ADIR - L'altro diritto

ISSN 1827-0565

Capitolo quarto
Porto Azzurro dopo la rivolta

Ilaria Masini, 1997

1. Riprendere il cammino. È questo il titolo dato all'articolo del detenuto Sergio Baccetti pubblicato sulla edizione speciale de "La Grande Promessa". Riprendere il cammino dopo la 'rivolta' è ciò che più intimorisce e preoccupa i detenuti della Casa di Reclusione elbana. Una preoccupazione razionale e assolutamente condivisibile se si pensa alla diffidenza con cui la gente normalmente tratta la materia carcere e guarda con sospetto il detenuto e tutto l'apparato penitenziario, anche quando le cose vanno per il meglio. Porto Azzurro, in realtà, sembrava un carcere che aveva conquistato la curiosità, per non dire la fiducia della gente. Un carcere all'avanguardia, un carcere che, sempre nella piena legalità, riusciva a non perdere di vista l'aspetto umano, un carcere energico e vivo, un carcere unico. Per questo motivo quelli furono sette giorni di timori per tutti gli altri detenuti, timori che hanno portato addirittura gli stessi ad un gesto di ferma opposizione: la dissociazione dai sei ribelli. Un comportamento esemplare il loro, come è stato detto più volte. Un comportamento che merita di essere sottolineato e motivato riportando le parole di Sergio Baccetti, il quale sembra ben interpretare il pensiero di tutti i detenuti evidenziando i pregi del nuovo ordinamento: "La riforma penitenziaria ha operato veramente in profondità nelle carceri, cambiandone anche mentalità, usi e costumi. Riteniamo che ciò non lo possa negare nessuno. [...] Eliminare ogni forma di disperazione, fornire concrete speranze di recupero a tutti coloro che vorranno e sapranno approfittarne, rendere più sopportabile il doloroso excursus della pena [...] vuol dire far vivere con estrema tranquillità i pur tristi giorni della separazione dalla libertà. Si può dire sicuramente che almeno da quindici anni, da quando cioè era scomparso il retaggio del tristemente noto Porto Longone, nulla di eclatante era avvenuto tra queste mura. Per questi motivi, quella sorta di mina vagante non può certo fare testo. [...] La riforma ha veramente cambiato le carceri e per quanto riguarda Porto Azzurro i segnali sono molteplici e precisi. Infatti questo Istituto cominciò moltissimi anni fa, quando nemmeno la prima riforma era apparsa, a darsi un assetto particolare ed un modus vivendi che precorrevano i tempi. [...] Purtroppo occorre riconoscere che quella settimana colpì sfavorevolmente l'opinione pubblica e dette un buon punto d'appoggio a tutti coloro i quali non vedevano di buon occhio la riforma carceraria. Ma a Porto Azzurro le basi, sulle quali era stata costruita una piattaforma di fiduciose speranze, erano salde ed estremamente valide, ed hanno tenuto. I detenuti, tutti senza eccezione, dopo aver dimostrato consapevolezza ed autodisciplina al momento dell'emergenza, hanno potuto pertanto riprendere le attività lavorative, ed anche i vari settori ricreativi e del tempo libero hanno ricominciato a funzionare. Lo staff direttivo, in perfetto accordo, ha inteso proseguire su una strada che si era dimostrata più che producente e positiva, una strada che in tanti anni aveva portato questo istituto su una posizione di netta avanguardia nell'ottica di un effettivo reinserimento".

