mi tiene lontano, come tutte le altre paure che poi ti giustifichi, la usi quando prendi le pasticche, per bucarti se hai soldi...

Io ho fatto la comunità e lì ho capito che la mentalità del tossico spesso è quella che preferisce una realtà terribile, ma nota, conosciuta, a una realtà forse migliore ma sconosciuta.

Bisogna scardinare queste giustificazioni, il tossico è colui che le utilizza tutte pur di farsi. Io mi sento di dire che è importante scardinare i principi sbagliati su cui si basa questa società venale e ipocrita, dare per ricevere. Si trascurano tutti i sentimenti che ripeto sono l'unica arma contro la droga. Il sentimento non è necessariamente amore, può essere anche l'odio, ma pur che sia un sentimento pulito. Perché il tossico lo vede se davanti a sé ha una persona che è falsa o no!

Questo è il problema più grosso che poi va a giustificare il fatto che ti fai.

Come ho accennato nella giornata precedente, l'idea di tripartire il concetto di senso di colpa su cui fa leva la collettività più o meno coscientemente, mi è stato suggerito dall'incontro con Fabio D. che ho qui riportato.

Si può dire che il pregiudizio della collettività si estrinsechi su tre piani distinti: uno è quello di 'appartenenza'; se tu sei un eroinomane, anche se non hai commesso alcun reato, rientri comunque in quella fascia della collettività che la società deplora. Dopo di che si va sul personale; nei casi migliori, il fatto che tu abbia commesso l'errore di drogarti ti pone agli occhi degli altri come un debole, un essere senza spina dorsale che non merita compassione (per quanto riguarda Firenze tali considerazioni nei confronti dei tossici sono all'ordine del giorno). Terzo e peggiore stato è quello che si scatena 'dentro la testa'; il fatto di appartenere a una cultura di stampo cristiano e, più specificatamente, a una società come quella cattolica, sono convinto non esoneri nessuno dall'essere influenzato profondamente dal senso di colpa. Il senso di colpa è ciò che, spesso, spinge l'individuo a rifugiarsi nella dipendenza e alcune volte al desiderio di autodistruzione. Tutto il male che gli altri gli provocano con il loro giudizio diventa pretesto e giustificazione per drogarsi.

Ultimamente il fenomeno della tossicodipendenza si è allargato anche ad altri strati sociali che finora ne erano esclusi.

Considerazioni sull'ottava giornata

Sarebbe interessante ampliare il campo d'indagine in altre piazze d'Italia dove possono convergere le stesse caratteristiche. Ci si renderebbe conto che esiste una vera e propria para-società. Non si tratterebbe esattamente di una subcultura poiché rifiuta quasi in ogni sua manifestazione la realtà e i codici della collettività e, al tempo stesso, non presenta modi o comportamento alternativi se non quelli di un'istintiva comunicazione umana; in virtù di questo fatto gli individui che la compongono tentano di inserirsi di volta in volta in qualunque altro strato sociale, spesso non comprendendo il reale divario culturale. Probabilmente questi individui trovano nella piazza l'unico habitat nel quale condurre un determinato stile di vita.

La devianza è una riduzione delle possibilità di scelta, è un meccanismo di comportamento, è un criterio che orienta i giudizi, e forse anche un progetto.

La devianza è anche un riconoscimento esterno della propria identità, sia da parte della società più vasta (quando è pubblicamente riconosciuta) sia da parte del più ristretto gruppo deviante. (30)

Una cosa che ho notato nella maggioranza dei devianti da me incontrati è un meccanismo di rifiuto per un genere di argomentazioni riguardante il giudizio degli altri e verso gli altri. Difatti non esiste solo il giudizio della collettività 'ufficiale', esiste anche il giudizio degli stessi devianti nei propri confronti. Si potrebbe generalizzare nel seguente modo: è facile che un deviante tenda a fare 'di tutta l'erba un fascio' definendo tutti i membri della società civile, dei conformisti; ciò che colpisce è che il deviante riconosce le differenze sociali, ma non ne percepisce le fondamentali distinzioni e regole interne. L'elaborazione delle distinzioni sociali è, in parte, un meccanismo al quale l'uomo aderisce man mano che si definisce e circoscrive in un determinato ruolo all'interno di un ambito sociale. Nella società contemporanea italiana e specificatamente fiorentina, questa autodefinizione è molto legata al genere di attività lavorativa o vocazionale che l'individuo svolge.

Esistono ancora ceti sociali come la nobiltà e proletariato, ma sono in netta svalutazione. Il passaggio, attraverso il matrimonio, da una condizione ad un'altra è molto più difficile e rara. La società fiorentina si sta omologando ad un modus vivendi borghese, e il raggiungimento di una condizione economica e professionale stabile determina la maggior parte delle decisioni individuali. Dal 1968 a oggi la società Italiana si è 'imborghesita'; lo strato medio dell'Italia aumenta sempre di più grazie all'adesione di una nuova media e piccola borghesia, che nel comportamento e nei valori poco si distanzia dall'alta borghesia. Si potrebbe dare ragione, quindi, al deviante che tende a omologare la collettività e a fare di tutta l'erba un fascio, ma tale è spesso un meccanismo errato che nasce dal fatto che nel'80% dei casi il deviante non ha la benché minima idea dei significati sottostanti al concetto di 'stile di vita' e di 'modelli comportamentali'.

Il deviante è spesso privo di una disciplina che gli permetta di affrontare il problema con i giusti mezzi. Il deviante ha spesso alle spalle vicende drammatiche che lo fanno sprofondare in una crisi dalla quale difficilmente riesce a uscire. Spesso tra i tossici si possono scorgere personalità carismatiche e menti lucide che non hanno avuto la fortuna di avere una guida, o peggio ancora hanno avuto la sfortuna di averne una sbagliata. Ecco che la trappola della droga trova una disposizione naturale in un soggetto allo sbando che non riesce a far quadrare i conti con la vita. Il tossicodipendente è un membro della società, che ha perso la maggior parte dei riferimenti, ma non tutti. Basti pensare che un tossicodipendente, per quanto possa cedere al disagio economico, non accetterà mai di diventare un barbone, a meno che non abbia delle caratteristiche manifestatesi già precedentemente. Ho potuto osservare alcuni barboni e ho rilevato che il loro stile di vita permette loro di emarginarsi realmente dalla società, soltanto per il semplice motivo che non hanno quasi nessun legame biologico con essa. Il saper fare a meno di tutto rende il soggetto paradossalmente più libero da vincoli morali e comportamentali. Tali atteggiamenti appartengono allo stesso sistema condiviso dagli altri, cioè quello delle motivazioni che apparentemente spingono l'individuo all'utilizzo di droghe pesanti e all'alienazione da un mondo al quale non riesce ad aderire. L'alienazione del barbone può essere di diverse categorie, ma per lo più i barboni mantengono delle relazioni con ramificazioni particolari all'interno della società. Più sinteticamente si può dire che, non ricevendo nulla e soprattutto non pretendendo niente, cominciano ad esercitare un ruolo attivo su chi si propone a questi ultimi solo in forme di solidarietà o di semplici affinità elettive. Il barbone può solo permettersi il lusso di essere alcolizzato, e solo di vino di scarsa qualità; desiderare sostanze più costose lo reinserirebbe in quel circolo vizioso di necessità e doveri, che non gli permetterebbero più di esercitare il suo ruolo indipendente all'interno della città e della vita sociale.

La traduzione di questi sistemi, specie all'interno di psicologie 'devianti', ma che all'effetto pratico reiterano il meccanismo compulsivo bisogno-dipendenza, è resa difficile, quando impossibilitata da trascorsi traumatici.

La paura di essere internati in qualche istituto è l'unico tabù, per il resto in quasi tutti i barboni metropolitani appare consolidata un'incapacità "culturale", oserei dire indotta, di razionalizzare la realtà e quindi di confrontarsi con 'gli altri', nel senso di condividerne i differenti equilibri di bisogno-soddisfazione, che, se pur travestiti, esistono in ogni milieu sociale, compreso quello della tossicodipendenza.

In questo senso barboni, tossici, 'punk a bestia' condividono il mondo della strada ma attraverso sistemi di comunicazione radicalmente distinti gli uni dagli altri. È anche possibile che tra loro si formino delle conoscenze tali da imporre una distanza simile a quella che può esistere tra un direttore di banca e un punk di strada, sottintendendo che vi sono alcuni stili di vita che generano un comportamento al quale in un modo o nell'altro la personalità andrà del tutto ad aderire.

Ciò apre uno spazio di riflessione, in cui vorrei mostrare nella loro banale irriducibilità, quei comportamenti che non possono conciliarsi es.: può essere che un direttore di banca la domenica si trasformi in un tifoso, ma lo stesso principio non vale per un barbone. Può anche darsi, ad esempio, che un barbone abbia una vocazione spirituale come quella di un prete e, in questo caso, potremmo anche prevedere che da un giorno all'altro entri a far parte integrante di una setta religiosa; e se anche il nostro direttore di banca, a causa di un improvvisa illuminazione o di un trauma, decidesse di rinunciare a tutto e fare il barbone, tra i due individui potremmo scoprire un curioso trait d'union. La transitorietà del ruolo sociale esiste, ma nel presente mantiene coordinate specifiche.

Sempre in relazione a questa proposizione, vorrei fare un'osservazione: quante volte è accaduto che due aspetti che teoricamente non possono presentarsi nella medesima persona, si manifestano all'atto pratico, come nel caso di un prete affetto da pedofilia.

Il coesistere di due aspetti apparentemente e socialmente inconciliabili in un individuo può generare uno scandalo. Interessante è la contraddizione fra la nozione comune di ammissibilità e la semplice, constatata convivenza degli opposti. Immaginiamo che il prete sia un duplice deviato: il fatto che la pedofilia sia un aspetto deviante della personalità non implica che il soggetto non abbia una reale spinta religiosa; se invece si scoprisse che il direttore di una banca è un pedofilo, ciò susciterebbe scalpore, ma in maniera minore. Infine se si trattasse del barbone, la collettività reagirebbe con disgusto ma con minor sgomento rispetto ai casi precedenti. E a questo punto voglio concedermi l'ultima considerazione: nell'immaginario collettivo un direttore di banca con simili tendenze, rimane direttore (al di là del fatto che perda o meno il posto del lavoro), o diventa pedofilo? E se è un prete ? Se è un architetto?

Nona giornata:spazi 'cristallizzati all'interno della struttura urbana e della società fiorentina, i ruoli. Il "Presidente" dell'arco di San Pierino

Ci sono cose che traduco in toto ed estemporaneamente per un senso di correttezza nei confronti dell'analisi che sto conducendo, ma tengo a precisare che è fin troppo facile sentirsi migliori delle persone osservate: si può perfino sorridere di alcune loro vicende, ma dobbiamo tenere conto che si tratta di vicende vissute, e soprattutto sofferte.

Dal vinaino non c'è nessuno; penso che mi spingerò fino a Borgo Pinti o fino all'arco di San Pierino. Di solito, in questa zona di Firenze l'attività inizia in orari leggermente diversi da quelli di piazza Santissima Annunziata.

L'arco di San Pier Maggiore è un luogo di transito coperto; a presidiare la zona, durante tutta la giornata, ci sono per lo più degli 'alcolizzati' e diciotto ore al giorno sei/sette giorni su sette, c'è il 'Presidente', una singolare figura, probabilmente un pensionato di guerra o non so cosa, che trascorre le sue giornate sotto il famigerato arco.

Non c'è da crederci, ma lui è là 'sotto', in qualsiasi ora della mattina o della sera con una birra in mano, e tre volte su quattro, o sette su nove, con una sigaretta nell'altra. Tutto ciò dal '54 ad oggi.

Non mi sembrava possibile, fin quando un giorno vidi su una rivista francese, un servizio realizzato da un fotografo americano agli inizi degli anni sessanta; in una di queste fotografie scorsi l'immancabile 'Presidente', con vent'anni di meno e la solita birretta in mano e sullo sfondo uno scorcio del mercato ortofrutticolo, che si tiene ogni sabato in piazza Salvemini.

Per quanto riguarda gli eroinomani, la loro presenza è costante anche se i soggetti variano a seconda del momento. Probabilmente S. Pierino è un luogo di transito per gli spacciatori, che si presentano saltuariamente e in precisi momenti della giornata. Una volta contattati i clienti, viene fissato un incontro da qualche altra parte del centro dove ci siano meno rischi di essere fermati dalla polizia. L'arco è un luogo ormai 'deputato' allo spaccio; anche se il Comune per certi periodi dell'anno ha messo una pattuglia di vigilanza stabile, ma ciò non è bastato a cambiare il genere di relazioni che si intrecciano in questo luogo.

Mi è capitato di parlare con tossicodipendenti di altre città e alcuni di loro avevano sentito parlare dell'arco di S.Piero, come spazio deputato al traffico di stupefacenti. Penso che questa caratteristica nasca dal fatto che un luogo del genere rappresenta uno dei più importanti punti di reperimento dell'eroina per i momenti di emergenza; quando un soggetto non ha nessun contatto con un qualche fornitore 'tampona' la situazione mettendosi in fila a San Pierino.

Tale condizione si verifica i primi tempi a seguito di un trasferimento, o semplicemente dopo un periodo di carcere o di comunità; oppure se il proprio spacciatore viene arrestato.

Può anche accadere che uno spacciatore appena giunto a Firenze abbia bisogno di formarsi una clientela. In definitiva le strade che portano a San Pierino sono tante e tutte connesse tra loro.

Proprio sotto l'arco c'è "l'antico Noè", cosa curiosa è la presenza di questa mescita e il suo nome; come si narra nella Bibbia, Noè, appena sceso dall'Arca, piantò la vigna per fare il vino.

Questo negozio, che ha da poco alterato la sua vecchia natura di mescita di vino per viandanti e ubriaconi, per andare in contro a un pubblico di turisti e di avventori 'normali', si contrappone alla rivendita di panini egiziani e specialità nordafricane. A pranzo e durante il pomeriggio questi due tipi di rivendita legate all'alimentazione (il pasto viene consumato in piedi sotto l'arco, eventuale riparo dalla pioggia), creano una folcloristica e variegata atmosfera, dove non resta difficile allo spacciatore confondersi tra gli avventori, e magari approfittarne per mangiarsi un buon panino con la porchetta, o un fahlhafel (31). Tra i fumi della cucina, gli odori dei cibi e delle tante orinate, cui durante il giorno i vecchi alcolizzati, ormai semincontinenti, si lasciano andare, si sente a volte la mancanza di un vespasiano.

C'è un fatto, che, fin dall'infanzia, ha sempre destato la mia curiosità: vedere persone derelitte che portavano avanti una vita nei minimi termini: ma pur sempre con abitudini precise e con i loro interessi.

Ai miei occhi le relazioni umane erano l'aspetto più particolare.

Trovavo sconcertante che un nostro simile, un amico, un conoscente, o un semplice concittadino, potesse condurre una vita autodistruttiva senza ricevere nessun tipo di aiuto, e tra queste persone spesso vi erano molti giovani. Oggi, forse, mi rendo meglio conto dei motivi di questa indifferenza, ma ciononostante non riesco ancora a spiegarmi del tutto la reazione di molte persone di fronte a determinati comportamenti umani, tutto sommato di richiesta d'aiuto.

È come se da un certo momento in poi un soggetto agli occhi degli altri trovasse una propria definizione inscindibile dall'errore; come se nel pensiero di tutti la sua identità si fosse in qualche modo cristallizzata, arenata.

In questo senso credo che Firenze sia una città particolare nel panorama Italiano. Ho trattato quest'argomento con persone molto differenti e la riflessione che maggiormente ho condiviso, è stata quella datami da Hassan, un poeta Irakeno, che vive a Firenze dall'84; ho letto le sue poesie, e mi sono piaciute molto. Lo conobbi dal vinaio di via degli Alfani una mattina in cui l'oste si era arrabbiato con un'anziana tossicodipendente che, non riuscendo più a procurarsi la 'roba' con facilità, si è data al bere...Mentre l'oste inveiva piuttosto brutalmente sulla sventurata, perché aveva rovesciato del vino sul tavolo e per terra per la seconda volta da quando era entrata nel locale, Hassan intervenne in sua difesa, ponendo all'oste la seguente domanda: "perché le dai da bere se poi non vuoi che si ubriachi?" L'oste seguitò con il fare tipico del commerciante 'fiorentino' che quando non ha la risposta pronta se ne esce con frasi fatte, permeate di un finto buon senso popolare, e rivolgendosi a tutti i presenti per accattivarsene la simpatia e cercarne il consenso: "Gli è tutta la mattina che beve, adesso basta, gli è l'ora d'abbozzalla!

Hassan: "ma se non rovesciava il vino tu avresti continuato a dargliene fino a stasera...?.!"

Oste: "Quando 'uno' l'è di fori deve smèttella coi bére!"

Mi piacque il comportamento di Hassan; con un pretesto cominciai a conversare a bassa voce con lui e arrivammo subito a esprimerci riguardo all'atteggiamento assunto dall'oste. Il discorso poi si spostò sul genere di etica professionale che deve avere un 'bravo oste' per evitare situazioni imbarazzanti. Concordammo che in quello specifico caso sarebbe bastato essere più gentili con la donna, cercando di non attirare l'attenzione di tante persone e di non mettere la sventurata in imbarazzo. Tuttavia eravamo consapevoli che il problema era da tutt'altra parte.

Il dialogo proseguì sull'idea di 'fiorentinità' che avevamo rispettivamente.

Io da un lato, anche se ci sono nato a Firenze, ho altre origini ma posso definirmi fiorentino, lui è qui da quasi quindici anni ed ha vissuto in diversi ambienti, senza mai trovare una condizione nella quale riconoscersi.

Hassan aveva la sensazione che il posto nella società fiorentina vi fosse, ma l'atteggiamento delle persone e i luoghi che si trovava a frequentare gli davano l'impressione che attorno a sé aleggiasse uno strano senso di 'predestinazione'. Quest'idea gli ha fatto comprendere la tolleranza che la collettività fiorentina ha per una vasta gamma di soggetti; mi disse: "tu puoi essere drogato, puoi vivere di traffici illeciti o hai un modo di essere 'particolare' o stravagante, "Firenze" col tempo ti accetta e puoi trovare una casa, una donna o altro, fare anche dei figli...ma rimani quello che sei anche se hai un buon lavoro e dei soldi, qualcosa di te rimane dove sei partito, qualcosa di grosso", "non solo nella memoria che è importante, anche lì è importante, molto importante, forse meno ma importa, importa molto."

Questa visione un po' inquietante della fiorentinità va presa con le 'molle'. Ma per un certo aspetto la condivido.

La comunità di tossici che studio ne è in qualche modo un esempio; il fatto che sia una comunità 'storica' che esiste dagli anni '70 e che alcuni dei soggetti, che tuttora si drogano, siano gli stessi di 25 anni fa, mi spinge a pensare che la riflessione di Hassan abbia un grande valore. Una città intesa nella sua organicità, "ti dà dei mezzi per realizzare quello che la collettività 'pensa' che sei", alla fine crea un processo di vera e propria 'cristallizzazione' dei ruoli, "e tu diventi quello che gli altri pensano che tu sia".

Abbiamo anche il caso della collettività di barboni di Firenze, che oggi come oggi hanno in gestione uno spazio e un ciclostile col quale producono un giornale bimestrale dal nome "Fuori binario", all'interno del quale, da quattro anni, vengono prodotte le informazioni relative ai bagni pubblici, mense e dormitori per disagiati con numeri telefonici e informazioni di rito.

Un altro esempio potrebbe essere il comitato dei 'senza tetto' che organizzandosi hanno via via occupato diversi spazi, dalla Palazzina di Sorgane all'ospedaletto psichiatrico per bambini di Via Aldini, esempio quest'ultimo di struttura autogestita.

Per non parlare del comitato dei "senzatutto", che, essendo nato da poco, per ora non fa testo.

