ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Introduzione

Silvia Sbordoni, 1998

Il Trattamento sanitario obbligatorio rappresenta l'ultima forma di ricovero coatto ancora esistente nel nostro paese. Concepito fin dall'inizio - nell'ambito di una legge emanata per evitare un referendum, e perciò non immune da compromessi politici - come uno strumento da rivedere, precisare e correggere ma sempre e comunque terapeutico, il trattamento sanitario obbligatorio non è mai stato, dal 1978 ad oggi, né oggetto di alcuna modifica normativa né, per ammissione di chi lo dispone e per l'esperienza di chi lo subisce, un provvedimento effettivamente terapeutico-sanitario. Come si esprime la maggioranza degli psichiatri, il ricovero in Trattamento sanitario obbligatorio, svolge, praticamente in ogni contesto e circostanza, una funzione di "tampone", di contenimento rispetto ad un'emergenza familiare e sociale prima ancora che sanitaria. Probabilmente anche a causa di questo utilizzo del Trattamento sanitario obbligatorio come strumento, a carattere essenzialmente repressivo, di contenimento e di difesa sociale, al di là degli addetti ai lavori pochi sanno della sua esistenza o comunque cosa esso sia.

All'indomani della emanazione della legge 180, la così detta legge Basaglia, si sviluppò un grande dibattito intorno alla chiusura (in verità ancora lontana) dei manicomi ed alla futura nascita di servizi psichiatrici territoriali volti a curare e non più a segregare. Al contrario, le discussioni e le riflessioni intorno all'unica forma di ricovero coatto ancora ammessa dal legislatore italiano sono state scarse e, comunque, svolte sempre in ambiti professionali ristretti senza mai riuscire a coinvolgere l'opinione pubblica. L'impressione è che il Trattamento sanitario obbligatorio, prima ancora di essere sperimentato nella pratica, evocasse ed evochi tuttora, ma soprattutto mantenga in vita, tracce di un passato di violenza, ingiustizia, repressione ed emarginazione che si vuole superato e si tenta perciò di dimenticare. Ancora oggi l'atteggiamento dominante, sia a livello sociale che livello medico-psichiatrico, è di questo tipo. Ciò spiega le numerose difficoltà che ho incontrato nel portare a termine questo mio lavoro, essendomi scontrata talvolta contro un vero e proprio muro di silenzio che spesso ha assunto le sembianze della nuova legge sulla privacy.

Proprio la scarsa consapevolezza intorno alla natura ed agli obiettivi di un provvedimento come il Trattamento sanitario obbligatorio, hanno suscitato la mia curiosità ed accresciuto i miei interessi giuridici e sociologici attorno alla problematica della malattia mentale; interessi che avevo sviluppato attraverso l'approfondimento, nell'ambito del corso di sociologia del diritto, della sociologia della devianza statunitense degli anni cinquanta e sessanta.

Ho tentato di soddisfare la mia curiosità e di assecondare i miei interessi procedendo ad un'analisi delle circostanze terapeutiche, familiari e sociali entro cui si realizza in Italia un Trattamento sanitario obbligatorio. In particolare ho letto ed interpretato i testi, le documentazioni e le testimonianze raccolte in questi mesi alla luce delle ricerche e delle riflessioni di Edwin Lemert. Quest'autore ha infatti riservato una particolare "attenzione sociologica" alla malattia mentale ed in specie al ricovero coatto del malato di mente. Nelle sue ricerche Lemert analizza in particolare le circostanze familiari e sociali che (insieme ovviamente a quelle psichiatriche) conducono all'ospedalizzazione del soggetto disturbato, soffermandosi sull'influenza che tale ricovero ha sulla vita del paziente: sulla sua capacità lavorativa, sulla sua sfera affettivo-familiare e in generale sul suo status e ruolo sociale.

In tale contesto Lemert elabora la distinzione fra devianza primaria e devianza secondaria. Si tratta di un concetto che ha guidato la maggior parte delle indagini del sociologo americano in tema di devianza e che ha riscosso immensa fortuna nell'ambito della sociologia americana avendo contemporaneamente grande influenza sul movimento italiano di psichiatria alternativa.

Tale distinzione si basa su una fondamentale considerazione: le sanzioni sociali, di tipo formale ed informale, alle quali i diversi tipi di devianza vanno incontro debbono considerarsi fattori dinamici che influiscono, secondo varie modalità ed in misura diversa, sull'entità e lo sviluppo della iniziale devianza. Specificamente, l'interazione tra le reazioni sociali negative al comportamento deviante ed il comportamento stesso rappresenta un elemento in grado di incidere sul percorso familiare, lavorativo e sociale dell'individuo. Questo concetto, apparentemente banale e riduttivo, si è dimostrato singolarmente valido ed efficace nell'ambito della verifica empirica da me compiuta.

In particolare la distinzione operata da Lemert fra reazione sociale di tipo informale e reazione sociale formale assume un preciso significato nel decorso della malattia mentale. Fino a quando il comportamento del soggetto non viene, secondo varie modalità, registrato pubblicamente ed ufficialmente come sintomo psichiatrico, ma al contrario definito e razionalizzato come eccentrico o bizzarro, sembra che la malattia non alteri il destino familiare e sociale dell'individuo. Viceversa laddove un simile riconoscimento ufficiale si verifichi (in corrispondenza di azioni, comportamenti ed accadimenti di vario genere che contribuiscono a diminuire la tolleranza fino a quel momento manifestata verso la persona), le conseguenze sul piano individuale, sociale e terapeutico sono evidenti.