2. Tavola rotonda. Che fare? È quello che si chiedono gli operatori penitenziari, il Tribunale di sorveglianza e molti detenuti durante una tavola rotonda organizzata all'interno di Porto Azzurro e incentrata sul recente episodio che ha investito il carcere. Il direttore in carica è ancora Cosimo Giordano il quale durante la riunione esprime la sua forte preoccupazione: "Un fatto del genere è capace di distruggere, in un attimo, la credibilità che avevamo acquisito con anni e anni di lavoro. Gli sforzi a venire ci vedranno tutti impegnati nel tentativo di riacquistare questa credibilità. Si tratta quindi di riconquistare le posizioni perdute". In linea con il pensiero riferito dal direttore Giordano, è il dottor Gratteri della procura generale: "Se poniamo che sia stata la riforma carceraria a consentire che l'episodio non finisse in tragedia, bisogna che questo fatto venga portato a conoscenza anche della gente e che la gente se ne convinca. In realtà avviene il contrario, vale a dire che la gente attribuisce la colpa di questi episodi proprio alla riforma" (1). Anche il Presidente Margara si sofferma su questo punto: "L'orientamento volto ad individuare nella riforma l'artefice che ha portato alla soluzione del caso non è un discorso surreale: tutto sommato i rivoltosi si sono arresi in nome della riforma. Che poi questi discorsi siano serviti al ministro o al direttore generale e agli stessi ribelli per uscire indenni da una situazione di estremo disagio, non toglie validità al fatto che è stata proprio la riforma a fornirne la chiave. C'è comunque un settore dell'opinione pubblica che ha ricavato una certa lezione dagli avvenimenti e un altro settore che ne ha ricavato un'altra. Probabilmente il settore di opinione pubblica più vicina ai nostri fatti attribuisce alla riforma il merito della soluzione del caso; quello più lontano, cioè la maggior parte delle persone, addossa alla riforma la responsabilità del caso. Del resto per noi è impensabile che ci si possa muovere senza delle difficoltà. Personalmente ritengo che il tipo di ostacolo in cui ci siamo scontrati appartiene ad un fenomeno in un certo qual modo inevitabile in un contesto carcerario in via di trasformazione [...] D'altra parte, è impensabile ipotizzare un bilancio che non contenga la voce del passivo. In questo momento, tuttavia, dobbiamo impegnare tutte le nostre risorse e tutte le nostre energie affinché le cose vadano avanti, ma vadano avanti bene. Non perdendo di vista che alcune cautele si impongono in presenza di elementi che spingono per farci andare indietro. Misure cautelari che si risolvono poi in un vantaggio, almeno nei confronti della maggioranza dei detenuti responsabili e responsabilizzati".

Gli interventi dei detenuti presenti al dibattito sono tesi alla difesa e all'elogio della nuova legge penitenziaria: "La riforma, se ha avuto un banco di prova, a mio parere è stato in questo episodio. Il fatto che ci sia la riforma, il fatto che il detenuto sia trattato come essere umano, come soggetto e non più come oggetto ha determinato nei detenuti protagonisti di questo episodio una riflessione tale da evitare di portare il loro gesto alle sue estreme conseguenze. A mio parere siamo sulla buona strada" (2).

3. Dopo la rivolta la riforma è sotto accusa. "Dopo l'episodio di Porto Azzurro sarà necessario rivedere la riforma", sono parole di Mario Gozzini, ideatore del provvedimento sui benefici ai reclusi. "La riforma - continua l'ex deputato - si difende con il coraggio di correggere quel che non va e il dopo-rivolta rende necessaria una riflessione. Una riforma espone sempre a qualche rischio; una rivolta può esplodere ovunque e questo non vuol dire che si debba tornare indietro dalla giusta via. Ma di una riflessione si sente il bisogno a garanzia di tutti i detenuti. Forse bisogna tornare ad un ordinamento che regoli il regime di massima sicurezza, almeno per i reclusi sottoposti a sorveglianza particolare, qualche decina in tutto. Per carità non dico certo che bisogna tornare ai braccetti della morte o alle carceri speciali. Tutti i detenuti devono usufruire delle garanzie offerte dalla nuova legge, che ha sottratto all'arbitrarietà dell'amministrazione penitenziaria la decisione di sottoporre il detenuto a regime particolare. Adesso si può essere sottoposti ad sorveglianza speciale solo per un periodo di sei mesi, rinnovabile. E contro questa misura il detenuto può appellarsi al magistrato. Ebbene questa garanzia va mantenuta, insieme alla sicurezza di beneficiare di tutti i capitoli della legge penitenziaria, dalle ore d'aria ai colloqui con i familiari, alla possibilità di lavorare all'esterno, magari sotto scorta. Ma la sorveglianza deve essere veramente 'speciale'. Dove ora c'è un agente, ce ne devono essere due, tre e più qualificati. È indispensabile quindi aumentare gli organici, procedere alla riqualificazione professionale e migliorare il loro trattamento economico. Anche questa è un'urgenza suggerita dai giorni di Porto Azzurro. Si tratta insomma di riaggiustare le cose. Forse si dovrebbe arrivare a dividere la popolazione detenuta in tre fasce di carceri: quelli di maggior sicurezza per i detenuti da sottoporre a sorveglianza particolare; quelli destinati alla maggior parte dei reclusi, 'a regime normale'; infine quelli più 'leggeri' per i detenuti minori, già destinati alle misure alternative" (3).