Una riflessione su questa giornata mi è stata suggerita tempo fa da un giovane Tunisino, secondo lui l'arco di San Piero e gli altri luoghi storici sono ormai "consacrati allo spaccio", perché, tutti i tossici convergono, sono lì, e volendo, la società potrebbe liberare con facilità questi posti dal mercato dello spaccio e da tutte le vicende che ne conseguono. Ciò non viene fatto perché tollerando questo fenomeno alla luce del giorno, si semplifica la possibilità di sorveglianza e si evita che tali situazioni e i conseguenti mercati proliferino di nascosto. Questa riflessione, in una certa misura, avvalora il pensiero di Hassan sugli spazi cristallizzati.

Decima giornata. Molti della mia generazione hanno conosciuto di riflesso o per effetto diretto gli olocausti dell'eroina: intervista a Massimino

In questi giorni non sono riuscito a raccogliere alcuna informazione utile. Il fenomeno della tossicodipendenza in questa piazza mi appare sempre più come un mosaico dove l'individualità è rappresentata dai un tassello che compone il mosaico, e dalle colorazioni di questa immagine. Ogni soggetto aggiunge una prospettiva dalla quale scrutare l'ambiente, traendone nuove considerazioni al fine di costruire una tesi che riesca a contenere un principio logico di osservazione, e quindi di interpretabilità.

Verso mezzogiorno ho incontrato Massimino; lo conoscevo sin dai tempi in cui assieme a me frequentava l'istituto d'arte: mi ricordo che era appassionato di chitarra moderna e che suonava in uno dei gruppi dell'istituto. Da tempo aveva certe "certe" amicizie ed è molto probabile che il suo rapporto con le sostanze psicotrope sia cominciato in quegli anni.

Occorre ricordare quanto a quei tempi l'ambiente dell'Istituto d'Arte fosse variegato, almeno fino alla recente riforma. Molti erano gli studenti stranieri che venivano a perfezionare determinate tecniche, dalla oreficeria alle arti del restauro e a quelle grafiche. La fascia di età degli studenti andava dai 14 a 28 anni all'incirca.

Era comprensibile come in uno spazio naturalmente predisposto alla socializzazione, come quello di una scuola d'arte, certe abitudini potessero contagiarsi con estrema facilità. Quasi tutti iniziavano a fumare hascisc e marijuana al secondo o al primo anno, e molti di questi, in seguito, hanno continuato a farne uso. Questo ha favorito la formazione di un piccolo mercato o spaccio, orbitante attorno alla scuola. Questa condizione col tempo ha favorito la circolazione di altre sostanze all'interno della struttura, tant'è vero che negli anni della contestazione 1976-77, quando i movimenti studenteschi per la riforma crearono un ulteriore distacco tra docenti e studenti, ecco che in tale frangente di ridottissimo controllo, l'eroina cominciò a serpeggiare anche nei corridoi dell'Istituto d'Arte. A portarla, ed a esserne le prime vittime, furono quegli studenti che, non riuscendo a ricavarsi uno spazio politico di impegno attivo, interpretarono l'utilizzo dell'eroina come un'alternativa al conformismo, tale scelta si sarebbe ben presto dimostrata un 'boomerang'.

Un po' per mancanza di informazione un po' perché il contagio era oramai avvenuto, l'eroina continuò incessantemente a crearsi nuovi adepti e a mietere vittime fino a metà degli anni ottanta in cui, fu presa la decisione dal preside e dal consiglio d'istituto, di allontanare in tronco gli studenti che venivano scoperti a fare uso di droga.

Successivamente la tossicodipendenza all'interno della scuola, si ridusse ma una serie di soggetti inizialmente allontanati, continuarono ad avere contatti con l'istituto, spesso anche per motivi di parentela (fratelli di studenti più giovani), altre volte perché quel piccolo spaccio di droghe leggere non si era interrotto, ma anzi era proliferato, perché il consumo lentamente si andava affermando anche in altre scuole di Firenze, anche se non era necessariamente consumo di eroina.

Ecco che nel giardino antistante all'istituto si formarono compagnie di amici che si ritrovavano fin dal mattino nei diversi angoli del parco. Spesso c'era chi marinava la scuola e passava la mattinata a fumare su uno di questi prati, c'era chi molto più semplicemente giocava a calcio o col frisbee. È in queste circostanze che i vecchi tossici facevano la loro comparsa; ma tra di loro, più o meno, si conoscevano tutti e cercavano costantemente di sapere cosa facessero gli altri 'tossici' o dove fossero i consumatori di droghe leggere. Moltissimi all'inizio degli anni '80 erano in qualche modo coinvolti nella dipendenza. Perché erano sempre alla ricerca di qualcosa e si erano abituati a quel comportamento, da 'cane randagio'.

Sugli studenti più giovani, questa manica di ex studenti, tossici rinnegati, avevano fatto sempre un certo effetto, un misto di timore e fascino, che facilitò un dialogo tra la fascia più alternativa degli allora studenti e i tossici.

Si formarono gruppi che al pomeriggio si ritrovavano nel giardino per fumare e stare insieme ai tossici, (tali erano apprezzati per la loro vita errabonda e sconclusionata), alcuni erano diventati delle 'piccole stelle'... altri si spinsero persino a parlare male della roba e a dire che chi avesse pensato di farne uso, anche solo per una volta, era un pazzo o un imbecille. Naturalmente per loro la cosa spesso si sublimava, assumeva tinte complesse all'interno di problematiche considerate irresolubili. Le comunità erano e sono spesso l'ultima la speranza, ma il recarcisi non può essere una decisione presa intempestivamente.

Massimino è uno dei ragazzi che giunge da questo ambiente

Negli ultimi 7/8 anni non lo avevo più rivisto, fino a che non l'ho riconosciuto in Piazza mentre cercava per l'appunto l'eroina. Il riconoscimento è stato semplice ed anche arrivare all'argomento; ho pensato che potesse essere interessante fargli alcune domande.

Soggetto intervistato: Massimino, lavoratore saltuario, 23 anni.

Luogo dell'intervista: tra piazza Santissima Annunziata e il chiostro in borgo Pinti dalla parte del Liceo Ginnasio Michelangelo.

Intervistatore: Massimino, noi ci conosciamo di vista da vecchia data, quindi lo posso chiedere con franchezza: come mai hai iniziato a farti di eroina?

Massimino: Mano, mano perdi i punti di riferimento e ti ritrovi a farti, conosci persone che vengono da un tipo di esperienze diverse dalle tue ti interessi a loro e allora non ti rendi più conto...

I.: È stato un passaggio graduale da una droga leggera ad una più pesante, o ci sei andato a sbattere direttamente?

M.: Secondo me la cosa è che se hai cominciato a farti le canne, vabbè.. ma per me ciò che mi ha portato a farmi di eroina è stato l'extasy non le canne.. perché come modo di porsi verso la sostanza c'è una differenza fondamentale. L'eroina, la cocaina l'extasy, l'amfetamina in generale ti fanno ricercare uno stato d'animo, cosa che è differente nei 'trip', che è differente nelle canne.. perché ti fai una canna e ti può prendere malissimo come ti può prendere bene così con il 'trip', con quest'altre sostanze sei sicuro che ti prende bene.

Alla fine non ricerchi più uno sballo, un qualcosa che diventi complementare alla tua creatività, diventa quella cosa li, quella ricerca di quello stato d'animo lì, poi le cose degenerano e qui entrano in campo le insicurezze delle persone, nel senso come sei te, e l'eroina può diventare la cura per ogni male che hai, nel senso che se te sei una persona timida, che non riesce a parlare con gli altri quando sei fatto parli con tutti senza problemi..

I.: In questo senso pensi che possa servire a qualcosa?

M.: No, non serve ...ti fa morire, fai te!

Tutto ti viene contro, tutte le "over - dose" capitate a gente che ho conosciuto se le sono fatte, quasi tutte erano volute, perché uno che si fa, sa quanto regge o meno...quindi suicidi: un modo come un 'altro per ammazzarsi, magari lentamente.

I.: Dici che non è la sostanza in se ad ucciderti o è il fatto di essere drogato questa società a portarti alla distruzione?

M.: Molto è la roba perché incominci e non sai quando finisci.

Non è detto al 100% che ti ammazza ma c'è un alta possibilità...la strada è quella.. cioè l'eroina porta al carcere o a crepare.

I.: Com'è la tua condizione fisica?

M.: Io, insomma non tanto bene, perché io vado a periodi posso passare otto mesi un anno senza toccare niente..

I.: Per quanto tempo consecutivamente ti sei fatto?

M.: Un anno e mezzo.

I.: Poi c'è stato un periodo di disintossicazione?

M.: Ti riprendi e ti accorgi che ti ha tolto una parte di vita...

Devi rincominciare a fare tutto da zero devi rincominciare a muoverti a nutrirti a parlare con la gente.. è come in comunità, lavori leggi studi.

I.: E andato sprecato quest'anno e mezzo?

M.: In certi momenti la puoi prendere come un esperienza come un'altra, negativa o positiva ci puoi sempre tirare fuori qualcosa..

I.: E gli altri quelli che fino ad ora hai avuto intorno, ti hanno spinto in una direzione o in un'altra, insomma ti sentiresti di poter trarre delle conclusioni?

M.: È difficile, tanta gente tende ad isolarti da chi ti vuole aiutare...solitamente. Poi sei anche te a tendere ad isolarti dalla gente "che ti rompe i coglioni" alla fine perché gli altri ti guardano come se tu fossi impazzito, e te vuoi continuare per la tua strada. In questo senso è una droga molto egoistica, ti porta a pensare sempre di più a te stesso allontanandoti dagli altri e diventa sempre più difficile pensare agli altri, viene sempre avanti quello, a tutto. E quella è una cosa abbastanza triste, non avere altro, nel senso; te la mattina ti svegli, stai male e prima di qualunque cosa, prima di riuscire a ragionare con la tua donna o con chiunque se devi lavorare, ti devi fare, se no non ce la fai.

I.: Hai avuto problemi con la legge? Sei riuscito a rimanere fuori da brutte situazioni?

M.: Fuori dalla galera? Per quello penso io, credo che sia questione di quanto uno è sveglio, poi ovvio: tira la corda, tira la corda alla fine si spezza. E questo probabilmente succede a tutti, fin 'ora mi è andata bene, sicuramente facendo determinate cose uno sa che la strada porta alla galera di sicuro.. poi hai visto, io ho anche amici che ci sono stati in galera gli ha fatto pure bene paradossalmente, da quello che si può supporre o pensare però.. poi non lo so Firenze è anche una città che si presta a questo..

I.: In che senso?

M.: Perché la gente è chiusa e fa finta di niente, ma la roba a Firenze è esplosa è in tutte le piazze...

I.: Mi sembrava che per quanto riguardasse l'eroina il mercato fosse un po' più nascosto..

M.: Nominami una piazza e lì c'è l'eroina..

I.: A causa della concorrenza i prezzi saranno diminuiti?

M.: Non direi, almeno a Firenze ci possono essere delle variazioni rispetto ad altre città.. può costare ventimila come cinquanta, dipende da che uso ne fai no?

I.: Il fattore economico la rende proibitiva, in che misura?

M.: All'inizio magari ti basta una busta. Uno che si fa da tanto tempo magari se ne fa quattro o cinque, e diventano 250'000 £ al giorno e sono soldi. Dipende da come ti organizzi...

I.: Insomma la convivenza è concepibile..

M.: Si, si io conosco tanta gente, ma il discorso non è conviverci, perché diventa la tua vita, devi scegliere tra la roba e tutto il resto...perché non sono cose che vanno di pari passo poi non lo so. Penso che alla fine la cosa sia che ti lascia solo in una gran confusione, non ti lascia spazio, il tempo corre con l'eroina, il tempo passa e te non te ne accorgi e rimani li tutto cotto a vederlo passare e come se tu stessi ad una finestra e vedi gli altri che vivono e te non vivi...è come se tu stessi al cinema, io alla fine mi ritengo anche fortunato. Alla fine, delle possibilità le ho sfruttate viaggiando, facendo qualcosa per tenermi sveglio, se fossi rimasto qua a fare la stessa vita che facevo adesso non potrei dire così...

I.: Quali sono le tue intenzioni? Mi sembri piuttosto cosciente della tua situazione in pratica sei d'accordo se dico che hai messo il piede in una tagliola?

M.: Certo, si dice che la voglia non andrà mai via.. la voglia come si suole dire tra tossici nemmeno Gesù Cristo te la toglie, quella ti rimarrà sempre, come dice Finardi in una canzone "alla fine non è così difficile smettere, vedrai non ci ripenserai quasi mai". Quasi mai, però ogni tanto ti ritornerà in testa.

I.: Hai avuto dei momenti che tu riterresti di vera felicità con l'eroina?

M.: Bisogna vedere cos'è la felicità, per me no. Per me mi tiene tranquillo, è un narcotico, è un soporifero...dormi e non senti nulla. La felicità è la luce, l'eroina non è la luce per niente, è luce ma è come il neon: è come paragonare la luce del neon alla luce del giorno.

I.: Che alternative ci sono? Se ci sono?

M.: Si hai voglia! Dipende dagli stimoli che riesci a dare a te stesso, infatti la gente si chiude nelle comunità per questo...

I.: Cosa ne pensi delle comunità? Funzionano?

M.: Certo è impossibile pensare di farlo da soli, di smettere da soli o con narcotici...hai comunque bisogno, bisogno di aiuto.

I.: Come farai a smettere da solo? Sei intenzionato a farlo?

M.: Senti con questa storia ormai io penso di essere arrivato al capolinea a me capita ogni tanto di farmi, non sono contento di farlo però lo faccio, io penso che per me la condizione migliore è quella di mettermi nell'impossibilità di farlo...quindi me ne vado in un posto dove non conosco nessuno, fuori dall'Italia, con altre storie in testa e vado avanti così, è una cosa molto destabilizzante ti fa perdere il punto della situazione, io non ne posso più, anche se non sei coinvolto fisicamente è una cosa che ti logora, ma a Firenze non riesco a stare bene ci riesco quando sono lontano.. poi ritorno qui e ricomincia tutto da capo o quasi.

I.: Ti sembra di aver mantenuto il controllo della situazione fino adesso? Come sono i tuoi rapporti sociali?

M.: I rapporti li sento un po' falsati, con la mia donna no, con lei è come dev'essere, è con gli altri che sento questa cosa, con gli amici, poi hai visto lì si torna al solito discorso dell'inizio, perché io sono arrivato all'eroina? E qui si va in un discorso in cui nemmeno io lo so perché.

I.: Pensi che 'sotto' la tua tossicodipendenza ci sia più il caso o l'intenzione?

M.: Non è mai il caso, non esiste il caso, per me se uno arriva a farsi le pere e a continuare vuol dire che qualcosa di sbagliato o che gli è successo c'è di sicuro.. perché è insicuro, perché ce ne possono essere tremila, la mamma non gli ha voluto abbastanza bene, queste non sono storie da film. Se ne vuoi sapere qualcosa di più ti leggi un libro che si chiama "Un buco nell'anima" lo danno anche a gente che è in terapia.. ti leggi quello e capisci com'è la tossicodipendenza è una cosa genetica, per esempio da padre a figlio, uno poi ci ha una dipendenza di un tipo e il figlio di un'altra. Una viene criminalizzata perché centinaia di migliaia di persone che usano psicofarmaci per dormire vanno bene, centinaia di migliaia di giovani che usano l'eroina per dormire sono dei criminali.

I.: Alcune persone che fanno utilizzo dell'eroina me l'hanno descritta come qualcosa che serviva ad evadere da un mondo che non piace, quasi un atto di coraggio.

M.: Ma io mi sono fatto per divertirmi perché mi piaceva perché la trovavo una cosa divertente.

I.: Non ti sei fatto per debolezza quindi.

M.: Non lo so, non lo so. Ci sono cose alle quali non mi so rispondere.

I.: Tu hai iniziato in un momento in cui non puoi attribuire la leggerezza del gesto alla disinformazione, tu sapevi a cosa stavi andando incontro?

M.: Certo, certo io ci sono cresciuto in mezzo alla roba, io sono cresciuto in San Pierino...

I.: Cos'è che non ti ha fatto temere questa sostanza?

M.: Forse perché ce l'ho avuta così vicina per tanto tempo..

Non l'ho mai vista come un vero pericolo, quando mi ci sono trovato incastrato era troppo tardi, quando ho realizzato.

Senti ma ora arrivo qui davanti e ritorno, cinque minuti e si continua...

I.: Almeno si finisce..

M.: ..almeno si finisce...

Ho aspettato un'oretta ma Massimino non si più presentato ma so cos'era andato a fare lì di fronte.

Ho avuto sue notizie dopo circa un anno, parte del quale l'ha trascorso in comunità.

Undicesima giornata: "ventitre ore e mezzo". Il 'Gioppa'

Anche se il tempo trascorre, spesso non dipende neanche dall'insoddisfazione se l'individuo ex - tossico riprende a farsi lo fa e basta...

Così dice il "Gioppa" anche lui uno dei tossici 'storici' della Piazza, ma che in qualche modo è sempre rimasto estraneo alle attività 'criminose' che si svolgono in questa zona. È molto tempo che assume sostanze stupefacenti pesanti e oramai conosce ne conosce le composizioni e gli effetti, come un farmacista e le reazioni del proprio organismo come un vero esperto di fisiologia umana. Dice che, "il tossico ricomincia a farsi perché ha voglia di farsi e basta. Anche se riuscisse a costruirsi la vita più bella che un uomo può sognare, questo non significherebbe nulla; prima o poi la tentazione tornerebbe e il fatto che ceda o meno è un altro discorso".

Tra quelli della piazza il Gioppa è l'unico che riesca a condurre una vita quasi normale, anche se la frequenta saltuariamente. Ha un lavoro e per parecchio tempo ha avuto una 'donna' che lo ha lasciato da poco ma non per colpa della droga. A sentir lui: stavano insieme da 7/8 anni, e lui non ha mai cercato di coinvolgerla nella dipendenza.

Questo è un fatto che fa del Gioppa una persona con la testa sulle spalle rispetto alla maggioranza dei tossicodipendenti. È rarissimo che un tossico abbia una relazione, riuscendo a non coinvolgere il proprio partner, col proprio problema. La ragazza del Gioppa la roba non l'ha mai neanche vista, sempre a sentire lui, ma credo che sia la verità.

Il Gioppa sta scrivendo un libro da diversi anni, che s'intitola "23 ore e mezzo"; infatti sostiene che, se ci fossero meno complicazioni per trovare l'eroina, alla fine il tempo che un individuo spende a cercarsela negli ambienti più malfamati, lo impiegherebbe per condurre una vita accettabile e autonoma, perché una cosa è certa: chi si 'fa' non rinuncia alla vita, è una serie di conseguenze ciò che riduce l'individuo ad essere un emarginato e spesso un vero e proprio criminale, così vanno le cose...

Quando ho conosciuto il Gioppa ancora non mi ero interessato esplicitamente della tossicodipendenza. Fu lui a parlarmi con chiarezza di eroina e della dipendenza che produce. Mi ricordo che nei giorni in cui lo conobbi stava leggendo Il 'Maestro e Margherita' di Bulgakov. La conversazione scaturì da una domanda che gli feci, mi disse subito che il libro avrei dovuto leggerlo, ma una considerazione poteva farla: "il male fa il bene, e per arrivare ad attuarsi il bene deve attraversare il male".

Il libro non l'ho ancora letto ma lo farò presto, mi ricordo che, quando il Gioppa fece questa osservazione sul bene e sul male, alludesse a se stesso.

Capita di frequente che il tossico cerchi di giustificare il proprio stato e la condizione in cui si trova, e alcuni gli danno delle valenze mistiche: in questo senso l'immagine del tunnel, è significativa perché riuscire a sbucarne vorrebbe dire ricominciare a vivere con un'esperienza di vita fortissima alle spalle, sicuramente molto formativa, fatto che sono disposto a credere anch'io.