Ai fini della realizzazione del mio progetto di ricerca è stato necessario procedere, dopo un approfondimento della letteratura sociologica statunitense sulla devianza (non solo Lemert, ma anche Goffman, Matza, Becker, Scheff, Schur, Taylor, Walton, Young, Hester, Eglin), ad un'attenta analisi ed interpretazione delle norme che direttamente e indirettamente (in campo privatistico, amministrativo e penale) regolano la materia. In particolare ho esaminato, anche alla luce dei contenuti fondamentali della normativa precedente, la legge 180. Una legge che - come cercherò di precisare - rappresenta nell'ambito della legislazione ed organizzazione psichiatrica del nostro paese (e non soltanto per il nostro paese), un importante spartiacque.

Particolare attenzione ho riservato ai processi che, a livello medico-psichiatrico, sociale, politico e legislativo, hanno condotto all'emanazione della legge. In secondo luogo, attraverso una descrizione dettagliata della stessa legge ed un raffronto con le legislazioni psichiatriche di altri paesi europei, ho cercato di evidenziarne il carattere profondamente innovativo.

Tale carattere innovativo si manifesta principalmente nell'attenzione che la legge riserva alla tutela della dignità e dei diritti fondamentali della persona che subisce un Trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale. Un aspetto della legge, questo, che trova un fondamento diretto nella nostra Costituzione, e che si esprime sia nelle norme di principio sia attraverso disposizioni specificamente volte ad offrire al paziente sottoposto a Trattamento sanitario obbligatorio precisi strumenti di tutela amministrativa e giurisdizionale.

Ho inoltre descritto i requisiti, le modalità procedimentali, i luoghi di svolgimento del Trattamento sanitario obbligatorio, fissati in maniera rigorosa dal legislatore, prestando una particolare attenzione ai criteri (in specie la continuità terapeutica e la necessità terapeutica del ricovero) che, nell'ottica del legislatore del 1978, dovrebbero guidare medici, sindaco e giudice tutelare nel disporre, prolungare e revocare un Trattamento sanitario obbligatorio.

Infine ho esposto (non senza aver prima condotto anche una ricerca a livello giurisprudenziale che in verità si è rilevata semplice e rapida per la scarsità delle sentenze emesse a riguardo) le numerose critiche e questioni interpretative, nonché i problemi applicativi che all'indomani dell'entrata in vigore della legge 180 sorsero.

L'aggiornamento sulle ultime novità di carattere normativo ha richiesto, come la ricerca giurisprudenziale, poche energie poiché, come ho accennato, dal '78 ad oggi il Parlamento italiano non ha mai proceduto a sostanziali modifiche della legge 180, pur essendo stati numerosi i disegni ed i progetti di legge presentati in questi venti anni alla sua approvazione. Nel 1994 il Presidente della Repubblica ha emanato con apposito DPR un documento approvato dal Parlamento avente validità triennale: il "Progetto Obiettivo per la tutela della salute mentale". Tuttavia tale documento presenta forti limiti per la sua natura di provvedimento di indirizzo non vincolante e per il ritardo con il quale è stato emanato e con cui si procede, attualmente, alla sua nuova stesura.

Un'altra consistente parte del mio lavoro si è concretizzata in una ricerca pratica condotta in primo luogo nell'ambito dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura degli ospedali dell'area fiorentina in cui si effettuano i Trattamenti sanitari obbligatori (attraverso interviste strutturate a psichiatri che lavorano in detto servizio e, contemporaneamente, sul territorio), in secondo luogo sulle modalità concrete di svolgimento del procedimento di ricovero coatto. In particolare la verifica sul funzionamento concreto della procedura è avvenuta grazie alle testimonianze delle figure in essa direttamente coinvolte: sindaco, vigili urbani, giudice tutelare.

In questa fase mi è stato possibile visitare alcuni servizi psichiatrici di diagnosi e cura, verificarne l'organizzazione interna ed il modo in cui, in essi, vivono i pazienti in Trattamento sanitario obbligatorio.

Nell'ultima parte della tesi presento i percorsi terapeutici, familiari, lavorativi e sociali di quattro persone che, almeno una volta, hanno subìto un ricovero in Trattamento sanitario obbligatorio. Ricostruire tali percorsi è stato assai difficoltoso a causa della diffidenza che talora gli psichiatri - soprattutto in un primo momento - manifestano verso chiunque cerchi di avvicinarsi al problema psichiatrico con un approccio che non è di tipo medico. Anche in tali condizioni tuttavia ho potuto verificare empiricamente la validità di ciò che Lemert, qualche decennio fa ed in un contesto diverso, osservò rispetto al ricovero coatto ed al processo di esclusione del malato di mente.

Un ringraziamento va a quegli psichiatri che hanno mostrato sincero interesse per il mio lavoro e che mi hanno offerto la loro disponibilità spiegandomi pazientemente il significato di termini medici e psichiatrici per me altrimenti incomprensibili, le origini e le manifestazioni principali di alcuni disturbi mentali e raccontandomi le storie di persone affette da malattie rispetto alle quali - spontaneamente e senza alcuna reticenza - hanno spesso ammesso la loro impotenza terapeutica.