4. Il dottor Zottola, educatore. Dal 1º gennaio 1979 il dottor Domenico Zottola è coordinatore dell'area educativa della Casa di Reclusione di Porto Azzurro. Avrebbe tutte le carte in regola per fare il concorso e diventare direttore, ma a lui non è mai interessato, ama svolgere il proprio lavoro e ama il ruolo che sta ricoprendo. Ventotto anni di servizio, e sempre nel carcere di elbano. Il dr. Zottola è una delle poche persone che può raccontare il prima e il dopo 'rivolta', come ha vissuto quell'episodio e come il carcere ha superato i momenti difficili successivi alla vicenda: "Doveva essere solo un tentativo di evasione di sei detenuti, ma il loro piano fallì e si trovarono a dover scegliere velocemente un'alternativa e così sequestrarono più di trenta persone. Volevano solo scappare e invece si trovarono di fronte una situazione che andava oltre le loro aspettative. Alla fine non restò loro altra scelta che essere disponibili al dialogo. Avevamo tutti una grande paura. Chi per un verso, chi per un altro. Comunque la paura maggiore era quella che scattasse un attacco dei NOCS. Ogni cosa era già predisposta e pronta per il blitz. Per fortuna si è concluso tutto per il meglio e anche il carcere non ha risentito particolarmente della vicenda. Ha assorbito bene le complicazioni e i momenti difficili, anche perché non ci sono state grosse conseguenze e ripercussioni. L'episodio è stato dimenticato e ben presto sono stati ripresi tutti i corsi. Anzi sono state ampliate le attività e le iniziative formative e di carattere scolaresco. Ad esempio ci sono adesso due corsi di scuola media, a cui partecipano un centinaio di detenuti, un corso di alfabetizzazione e uno di scuola magistrale. Purtroppo quest'ultima non è riconosciuta, non è istituzionale, nonostante che siano sette anni che chiediamo al Provveditorato degli studi un atto teso al riconoscimento del nostro corso organizzato all'interno del penitenziario. Inoltre abbiamo, oltre naturalmente alla redazione e alla tipografia de "La Grande Promessa", molti corsi di formazione professionale, dal cuoco all'elettricista, abbiamo l'officina e la falegnameria, il corso di ceramica e quello di pittura, quello di musica e di teatro. Un insieme di attività per lo più stabili le quali danno al detenuto la possibilità e l'occasione per imparare un mestiere in vista del reinserimento e comunque un opportunità per socializzare e impegnarsi in qualcosa che sia educativo". Quindi nessun ridimensionamento nelle attività culturali e del tempo libero, giustamente nessuna conseguenza per le normali attività ricreative interne. E iniziative di altro tipo? Qualcosa di coraggioso, magari anche incosciente, come un concerto? "Non sono più i tempi per i concerti, ormai è fuori luogo organizzare cose plateali (4). E poi è diventato quasi negativo il fatto che il detenuto abbia l'opportunità di uscire in semilibertà. È meglio optare per una gestione silenziosa". Nessun cambiamento, nessuna trasformazione, un episodio che è passato quasi inosservato, assolutamente ininfluente e senza nessuna conseguenza.....se non fosse per un piccolo particolare: il direttore Cosimo Giordano il 19 novembre viene trasferito. A Porto Azzurro è l'ora di cambiare.