Il problema che Gioppa mi ha fatto capire sta nel fatto che tale sostanza quando ti lascia, ti lascia con il cervello e le membra distrutte in modo irreversibile. Molti dei danni fisici e psichici ai quali sono legati anche fattori della dipendenza psicologica, sono provocati dal ricorso dei contraffattori di eroina agli additivi chimici, che spesso hanno componenti letali. Se pensiamo che l'eroina spacciata in Italia è eroina dal 3 fino al massimo 15%, e che il resto della sostanza è costituita da additivi. Questa considerazione va tenuta presente per sostenere ulteriormente l'idea di una liberalizzazione controllata della sostanza. Un altro fatto di cui mi fu segnalata l'importanza da uno dei ragazzi, di cui ho riportato una testimonianza nelle pagine precedenti di Fabio D è che se l'eroina fosse distribuita gratuitamente, il confronto tra il tossico e l'ambiente in cui gli verrebbe somministrata, certamente metterebbe quest'ultimo in condizione di assumere la sostanza pura, senza tutte quelle contraffazioni che ne aggravano la pericolosità, così mi disse: "poi c'è da dire che ora la crisi di astinenza di cui si soffre non è tanto data dagli oppiacei e da eroina quanto dal taglio, ed è quella l'astinenza brutta che non riesci a sopportare. L'astinenza che io provavo ultimamente, era da taglio. Perché l'eroina che trovi in piazza, io sono convinto che non arriva al 10%...Usano sostanze di 'merda', io non so cosa mi sono buttato nelle vene, e chiaramente dove va questa robaccia, va a finire nei reni, in queste parti dell'organismo. Il calo che senti è un enorme mal di reni che non riesci a sopportare. L'astinenza ora come ora non è tanto da oppiaceo ma è da taglio".

Di seguito Fabio mi disse di essere favorevole alla liberalizzazione controllata, perché ciò eviterebbe al tossico la vita di piazza e la ricerca costante di soldi e della 'roba', e gli permetterebbe, anche se sotto dipendenza, di dedicarsi alla propria vita, perché un altro punto su cui concordano in diversi è che gli effetti degli oppiacei se somministrati in dosi non eccessive, non impediscono a un soggetto di lavorare o comunque di svolgere attività socialmente riconoscibili come valide.

Ventitreore e mezzo al giorno dunque sarebbe il tempo che una persona con problemi di dipendenza potrebbe dedicare alla propria vita, e al tentativo di sostenerla. "Non dimentichiamo" aggiunse Fabio, "non è che poi il tossico è felice in una utopica situazione, dove la droga sia liberalizzata, il tossico è felice perché si buca e non spende soldi, l'umiliazione e i sensi di colpa sarebbero gli stessi, saresti semplicemente più controllato, e ci sarebbero molti meno morti, e ti sta parlando una persona che ha avuto diversi amici morti 'sfortunatamente'."

Considerazioni sulla undicesima giornata

Nel caso del Gioppa la particolare natura del soggetto lo rende una vera e propria eccezione che conferma la regola; c'è da dire che certi requisiti di autodisciplina sono difficili da riscontrare nel tossicodipendente. Nelle raccolte pubblicate dal personale di recupero risulta chiaramente che il 90% delle persone che utilizza eroina ha delle vere e proprie lacune psicologiche, date dall'educazione o da forti disaffezioni che il soggetto ha vissuto malamente o troppo sensibilmente. Le pubblicazioni di questo genere sono tante quante le strutture assistenziali; le regioni in particolare si sono dimostrate sensibili a questo male che serpeggia tutto sommato trasversalmente nella nostra società, anche se, come si è già specificato, la maggior parte dei soggetti tossicomani provengono da una cultura suburbana.

Gioppa ha una cultura decisamente superiore al normale e la sua insofferenza gli è stata provocata da un forte senso di rifiuto sociale. Fin dall'adolescenza il suo modo di vivere i rapporti interpersonali più profondi è stato traumatico. I suoi punti di riferimento sono stati dei genitori appartenenti ad una società medio-alta; il loro atteggiamento era improntato a un forte formalismo, per il fatto di essere stati educati a relazioni di convenienza e non di appartenenza affettiva.

Da quello che ho inteso, il Gioppa aveva ed ha tuttora un forte spinta idealistica, che lo ha condotto a mettersi di fronte ad un sistema che di per sé esiste grazie all'adesione ad esso di migliaia di soggetti che danno a questo modus vivendi una credibilità ineluttabile. L'incapacità di razionalizzare questi sistemi ha spinto Giovanni a cercare costantemente un'alternativa. Che gli permettesse di raggiungere valori chiari... per il Gioppa il chiarimento di certi meccanismi e comportamenti non è giunto dai genitori o dagli affetti più stretti, perché molto probabilmente queste persone hanno ricevuto una educazione che non hanno mai avuto bisogno di mettere in discussione. Lo spirito di ricerca è basato su una spinta al soddisfacimento ed è possibile che, attraverso una spinta meno intellettuale od 'idealista', sia più facile codificare una realtà sociale alla quale appartenere o, forse, accettarla in toto..

Nel caso del Gioppa questo problema di 'appartenenza' si è materializzato, escludendolo dalle verifica, della maggiore o minore fondatezza dei suoi valori, per colpa del fatto che, cominciando ad utilizzare l'eroina, è stato presto emarginato da un mondo per il quale egli aveva elaborato un immediato rifiuto. Ecco che l'emarginazione gli ha consentito di comprendere, benché in modo traumatico, la vacuità dell'esistenza e conseguentemente il bisogno umano di elaborare un sistema di appartenenza ed autoidentificazione all'interno di strutture umane.

Tali strutture agli occhi di un giovane possono apparire spesso ipocrite e ingiuste, ma non sta a me pormi di fronte ad un giudizio del genere; posso però capire l'insofferenza di chi, di fronte a queste situazioni arrivi a provare un senso di nausea.

Dodicesima giornata. Osservare, non spiare

Anche standosene semplicemente seduti a un tavolo è possibile venire a conoscenza di tante storie. Spesso, per vie traverse, magari sorseggiando un bicchiere di vino, sono venuto a sapere dettagli di storie, anche scottanti, sulla vita di molti frequentatori della piazza. Sempre nel silenzio ho osservato persone con le palpebre semichiuse per gli effetti della "roba" raccontarsi vicende che farebbero accapponare la pelle ad un "Marine".

A volte, sono stato orecchio indiscreto di alcune iniziative criminali, e non nego di essere stato messo di fronte a grosse difficoltà e di aver avuto degli scrupoli morali.

Poi mi sono convinto che la mia presenza al vinaio doveva essere del tutto incorporea e che per nessun motivo doveva influenzare il corso degli eventi, salvo casi eccezionali. Sarebbe stato meglio non indagare troppo in 'certe' vicende, visto che il mio compito è quello di osservare, ascoltare e comprendere, non di spiare: in questo senso il principio, del quale mi sono avvalso fin dall'inizio della ricerca, si avvalora ulteriormente; circoscrivere il campo e determinarne i confini fisici mi ha aiutato in un certo qual modo a definirne anche i confini 'morali'.

Come la volta in cui Robertino, (un soggetto che riesce a coltivare una sproporzionata fede calcistica nei confronti della squadra di Firenze, la 'Viola'), mi raccontò di R. U., uno degli eroinomani storici della piazza, di una bellezza ancora toccante, nonostante l'abuso di sostanze di ogni genere da quindici anni a questa parte. Già mi era arrivata notizia che R.U. era siero-positivo (lo è tuttora e sopravvive), ma il problema era che una studentessa del secondo anno di lettere si era innamorata di lui. Lo scrupolo morale mi nacque perché mi era già giunta voce che R.U. non usasse tante precauzioni e nonostante il suo stato, pare che si comportasse come una specie di 'untore', (fatti di cui non ho però alcuna prova e dei quali sono dubbioso, visto che l'atteggiamento generalizzato dei tossicodipendenti tra di loro è spesso denigratorio e calunniante, il più delle volte gratuitamente). Fatto sta che entrai in crisi.

Le strade erano due: o parlavo con il ragazzo, sospetto di 'unzione', mettendomi in una posizione piuttosto scomoda tenendo conto della mia totale mancanza di un ascendente su lui, o con la studentessa, sperando che essa non riferisse niente e che mi desse retta allontanandosi con una scusa o un'altra il prima possibile da R.U. e dalla piazza. La seconda via mi sembrò la più percorribile e la più sicura, dopo di che ella avrebbe fatto ciò che voleva, consapevole del rischio a cui stava andando incontro.

La ragazza mi fece tirare un profondo sospiro di sollievo, mi spiegò che non aveva nessuna intenzione sentimentale o di altro genere 'fisico' nei confronti di R.U. e che l'andare a letto con lui era un'idea che non l'aveva sfiorata; mi spiegò che nei suoi confronti nutriva una semplice simpatia, mista ad una dolce compassione del tutto spontanea per una persona che, purtroppo, si era 'distrutta con le proprie mani'.

Intuii che la ragazza la sapeva più lunga di me, e difatti aveva anche subodorato l'eventualità di una sieropositività. Ringraziò e promise di non svelare nulla a R.U. del nostro incontro.

In questo senso i problemi della mia partecipazione alle vicende della piazza mi hanno spinto a definire un comportamento soggetto a determinate regole, che avrebbero giustificato le mie intenzioni, che erano e sono di mera osservazione. Un eventuale giudizio di azioni o comportamenti da parte mia non doveva trapelare, altrimenti mi sarei messo a rischio.

Tredicesima giornata. ex-manovale, ex ambulante, ex tossicodipendente

Sono al "vinaio" di via degli Alfani e sono riuscito a parlare con Alvaro. In questo periodo Alvaro ha problemi di denti molto gravi, aveva finito di scalare con il metadone da poche settimane; qualche tempo fa l'avevo incontrato in zona ed era raggiante; oltre ad avere avuto un lavoro come facchino comunale, aveva appena visto l'esito delle analisi del sangue che, da quanto ho arguito, non faceva da qualche anno. Era contentissimo perché non aveva malattie gravi, a parte una forma di epatite di cui non si curava neanche più. In uno sfogo di misticismo mi confessò: "ci deve essere un Dio!" Disse, e lui in fondo sapeva di averlo rispettato.

Questo non è bastato a farlo resistere per più di un mese; infatti quando lo l'incontrai la seconda volta, aveva da poco ripreso a farsi.

Gli ho chiesto con molta semplicità perché avesse resistito così poco...la risposta è stata molto più esaustiva di quanto io non mi aspettassi e, visto che non avevo né un registratore né modo di prendere appunti, proverò ora a sintetizzarlo con l'ausilio della memoria.

Un tempo vendeva le mele per la città, soltanto mele, conobbe una ragazza che faceva la "vita" ma non ce la facevano a mantenersi tutti e due con le mele solamente. Spesso i vigili urbani gli sequestravano il carretto con le mele e le facevano marcire nei depositi, poi qualche volta ...

riuscivo a riprendere il carretto. Lei ci aveva bisogno di soldi e continuava col suo lavoro ed io ero sempre a cercarla. Certe volte quando la trovavo lei mi prendeva tutti i soldi. Allora mi feci arrestare stupidamente mentre rubavo un autoradio e, siccome avevo dei precedenti di quando vivevo giù, (32) mi tennero dentro un anno. Stando 'dentro' cominciai a farmi, e quando uscii lei non c'era più, ma a questo punto non me ne 'fregava' più nulla e di vendere mele non se ne parlava più. Non ci campavo prima, immaginiamoci ora che mi faccio!

Il giorno si cerca di campare e la notte si dorme, ma senza la roba alla fine non passa più né il giorno né la notte.

A Firenze si sta bene, forse si sta meglio a Bologna, ma qui è più grande e non di troppo. Sono sceso dieci anni fa che avevo smesso con la droga, poi qua lavoro neanche a parlarne e allora ho ricominciato con le autoradio e 'furtarelli' vari; mi hanno arrestato anche qua e spedito a Sollicciano (il carcere di Firenze): lì sono stato bene, ho capito tante cose, anche se continuavo a farmi: ho capito che in una comunità il rispetto è alla base di tutto, non come in 'giro' dove tutti ti passano sopra; li lo puoi fare una volta, due se sei particolarmente cattivo, poi ti pigliano in sette o otto e ti gonfiano di botte.

Nella vita di tutti giorni non ti protegge nessuno, allora ti 'fai', così stai un po' per conto tuo ... io non vorrei farmi perché so che prima o poi ci 'rimarrò secco' e allora sarà un peccato perché non sono un infame, sono a posto dentro, 'dentro, a livello di sentimenti, dico, te come ce li hai i sentimenti.. puliti?'

Riepilogando mentalmente, durante la conversazione che abbiamo avuto, ho fatto caso che Alvaro mi ha comunicato un senso di nostalgia e una dolcezza che fino ad allora non avevo mai incontrato in piazza, specie tra i tossici di vecchia data come lui.

Alvaro, proprio per questo carattere, dolce e gentile, gode dell'appoggio di una assistente sociale, che oramai lo considera irrecuperabile, ma che evidentemente gli si è affezionata. Ciò succede abbastanza spesso, perché c'è da dire che l'esperienza da eroinomane, se da un lato brucia l'esistenza corporea e mentale, dall'altro impartisce una serie di lezioni 'fondamentali' per raggiungere la capacità di convivere con una tale sostanza in una realtà suburbana, che ha come referente gli 'altri', tutti gli altri, chi ne fa uso e chi stigmatizza.

Sono infatti gli altri che te la procurano, che te la vendono, che te la cedono in cambio di qualcosa o la condividono con te, solo in casi molto particolari ti viene regalata... ciò avviene quasi sempre le prime volte.

Quattordicesima giornata. Un caso paranoico. Ritualità e 'macabrismo'

Siamo vicini alla vigilia di Natale, ma ovviamente tra tossici non cambia nulla; sembrano ricordare qualcosa in più i tunisini e i marocchini della piazza nonostante siano Musulmani, oramai stabilitisi nella piazza, essi si spartiscono il racket delle droghe leggere e di alcune pasticche.

L'altro ieri ho fatto la conoscenza di un soggetto che, a dire il vero, avevo visto più di una volta vagare per la città e mi è sempre parso che avesse delle gravi 'lacune' mentali. Ma il rendermi conto che costui si è drogato con 'punture' di eroina per circa dodici anni, e che adesso continua da circa otto a farlo con gli psicofarmaci, è stata una vera e propria rivelazione. "Sergino", mi è uscito spontaneo dirgli, "lo sai che non l'avrei mai detto?!". Sergio ha sgranato un paio d'occhi che ho visto sul volto di bambini di al massimo 12 anni, rivelando un'ingenuità che la prima pubertà di solito cancella dal viso di un essere umano...al che ha proseguito: "non guardarmi da fuori, ma dentro, dentro sono tutto sfondato, più che altro il mio errore è stato quello di iniziare a farmi, per questo loro ce l'hanno ancora con me".

"Con te?" ho proseguito, "Chi ce l'ha con te?"

"Loro, gli psicologi, io li capisco, non riesco proprio a farne a meno... guarda, anzi, è meglio che ora mi lasci fare perché, se ci penso, mi viene una crisi..." ho compreso che sarebbe stato il caso di continuare in un altro momento la conversazione.

Mi sono limitato ad entrare in un bar a bere un caffè. Avevo intenzione di proseguire il mio dialogo con Sergino. Facendo mente locale, mi sono tornate in mente altre situazioni in cui avevo già visto Sergino. Erano tutte circostanze che, se non sbaglio, lo accomunavano a tutt'altro genere di persone.

L'avevo visto una serie di volte in un solo periodo di tempo. Si accompagnava con un gruppetto di 'Borgoallegrini' (33).

Lo spaccio dell'eroina è decentrato rispetto alla piazza che frequento. Con i miei intenti muoversi in un ambiente di vero e proprio spaccio sarebbe molto più difficile senza dare nell'occhio, perché la gente è più nervosa nell'attesa degli spacciatori. Gli spacciatori stessi sono molto guardinghi e non amano le indiscrezioni ed essere osservati. Una volta compiuto lo scambio, lo spacciatore si dilegua e il tossico corre a farsi.

Sergino vaga per Firenze senza sosta, dice che non gli piace stare in piazza perché la gente 'ti mette gli occhi a dosso', la gente fa così perché non ha niente da fare. Spia gli altri: "seconto te", mi chiese una mattina Sergio mentre mi accompagnava per un pezzo di strada, "..la gente che lavora nei negozi tipo quello, (indicandomi un negozio di porcellane), che fa dalla mattina alla sera? Eh? Te lo dico io, spia, spia tutti quanti, poi ci ha i preferiti, se tu sei tra i preferiti stai sicuro che c'è qualcuno che ti vede e ti conosce da quando sei 'piccino'. Sa se c'hai la ragazza, se ti tagli i capelli e se t'incontra da qualche parte, stai pur certo se ne ricorda".

Mi sono accorto quasi subito delle tendenze paranoidi di Sergio; quando entrando nei locali si distraeva per qualsiasi cosa. Diceva che l'eroina è l'unica cosa che lo tiene tranquillo, in compenso si piglia delle belle 'stangate' di antidepressivi. Questo è un male molto dilagante nella tossicodipendenza; succede spesso che un tossicodipendente non strettamente controllato assuma svariati medicinali oltre alla droga. Certe mattine non gli si stava veramente accanto. "Scusa", diceva, "ma non mi sento, non mi sento veramente ..se vuoi seguimi per me è uguale, mi vieni dietro, guardi quello che faccio, va bene? È uguale anche per te?

Una mattina lo seguii fino alle Piagge (un quartiere periferico, popolare di Firenze, dove ci sono le cosiddette case 'minime')..arrivati ad uno di questi casermoni mi fece cenno di aspettarlo su una panchina in un giardino. Camminando per quel giardino non scorsi neanche un bambino da solo, ce ne erano alcuni in un campetto da calcio recintato. Dietro a delle siepi c'erano diverse siringhe...vidi un vecchio autobus su una 'collinetta', lasciato lì forse per farci giocare i bambini. C'erano dei disegni infantili, alcuni finestrini erano spaccati, ma l'autobus nell'insieme era in buone condizioni. Feci un giro attorno all 'autobus, e su una delle ruote posteriori scorsi una cosa che mi fece capire che, in tutto questo tempo, i luoghi dove avevo svolto le mie interviste e i miei incontri erano stati dei veri e propri 'salotti', rispetto a quelli che potevo incontrare per quanto riguardava i rituali del 'buco' e tutti gli aspetti macabri che possono orbitare attorno all'eroina, e che un po' ingenuamente avevo tralasciato o sottovalutato. Insomma facendo il giro dell'autobus trovai un copertone completamente ricoperto di siringhe conficcate al di sopra e ai lati; c'erano macchie di sangue secco e alcune siringhe erano spezzate a metà...quest'immagine per un verso, ha dato tutta una nuova serie di significati alla mia ricerca, e per un altro mi è parso un monito, rispetto ad una cosa che può assumere tinte molto inquietanti. Il contrasto tra i disegni dei bambini attaccati all'interno dell'autobus, e il copertone descritto, apre a nuove letture e significati del fenomeno.

Sergino spuntò dalla porta a vetri del palazzo dopo una buona mezz'ora. Non gli dissi nulla, mi accennò un mezzo 'sorrisetto' e continuai a dargli dietro. Preso l'autobus numero 9 mi sedetti dietro di lui, sembrava più tranquillo rispetto all'andata, forse era fatto ..e adesso dove stavamo andando? Avevamo preso il nove in senso inverso e dopo venti minuti di capolinea in una zona di Firenze che non conoscevo, siamo tornati in città, al che ci siamo messi a parlare di donne e di quanti problemi creano. Sergino sosteneva che buona parte dei suoi problemi glieli aveva creati sua madre...chi lo sa!?

Quindicesima giornata: la morte della speranza, il senso di inesorabilità

Ieri come in qualsiasi domenica i negozi erano chiusi, con la differenza della presenza di tanti anziani vestiti a festa che si incontravano sulle scalinate della piazza con altri anziani per poi recarsi alla messa nella chiesa di Santissima Annunziata. Ho avuto modo di assistere al raduno di un gruppetto di reduci della seconda guerra mondiale, che hanno probabilmente assunto la tradizione di incontrarsi il giorno di Natale come anniversario della guerra, e forse di una scampata morte.

Ci sono due dei "Sardi", (34) sono insieme da stamattina "e fanno cose strane", mi ha detto Stefania, ma può darsi che non sia vero. Stefania vuole confondermi le idee, non sarebbe nemmeno la prima volta che ci prova, non mi dice mai nulla di realmente falso e neanche di vero, è la sfinge della piazza, è milanese e dice di aver vinto tre volte di seguito la 'Stramilano' (35), poi ha avuto un brutto incidente in motocicletta e sempre secondo lei, pare che nella trasfusione gli abbiano immesso nell'organismo il virus dell'aids. Da allora ha cominciato a sniffare eroina ma non con continuità. Dice di essere in questa piazza perché è qui che sente di dover morire.