5. Il nuovo direttore: Domenico Nucci. Vicedirettore all'Asinara, direttore a Bad'e Carros e in Calabria, il dottor Nucci si trovava a Sollicciano, (per la precisione però era in missione a Torino) quando venne chiamato ad assumere la direzione di Porto Azzurro. "Un trasferimento che non mi fece molto piacere - afferma il dr. Nucci - perché ero timoroso e convinto di trovare un ambiente molto scosso dal recente tentativo di evasione avvenuto alla fine di agosto; invece devo dire che il carcere aveva metabolizzato bene quanto avvenuto e aveva dimenticato abbastanza velocemente quella esperienza negativa, riprendendo al più presto, quasi in modo automatico, tutte le attività e tutti i corsi formativi che vengono svolti regolarmente all'interno della Casa di Reclusione". Il dottor Nucci arrivò a Porto Azzurro nel mese di novembre e probabilmente la situazione si era già regolarizzata e il carcere aveva ripreso lentamente il suo cammino e la sua routine quotidiana, anche se naturalmente alcune conseguenze erano rimaste. "Più che altro a livello psicologico, il carcere era rimasto scioccato da quell'evento e c'erano alcuni ostaggi ancora traumatizzati e i detenuti terrorizzati al pensiero che qualcosa potesse cambiare nella gestione e che quella settimana potesse portare conseguenze negative anche sulla loro condizione di detenuti. Conseguenze comunque non ce ne furono e tutto è stato dimenticato al più presto. Quel fatto resta tuttavia un reato gravissimo che meritava una sanzione estremamente dura, cosa che invece la legge non prevede. Le vittime sono diventate carnefici e i carnefici vittime. Un episodio deplorevole e disgustoso che non avrei esitato a punire con l'ergastolo. Le pene inflitte sono state troppo benevole, nel giudizio la violenza è stata messa in secondo piano, mentre sono stati sette giorni di terribile violenza. Il carcere in generale è un luogo di violenza, popolato da gente votata alla violenza, gente che comunque nella vita ha fatto la scelta di andare contro le regole; ora, rispetto ad alcuni anni fa, c'è meno violenza, nelle carceri, non certo perché siano tutti più buoni, ma perché adesso ci sono le promesse di grandi benefici da parte della legge Gozzini".

6. Disfunzioni carcerarie. Con il dottor Nucci proviamo ad esaminare la struttura carcere e il suo funzionamento o mancato funzionamento. Cominciamo allora dalla "Legge Gozzini" e le conseguenze pratiche della sua introduzione ed applicazione. "La L.354/75, madre della Legge Gozzini, ha introdotto l'ipocrisia nelle prigioni. Soprattutto i furbi ottengono i benefici - afferma il direttore - chi riesce a trovare uno stratagemma per ottenere un'attività lavorativa. Chi non è furbo o non ha i soldi, non ha benefici. Viviamo così in un clima falso, un mondo in cui i detenuti fingono di essere recuperati per uscire, e alla fine escono proprio coloro che non dovrebbero, coloro che mercantizzano la propria dignità. Il carcere è diventato un supermercato. Questo è quel che ha portato l'art. 58 ter del nuovo ordinamento penitenziario. Quindi abroghiamo l'art. 58 ter ed elimineremo il mercanteggiare della pena e finalmente usciranno quelli che lo meritano davvero, non i furbi". Per il resto la "Legge Gozzini" per il direttore Nucci è più che valida e ha contribuito sicuramente ad apportare dei miglioramenti alla posizione del detenuto. "Del resto è una norma che anche quando entrò in vigore, accontentò tutti gli schieramenti politici, fu votata all'unanimità ed ebbe larghi consensi" - conclude Nucci. Secondo il direttore di Porto Azzurro, c'è un altro punto dolente nell'organizzazione carceraria: "Decidono sui detenuti persone che non conoscono assolutamente il detenuto e la sua situazione. Aboliamo la Magistratura di sorveglianza e saranno fatti grossi passi in avanti. La soluzione migliore, e anche di semplice attuazione, sarebbe quella di far decidere sulla sorte del detenuto da una équipe interna al carcere. È evidente che il direttore, l'educatore, gli psicologi e gli assistenti sociali che vivono il carcere, conoscono i detenuti uno per uno e stanno a contatto con loro ventiquattro ore su ventiquattro, conoscono meglio i detenuti e meglio possono giudicarli. Noi facciamo delle relazioni comportamentali e le consegniamo al magistrato di sorveglianza, ma egli non è obbligato a seguire le nostre indicazione e molto spesso anzi decide in perfetta autonomia. È un vero e proprio caso di trasferimento di potere. Del resto però, se il magistrato registrasse e agisse solo sulla base delle relazioni interne sarebbe nient'altro che un notaio. Non c'è via di scampo. Inetti, incapaci giuristi, senza contare il fatto poi che nessuno vuol fare il magistrato di sorveglianza e sa di ricoprire quel ruolo soltanto per un certo periodo, mentre aspetta di essere trasferito. Certamente le cose andrebbero diversamente se tutti seguissero l'esempio del Presidente Margara. Invece non c'è una vocazione e forse l'ultimo magistrato di sorveglianza per scelta è la dottoressa Fiorillo. Sono venticinque giorni che a Porto Azzurro non vediamo il magistrato di sorveglianza e ogni giorno lui giudica".