Qualche mese fa stava con una ragazza, erano lesbiche, girava voce, ma poi quest'altra è tornata a casa perché non ce la faceva più a fare la vita di 'piazza'. Lei, Stefania, dice anche che tra dieci giorni vuole farsi ricoverare per qualche tempo per riprendersi un po', perché in questo periodo non vuole morire, vuole vedere un'altra estate, mi ha anche confessato che gli sono simpatico, e che tutto sommato a Firenze si sta meglio che a Milano, almeno per quanto riguarda una persona nelle sue condizioni.

Ogni tanto, mentre parla, ha dei moti d'animo violentissimi sembra che ti possa mettere le unghie negli occhi da un momento all'altro.

Ha un orologio a forma di orsacchiotto, e per sapere l'ora deve aprire il coperchio a forma di pancia. È molto fiera del suo fondoschiena... "sta ancora ben su vuoi toccarlo?".

Certi giorni è molto allegra, ma credo sia sotto cura di psicofarmaci; c'è da ricordare che quasi tutti coloro che hanno contatti con strutture mediche prendono dei farmaci per lo più antidepressivi.

Nei prossimi giorni devo incontrarmi con un dei medici della U.s.l. di Firenze, che segue diversi tossicodipendenti da molti anni; mi illustrerà i metodi generici di cura farmaceutica. Di fatto la tossicodipendenza è affrontata come una vera e propria devianza psichica e come tale ha delle cure prescritte e farmaci indicati, più o meno efficaci. A me sembra che spesso le cure farmaceutiche inneschino altre problematiche, che poco o niente hanno a che fare con la soluzione del problema originario. Potrei parlare di diverse persone che hanno iniziato con cure di un certo genere, per colpa di una certa sintomatologia e sono arrivate da tutt'altra parte, con sintomi differenti e conseguenti atteggiamenti per lo più maniaco-depressivi.

I Sardi ai quali si riferiva Stefania sono spesso in piazza; sono socievoli sembrano padre e figlio, ma in verità non sono neanche parenti. Da uno dei ragazzi del vinaio, ho saputo che qualche tempo prima erano in tre. O almeno nella piazza spesso comparivano insieme. Facendo uno sforzo di memoria mi sono ricordato di questo terzo elemento. Era il più anziano dei tre, dimostrava una cinquantina di anni ma forse ne aveva di meno, quasi sicuramente. Di punto in bianco aveva iniziato a bere, subito dopo le feste di Natale, si era messo assieme a un romano uscito da poco di galera che aveva il volto deturpato, non so se dall'acne o da cos'altro; fatto sta che era 'inguardabile' e per lo più particolarmente aggressivo. I due si erano procurati un costume da Babbo Natale e con questo stratagemma riuscivano a guadagnare qualche soldo chiedendo l'elemosina. Il ricavato lo spendevano quasi subito in cibo e vino. Per farla breve, mi è stato riferito che una sera il 'sardo' era uscito dal vinaio completamente ubriaco, dirigendosi a Fiesole e per tutto il tragitto aveva imprecato contro le donne. Prima di allontanarsi nel delirio dell'ubriachezza, pare avesse avvertito che il giorno dopo sarebbe comparso sul giornale, e che, nel frattempo sarebbe andato a consumare rapporti sessuali con femmine da 'mille e una notte'.

Il giorno dopo era davvero sul giornale: arrivato a Fiesole era stato notato dal parcheggiatore della piazza, al quale aveva farneticato qualcos'altro sul sesso e sulle colline che circondano Firenze, era poi sparito fino all'intervento dei carabinieri. Lungo la provinciale che prosegue da Fiesole per Montebeni, era stato visto supino su un prato da un passante...si era appena evirato, i poliziotti e quanti altri tentarono di trovare il pene mutilato, per tentare di ricucirglielo ma non vi fu modo.

Storie del genere, fortunatamente, non capitano spesso in piazza, stando alle informazioni che mi sono giunte fino ad oggi; ma se ripenso al suo sguardo interrogativo di fronte a una società sofisticata e spregiudicata, viene un senso di rancore anche a me. L'evirarsi è stato forse il suo modo di emettere un 'urlo' sordo di disperazione, l'esplosione di una sofferenza incolmabile che, non trovando nessuno che l'ascoltasse, si è rivolta contro sé. Ho dato un significato all'evirazione di questo povero Sardo di 50 anni: chiudere con gli 'altri' definitivamente, non avere più desiderio e non poterlo più avere, rinunciare a una donna e a dei figli (non so se ne abbia), rinunciare al mondo degli uomini, ma tutto sommato non alla vita.

Sedicesima giornata. Carmelo G.: dalla conoscenza sul 'campo' ad una sincera amicizia. Vi racconto di un week-and al mare. Intervista a Carmelo

Sono stato al mare, non solo per raccogliere informazioni: infatti sono andato con un mio amico ex-tossico che mi ha incuriosito raccontandomi di un fatto particolare e cioè che ci sono delle località precise dove anche un tossicodipendente si può recare stando tranquillo, e trovare tutto il necessario per la sua 'permanenza'. Per raggiungere tali località, ci sono appunto due criteri di spostamento per un tossico non sufficientemente ricco da poter fare "provviste", cioè portarsi direttamente dietro la droga, o i farmaci necessari per stare 'tranquillo': il primo è quello di andare in una città dove non manchi lo "spaccio" l'altro, nel caso il tossico stia scalando col metadone, è quello di chiedere all'assistenza sociale di appartenenza di essere trasferito per un periodo di vacanza in una località dove sia presente un Ser.t. per continuare a bere il metadone.

Ce n'è uno nel golfo di Baratti che si attiva solo nella stagione estiva. Il mio amico Carmelo me lo ha segnalato come una località estiva balneare e mondana di tutto punto. Da certi 'movimenti' nella piazza, avevo capito che qualche volta accadeva che due o tre dei 'miei tossici' si assentassero dal giro per andare a farsi una 'vacanzetta' da qualche parte. Spesso i periodi erano e sono quelli estivi, perché ci sono meno problemi a stare nel 'giro' piuttosto che d'inverno; assentarsi, quindi, non vuole dire smarrire i contatti o perdere qualcosa. Già alla fine della primavera, si può dire che i movimenti di piazza si svolgono con maggior facilità alla luce del sole. Il fatto che ci sia un grosso afflusso di turismo, non solo straniero ma anche italiano, permette agli 'indigeni' della piazza di muoversi con più facilità, "e con meno occhi addosso", come direbbe Sergino.

Capita, sul finire dell'estate, di incontrare diversi soggetti 'nuovi' che nel pellegrinaggio da una città all'altra, si sono fermati a Firenze orbitando in questa zona, cioè nell'ambito dello spaccio e del riciclo di piccole somme di denaro. I luoghi principali a cui mi riferisco sono le zone intorno alla piazza di Santissima Annunziata e all'arco di San Pierino. Dove si svolgano esattamente gli scambi, o in quale zona di Firenze, sono fatti che ignoro, non essendo interessato specificamente e non rientrando tali aspetti nel mio spazio etnografico.

Non è difficile descrivere le situazioni che si creano tra un tossico e un non tossico che decidano di trascorrere un week-end insieme, è faticosissimo almeno per il non tossico; il tossico vive in un complesso di problemi fisici e psicologici con cui una persona 'normale farebbe i conti in una vita', mentre lui li fa in una giornata. Non capivo quanto fino a che punto se ne rendesse conto, e se sì in che misura. Ha dei 'vuoti' delle esigenze di tutti i tipi...attacchi di panico, svenimenti, bisogno costante di svariati generi di farmaci...sete, sigarette, spinelli.. Devo dire che fare amicizia con una persona che sta attraversando tali circostanze mi ha fatto molto riflettere. Un conto è conoscersi da prima della dipendenza, un conto è durante. Per quanto riguarda la mia amicizia con Carmelo, la descriverò nelle tre fasi che credo di aver individuato: "ci conoscemmo una mattina mentre io conducevo le mie spesso insensate giornate a tentare di familiarizzare con qualche drogato o derelitto di piazza, ci sono stati giorni in cui mi sono chiesto sinceramente, se il mio ruolo nella piazza non fosse un altro, e se qualcuno lo conoscesse di già meglio di me...Fatto sta che la sua faccia non mi era nuova ma ancora non l'avevo collegato a nessuno del 'giro'. Poi ricordai di averlo conosciuto tempo prima nel loggiato della facoltà di lettere e architettura, in piazza Brunelleschi. Stava trattando l'acquisto di un libro con il rivenditore abusivo che spesso dispone i suoi volumi su una coperta nel loggiato, ricordo di cosa si trattava: era un edizione di un libro degli anni'70, che ho visto da poco riedito nelle librerie del centro dal titolo "Campa cavallo che l'erba cresce", un manualetto per la coltivazione in casa e all'aperto della canapa indiana, ovvero della marijuana.

Mi soffermai con loro a parlare del libro e dello strano effetto che fa incontrarne uno con tanto di splendidi disegni in Italia, dove da sempre tale sostanza è vietata, ma dove, da altrettanto tempo se ne fa un uso piuttosto esteso in barba a tutte le istituzioni (36). Parlava con una straordinaria padronanza di linguaggio e voleva far capire, che lui della coltivazione della marijuana sapeva già tutto. Mi accorsi che aveva dei denti molto rovinati, ma non mi sembrò un tossico a 'pieno regime', come poi si sarebbe rivelato. Sembrava una via di mezzo, conduceva una vita di piazza, ma aveva anche una sua vita privata. Il giorno che l'incontrai nel loggiato, portava degli occhiali scuri i suoi vestiti, erano sportivi e di buon gusto, e per di più aveva con sé una borsa che poteva far pensare a un qualche lavoro.

Un giorno l'incontrai dal vinaio di via degli Alfani, dove consumammo un pranzo seduti assieme. Mi raccontò che lavorava come magazziniere, ma aveva avuto modo di lavorare nella fotografia e come elettricista in teatro; ora aveva dei problemi, di cui non mi parlò dettagliatamente, ma il suo intento era quello di rientrare a fare il macchinista in teatro.

Facemmo tanti discorsi su Firenze e su Milano, la città dalla quale Carmelo si era trasferito da una decina di anni. Diceva di trovarsi meglio qui, ma 'su' per lavorare era tutta un'altra cosa.

Sentivo che nascondeva diverse cose, mi era sembrato che lo facesse un po' apposta, quasi fosse intrigato dall'idea di mistero che poteva provocare negli altri. Cominciai a capire chi era un mattino che lo incontrai e non si reggeva in piedi, aveva gli occhi spillati e cercava di vendere qualcosa, ma tutti gli giravano a largo.

Tempo dopo lo rincontrai e confessò che aveva perso il lavoro perché da un paio di mesi aveva ripreso a farsi di 'brutto'; e non riusciva più a stare dietro al lavoro.

Queste persone, sanno già cosa significa essere degli emarginati, in quasi tutti i contesti vengono riconosciuti per quello che sono, cioè dei 'tossici' e quindi sottoposti immediatamente ad un pesante giudizio che li esclude da una normale relazione con gli altri.

Ciò accade anche quando si tratta di un soggetto disintossicato che cerca di reinserirsi nella società, perché purtroppo la dipendenza lascia tracce indelebili. Stare con uno di 'loro' nella quotidianità è complicato e abbastanza faticoso, è necessario intuire che attorno a lui/lei si crea un vuoto, e una forte 'negazione' dei rapporti di 'reciprocità' dato dal pregiudizio delle persone che lo identificano come tossicodipendente. Questo senso di negazione si ripercuote anche sui soggetti che si trovano in compagnia del 'destinatario', ed è per questo importante, e lo è stato nel mio caso, sforzarsi in tali circostanze di servire da tramite tra il tossico ex o no che sia, e la realtà.

Questo voleva dire che il mio comportamento non doveva farsi influenzare da Carmelo, ma al tempo stesso non dovevo dargli la sensazione di compatirlo, per esercitare un'autorità su di lui o prendermi delle distanze.

Il mio intento era quello di tenerlo in uno stato di lucidità il più a lungo possibile. Con molte probabilità sarei riuscito a farlo stare lontano dalla "roba" per 12/18 ore. (37)

All'andata ci siamo fermati a mangiare in un osteria, abbiamo ordinato delle tagliatelle al ragù di cinghiale, di cui lui ha mangiato tre forchettate; poi abbiamo preso due contorni di verdure lesse che a stento ha finito di mangiare. In compenso abbiamo bevuto un litro e mezzo di vino da tavola rosso sugli 11°.

Mi aveva promesso che non sarebbe andato in 'calo' in quei giorni, nel senso che aveva detto che per questo week-end sarebbe stato 'pulito', cosicché avremmo potuto parlare della sua esperienza con l'eroina che dura da quasi quindici anni.

Aveva smesso sette anni prima, dopo un lungo periodo, in cui, a sentire lui, era riuscito a tenere la dipendenza sotto controllo, cioè nascosta alle persone che gli stavano attorno. Poi ha conosciuto Francesca, anche lei reduce da brutte storie, decisero di mettersi insieme.

Si piacevano molto e all'inizio della loro vicenda non ci fu altro spazio che per il loro amore, ma poi lui non ce la fece più e ricominciò a farsi, di nascosto, per non coinvolgerla: lavorava e tutto sommato le cose non andavano poi tanto male. Così mi ha raccontato: "un giorno, non lo so neanche io perché, mi prende di andare a farmi le analisi, vado, tranquillo, la cosa che m'interessava principalmente era di sapere come stava il mio fegato. Perché 'quello' con la roba ci mette poco ad 'andarsene'. Al quel punto mi controllano anche le epatiti e mi fanno il test dell'aids: mi presento dopo tre giorni a ritirare le analisi.

Quando sei 'tossico' negli ambulatori ti riconoscono, allora le analisi te le fanno consegnare da un medico psicologo o da un assistente sociale che ti fa la predica, è un fatto di prassi. Questa volta mi fanno aspettare dieci minuti: il tempo che si liberi il 'tipo', lo psicologo...mi ricordo che alla radio in filodiffusione nell'ambulatorio, che quasi non si sente, stavano trasmettendo una vecchia canzone di Vasco Rossi; a me lui mi 'mette benissimo', dove lo sento mi sembra di stare a casa... mi pare fosse la canzone... quella che fa: bevi la cocacola che ti fa bene.. insomma quando sta a me entro nell'ufficio del tipo...non ti dico che faccia che faceva, così serio... a stare in quei posti e a dare certe notizie... se non sei serio... ci sta che qualcuno ti spacchi la faccia o ti da quattro o cinque 'manate'...è lei il signor Carmelo G.?...mi dice questo tizio.. "Si".. gli dico, ma non ero ancora agitato perché 'loro', quelli delle Usl la fanno tragica per tutto...lei è tossicodipendente o omosessuale?

No, no... sono stato tossico; insomma mi fa un piccolo preambolo sociologico, ma si capiva a quel punto che doveva dirmi qualcosa, qualcos'altro, e via via che parlava mi resi conto che si trattava di qualcosa di brutto e voleva preparare una sorta di 'cuscinetto, insomma per fartela breve mi ha detto che ero sieropositivo.

In quel momento non ho sentito più niente, anche se il dottore continuava a parlare, e poi subito una sensazione come di una lama che mi divideva in due, come se davvero una lama gelida mi tagliasse in due partendo da sopra la testa, e giù fino in fondo...sono andato subito a 'farmi'.

Non riuscivo a capire dove me l'ero 'beccata'. Cominciai a buttarmi tanta di quella roba nelle vene che mi scordai anche chi ero...Poi arrivò il giorno in cui ho dovuto chiamare Francesca per dirglielo e farle fare le analisi anche a lei.

Ero quasi sicuro di avergliela attaccata...per il primo periodo stavo male per me, ma poi iniziai a stare male più per lei; si fece le analisi, e io in quei giorni me ne stetti per conto mio, a farmi, a farmi, e ancora a farmi...

Un paio di giorni dopo la scadenza per il ritiro delle analisi trovai la forza di chiamarla; volevo uccidermi, farmi un overdose e chiudere il 'bandone', insomma la chiamo e lei mi dice che era negativa, non ci capii più nulla.

Continuammo a stare insieme per un certo periodo, facevamo l'amore con la protezione. Prima andavamo tranquilli. Se addirittura avessimo fatto un bambino, penso che ce lo saremmo tenuti.

Ma ora era diverso...di figli non se ne parlava più. Decisi di lasciarla perché le nostre vite sarebbero state troppo diverse. Allentai con la roba, e trovai la forza di rimettermi a lavorare, facendomi solo ogni tanto e stando attento a curarmi la malattia. Ma in questo periodo sono andato proprio giù e con il lavoro ho dovuto mollare..."

È dopo questa crisi che ho avuto modo di incontrare Carmelo; ha quasi trentacinque anni e di esperienze sento che ne ha avute davvero tante, non stento a comprendere le sue posizioni, sarà anche per la simpatia che ci ha legato al di là di questo studio.

Una volta arrivati alla spiaggia abbiamo camminato per una mezzora.. c'era una splendida luna, abbiamo continuato a parlare, poi all'alba siamo andati a dormire un poco in macchina. La mattina abbiamo fatto colazione insieme, siamo rimasti in silenzio quasi tutto il giorno e la sera siamo andati a ballare in una discoteca sulla riviera.. è stata una delle giornate più serene della mia vita.

Il giorno dopo cominciò la sarabanda: eravamo andati a dormire in una pensione, al mattino Carmelo non c'era già più. Chiesi al portiere se ne sapeva qualcosa. Pagai tutto e feci un giro per il centro della città. Non sapevo se cercarlo o sperare di incontrarlo per caso; mi ricordai della faccenda del Ser.t., allora decisi di andare a cercarlo là. Lo trovai assieme ad un altro paio di soggetti che avevo già visto per la piazza a Firenze...mi avvicinai serenamente e dissi: "anche voi a Follonica?" non ebbi risposte ma sguardi bonari...dopo poco uscì la 'Bischera'; stavano aspettando lei, si erano ritrovati lì, non capii quanto casualmente, a bere il metadone.

La 'Bischera' aveva delle pasticche che anche gli altri volevano. Carmelo propose di comprare qualcosa da bere e da mangiare, e di andare in spiaggia. Io fui d'accordo. Gli altri volevano rimanere nel centro, ma quando la 'Bischera' aderì all'iniziativa anche i due ne convennero e patteggiammo che ci saremmo incontrati in un punto della spiaggia dopo un'oretta perché volevano fare prima un paio di 'cose.. La 'Bischera' vero nome Eva, non è una brutta ragazza, "qualche etto di eroina fa" probabilmente era anche "caruccia", disse Carmelo, ne convenni e a dirla tutta in costume, fece anche la sua figura.. Carmelo sembrava interessato, io mi misi sul mio asciugamano da una parte a leggere il giornale.

Risvegliatomi dal sonnellino, mi feci un bagno in un'acqua che ricordo particolarmente opaca e salata. Eva e Carmelo non c'erano, ma i loro vestiti si. Poco più distanti c'erano gli altri soggetti, Ciro e Michele, che ci avevano raggiunto. Si erano appisolati, dopo essersi scolati una 'bordolese' di vino. Non me ne preoccupai, fino a che non cominciò ad avvicinarsi il tramonto: bisogna abituarcisi, pensai tra me e me...avere a che fare con dei tossicodipendenti in certi momenti è come dover star dietro a dei bambini, possono sparire in qualsiasi momento in preda a qualche 'voglia', e non è detto che sia facile rincontrarli. Tornai a Firenze da solo, rividi Carmelo in piazza, ci salutammo, consapevoli del tempo tutto sommato piacevole che avevamo trascorso insieme; in quanto alla Bischera, ora stavano insieme, anche lei era sieropositiva, così con il sesso un poco si potevano divertire, senza paura del contagio, mi disse.