7. Proposta decente. Per ampliare l'intervista e approfondire l'argomento sulla Magistratura di sorveglianza, riportiamo alcuni brani di un articolo scritto dallo stesso direttore Nucci. La sua disamina, molto articolata, chiarisce i rapporti fra magistrato e operatori interni e propone un cambiamento, una radicale trasformazione a livello organizzativo (5):

Perché non tentare prudentemente, però coraggiosamente di restituire alle varie componenti che operano negli istituti le naturali e sacrosante competenze? Sarebbe bello dare soddisfazione a chi ogni giorno lavora con i detenuti riconoscendogli i frutti di una professionalità all'altezza del mandato. Il sistema penitenziario italiano è permeato dall'equivoco di fondo della contemporanea presenza operativa di due componenti di per sé distinte e parallele: l'organo giurisdizionale (Tribunali e Magistrati di sorveglianza) e l'organo amministrativo, inteso nella complessità della sua articolazione. Entrambi sono chiamati al difficile compito di gestire l'esecuzione della pena. La naturale separatezza tra i due organismi provoca spesso uno stato di inerzia operativa dannosa per gli scopi che il carcere persegue. L'istituzione del ruolo della Magistratura di sorveglianza nel sistema penitenziario e la conseguente introduzione del principio della giurisdizionalizzazione dell'esecuzione penale è scaturita dalla legittima esigenza di garantire l'attuazione di nuovi principi trattamentali. Nuovi perché non più ispirati a finalità meramente contenitive e custodiali, ma tesi all'attuazione del postulato costituzionale della finalità rieducativa. [...] Con l'emanazione della "Legge Gozzini" il ruolo della Magistratura di sorveglianza si è di fatto progressivamente alterato. Ha perduto la valenza di 'ispezione e controllo' ed ha assunto in maniera sempre più diretta e personale la funzione pedagogica che la riforma penitenziaria del 1975 attribuiva con chiarezza ad una struttura specifica: il gruppo di osservazione e trattamento, articolato ed organico nella complementarità delle specifiche professionalità che lo compongono. Il magistrato di sorveglianza si è trovato a svolgere non più la funzione di 'tutore dei diritti dei detenuti', ma è diventato il giudice unico che definisce il percorso trattamentale del singolo condannato. Paradossalmente ha assunto la funzione di 'super direttore, super educatore, super assistente sociale, super psicologo'. A lui finisce col restare l'esclusiva della responsabilità del trattamento penitenziario per quel che concerne gli interventi finali, i più significativi e responsabilizzanti, del progetto rieducativo del singolo. [...] La deformazione del ruolo del magistrato di sorveglianza rispetto alle sue attribuzioni originarie, ha comportato altresì lo svilimento del patrimonio di professionalità degli operatori che compongono il gruppo di osservazione e trattamento: un diffuso stato di demotivazione ha pervaso il personale penitenziario portandolo a ritenere inutile tutto il lavoro svolto. L'attività di operatori, a cui si richiede una formazione professionale qualificata e specifica, per buona parte della giornata è considerata valida ed indispensabile in fase di osservazione scientifica della personalità del detenuto, ma inspiegabilmente non è affidabile o quanto meno inidonea nella fase esecutiva e decisionale. [...] Non è concepibile svuotare di contenuti operativi un'équipe di esperti, operante da quasi un ventennio in carcere, formata da figure professionalmente qualificate con competenze di natura socio-psico-pedagogica e giuridica. Appare pertanto illogico e scarsamente funzionale delegare l'esecuzione degli interventi, previsti e studiati da un organismo appositamente creato, ad un magistrato che possiede una professionalità di tipo esclusivamente giuridico. [...] Non può il personale penitenziario limitare le proprie competenze alla 'conta' dei detenuti. Non può essere il depositario negativo che orbita nelle prigioni; non può essere essenziale solo di fronte ad atti di violenza o a rivolte. Pertanto, si deve con coraggio attribuire capacità decisionali all'équipe di osservazione e trattamento che opera ogni giorno a contatto con i detenuti. Essa ha inoltre l'opportunità di attingere costantemente al grande patrimonio di conoscenze che ha la polizia penitenziaria. Non dimentichiamo che con l'art. 5 della legge 395/90 la polizia penitenziaria ha istituzionalmente il compito di partecipare al gruppo di osservazione. Si valorizzerebbe così il principio di premialità che caratterizza la legge penitenziaria, stemperando le tensioni che di sovente nascono nelle carceri.