Considerazioni sulla sedicesima giornata

La suddivisione della vita psichica in processi affettivi e intellettivi è certamente artificiosa: ogni processo intellettivo fa risuonare dei sentimenti e viceversa i sentimenti possono destare dei ricordi e guidare il nostro pensiero. I processi affettivi ed intellettivi non sono che aspetti diversi della medesima vita psichica. La suddivisione dei fenomeni psichici in affettivi ed intellettivi è però indispensabile per l'osservazione e la descrizione della personalità, dato che i nostri abituali concetti psicologici e psicopatologici riposano sulla fittizia ipotesi che l'intelletto e l'affettività siano separabili l'uno dall'altra. (38)

La seguente è una testimonianza raccolta sotto dettatura di Carmelo che ho riportato per esteso.

La dimostrazione cresce dal momento che il nucleo familiare ha rapporti sociali dove i singoli figli possano avere un'educazione differente malgrado essi crescano nello stesso ambito. Non è detto che una cultura familiare possa ritrovare un tessuto formato sia dall'evasione, sia dalla coscienza di una possibilità di compromessi.

La finalità di questi compromessi è basata esclusivamente sul pregiudizio della società nei confronti del Drogato, che fino adesso non è un emarginato, ma egli entra in un contesto dove cerca di creare un ambiente in cui sia sempre presente, come fattore, la possibilità del buco.

Io Carmelo G. ho diviso due fattori: esperienze dove sono cresciuto in questi 'tessuti', e tentativi di compromesso; l'esperienza fa di me un drogato fino a rendermi un tossico....un ex tossico.

La cultura in cui ho vissuto ha maturato in me queste distinzioni. All'inizio il drogato si crea un immagine dove egli può mettere in discussione diversi fattori; nasce nel quartiere dove insieme ad altri si crea un'utopia. In un confronto quotidiano egli cerca di creare un immagine non da super eroe, ma è la sfida, la competitività con gli altri coetanei a sviluppare inizialmente la tentazione di affermarsi che cresce fino a dimenticare tali presupposti: dal momento in cui metto in gioco la vita mi sdoppio.

La famiglia sarà l'ambito, il collegamento con la realtà "regolare" dove i valori fanno leva sull'affettività; tale si dimostrerà altalenante, ed io traduco la mia affettività in una competizione. Regole della conservazione della vita 'coincidere' con le intenzioni dei genitori.

Carmelo G. ha vissuto in questo contesto.

Una volta entrato in collegio il mio rapporto cresce con persone dove la solitudine e i valori umani si basano sulla realtà di una casa che oltre ad avere dei rapporti sociali esterni, vive in una condizione autonoma in cui gli operatori non hanno ragione nel credere che i ragazzi ospiti siano cresciuti sotto dei valori differenti dove essi costruiscono una vita personale.

Tanto è vero che questo fattore viene reciso dagli operatori come un cordone ombelicale. All'interno di questa struttura egli vive situazioni di violenza ma, allo stesso tempo può crescere sotto gli stimoli creati dalla fantasia degli ospiti stessi.

Nel collegio vivono persone le cui realtà s'incrociano intimamente; difatti C.G. nel suo, ha un rapporto dove un'esistenza specifica viene condizionata sotto una forma di disturbo e quindi trae dalle persone stesse un'esperienza personale che gli permette di convivere con tali disturbi fino a portarlo a non riconoscere cosa può reggerlo di fronte alla difficoltà che realmente incontra.

Tale difficoltà si è poi espressa sotto forma di violenza che non distinguendo più tra i valori ha dato adito ad una completa...".

Diciassettesima giornata. La città, la piazza, come luoghi a cui tornare

Ho saputo che Paolone, detto abbastanza scherzosamente l'Assassino, si è fidanzato con una ex-eroinomane che ancora saltuariamente si vede in piazza, ma che non si fa più. Le cose sono due o ricomincia lei o smette Paolone per un periodo, poi si lasciano e Paolone ricomincia a farsi, questo è uno dei pochi soggetti per cui non vedo una 'reale' via d'uscita, ha trentacinque anni e da venti si fa di eroina, e si buca con tutto ciò che gli capita. È piuttosto scontroso e spesso anche aggressivo, è stato molte volte in galera e, cosa rara per un drogato, riesce a farsi rispettare abbastanza bene in un tale ambiente, dove il tossico è considerato quasi un non-uomo.

Paolone mi ha raccontato diverse delle sue avventure che hanno sempre come sfondo la droga. Spesso il modo cinico e disincantato con cui le racconta ricorda le storie di Andrea Pazienza (39).

Mi ha raccontato di un viaggio in Sud America in cerca di cocaina: arrivato ad un paesello su un valico delle Ande ha atteso il Cockero (40) per alcuni giorni. Quando giunse, Paolone rimase sconcertato dal fatto che quando il Cockero parlava - dice P.- sembrava che la voce gli uscisse dalle orecchie.

Paolone chiese al Cockero se era molto pericoloso fare un tale lavoro; il tale gli fece vedere che nel side-car con il quale si spostava oltre alla cocaina e alle altre 'spezie' c'era un vero e proprio arsenale. Le ruote del side-car del cockero sono rinforzate con degli strati di pneumatici, che possono arrivare a 5 cm di spessore a sentire Paolone; questo perché il pericolo più grosso è che qualcuno cerchi di bucarti le ruote. Il Cockero può essere rapinato ma è difficile che qualcuno cerchi di ucciderlo. Detto questo; i due si sono messi a sniffare assieme. Paolone non contento ha cominciato a iniettarsela con la siringa fino allo svenimento, che è arrivato dopo poco, perché la coca era troppo pura, e quindi potentissima, il cockero era ripartito; gli aveva preso un terzo dei soldi che aveva in tasca, lasciandogli il giusto quantitativo...dopo essersi preparato dei 'suppostoni' di coca Paolone ha ripreso l'aereo per gli Stati Uniti, ma dice che uno degli involucri si deve essere aperto facendo fuoriuscire tutta la sostanza che conteneva, il che gli ha provocato allucinazioni fortissime fino a farlo collassare, gettandolo uno stato di incoscienza durato quattro cinque giorni. Risvegliatosi in un ospedale di Los Angeles si è precipitato in bagno, e messosi sul w.c. si è reso conto che in corpo non aveva più nulla, e stranamente la stanza non era piantonata dalla polizia. Come si dice in gergo, qualcuno deve avergli fatto il "via", cioè rubato la cocaina.

Oggi Paolone è spesso in piazza, spaccia ogni tanto, cerca di conoscere qualche straniera, con la quale ci si fidanza per un periodo, perché c'è da dire che il 'fisico' glielo consente, è molto robusto e, nonostante gli abusi di droga, è scattante e energico. A giudicare dall'aspetto è difficile credere a tutte le storie che ha combinato in venti anni di dipendenza, e malgrado i denti, che non ha più è ancora un gran bel ragazzo.

Diciottesima giornata. La sofferenza e la paura della morte. Intervista a Domenico

Mi sono incontrato con Alvaro, pensa che io sia tentato sempre più dal provare l'eroina...non riesco quasi a parlarci, è completamente sdentato, parla sempre di smettere con un tale senso di rassegnazione che fa pensare ad un compromesso che ormai la sua coscienza ha trovato con se stessa...gli ho chiesto se voleva farsi intervistare, ma lui ha risposto che non era il caso, e che aveva altre cose a cui pensare. Sono rimasto in silenzio e poi l'ho salutato con un senso di rassegnazione piuttosto intenso anch'io.

Subito dopo ho incrociato Domenico, un ragazzo della Basilicata che per un certo periodo di tempo ha vissuto di fronte all'università, in piazza Brunelleschi. Lungo il marciapiede, tra le transenne e il muro, aveva sistemato il letto ricoperto da un nylon azzurro. Durante il giorno la sua attività principale è quella di rubare e rivendere biciclette, è capitato che alcune persone a cui Domenico aveva sottratto la bici andassero a ricomprarsela direttamente da lui. Domenico è un professionista della sopravvivenza; per strada in media giornaliera riesce a guadagnare quasi duecentomilalire a sentire lui, e io gli credo.

Domenico vive per strada da oltre dodici anni, si fa di eroina ma con delle pause di qualche mese. Questi periodi li trascorre da sua sorella giù in Basilicata, dice che quando va giù cerca di lavorare e di e di fare la persona "seria". L'ho visto ritornare dopo un periodo di recupero presso sua sorella ed è vero che si trasforma in poche settimane. A parte i denti, che non ha più anche Domenico ha un aria abbastanza sana. Lui sostiene che il segreto per convivere con un vizio come l'eroina sia per l'appunto questo, cioè alternare dei periodi in cui uno si fa a dei periodi di disintossicazione; ne ha visti tanti morire perché il cuore arrivato ad un certo punto cedeva, era tutta gente che si faceva da almeno tre anni consecutivi; superato questo periodo "puoi averci il fisico che vuoi ma ti basta poco: o la roba un po' scadente, o sbagli la dose e te ne vai, il fisico deve recuperare...".

La visione che mi trasmette Domenico del mondo dell'eroina è tutto sommato una delle più coerenti e serene che finora ho avuto modo di ascoltare Egli vede nel mercato della droga, una specie di industria, un'organizzazione che alla fin fine crea posti di lavoro per tante persone, specie nelle strutture sociali.

La droga è una ricchezza per i paesi "sottosviluppati" che la producono, nella sua visione il tossico ritorna in una dimensione che avevo già incontrato in testimonianze scritte dove si accenna a questa idea del 'drogato operaio' di una azienda i cui contorni sono invisibili (41).

La coerenza di Domenico mi lascia intuire che egli stia elaborando un modo per convivere con questa sostanza. Un'altra cosa che lui ha detto e che mi ha colpito, è; "che l'eroina è un piacere della vita, come mangiare", ma per essere mantenuto questo piacere ha bisogno di tanti sacrifici, forse troppi. Se fosse tollerata probabilmente non ci sarebbe bisogno di rincorrerla tutto il giorno, trasformandosi sempre più in un criminale e in un emarginato a tempo pieno.

L'ho intervistato questa mattina nei paraggi di piazza Santo Spirito:

Intervistatore: Da quanto è che ti fai, e cosa ti ha dato di buono fino adesso l'eroina?

Domenico: Il fatto di conoscere e non conoscere l'eroina non è una cosa da poco, la persona nell'eroina trova la voglia di vivere...uno cerca una forza per aprirsi con le persone col mondo ma poi questa cosa risulta falsa...all'inizio è bella ma poi arrivi ad odiarla, non ti fa fare nulla, non puoi fare niente se non ti fai.

Int. Cosa ti ha lasciato di positivo?

Dom. Mi ha fatto capire che il mondo è un meccanismo che la burocrazia si poggia su delle logiche, ti da molta sicurezza con le persone, ti ho detto, con le donne cerchi qualcosa che ti riempie il tempo cerchi di trovare le forze per affrontare la vita diversamente ho visto che provandola collaudando l'emozione ad un certo punto in certe situazioni sei superiore capito...riesci ad estraniarti e a stare bene però tutto questo ha un prezzo.

Diventi automaticamente schiavo tutto quello che cercavi in parte lo trovi ed in parte lo perdi.

Pensando di trovare ciò che vuoi invece di trovarla la perdi ancora di più, tu cerchi la forza, e invece ne perdi sempre di più, capisci...

Int. Stai pensando di smettere e di riuscire a cambiare la tua vita una volta smesso?

Dom. Ho smesso e ricominciato diverse volte...è diverso però se un uomo riesce a chiudere definitivamente dall'eroina diventa automaticamente un uomo libero... ci vuole tanto carattere per uscirne, tanta forza, e quando uno ce la fa si sente l'uomo più libero di questo mondo, ritrovi il senso della libertà, non ti fai più incastrare dalle paranoie; chi ha smesso sa che però lei, è sempre lì che ti aspetta. Non c'è mai la sicurezza, una volta che tu l'hai provata puoi stare un anno senza pensarci, due anni, ma alla minima cosa per cui te la prendi, magari pensi non la prendo, non la prendo, ed è la volta che ci ricaschi. Questo è un aspetto del potere che ci ha l'eroina, è magnetica.

Int. Pensi che potresti andare avanti con il genere di vita che conduci senza farti d'eroina?

Dom. Io penso che la microcriminalità sia soggetta a questi meccanismi; la droga è fatta proprio per aumentare la criminalità. Chi fa uso di droga automaticamente alimenta la criminalità. Diventi un criminale perché non puoi vivere con uno stipendio in qualunque caso anche i crimini, quelli più grossi, tipo rapine in banca, sotto hanno come motivazione la droga, o l'eroina, o comunque la cocaina...tu vai a rubare per avere la sicurezza di poterti comprare tutta la droga che vuoi...

Int. Moralmente come vivi la tua condizione di criminale?

Dom. Molto male perché nei miei principi non c'è il crimine, però automaticamente che infili in queste storie finisci a fare il criminale...c'è gente che si rovina con facilità, io cerco di evitare le conseguenze più gravi, però se sei in quel giro non puoi fare a meno di andare a rubare...t'ho detto è automatico che vai facendo stranezze.

Int. Non temi che potresti commettere qualcosa di veramente brutto anche contro qualcuno e che non potrai più rimediare?

Dom. Per ora non mi è mai successo ma ci sono casi in cui è successo, comunque io non ho questa paura...è capitato che qualcuno si è accoltellato, ma sinceramente..

Int. Alla morte ci pensi mai?

Dom. è una cosa a cui penso spesso specie quando mi faccio.

Ho visto tanti ragazzi soccombere d'overdose, tu vivi sempre con quel pericolo addosso con la mente che dice sempre un giorno all'altro muoio...il tossico ha un rapporto con la morte molto intenso, c'è chi non ci pensa più, c'è gente che pensa all'Aids, a tutte le malattie, ci sono molti tossici che quando prendono l'ago se lo buttano nelle vene e basta, non pensano proprio alla morte capito? Io ci penso molto, cerco di...mi piacerebbe controllarla, però la morte...Vorrei controllare l'eroina...basta una dose in più e ti scoppia il cuore, capito. È facile cadere in over-dose, io in dieci anni non ho mai fatto un over-dose. Sono un ragazzo abbastanza sincero su queste storie, dico le cose come stanno... riguardo alle storie di morte di altre persone ho avuto la forza di uscirne.

Int. La sofferenza?

Dom. anche il pensiero della morte costantemente è sofferenza.

Int. La morte?

Dom. La morte la temo di più perché come persona mi sento ancora recuberabile, non sono ancora pronto per morire, perché non ho ancora perso tutte le chance. Anche se ho preso l'eroina, ho fatto altre cose, c'ho (anche) altri principi, per questo ho voglia di vivere. Chi non ha più voglia di vivere continuerà a farsi d'eroina. Io conosco gente che non ha mai smesso...dieci anni. Solo in galera si era fermata. Finché non c'è morta.

Chi non smette mai vuole dire che se ne 'sbatte' della morte, e della vita. Della vita, non della morte, se ne sbatte. Tu la morte non la conosci è alla vita che ti devi interessare.

Int. In sogno? Ti sei mai avvicinato all'idea della morte in sogno?

Dom. No, solo tensione e paure..

Int. Grosse paure?

Dom. Paura si, al risveglio si.

Int. Hai paura di dormire?

Dom. Il sogno è un'altra parte della vita...io ho fatto sogni intensi, io quando sogno, sogno in modo intenso...a volte mi sono svegliato con il sangue alla dita. M'ero sognato che mi avevano dato un pugno 'qui' mi svegliavo e mi sentivo ancora i dolori.

È un'altra vita.

Int. L'eroina ti ha aiutato a prendere coscienza dei sogni?

Dom. Sognavo di più quando non mi facevo..

Int. Che relazione c'è secondo te tra la veglia e il sonno?

Dom. è animato dal modello di vita che conduce.. e poi tutto quello che ci ho è la fede.

Il fondo non lo calcolo. Credo in Dio è la forza che più ho trovato...in quello che tutto sommato dicono i cristiani. La Bibbia, mi piace la predica.

Int. E come concili la cristianità con l'eroina?

Dom. È parte dell'esistenza. In questo mondo esiste, bisogna ammetterlo. C'è chi non la conosce e va bene ma chi la conosce sa che c'è. Come me io so che c'è e devo vivere sapendolo.

Int. Qual è l'effetto dell'eroina che più t'importa?

Dom. L'eroina ti dà sicurezza, ti apre con la gente, puoi parlare, discutere di tutto...ti fa aprire col mondo, però arrivato a un certo punto ti chiudi in te stesso.

Quando è un po' di tempo che fai queste storie non comunichi più.

Non trovi più il dialogo con le persone. All'inizio l'eroina ti dà quell'illusione, che tu puoi fare tante cose.. che sei più forte.

Int. Ti senti solo?

Dom. Si in un certo senso...quando si è tossici si è sempre soli. È proprio quella solitudine che non fa uscire le persone dall'eroina.

Il tossico sceglie di essere solitario, ma molto è il mondo che al tossico non lo considera. Tra tossicodipendenti, ci sono delle belle amicizie a volte, sai? Ma non se si tratta di una busta di eroina.

C'è fraternità tra chi si fa ma non toccargli una busta perché tu non sai cosa può fare un tossico per una busta. Si possono anche ammazzare, nonostante l'amicizia e la fraternità.

Int. Con i tuoi parenti che rapporti hai?

Dom. Abbastanza buoni, perché gli sto lontano cerco di non disturbarli, loro stanno 'giù'

Ti danno degli ultimatum.. io ho perso la ragazza per l'eroina, non perché è morta.

Int. Era importante?

Dom. Trovare una persona che s'interessa a te quando esci dall'eroina è importante. Ti da molta forza per uscirne, ti leghi.

Ultimamente avevo cominciato a 'legare' con una ragazza, ma questa mi ha provocato delle insicurezze allora ho ricominciato a farmi. Ci credi?

Ho bisogno di sentirmi legato a qualcosa, mi devo svegliare la mattina e sentirmi legato a qualcosa.

Vorrei legarmi, avere una donna, un bambino..vorrei avere pensiero per qualcosa, capisci?

È qualcosa per cui ti devi fare forza e ogni volta è comunque una sconfitta.

Lasciarla e ripigliarla è una sconfitta.

Int. Pensi sia possibile convivere con l'eroina?

Dom. No. Non è possibile convivere con l'eroina.

Perché è complesso procurarsela? Se fosse gratis?

Dom. Ti distrugge comunque anche se tu avessi i miliardi sarebbe lo stesso distruttiva.

L'eroina ti mangia il corpo, ti asciuga. Circola col sangue il sangue è la vita. Tu il sangue lo sporchi. Come lo sporchi, anche il tuo modo di pensare cambia.

Anche il tempo si accorcia, se dovevi campare cento anni ne campi sessanta, quaranta.

Non lo so io, non ho provato ad avere tanti soldi, comunque penso che ci sia sempre un punto di follia.

Anche l'uomo più ricco del mondo arriverebbe a un punto di follia.

Int. Se fosse gratuita?

Dom. Lo stesso, oggi ti fai un grammo domani ne vuoi due..capito? Il giorno appresso ne vuoi tre, e poi vai avanti così. Solo per il 'flash' di sentirti. Stamattina già ho speso ottantamila lire solo per sentirmi.

Int. Che intendi per sentirti?

Dom. Per sentirti bene, per sentirti nient'altro. Quando non mi sveglio la mattina, tu hai dei vuoti, io la mattina non ho nulla nella testa...nonché desiderio di pigliare l'eroina di e mettermela nel braccio, perché tu possa dire di parlare, di fare qualcosa. Se no non posso fare nulla, non ci avrei neanche la forza di muovermi.

Sudi, freddo caldo, non ci hai la forza neanche di camminare. Capito come ti prende anima e corpo, io stamattina mi sono fatto due volte; prima per togliermi la debolezza e la seconda per sentirla.

Questa è la vera realtà, capito ?

Int. Ma se tu potessi trovare qualcosa di buono nella tua dipendenza cosa diresti?

Dom. Mi ha fatto capire come funziona la burocrazia, la conoscenza del mondo, la gente, la vita sistematica, per quali motivazioni a volte si fa uso di droga: a volte ci sono motivazioni politiche, a volte rivoluzionarie, a volte evoluzionistiche..

Int. Quelle politiche in che senso?

Dom. Quelle situazioni che si vengono a creare e che a volte non sono esclusivamente per l'eroina.

Int. Si può utilizzare in qualcosa di materiale la consapevolezza che ti dà l'eroina?

Dom. Ci sono tante persone che ne fanno uso. Gente che produce, in qualche modo ti danno i soldi e in un altro te li tolgono. Con una mano ti danno la droga e con l'altra ti pigliano i soldi. È un commercio.

È una politica di padroni, per i soldi ti schiavizzano.

Con l'eroina riesci a fare di più delle persone normali, ma ti schiavizza, ti dà qualcosa, non se ne fa uso tanto per farne, ti dà qualcosa.

Diciannovesima giornata: 'marginalità'. Cambiano i volti ma non i ruoli

È curioso come sia difficile seguire giorno per giorno una storia singola tra le tante che s'intrecciano in piazza: credo si potrà arrivare ad una idea d'insieme solo alla fine di un'osservazione continuata, senza un vero e proprio limite di tempo, al fine di fornire un panorama integrale di una realtà che è comunque in costante movimento e alla quale si aggiungono soggetti con la stessa frequenza con cui spariscono... definire quest'organicità che va avanti giorno per giorno di cui il motore propulsore è l'eroina, non è sicuramente semplice.

Oggi la piazza si presenta abbastanza regolare, c'è il solito movimento, una osservazione che avrei già potuto fare nei giorni passati è che cominciano ad esserci sempre più mediorientali coinvolti nello spaccio di droghe leggere in questa piazza, e diversi di loro utilizzano l'eroina per vena cosa che soltanto l'anno scorso non avevo notato, credo che tra loro l'utilizzo dell'eroina cominci a diffondersi adesso.

Fino ad ora lo spaccio si era concentrato nella zona dell'arco di San Piero e nei paraggi di piazza Santa Croce.

I vecchi tossici sembrano più agitati perché gli arabi in genere sono aggressivi e non amano gli eroinomani, anche se sono spesso i primi a sfruttarli.

Ci sono tanti spacciatori, ognuno ha un prodotto specifico, e ognuno di loro spesso si rivolge a un mercato distinto. Gli spacciatori della piazza in cui ho svolto la mia ricerca, hanno due generi di prodotti, e due gruppi di 'clienti'.

Vi sono i mediorientali che, si è detto, si dedicano principalmente a rifornire i tossicomani della piazza, poi c'è un gruppo sempre di mediorientali che vendono anche droghe leggere con la differenza che le vendono solo a persone esterne dal giro. Stando in piazza dalla mattina alla sera, probabilmente, si sono resi conto che vendere eroina è un'attività che può essere svolta nell'arco di mezz'ora. Difatti chi vende la 'roba' professionalmente stabilisce degli orari in determinati punti della città, dove i tossici si ritrovano ad attendere i rifornimenti. Quello che si deve fare per procurarsi la droga in questi termini è: 'aspettare con i soldi in mano che passi lo spacciatore e ti metta le dosi in tasca.

A meno che un tossico non stabilisca un rapporto confidenziale, cioè di fiducia con uno degli spacciatori, i rifornimenti sono momenti di particolare pericolosità, perché essere presi in flagrante è un reato grave. Se il tossico si rifornisce sempre dalla stessa persona, è possibile che lo scambio della 'roba' con i soldi, avvenga in luoghi della città dove non vi sia il rischio di essere veduti. Ma se i rapporti non sono di quotidianità, ma legati a esigenze contingenti, il tossico è esposto a gravi pericoli. Tali sono legati al pericolo della carcerazione, che si è detto dolorosissima per un tossico in astinenza, e al rischio di ricevere della 'roba' velenosa. Su questo aspetto la spregiudicatezza degli spacciatori certe volte è sconcertante. Vi sono diverse tipologie di eroina alcune di esse sono allungate con additivi che hanno caratteristiche a lungo andare velenose. Come ho già detto in questo 'diario', le dinamiche dello spaccio sono strutturate in maniera gerarchica: per quanto riguarda la piazza posso asserire che la maggior parte della microcriminalità ne è un prodotto. Dallo spacciatore di 'roba' s'innescano delle sotto forme di spaccio che sono a volte intraprese dagli eroinomani che hanno come referenti i consumatori di droghe più leggere. Si può dedurre da questa analisi che l'eroina è uno dei nodi 'propulsori' di migliaia di reati.

L'atteggiamento di sorveglianza e punizione delle istituzioni contiene parzialmente un fenomeno, che però oramai è dilagato e che ha già creato per i prossimi dieci anni almeno quella fascia di consumatori, che difficilmente si sottrarranno dall'essere il motore propulsore del mercato illecito, e con molte probabilità ne diverranno vittime.

Sul fronte dell'informazione si è fatto molto e tutti sanno oramai che drogarsi, specie con sostanze pesanti, porta ad esiti mortali. Tale fatto, per lo meno dalla mia ricerca, non risulta sufficiente. Il disagio e l'insofferenza di molti giovani, che incappano nell'eroina, innescano quello strano meccanismo che spinge l'incauto a sperimentare una sostanza come l'eroina, a scapito di ogni consapevolezza.

Una forma di lento suicidio? Il desiderio di richiamare l'attenzione degli altri? Una sfida con se stessi? In seguito, nel capitolo sulla liminalità, cercherò di spiegare quali e quanti possano essere i motivi di questo lento suicidio. Ma a mio avviso rimane confermato il fatto che l'eroina è una trappola, che produce vittime più per il proprio riflesso su una società intollerante e per una miriade di fattori derivanti dalla dipendenza che per l'utilizzo in sé per sé della mera sostanza. L'eroina può essere intesa a questo punto come farmaco pericoloso e, pur producendo una dipendenza fortissima, di per sé non è mortale.

Ventesima giornata. La piazza, un organismo presente in tutti i centri urbani del mondo. La piazza un concetto astratto

Ogni processo di integrazione progressiva determina un campo di possibilità del tutto nuove che la comprensione dello stato di cose dello stato anteriore non permette affatto di prevedere (tale nuovo stato di cose costituisce un momento di emergenza, una realtà nuova le cui leggi d'azione non sono prevedibili in funzione delle tappe di sviluppo precedenti od anteriori. L'elemento emergente viene considerato come un'entità del reale. (42)

L'ambito della piazza è sicuramente vivo e ben palpabile; una sensibilità normale percepisce subito il livello di vivibilità di un luogo come questo, esso rimane, specie in Italia uno dei principali luoghi di aggregazione. Nei piccoli paesi del meridione la piazza è il luogo dove si trascorre gran parte del proprio tempo libero; salendo troviamo che tale spazio assume via via valore organizzativo. Nelle città d'Italia in piazza c'è sempre il comune o il palazzo della Signoria o la chiesa, ed è facile dedurre l'importanza di tale spazio nella vita della collettività. Era ovviamente l'epicentro dell'informazione popolare, dove si giustiziava e dove si festeggiava. Con lo sviluppo dei mezzi della società il valore prettamente politico della piazza si è sicuramente fatto solo simbolico, ma ha certo mantenuto un che di accentrante per la popolazione che in questi spazi s'incontra. In particolare il mondo dell'illecito ha trovato in questo spazio uno degli ambienti naturali per la sopravvivenza. Si può pensare che tutto ciò che vi succede sia transitorio, perché è pur sempre un luogo dove è difficile sfuggire all'attenzione degli organi competenti e della stessa collettività. Ma c'è un continuo aggiungersi di soggetti ai nuclei precedenti; questi soggetti sono sia nuove "leve" del mondo dell'illecito, sia vecchie presenze reduci da periodi di cura o di allontanamento che ritornano in piazza, perché soltanto qua è possibile ricostituire un giro di conoscenze che permetta di sopravvivere a queste condizioni.

Quindi lo spazio della piazza è un luogo in continua trasformazione e, a seconda di chi si aggiunge a questo panorama, si ha una variazione di movimenti e abitudini che, seppur blande, esistono. "Per parlare di elementi del reale" come intende Deveraux bisogna concentrarsi su quei fattori che possono avere relazione gli uni con gli altri ma che sono in costante variazione: chiunque può sparire dalla piazza in qualunque momento e creare delle variazioni degli equilibri. La faccenda sta nel seguirne il flusso osservando un periodo, una serie di momenti per tradurne una "tranche de vie".

Osservare la vita della piazza a cui mi sto dedicando non presenta grandi difficoltà, perché in una città come Firenze i ritmi sono sufficientemente lenti e la popolazione tutto sommato tollerante. In questo luogo si può sempre contare sulla presenza dei soggetti storici della piazza, ed è proprio grazie ai loro resoconti e all'osservazione della loro condotta che ho avuto modo di comprendere i meccanismi, le consuetudini che regolano la vita di piazza.

Nella piazza le relazioni di parentela, di amicizia, di convivenza, si notano appena. Mi è capitato di conoscere persone molto differenti tra loro, che quasi non si davano relazione, e scoprire per caso che erano fratelli.

Molte volte i tossici vivono assieme e spesso, avendo l'appoggio di enti sociali, dispongono di appartamenti a semi sorveglianza dove tornano esclusivamente a dormire. (43)

Le relazioni personali, esterne, trovano una sospensione. Bisogna campare la giornata quindi bisogna stare attenti, puntare i recettori e trovare il modo di 'svoltare', di sbarcare il lunario: si può passare la notte insieme, ma appena si arriva nel giro delle relazioni per la sopravvivenza tutto si cancella, tutto si dimentica.

Ci sono coppie di amanti, gruppi di famiglia.

Molti tossici hanno dei figli e, in questo caso, i bambini vengono affidati ai parenti più prossimi; a volte capita di vedere un padre cercare il figlio, o un fratello cercare la sorella per dargli notizie sul bambino o quanto altro, mentre il tossico in questione magari è a 'svoltare'.

La sera, nei periodi estivi, ci sono stranieri ubriachi e saltimbanchi che non rifiutano la compagnia di un tossico per qualche ora; si possono trovare gruppi eterogenei che vivono il frangente, fumando e bevendo, senza curarsi del dopo.

Certamente ci sono piazze più animate di quella che ho osservato, dove ogni giorno ci sarebbe modo di scrivere un libro. La piazza di Santo Spirito di Firenze nella zona dell'oltrarno è in questo senso una delle piazze più vive e variegate che io abbia conosciuto. Per tutto l'anno si svolge una vita piuttosto intensa, ma è in primavera e d'estate che questo luogo sboccia. In questa piazza vi sono caffè, locali alternativi, artigiani, studi fotografici etc. Quest'area attira turisti da tutto il mondo e grazie alla presenza di un ospitale sagrato la gente, sedendosi anche per prendere un po' di sole, entra facilmente in contatto. Spacciatori, attori di strada e suonatori di tamburo o altro trovano uno spazio ideale. Un tessuto così vivo che potrebbe fornire molte più informazioni di quanto non si possa immaginare: sulle relazioni di commercio e di solidarietà e i meccanismi d'incontro.

Si potrebbe anche aprire uno studio sul 'metodo di approccio degli italiani con le straniere; esiste una vera e propria categoria di individui che agisce in determinate circostanze e con predeterminati comportamenti.

La piazza è sostanzialmente un cosmo, dal quale, però, non ci si deve allontanare se non si vuole correre il rischio di essere fagocitati dalle migliaia di vicende che s'intrecciano nei vicoli circostanti.

Ventunesima giornata. Vecchi alcolizzati, barboni, e nuovi tossicodipendenti

Fino ad ora abbiamo considerato che i soggetti della piazza sono per lo più in relazione alle articolatissime strutture socio-sanitarie. Questo è assolutamente vero per i tossicomani, ma tale aspetto non si può estendere a quelle "categorie" della piazza che ogni giorno interagiscono con gli eroinomani senza fare un uso specifico dell'eroina: alcolizzati, vagabondi, stranieri, italiani o extracomunitari, in cerca di una collocazione, e una varia umanità che vive ai margini della società fiorentina.

Questa moltitudine poggia buona parte della propria economia sui rapporti di interscambio con i tossici, il mercato di droghe leggere, di psicofarmaci, e/o di oggetti provenienti da piccoli furti, e si esaurisce all'interno di una cerchia ben definita di personaggi che danno vita alla piazza. La sopravvivenza di queste persone è sostenuta da un sistema economico, basato sulla microcriminalità, che si esaurisce all'interno della piazza stessa.

L'idea di ecologia umana ci può rendere più chiaro questo discorso: dove esiste sottocultura si intende un gruppo all'interno di uno più esteso, una collettività più grande. Questo 'gruppo' condivide alcune delle regole dettate dalla collettività perché più forte, organizzata ed estesa. La subcultura si conforma a questo meccanismo, che cerca una 'nicchia' sociale nella quale proliferare o semplicemente sopravvivere. Il discorso delle subculture si potrebbe estendere a tutti quei sottogruppi che oggi rappresentano i veri antagonisti delle classi sociali.

Le subculture alle quali mi riferisco in questo studio sono quelle marginali che entrano in contatto tra loro nella piazza. La piazza è uno degli spazi più funzionali per la sopravvivenza di questi gruppi. In essa si mantengono i rapporti di socialità e solidarietà; grazie a questi spazi gli individui marginali hanno l'opportunità di definire una propria appartenenza ad un sottogruppo, che altrimenti sarebbe soltanto virtuale.

Il concetto di "ecologia umana" nasce per indicare proprio questo principio di autoregolamentazione istintiva dei sottogruppi. Ciò significa che ci sono meccanismi codificati nel comportamento di gruppo che non è detto non abbiano principi morali e comportamentali, legati alla sopravvivenza, e la piazza si può definire come spazio di libertà, paradossalmente nel cuore urbano della società.

Il problema delle dipendenze devianti, si intuisce, è parte non trascurabile delle varie categorie che come si è detto occupano questo spazio. Ma ciò che probabilmente distingue il tossico vero e proprio dagli altri è il genere di dipendenza: fra tutte la dipendenza da eroina maggiormente vincola l'individuo agli altri, e all'esigenza di bucarsi costantemente e in tempi molto ristretti.

I fenomeni di prostituzione del tossicomane occupano la percentuale più alta rispetto a qualunque altra categoria di devianti, ma un'altra osservazione in merito va al fatto che soltanto l'eroina riesce a creare soggetti capaci di sopravvivere nelle condizioni economiche più insostenibili. Non si può pensare ad un cocainomane o ad un accanito consumatore di droghe sintetiche, come ad una persona che potrebbe riuscire a vivere come un barbone, di punto in bianco, anche senza esserlo mai stato. I sistemi con cui l'eroinomane, per lo meno all'inizio della sua carriera, si procura la "roba" sono spesso molto sofisticati e in alcuni casi non privi di un guizzo di genialità. L'eroina infatti all'inizio dona una lucidità mentale sconcertante, per un uomo normale che sappia mediamente stare al "mondo", dona una lucidità pari a quella che potrebbe aver raggiunto un individuo di 45 o anche 50' anni, un soggetto che è arrivato ad un coinvolgimento articolato e soddisfacente con la realtà, e nel paradosso anche ad un alto grado di 'coscienza', assommata ad una perdita di gran parte della inibizione, che gli viene trasmessa dalla scarsa esperienza col mondo, o per esprimerci in termini sociologici: l'individuo riesce a soddisfare i propri bisogni attraverso la società, attingendo, e sfogando la propria libido fino alla soddisfazione (44).

Purtroppo a questo grado di aderenza alla realtà e di conseguente capacità di azione, il tossico ci arriva tutto di un botto, trafelato e per poche ore, il tempo in cui è sottomesso alla sostanza; ore che difficilmente trovano un impatto costruttivo con la realtà. Questo è accaduto in pochi casi: nelle arti, e nella musica in particolare se ne possono segnalare dei casi, anche se quasi tutti i soggetti che ci sono riusciti sono morti giovani (45). Per quanto riguarda l'utilizzo dell'eroina in età avanzate riporto in seguito alcune testimonianze e considerazoni.

Ventiduesima giornata. Drogarsi con l'eroina e condurre una vita regolare è possibile? Intervista a Pietro

Oggi sono andato ad un ser.t. a cercare Pietro, gli sono affezionato perché è stato lui in fondo a destare il mio interesse nei confronti della tossicodipendenza; lo conosco da cinque anni, sono sette che si droga, ma a periodi. Lui è uno dei pochi casi di eroinomani che per tutto questo tempo è riuscito a tenere nascosto il fatto che si faceva, anzi che si fa. Vive con sua nonna che non sa nulla. È cieca ma riesce a provvedere a tutto, dal bucato alle pulizie di casa, dalla quale non esce quasi mai. Non devono essere molto ricchi ma il nonno di Pietro era un bravo pittore e scultore...

Anche Pietro disegna bene, ha frequentato l'Accademia delle Belle Arti di Firenze per un paio di anni con buoni risultati.

I problemi grossi sono iniziati con la visita medica per il servizio militare, per questo i carabinieri sono andati a trovarlo un paio di volte, e ciò ha destabilizzato fortemente la sua esistenza. La gente ha cominciato a parlare e qualcosa deve essere giunto fino all'orecchio della nonna, di cui Pietro, tutto sommato in maniera parsimoniosa, fino ad ora ha gestito i soldi della pensione. Pietro per diversi anni ha lavorato in uno studio di architettura; ha ventotto anni e da quando ne ha ventitre fa uso di eroina. Lui dice che gli serve ad andare avanti, e probabilmente è così. Ma c'è da dire che per quanto ne so io non si è mai ridotto male, o almeno tanto da non poter portare avanti una vita non priva di gratificazioni. Da due anni frequenta sempre il solito spacciatore con il quale ha raggiunto una specie di rapporto di fiducia; questo fatto gli ha permesso di evitare la piazza: adesso so che però è stato "invitato" forse è più giusto dire "intimato" dalla polizia a scalare col metadone e a farsi controllare le urine tutte le settimane. Pena: essere rinchiuso per un periodo in una comunità per disintossicarsi. In parte è una violenza che sono convinto lo abbia abbattuto. Penso che in fondo il suo rapporto con l'eroina non fosse del tutto negativo, se non per il fatto che il consumo di eroina è di per sé un reato. A questo punto parlare di Pietro mi serve anche per parlare da un'altra angolazione dell'eroina.

Ho intervistato Pietro, la sua testimonianza è una delle più chiare e descrittivamente razionali che fino ad adesso ho avuto modo di raccogliere.

Int: Facciamo finta di non conoscerci e che questa è la prima volta che c'incontriamo, e cerchiamo di considerare il mio interesse un semplice istinto conoscitivo, che per quello che è il mio fine è lontano da qualunque genere di giudizio morale o culturale.

Ti piace l'eroina ma vorresti uscirne....perché?

Pietro: Perché, perché, l'eroina è un lusso che in questa società, e in tante e tante altre o almeno dei nostri giorni nessuno si può permettere. Questo per due motivi uno è quello che è pericoloso per migliaia di fattori a livello non tanto di sostanza in sé, cioè di eroina, ma per il secondo, perché è il secondo che spacca, che rovina, che a lungo andare ti prende i nervi e ti logora dentro. E sono gli altri, tutti gli altri, che col tempo ti spezzano, non c'è nulla da farci. Nessuno accetterà mai che un altro si faccia di eroina, nemmeno il tossico stesso accetta di farsi, per questo si butta via e sta sempre meno attento alle 'cazzate' che commette, che lascia che la vita gli vada a puttane. Io alla vita ci ho sempre pensato anche se mi piace l'eroina non ho mai fatto mancare la mia presenza tra le persone a cui sono affezionato, logicamente l'eroina tende ad assorbire tutta l'esistenza di una persona, ma solo se uno accetta il fatto che bene o male ti "fai", allora puoi prendere atto del problema, capirne il peso e cercare di fargli fronte a quel punto sai che ci sono comunque delle precedenze sull'eroina se vuoi continuare a vivere e forse proprio per continuare a "farti".

Int.: Quindi il problema delle persone che si distruggono con l'eroina sta nel motivo che in qualche modo esse non riescono ad accettare che stanno utilizzando una sostanza molto pericolosa? Che può distruggerli lentamente?