8. L'opinione del dottor Zottola (6). Esaminiamo la proposta del dottor Nucci anche attraverso le parole ed il commento del coordinatore dell'Area Educativa della Casa di Reclusione di Porto Azzurro. Senza riportare per intero il suo pensiero, in verità molto vicino a quello del direttore, analizziamo i tratti più salienti e i passaggi più significativi che possano aggiungere qualche ulteriore informazione utile per comprendere la realtà carceraria: "È importante che dopo molti anni si ricominci a parlare di grandi temi di politica penitenziaria. È positivo che si cerchi di stimolare l'interesse e la riflessione degli addetti ai lavori, degli esperti, della classe politica e soprattutto dell'opinione pubblica, su un settore a cui una società civile non si può mostrare estranea. [...] Non si può trascurare il profondo stato di disagio in cui sono sprofondati gli operatori penitenziari, sia per il disprezzo di cui sono generalmente fatti oggetto dall'opinione pubblica e dai mass - media, sia per il processo di progressivo impoverimento professionale a cui sono stati condannati. È paradossale che nel momento in cui è stata sancita, attraverso la legge 663, l'introduzione di elementi trattamentali non più simbolici nella loro pur chiara enunciazione contenuta nella legge 354/75, sia stata contestualmente codificata di fatto l'incompetenza di un gruppo tecnico, ben articolato in professionalità specifiche e complementari nella loro valenza tecnica. Mi spiego meglio: ad un organo a cui la legge assegnava ed assegna competenze cognitive e trattamentali veniva preclusa la possibilità di completare il proprio lavoro attraverso l'attuazione pratica delle sue stesse previsioni ed indicazioni essenziali per il processo di reinserimento sociale del ristretto. Ad esempio l'art. 30 ter che codifica l'istituzione dei permessi premio e li individua giustamente, come 'parte integrante' del programma di trattamento, assegna la potestà decisionale al solo magistrato di sorveglianza, il quale da organo di controllo diviene, nella fattispecie, unico depositario della gestione del trattamento del detenuto. Al ristretto non può sfuggire tale situazione di incolpevole stato di inerzia decisionale dell'équipe e pertanto diventa anche meno agevole la sua attività esplorativa. Ad ulteriore dequalificazione e mortificazione dell'équipe viene disposto che sia unicamente il direttore ad esprimere il parere in merito ai permessi premio. [...] Fatte queste premesse, mi pare consequenziale concordare sulla necessità che all'équipe nella sua complessità - e non ad un loro organo monocratico - vengano attribuite, nella loro pienezza, le competenze per cui è stata istituita: effettuazione dell'osservazione scientifica della personalità, previsione ed attuazione degli interventi trattamentali in favore del ristretto. Altrimenti si rischia di perpetuare lo stato di delegittimazione di tale organo che risulterebbe condannato alla sterilità ed alla improduttività. [...] D'altro canto io sono convinto che l'accantonamento dell'équipe, contestuale alla promulgazione della "Legge Gozzini", sia scaturito solo da una certa disattenzione del legislatore, encomiabilmente impegnato a portare a termine un progetto la cui valenza sociale e gli stessi costi non erano stati percepiti nemmeno dai gruppi politici che lo hanno voluto. Non a caso a distanza di pochissimo tempo quel progetto, diventato legge, è stato clamorosamente abiurato non solo dai partiti che distrattamente lo avevano approvato, ma anche da alcuni che ne erano stati promotori. È sembrato che la legge l'avesse voluta e votata solo il nostro amico Mario Gozzini".

9. Le risposte del dottor Margara. Per approfondire l'argomento riguardante la gestione e l'organizzazione penitenziaria, è necessario riportare l'opinione del Presidente della Magistratura di sorveglianza e la sua risposta alle due questioni fondamentali sollevate dal direttore Nucci. Per quanto riguarda l'accusa di falsità nei confronti della "Legge Gozzini", Margara afferma: "È possibile che sia così e che la il nuovo ordinamento penitenziario porti ipocrisia all'interno del carcere, ma succede questo se non si trova un rapporto con le persone. Se ciò non avviene, ci possono essere delle manipolazioni reciproche; l'importante è non manipolare e non essere manipolati. La strada giusta, anche se estremamente difficile da seguire, sarebbe quella di sensibilizzare la collettività affinché le cose vadano bene. Sensibilizzare l'istituzione e la popolazione detenuta perché senta la responsabilità di ognuno nei confronti di tutti gli altri. Cercare di convincere loro per primi ad essere leali e a non servirsi malamente dell'ordinamento. Del resto non è una cosa del tutto impossibile perché non appena la legge era entrata in vigore, nel 1977 lo scopo era proprio quello di responsabilizzare la collettività; solo in seguito tale obiettivo è stato progressivamente abbandonato. Gli operatori dovrebbero cominciare a incidere sull'interesse, cosa che raramente si trova in carcere. Questo è la raccomandazione e l'augurio per tutti i penitenziari compreso Porto Azzurro che prima della rivolta riusciva a tenere vivo l'interesse e la motivazione dei detenuti; grazie soprattutto al direttore Cosimo Giordano il quale riusciva a creare un rapporto particolare con i detenuti e svolgeva il suo lavoro con molta passione, purtroppo non è facile reggere a lungo in una situazione del genere. Domenico Nucci ad esempio ha già un rapporto diverso con i detenuti, così come molti altri direttori". Veniamo adesso all'altro problema sollevata dal dottor Nucci stesso. Il direttore della Casa di Reclusione di Porto Azzurro lamentava la poca utilità, se non la poca professionalità dei magistrati di sorveglianza. Nessuno può rispondere meglio del dottor Alessandro Margara, Presidente della Magistratura di sorveglianza: "Anche in questo caso l'importante sarebbe conoscere il detenuto, e non so quanto Nucci possa conoscere la sua popolazione carceraria". Il dottor Nucci però proponeva in alternativa alla magistratura di sorveglianza un'équipe interna: "Far decidere un'équipe composta di soggetti interni al penitenziario non sarebbe una scelta felice perché essi non sono liberi dall'amministrazione, e questo è evidentemente un limite molto grave. Inoltre questa situazione comporterebbe per gli operatori stessi due rischi: prima di tutto quello di essere fin troppo vicini ai detenuti e quindi più cedibili dopo aver creato un rapporto troppo stretto; in secondo luogo l'amministrazione potrebbe dire e imporre di non fare determinate cose e porre dei veti o influire comunque troppo sulle decisioni che invece devono essere prese in assoluta libertà e senza condizionamenti di alcun tipo. Il magistrato, ovviamente, essendo un soggetto esterno, indipendente e non coinvolto emotivamente, è la persona più adatta per decidere della sorte del detenuto e dei provvedimenti a lui applicabili. Certamente poi sta alla professionalità e alla sensibilità del magistrato recarsi al carcere e cercare di prendere le informazioni necessarie per giudicare e decidere nel migliore dei modi sul detenuto".