P.: Io penso, penso che, e dall'esperienza che finora ho avuto e che mi ha dato delle conferme, ti ripeto del tutto empiriche e personali. Che comunque mi abbiano aperto gli occhi nei confronti di tanta, tantissima gente che si droga, nel senso più ampio della parola "droga" voglio comprenderci tante fasce di persone, non solo gli eroinomani. Ebbene tutte queste persone in maniera più o meno spiccata avevano in comune il fatto che utilizzassero qualcosa per andare avanti, ma da li ad accettare veramente questa storia ce ne corre, è come se si mettesse in crisi il proprio orgoglio, le proprie convinzioni, le stesse convinzioni che la società e tutte le persone che ti stanno attorno cercano di darti o che in un modo o nell'altro ti comunicano da quando sei piccolo, queste arrivano ad essere vere e proprie parti di te, del tuo pensiero, le fondamenta del tuo senso critico ed è difficile metterle in gioco così, andare contro tutti e dire: "Si! Mi faccio le 'pere', me ne faccio una, due, quante mi pare perché mi piacciono; perché quando sono fatto sto bene, questo mondo può essere come vi pare ma io sto bene, mi sto riprendendo tutte le cose che mi mancano".

Si tratta di andare nettamente contro corrente ed è dura, quasi impossibile arrivare a farlo con lucidità, perché quando vai a mettere in dubbio certe cose non hai più appigli è come se ti lobotomizzassero.

Int.: E tu pensi di esserci riuscito?

P.:A periodi peggio, perché la forza di volontà alcune volte mi manca, specie quando incontri delle difficoltà e allora non sai che pesci prendere e ti sembra di naufragare.

Ora con queste storie del militare, mi hanno scoperto e la faccenda si è complicata di "brutto"...altrimenti sarei andato avanti tranquillo ancora per un bel pezzo.

Int.: La gente che ti sta attorno, le persone intime sanno di questa faccenda?

P.: Vedi sono quasi sette anni che buco abbastanza regolarmente con brevi periodi di epurazione, e con il tempo chi mi stava accanto se n'è accorto molti si sono allontanati non potendo accettare questo fatto, alcuni hanno capito e siamo riusciti ad andare avanti...sono stato quattro anni con una ragazza che non ha mai bucato, la storia è finita per problemi che sono affiorati col tempo e non nego che tra questi ci fosse anche la roba...

Int.: Sei la prima persona che mi parla in questi termini dell'eroina...

P.: Forse a te capita soltanto adesso, ma ti garantisco che non sono il primo che riesce a conviverci o che, almeno per un periodo è riuscito a farcela, senza per questo dover mollare le altre cose... (detto questo, Pietro mi ha parlato di tante altre persone che vivono a Firenze o nei dintorni, che da anni utilizzano l'eroina riuscendo a controllarla).

Nella testimonianza di Pietro emerge una verità che a mio parere dovrebbe far luce su un altro aspetto del problema "eroina" proprio nel settore più colpito e più dannoso per la società: quello giovanile. È ovvio che il rischio di incappare nell'eroina è alto, ma tale rischio aumenta proporzionalmente alla diminuzione dell'età fino ad una soglia che si può indicare attorno ai 14 anni. Tale rischio aumenta anche in proporzione al grado di coscienza dell'individuo; essere in una fase di costruzione della personalità moltiplica il pericolo di dipendenza. Difatti tutti i vuoti che con l'esperienza e il tempo l'individuo normale riempie, vengono colmati come per un sortilegio dall'eroina. Ecco che il processo di crescita, maturazione della personalità, si arresta e l'individuo si fossilizza nelle proprie incertezze e nelle proprie mancanze. Il trovarsi dopo tanti anni di dipendenza a dover fare a meno dell'eroina pone la persona di fronte a tutte quelle problematiche che via via ha accantonato rifuggendo nello "sballo compensatorio dell'eroina".

Considerazioni sulla ventiduesima giornata

Ed ecco spiegate le miriadi di difficoltà che nelle "comunità di terapia" compaiono dal momento che un tossicomane diventa un ex. La disintossicazione è solo il preludio di una serie di problematiche con cui fare i conti e che affondano le radici nei contesti sociali e nei rapporti umani che l'individuo ha avuto fino al momento in cui ha inizio a fare uso d'eroina. E che da allora in poi vengono come surgelati grazie alla sublimazione della vita, alla cristallizzazione delle emozioni, che l'eroina chimicamente provoca nel corpo e nella psiche.

La disassuefazione ha lo scopo di mantenere un soggetto lontano dalla sostanza tossica, eliminando la dipendenza psichica e fisica e le condotte devianti secondarie, e favorire il superamento dello stato di isolamento sociale con un buon reinserimento nel proprio contesto ambientale. Il fattore basilare per la buona riuscita è la validità delle motivazioni a smettere l'uso della droga: ciò appare tanto determinante che si può ancora oggi affermare che con motivazioni valide non è necessario alcun trattamento (...) Ecco perché l'approccio dev'essere multidisciplinare con il coinvolgimento di tutte le strutture sociali che circondano il tossicomane. (46)

Ventitreesima giornata. esperienza di un comunità sperimentale: Montanara (Mn)

...quello che ha finora favorito la mia indagine è la "tranquillità" con la quale all'inizio della giornata parto, predisposto ad ascoltare tutto quello che mi viene detto. Cerco di cogliere le mezze parole dette anche a distanza; queste ti indirizzano comunque in maniera giusta e l'unica verifica che hai è quella che non ti manca la parola da scrivere esatta o sbagliata che sia o che al momento ti possa sembrare, ovviamente 'origliare' ti aiuta nel presente, perché da lì a conseguirne considerazioni definibili scientifiche o meramente accettabili, tolto l'aspetto puramente narrativo sono cosciente che ce ne corre.... Oggi ho deciso di muovermi per andare in una comunità a trovare un ragazzo F.G. che da tempo non vedevo più in piazza, sapevo di un suo progetto, che era in contatto con una comunità del Mantovano da cui era scappato due; volte, seppi che era stato di nuovo accettato grazie alla comprensione del dirigente. Ma non sapevo se era scappato nuovamente o se vi fosse rimasto per conseguirne una cura reale. Egli mi aveva parlato dei metodi di recupero del professore, psicologo, che gestisce questa comunità a Montanara sulla strada per Sabbioneta a pochi km da Mantova.

In una contrada della strada provinciale si trova questa struttura in ricostruzione, si tratta di un ex istituto per l'infanzia dove oltre al mio amico sono ospitati altri quindici "ragazzi" con problemi di dipendenza. Ho messo tra virgolette ragazzi perché, dalla mia osservazione sono arrivato alla conclusione che l'eroina in un certo modo arresta lo sviluppo fisico; è come se impedisse al soggetto di crescere, e arrestasse le naturali modifiche che il corpo e il volto nel tempo hanno, conservando in buona misura i lineamenti e in parte l'espressione del volto che un soggetto ha al momento in cui inizia ad utilizzare l'eroina (47)...questo ovviamente in misura particolare, perché, da un'altra parte, distrugge i tessuti, le ossa, i denti...una sostanza che non finisce mai di svelare i suoi lati demoniaci.

Gli ospiti della comunità sono tutti sieropositivi, compreso il mio amico, solamente ad alcuni il virus si è conclamato, manifestandosi in uno attraverso la distrofia muscolare, in un altro attraverso delle malattie del derma... insomma un vero e proprio lazzaretto, dove a accomunare tutti quanti c'era l'eroina. Il mio amico mi ha raccontato alcune delle vicende dei soggetti raccolti a Montanara: uno di nome Marzio era vissuto in Francia fino alla morte della madre avvenuta per suicidio, poi aveva iniziato a drogarsi ed a combinarne di tutti i colori; è in questa comunità, grazie ad una sospensione di pena per tentato omicidio. Quando l'ho incontrato il suo corpo era ricoperto di tagli cicatrizzati che si era provocato con una lametta, erano più di quattrocento mi hanno riferito. La quantità di calmanti a cui il suo organismo è assuefatto potrebbero far dormire di botto 12 persone per 24 ore, mentre lui, pare, che dorma due ore per notte e il resto del tempo lo passa aspettando che apra l'infermeria per assumere insieme ai farmaci anche il metadone.

Altri ospiti di questa casa avevano delle pene sospese e diversi di loro avevano commesso grossi crimini ma sempre per motivi legati all'infanzia o alla famiglia...in quanto a Marzio, aveva i problemi fisici di un sessantenne, il cervello...?...ne dimostrava poco più di trenta.

Il criterio con cui questo Professore sta portando avanti la comunità è legata all'idea di ricreare un grande nucleo familiare, il più esteso possibile, un luogo dove il soggetto è destinato ad ambientarsi ed ad aderire ad una serie di regole non scritte, ma dettate dalla convivenza. Anche la struttura, alla quale stanno lavorando da alcuni anni muratori e falegnami in pensione volontariamente, vuole rispecchiare questa filosofia familiare, dove l'individuo che vi arriva deve cercare prima di inserirsi, e non riuscendoci è spinto ad una continua autoanalisi e critica. Visti e considerati i principii quasi del tutto naturali della comunità anche la struttura comincia a rispecchiare chiaramente le intenzioni del saggio direttore; la sala da pranzo, i bagni, il refettorio cercano di mantenere le prelazioni igieniche, ma si fondono con l'idea di un grande appartamento dove vive una famiglia numerosa: la sala da pranzo ha il camino, e le credenze, come le case borghesi; i bagni hanno più di un lavandino ma sono arredati con un mobilio per quanto possibile ricercato, con allegre stampe sui muri, idem per il salotto... il personale è ben selezionato e il più possibile affettuoso con i pazienti, gli "obiettori di coscienza" (48) ricoprono in un certo senso il divertente ruolo di personale di appoggio servizio, al servizio degli ospiti della comunità, quando non fungono da camerieri servendo i pasti a tavola come in una casa benestante, ma come compagni di gioco durante il resto della giornata.

La giornata è trascorsa relativamente serena. Tornando in treno non ho potuto fare a meno di ripensare alle persone che avevo incontrato, e sono stato colto da un senso di profondo dispiacere che poi si è trasformato in compassione e successivamente in rabbia. Andare nelle comunità, specie nelle comunità in quelle dove non si fa un discorso di recupero ma dove fondamentalmente si cerca di alleviare la sofferenze di chi vi capita, andare in questi posti ti apre gli occhi sugli effetti disastrosi che l'eroina e l'utilizzo di sostanze 'pesanti' può avere sulle persone, aspetti forse peggiori della morte...anzi ben più atroci!

La realtà che si svela ad un tossicodipendente dopo che si è disintossicato fisicamente è uno dei momenti più difficili da superare, sempre sperando di non essere incappato in qualche malattia. Riuscire a superare certe situazioni è possibile, ma ci possono volere anche anni, per poi ritrovarsi sempre all'inizio di fronte a un mondo sordo che non ti dà gli strumenti per essere compreso. Vedere certi aspetti mi ha chiarito le mie posizioni su un una convinzione che mi portavo dietro da qualche tempo, e cioè che tutto sommato se per recuperare l'eroina non ci fosse bisogno di infrangere continuamente la legge e scadere sempre di più in situazioni negative, per una persona equilibrata e forte sarebbe possibile convivere con tale dipendenza. Ora credo che l'eroina, per come sono messe le cose, per il pregiudizio delle persone, per la cultura a cui apparteniamo, sia una strada per uccidersi: ho capito che l'eroina non è altro che una strada per provare stati di estasi che altrimenti la vita di non può offrirti, tale strada è purtroppo una via senza uscita, per colpa della società che non ti permette di percorrerla.

Ogni momento di debolezza apre un varco a questa sostanza che vi s'insinua senza più, o quasi via di uscita...lentamente, inesorabilmente; questo meccanismo non può essere più scacciato dalla mente. Diventa un tarlo.

Valutando tali esperienze e presupposti, è senz'altro possibile che in passato per quanto riguarda l'Italia, e dico così non per circoscrivere il fenomeno bensì per parlarne il più concretamente possibile, si sia potuto immaginare di utilizzare questa sostanza ed altre per fini politici o di mera governabilità, strumenti utilizzati da entità che finalizzano le loro imprese alla salvaguardia delle istituzioni e del controllo, nell'intento di cristallizzare il proprio potere sugli altri.

I metodi, gli ambiti dove si cerca di recuperare i tossici sono stati fino ad adesso disparati, si può pensare a sofisticate cliniche di disintossicazione dove un personale aggiornato e professionale porta avanti una cura di genere farmaceutico.

E contemporaneamente tali cliniche sono aggiornate sui metodi di studio e recupero psichiatrico attraverso la terapia. Ci sono altre strutture come quella che faceva capo a Vincenzo Muccioli, che sono un misto di coscienza religiosa della vita e di analisi fenomenologica degli eventi; metodi spesso empirici, che danno i loro risultati alla fine di periodi molto lunghi, ma che purtroppo molto facilmente svelano un'inefficacia per il fatto che all'interno della comunità si crea una dimensione mistica, quasi incantata che crea a sua volta provoca un enorme distacco dalla 'realtà' esterna. Difatti i risultati delle disintossicazioni di San Patrignano sono spesso irreali e durano finché l'individuo rimane nella comunità; una volta uscito, il pericolo di ricaduta, dovuto al senso di vuoto che si crea attorno al soggetto, è altissimo. Infatti, non si hanno dati precisi su quanti successi di pieno recupero e disintossicazione si possano accreditare alla comunità di Vincenzo Muccioli (49).

Ventiquattresima giornata: Perché non legalizzarla?

Oggi ho iniziato a leggere uno scritto consigliatomi da un ragazzo che tempo addietro ho intervistato e che conoscevo dai tempi della scuola superiore: il titolo è "Un buco nell'anima". In questo libro sono raccolte le esperienze di due sensibili operatori nel campo del recupero dalla tossicodipendenza; il testo affronta in maniera esplicita il problema della dipendenza, non più come un fatto di semplice devianza ma anche soprattutto come un problema da curare e nei confronti del quale non esiste una vera e propria possibilità di generalizzare le cause. Ogni dipendenza ha a monte delle difficoltà di codificazione differenti e ognuna di esse richiede una soluzione diversa, sia sul piano medico che su quello psichico.

In questi giorni è stata proposta in parlamento la legalizzazione dell'eroina, sarà la sesta o settima volta che ciò accade negli ultimi cinque anni, con l'accezione di somministrarne solo ai tossici ritenuti irrecuperabili o che ne fanno esplicita richiesta. Ecco che tale proposta ha sollevato una quantità incalcolabile di perplessità e una buona dose di pareri contrari.

Ora, a mio avviso, va solo valutato il dato di fatto: che i pareri negativi al 90% provengono da personaggi che compongono quelle associazioni di recupero per lo più comunità cattoliche o di stampo laico. In questi cori di sgomento non escluderei la presenza di qualche 'baritono' che con l'idea del recupero non ha molto a che spartire, nascondendosi dietro al vessillo dell'incostituzionalità.

Se pensiamo che l'eroina potrebbe avere un mercato serio, tenendo conto che nacque come farmaco antidolorifico, tale sostanza andrebbe elargita a coloro che hanno un male incurabile e che, attraverso la sua somministrazione, potrebbero sconfiggere quanto meno la paura.

Quello che in questa tesi voglio dimostrare è che esiste una piccola società, che si è formata quasi spontaneamente, e che vive sullo sfruttamento dell'eroina intenzionalmente. E non è neanche vero che con la liberalizzazione verrebbe a perdere l'intera sua classe 'operaia'. L'immagine del tossicodipendente inserito all'inizio e alla fine di questo processo economico è testimoniata da molti intervistati che non solo al sottoscritto è capitato d'incontrare o di intervistare.

In questo modo l'eroina non uscirà mai dalle nostre strade e dalle nostre città. In principio l'eroina trova spazi claustrofobici, ma una volta che essa attecchisce dilaga senza arresto, in un humus di indifferenza.

L'eroina è una specie di azienda su cui vivono migliaia di persone dalla parte della produzione e dello spaccio; abbiamo quindi l'aspetto illegale che viene alimentato a livelli spropositati dalle condizioni attuali prodotte dall'orientamento legale: dall'altro lo stato e la collettività spendono miliardi per combattere il crimine, e per mantenere strutture di recupero.

Il fatto che la sostanza poi non venga controllata fa si che il tossico sia esposto a un alto rischio di avvelenamento. In più si è anche capito che le sostanze usate come additivi spesso sono più dannose delle droghe stesse, molto più cancerogene.

La criminalizzazione e i sensi di colpa provocati nel tossico sono poi un ulteriore aggravio che mette ancor più in difficoltà una persona che poi è costretta a rubare per procurarsi una droga scadente e conseguentemente un po' di serenità. Una "dose d'amore" per l'appunto; con questa osservazione Frate Alfonso ex tossicodipendente ha definito la condizione del tossico in una canzone che ha presentato al Festival di Sanremo 2000, che ha suscitato alcune polemiche negli ambiti laico-clericali. In una intervista Fra' Alfonso ha raccontato che prima di vestire il saio lui è stato un tossico, e quello che maggiormente lo spingeva nella 'roba' era l'assenza di affetto tra le persone e il desiderio di distanziarsi da una vita così. "Una dose d'amore" dunque, è la similitudine che ha provocato il dissenso del clero, era ovvio? Prevedibile? Addirittura a detta del amabile Frate si erano formati dei gruppi di preghiera perché lui non partecipasse al festival.

I metodi di pseudo-liberalizzazione adottati da alcuni paesi 'civili' d'Europa possono solo fare rabbrividire, se pensiamo che sono il risultato di attente valutazioni scientifiche e sociologiche: come negli esperimenti della Svizzera e della Danimarca, si è tentato di creare delle specie di ghetti dove convogliare e rinchiudere i tossici e dove a questi ultimi veniva somministrata l'eroina. Ma in fondo cosa hanno ottenuto in questi luoghi? Hanno ottenuto di accentrare i tossici di mezza Europa in un solo luogo. Esperimenti che riesumano iniziative pari a quelle dei nazisti durante il secondo conflitto mondiale. Questi posti sono diventati prima dei ghetti, poi hanno cominciato con l'assomigliare a dei campi di sterminio.

Detto questo, è ovvio che una iniziativa come la liberalizzazione, (con le dovute limitazioni) la droga si deve autopromuovere sul piano Europeo, altrimenti si creeranno solo migrazioni e scompensi. Liberalizzare non vorrebbe dire riconoscerne il commercio indipendente, bensì una semplice somministrazione controllata e un'accurata osservazione psico-fisica dei soggetti che già ne fanno uso, dimostrando di non potere fare a meno di questa sostanza. Grosso elemento a favore della legalizzazione degli stupefacenti è la possibilità di arginare o addirittura eliminare lo spaccio per strada e, riducendo la capillarità dello spaccio, meno giovani cadrebbero nella tossicodipendenza e nella microcriminalità. Con questa iniziativa i tossici verrebbero salvati dal pregiudizio di essere dei criminali, o comunque non avrebbero più bisogno di rubare per comprarsi la droga. Un altro fatto e non ultimo: il tossico sottoponendosi alla somministrazione entrerebbe in una dimensione di controllo che fino adesso il metadone e le altre sperimentazioni non hanno potuto garantire.

Ognuno di noi in qualche forma penso sia responsabile se qualcuno che conosce o ha conosciuto si droga.

Note

1. Il termine 'tunisino' è genericamente utilizzato nell'ambiente degli eroinomani per indicare gli spacciatori nord-africani, in generale.

2. Il termine "roba" indica l'eroina in senso stretto al punto da esserne diventato un vero e proprio sinonimo.

3. Per 'movimenti' s'intende indicare tutte quelle attività legate alla microcriminalità e allo spaccio di sostanze stupefacenti.

4. Ho pensato di usare in queste descrizioni alcuni termini che fanno parte del lessico della piazza che vengono utilizzati quotidianamente dai frequentatori; questi termini sono coloriti ma spesso particolarmente espressivi della realtà che trascorre in questo ambiente. "Svoltare", significa cercare di procurarsi denaro o altre sostanze stupefacenti al fine di commutarle in eroina.

5. Strada anticamente nominata via del ciliegio.

6. Augè M., (1992), Un etnologo nel metrò, Elèuthera editrice, Milano.

7. L'espressione indica lo stato in cui il tossicodipendente si trova quando l'effetto dell'eroina è al suo culmine.

8. Malizia E., (1996), Le droghe, Newton, Roma. "I primi sintomi della crisi di astinenza da oppiacei, insorgono da sei a dodici ore dopo l'ultima assunzione e sono caratterizzati da irrequietezza, iperestesia sensoriale, sudorazione profusa, rinorrea, sbadigli, sonno agitato (il cosiddetto sonno yen). Dopo circa 24 ore, questi sintomi si accentuano e se ne presentano altri; gli sbadigli possono essere di tale violenza da far lussare la mandibola; compare lacrimazione intensa, la pupilla diventa intensamente mitriadica, cioè dilatata, insorgono tremori, la pelle è fredda con erezione dei peli (cosiddetta sindrome del tacchino freddo); si manifestano violente contrazioni intestinali con vomito e diarrea profusa. A distanza di 36 ore la crisi raggiunge l'acme con forti brividi squassanti e sensazione di freddo intenso; tutto il corpo è percorso da tremiti, i piedi scalciano involontariamente, i crampi muscolari aumentano d'intensità; si avvertono dolori forti e diffusi, soprattutto a carico delle ossa. Tale sintomatologia a poco a poco regredisce e si risolve nel giro di 10/15 giorni, pur persistendo per alcuni mesi dolenza diffusa, fini tremori, stato di ansia, sensazione di freddo. La sua gravità è variabile e secondo molti autori, almeno in gran parte inconsciamente pretestuosa al fine di ottenere nuovamente la droga.

9. Oltre all'aspetto psicologico appena descritto, va considerato quello farmacologico, infatti l'organismo in questo momento non è più in grado di produrre un tasso adeguato di endorfine, per cui il soggetto non ha la minima possibilità di provare sensazioni gradevoli di alcun tipo. Tratto da una intervista di uno studente di farmacia.

10. Christiane F., (1997), Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, Rizzoli, Milano. Cit. pp. 162-162.

11. "La farmacodipendenza": un esempio di droga legalizzata. Il metadone può provocare una farmacodipendenza di tipo morfinico: in seguito a ripetute somministrazioni di metadone si possono verificare dipendenza psichica, dipendenza fisica e tolleranza e perciò esso deve essere prescritto e somministrato con la stessa cautela che si adotta per la morfina.

Per chiarire di cosa esattamente si tratta riporto la posologia che ho rinvenuto in una delle confezioni: il metadone deve essere usato con cautela e a dose ridotta in pazienti che ricevono contemporaneamente altri analgesici narcotici, anestetici generali, altri tranquillanti sedativi ipnotici, antidepressivi triciclici ed altri depressori del sistema nervoso centrale, compreso l'alcool, [a quanto mi risulta l'utilizzo dell'alcool si verifica spesso anche durante le fasi di disintossicazione]. Ansia. Il metadone non ha un effetto anti ansia, per cui i sintomi ansiosi che compaiono durante il trattamento non vanno trattati aumentando la dose. Lesioni craniche ed aumentata pressione intracranica. Gli effetti di depressione respiratoria del metadone e la sua capacità di aumentare la pressione del liquido cerebrospinale possono essere notevolmente aumentati in presenza di aumenti della pressione intracranica; in oltre i narcotici producono effetti collaterali che possono confondere il decorso clinico di pazienti con lesioni craniche...Effetti indesiderati: I rischi principali del metadone sono rappresentati dalla depressione respiratoria e in minor misura da depressione circolatoria, arresto respiratorio, shock ed arresto cardiaco".

12. In questo aspetto il gruppo è caratterizzato da un forte senso di appartenenza che viene definita dal fatto di condividere delle attività, o per lo meno, come nel caso specifico, delle esperienze: "..è un fenomeno discontinuo la cui intensità nell'individuo varia notevolmente con il tempo e le situazioni, e che soprattutto è distribuito irregolarmente tra i membri. Tranne certi momenti: quando determinate situazioni interne od esterne stimolano in tutti membri del gruppo un forte senso di identificazione, sufficiente a fare anteporre temporaneamente la solidarietà verso quel gruppo ad ogni altra forma di solidarietà. In quel momento, solitamente breve". [Gallino L, (1990), Dizionario di sociologia, Utet, Milano].

13. Servizio tossicodipendenza.

14. Il piercing consiste in applicazioni sul corpo di ferri di forme geometriche: punte, anelli etc. Oggi molto in voga tra altri gruppi giovanili, come il tatuaggio forse il piercing è una delle forme decorative corporie più estreme che questa fine di secolo ci offre.

15. Maffesoli M., (1988), Il tempo delle tribù, Armando editore, Milano. Cit. pp. 115-116.

16. È un'espressione usata tra i tossicodipendenti per indicare i poliziotti in borghese.

17. Sul problema della carcerazione si potrebbe parlare molto. L'approccio di queste strutture alla dipendenza è spesso esclusivamente punitivo. Questo fatto mette in condizione ancor più difficoltosa il deviante tossicomaniaco. Ho assistito pochi giorni fa alla presentazione di un libro di Toni Negri, sulla carcerazione 'Reo'. Alla presentazione e seguito un dibattito, e in merito al problema della carcerazione dei tossicodipendenti si è espresso Don Cuba il parroco del carcere di Sollicciano. Anch'egli conveniva sull'inutilità delle pene detentive per i tossici che in quegli ambienti non fanno altro che peggiorare.

18. In questo tipo di operazioni di prevenzione le forze dell'ordine si muovono prevalentemente sulla base di elementi indizianti che rivelano l'appartenenza ad una determinata tipologia di persone, considerata, in virtù di parametri valutativi su cui si fonda il cosiddetto "metodo del sospetto", più facilmente criminogena: una categoria particolarmente "a rischio" è ad esempio, quella degli extracomunitari di origine magrebina. Al di là di facili rilievi critici di natura strettamente giuridica su questo sistema di prevenzione adottato dalle forze dell'ordine, è un dato di fatto che un certo tipo di mercato viene gestito in larga parte, anche fino al dettaglio, da stranieri nordafricani. Per uno studio in una prospettiva sociologica dell'argomento vedi Matza (1982): "Il metodo del sospetto" Laterza, Bari.

19. Tanti sarebbero i documenti riproducibili dalla cronaca nera, di tutte le città d'Italia e chissà nel mondo. Tante le vittime coinvolte in un modo o nell'altro in una guerra che più studio questo argomento e più mi sembra incoerente e spietata.

20. Lucchini A., Strepparola G., Vitali R. (1997), Dopo l'eroina, la sfida del naltraxzone, Franco Angeli, Milano.

21. Ibidem.

22. Conobbi all'inizio della mia frequentazione in questo ambito, dal vinaino di via degli Alfani ma ancora non era definito l'argomento per questa tesi, un individuo che da più di 25 anni faceva uso di eroina; la mia conoscenza fu data dal fatto che stava festeggiando questo anniversario e euforicamente ne rendeva partecipe chiunque gli stesse seduto accanto. Vizietto, amava chiamarlo e durante la narrazione con non troppo arguti sottintesi lasciava trapelare l'entità di questo vizietto. Da allora non l'ho più visto, ma non stento ad immaginare come siano terminati i festeggiamenti.

23. Questa considerazione mi è stata fatta da un assistente sociale di una comunità nei pressi di Ravenna, il suo atteggiamento era molto comprensivo nei confronti dei soggetti coinvolti nel problema. Sosteneva, anche lui, il pericolo della criminalizzazione del tossico dipendente, definendolo 'gravissimo'.

24. Importante il fraintendimento che la ragion comune sta avendo con le strutture psichiatriche di questi tempi: scriveva Basaglia, "il manicomio ha la sua ragion d'essere perché fa diventare razionale l'irrazionale, per cui quando qualcuno è folle ed entra in un manicomio smette di essere folle per trasformarsi in malato. Diventa razionale in quanto malato". Il tossico prematuro che si è avvicinato a questa sostanza per sfuggire a qualcos'altro non è altro che un malato come un altro; "l'aziendalizazzione" dei servizi sanitari nazionali ha portato ad uno stroncamento della "medicina relazionale" che deve trovare un punto di incontro tra un soggetto coinvolto e l'operatore, impartendo delle direttive farmacologiche completamente burocraticizzate, per cui ad un sintomo si risponde automaticamente con un farmaco. Celebre l'abuso dell'elettrschokterapia e delle terapie farmaceutiche conseguenti all'entrata in vigore della legge 180. Per un confronto; di Franco Basaglia (a cura di) L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, (1968), Einaudi To.

25. Per questa materia la psicanalisi e la psicologia dello sviluppo convergono che la formazione di una capacità di giudizio efficace di fronte ad un certo genere di scelta, tale capacità dipende essenzialmente da una prima formazione giovanile che abitua l'infante a tenersi lontano da circostanze, che già intuitivamente impara a definire, ingestibili. Come da documentazioni raccolte in questa tesi e riportate da altre fonti, risulta che il fenomeno dell'eroina al primo impatto viene sottovalutato e che il ricorso spesso è spinto da una vera e propria forma di incoscienza.

26. D. Olivieri, G. Padovani: (1996), I decessi per droga in Italia, Francoangeli, Milano.

27. E. Facchinelli: (1980), Eroina: no al libero mercato, in "Corriere della sera", del 12 gennaio.

28. Svariati sono i casi in cui i soggetti si disintossicano e ricominciano nell'arco di un anno. A seconda dei tempi e della qualità delle terapia organizzati all'interno di famiglie con l'appoggio di strutture sociali o di comunità terapeutiche...si allungano i periodi di non utilizzo di sostanze spesso anche a distanza di anni la tossicodipendenza ricompare, ma basta poco, spesso niente perché un ex tossico torni ad essere tossico.

29. In comunità ridotte sia come estensione geografica che come numero di abitanti l'autocontrollo è sociale, e non solamente in maniera punitiva come nelle grandi aree. La tradizione organizzativa e culturale fa si che ci siano collettività numericamente elevate, all'interno delle quali convivono svariate comunità, che mantengono questa caratteristica di sapersi autotutelare. Le grandi città o anche le piccole metropoli vanno smarrendo questi principi di coesione sociale. L'individualità è un principio al quale le società occidentali sempre più sono improntate, la famiglia è spesso l'unico gruppo di appartenenza di un individuo. E spesso non basta. Questo è un dato di fatto.

30. Alberti, T., P. Faccioli, G. Palmieri, (1985), Droga. Il paradosso della normalità. Franco Angeli, Milano.

31. Il Fahlafel è una specie di panino, fatto con la piadina araba dove dentro viene messa della carne di vitello o farcito con polpette di agnello, ortaggi e aromi.

32. Lello infatti fa parte di una delle ultime ondate di migrazione dal meridione verso il nord, lui è di origine Pugliese e la prima parte della sua storia compresi i primi anni di tossicodipendenza si svolge a Milano intorno ai primi anni '70.

33. Tale definizione indica una antica borgata fiorentina, per l'appunto Borgo Allegri uno dei vicoli del quartiere di Santa Croce, vicolo adiacente alla chiesa di Santa Croce, nota per il fatto di accogliere le spoglie di illustri personaggi della storia d'Italia.

Santa croce, insieme ad altri tre quartieri: San Frediano, San Giovanni e Santa Maria Novella rappresenta il centro di Firenze; a proposito di questa spartizione esiste il 'calcio in costume' noto anche come 'calcio storico fiorentino'. Una competizione sportiva cittadina legata al passato che vede Firenze suddivisa in quattro, ogni parte rappresentata da un quartiere e da un colore. Nel tempo questa manifestazione si è molto edulcorata fino ad assumere un valore d'intrattenimento solo per stranieri e turisti. Anticamente questa manifestazione dalla popolazione dei quartieri era molto più sentita, come dimensione dell'evento poteva confrontarsi con il Palio di Siena che contrappone i 'contradaioli' delle diverse contrade, in cui si divide la città, nella vita sportiva ma che per alcune vicende mantiene un valore di appartenenza e solidarietà anche nella quotidianità.

34. I Sardi sono una famiglia di origine corsa, erano sette fratelli di cui due donne, entrambe decedute di Aids, i fratelli sono tutti dediti allo spaccio ma nessuno di eroina con continuatività, sono tutti alcolizzati tranne il più giovane che fino adesso ha condotto una vita soltanto di piazza; essi sono il punto di riferimento per diversi vagabondi di origine sarda di cui parlerò più specificatamente quando illustrerò il caso di Ernestino ex-pastore scappato da Arzachena per una lite di famiglia, si è evirato due anni fa a causa una depressione trattata dai medici dell'assistenza sociale con massicce dosi di psicofarmaci.

35. La Stramilano è una maratona a cui partecipano professionisti e non un po' come la Guarda-Firenze, ma molto più competitiva.

36. Per quanto riguarda la tolleranza e la liberalizzazione delle droghe in Italia la riflessione va riportata all'interpretazione della forte impostazione paternalistica dello stato. Uno stato simile a quello descritto da Foucault, che deve difendere i suoi cittadini dai pericoli e dalle tentazioni, e deve punire, i devianti a monito per tutti gli altri. [Cfr. Foucault M., Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino].

37. Se il soggetto è in un periodo in cui la quantità di eroina nel sangue non supera la soglia del "viaggio", si verifica il quadro della "psicosi tossica" che può essere di tipo paranoide con delirio di grandezza e di persecuzione, o di tipo panico, dominata dal terrore d'impazzire, di non potere tornare più indietro.

Il viaggio si accompagna anche a turbe neurovegetative come midriasi, aumento della pressione, della frequenza cardiaca e respiratoria, nausea, salivazione ed anche turbe dell'equilibrio. In genere la psicosi si esaurisce con lo smaltimento delle sostanze da parte dell'organismo, ma talvolta può prolungarsi con un quadri di tipo dissociativo o uno stato di ansia permanente; altre volte la psicosi può divenire ricorrente con manifestazioni periodiche che prendono il nome di "flashback". Cfr. per ulteriori informazioni Lampronti V., Alessi C. (1996), Le tossicodipendenze giovanili, Utet, Torino.

38. Bleuler E., (1967), Trattato di psichiatria, Feltrinelli, Milano. Cfr. p. 79.

39. Andrea Pazienza è un fumettista vissuto tra gli anni 70 e 80, è morto di overdose e i suoi personaggi hanno quasi tutti in comune l'amore per ogni genere di droga, penso che a suo modo abbia influenzato abbastanza le generazioni di quegli anni, la sua opera continua ad essere pubblicata in raccolte singole, tra i suoi personaggi più incisivi voglio ricordare "Zanardi" cinico e disumano studente del DAMS di Bologna che venderebbe, baratterebbe o cederebbe qualsiasi cosa pur di fare del male o di farsi. Nell'ultimo fumetto concluso del 1986 dal titolo Pompeo contro Zanardi, Pompeo è la personificazine di Andrea Pazienza che si scontra psicologicamente e fisicamente con Zanardi, il suo alter-ego negativo. Da tale scontro Pompeo esce vincitore. Pochi mesi dopo Andrea Pazienza morirà di over dose.

40. Il Cockero, è il nome con cui in alcune parti del Sud America si indica colui che fa da corriere della cocaina tra uno stato e l'altro. I Cockeros devono essere abili nel seguire itinerari di attraversamento della frontiera veloci, fidati e sempre nuovi.

41. Per un resoconto sulle idee di coinvolgimento politico e sociale dell'eroina nello stato e nella società vedi: AA.VV. (1979), L'eroina di stato. Interventi di tossicomani, operatori e gruppi di base sulla legalizzazione. Speciale salute e territorio, rivista bimestrale, di politica socio sanitaria, La Nuova Italia, Firenze.

42. Devereux G., (1975) 'Teoria dell'emergenza' in: "Saggi di etnopsicanalisi complementarista", Bollati Boringhieri, Torino.

43. A Firenze ci sono degli alberghi popolari e delle associazioni laiche e religiose che accolgono per la notte quelli che di giorno sono sia spacciatori di droghe leggere sia tossici dipendenti oramai giudicati dall'assistenza sociale come inguaribili ma che lo stesso "godono" di queste strutture. L'albergo Popolare di via Santa Monaca è uno dei ricoveri storici della città: in questi spazi alloggiano vecchi alcolizzati e mezzi barboni che avendo un appoggio per la notte e per un pasto caldo assicurato, portano avanti la vita seguitando a bere e cercando di guadagnare qualche lira che alla fine gli serve solo per bere. Uno dei personaggi in questo senso da segnalare è Paperino, persona di cui ignoro il nome ma di cui conosco il soprannome, del quale se ne intuisce facilmente la radice: è sempre ubriaco ed essendo completamente sdentato parla come Paperino. Egli è soggetto di grande valore sociale: Paperino da ormai trent'anni vive all'albergo popolare. Nonostante abbia poco di più di cinquanta o cinquantacinque ne dimostra più di settanta, tutte le mattine da trent'anni a questa parte, tranne forse i giorni in cui la sera prima ha esagerato, prende il suo carrello per raccattare cartoni, e fa il giro di Firenze in cerca di carta riciclabile. Fino a dieci anni or sono diversa gente svolgeva quest'attività oggi sembra l'unico forse per colpa della raccolta differenziata? Oggi raccoglie lattine vuote, poche, e pezzi di rame. Il carrello ha incorporata una bicicletta che dovrebbe spingere il tutto, ma dà sette od otto anni il carretto lo spinge a piedi perché ha problemi a pedalare e anche a deambulare, ma il carretto lo spinge diritto tutto sommato. È facile vedere di fronte a diversi bar il carretto di Paperino tutte le mattine ad un ora x il carretto è di fronte al bar y con una puntualità impressionante....alle 13 è possibile individuarlo nei pressi dell'albergo, ormai completamente ubriaco e con una fila di macchine che gli suonano alle spalle, mentre va verso il pranzo... questo è un esempio a mio avviso encomiabile di come una vita anche se al "minimo" può riuscire ad andare avanti tenendo presente un fatto importante e cioè che Paperino in San Frediano e forse in tutta Firenze è un vero personaggio, una specie di mascotte e guai se qualche sprovveduto lo toccasse.

44. Cfr. Maffesoli M. (1990), L'ombra di Dionisio, Garzanti, Milano.

45. Infinita per quanto riguarda il nostro secolo la quantità di artisti che facevano uso di eroina. La droga riscosse un certo "successo" all'inizio dell'800 a Parigi nei circoli d'intellettuali ed artistici. Esohotado riferisce un aneddoto particolare: sembra che l'orafo Cartier si fosse messo a produrre siringhe d'argento per i suoi clienti. [Esohotado A. (1997), Piccola storia delle droghe, Donzelli, Roma]. Più vicini nel tempo a noi tanti musicisti, pittori e disegnatori italiani di fumetti hanno fatto uso di eroina vorrei ricordare il massimo "cantore" dell'eroina Andrea Pazienza.

46. Malizia, E., (1996), Le droghe, Newton, Roma. Cfr. cit. p. 194.

47. Da statistiche riportate su più testi, citati in bibliografia, si può sostenere che l'età media in cui un soggetto comincia a drogarsi prima con sostanze non per forza le 'droghe leggere' ma spesso anche dopo cure farmacologiche, è un età che va dai 16 anni ai 32.

48. Ho avuto modo di svolgere anch'io il servizio civile presso la sovraintendenza di Firenze ed ho conferma, dai miei coetanei anche loro a servizio, che costretti a svolgere compiti che travalicavano il loro ruolo di ausiliari. Spesso erano loro affidate competenze che avevano lo scopo di sostituire ruoli mancanti o svolti in maniera non efficace dal personale addetto e retribuito. Questa fatto contravveniva alla legislazione che si riferisce alle competenze dell'obiettore di coscienza.

49. Non è da tralasciare il fatto che in passato tale comunità fu coinvolta in un caso di omicidio che alla fine non ha visto una condanna ma che molto probabilmente è da ritenersi associato ai metodi poco ortodossi a cui ogni tanto si ricorreva a San Patrignano. C'è anche da sottolineare particolari iniziative, che hanno il carattere dell'iniziazione, tipo quella di portare i soggetti da poco tempo nella comunità a visionare la monta dei cavalli la mattina presto; vi era anche un forte sentimento misogeno che è testimoniato in più di uno scritto di ex tossici usciti dalla comunità.