10. Il rapporto fra carcere e paese. La Fortezza Spagnola domina Porto Azzurro. Dall'alto guarda il paese e lo influenza inevitabilmente. In positivo o in negativo, dipende dai punti di vista. Arrivare a Porto Azzurro, entrate nella baia col traghetto vuol dire scorgere sulla destra la Casa di Reclusione, alta, imponente, maestosa. Arrivare in estate quando nel paese il turismo riempie di colore le piazze e d'allegria l'atmosfera, Porto Azzurro vive un contrasto quasi imbarazzante. In inverno la situazione già cambia parzialmente: mancano le ciambelle dei bambini, i bikini delle ragazze, la sagra del polpo e quella del cocomero, manca il folklore e si attenua il contrasto. Questo evidentemente è solo il colpo d'occhio, niente di rilevante che possa spiegare il rapporto fra le due diverse realtà. Per sapere come vivono e convivono il paese e il carcere, prendiamo in considerazione i due fondamentali punti di vista, quello dei comuni cittadini e quello degli operatori del carcere. L'esito è sorprendente dal momento che le risposte sono del tutto divergenti e contrastanti. "Siamo tutti amici" è la frase che ripetono più frequentemente gli abitanti di Porto Azzurro. Il paese dice di amare il carcere, di considerarlo una parte integrante e addirittura utile. Cerchiamo di capire e di esaminare le motivazioni attraverso le dichiarazioni degli abitanti stessi. Prima di tutto, dal punto di vista del lavoro, la Casa di Reclusione offre prospettive allettanti per i giovani del paese: "molti cittadini lavorano all'interno del penitenziario o comunque fanno domanda per andare a lavorare lassù". E funziona comunque anche il rapporto inverso: molti detenuti in semilibertà infatti lavorano in paese, soprattutto in imprese edili o impegnati in lavori stagionali. Da un punto di vista economico poi "il carcere porta un va e vieni di persone che fa comodo al paese", oltre ai turisti quindi si imbarcano e approdano a Porto Azzurro i parenti dei detenuti. Insomma, quella Casa di Reclusione fa circolare più denaro. Se lasciamo da parte gli aspetti economici, che comunque sembrano rimanere i più importanti, possiamo spiegare il buon rapporto fra paese e penitenziario anche da un altro punto di vista: molti degli abitanti di Porto Azzurro sono familiari dei detenuti oppure sono addirittura ex detenuti; infatti molti di coloro che hanno terminato di scontare la pena, rimangono nel paese e lì continuano a vivere, prendono una casa e svolgono un'attività. È evidente dunque che i rapporti siano buoni, molti sono familiari o ex detenuti. "E comunque sono migliori i carcerati di altri abitanti, anche perché loro si devono comportare per forza bene, se vogliono continuare a godere della semilibertà. Inoltre hanno delle regole di comportamento da seguire, ad esempio non possono parlare con più persone insieme, non possono fare comunella". Ma la gente che cammina per strada come si comporta con i detenuti in semilibertà? "A nessuno viene neanche in mente di dire: stiamo attenti quello è un detenuto. Non c'è diffidenza".

Vediamo l'altro lato della medaglia. Gli operatori del carcere (dr. Nucci, dr. Zottola e l'ispettore capo Mario Palazzo) sono convinti che la situazione sia alquanto diversa. L'ambiente esterno - secondo loro - sente la Casa di Reclusione come qualcosa di ostile, è visto come un 'tumore', una realtà che non fa assolutamente piacere. Il paese rispecchia in pratica l'ideologia e la mentalità di tutta la società. "Quello che vuole la gente è avere meno a che fare possibile con le carceri, non vuole che il detenuto esca e non vuole sentir dire che il detenuto sta bene o che la sua condizione di vita è progredita e migliorata con la introduzione del nuovo ordinamento penitenziario". È per questo che il direttore Nucci è convinto che iniziative plateali (come organizzare un concerto) siano ancora più dannose e controproducenti per l'istituzione penitenziaria. L'opinione pubblica intende la pena soprattutto da un punto di vista retributivo, praticamente in carcere non si cura, ma si espia la pena. Allora, se si considera questa visione dei fatti, è evidente che organizzare un concerto in un carcere è addirittura una iniziativa impensabile e condannabile dalla gente comune la quale vede il carcere come un luogo isolato. "Se un direttore si prova a fare qualcosa di nuovo (come fece il direttore Giordano), trova ostacoli ovunque. La società vuole che il carcere sia un contenitore e in Italia abbiamo una legislazione troppo all'avanguardia rispetto alla società. Solo la sinistra probabilmente potrebbe accettare un discorso basato sull'art. 27 della Costituzione. Ora poi che la legge penitenziaria prospetta al detenuto la possibilità di uscire e avere dei permessi è ancora meno tempo di concerti". Il modo migliore di affrontare l'istituzione carceraria nel suo rapporto con la società sembra essere dunque quello della gestione silenziosa, di operare al meglio, ma senza pubblicità e senza creare tanto clamore intorno ad iniziative stravaganti e originali. Ma è cambiato qualcosa dopo la rivolta nei rapporti con il paese? La risposta questa volta viene dal dottor Zottola che afferma che l'episodio di quella estate ha contribuito a rendere ancora più ostile il mondo esterno, il rigetto è stato accentuato e la diffidenza è ancora maggiore".

11. Che cosa è cambiato dopo la rivolta. La vicenda che ha colpito la Casa di Reclusione di Porto Azzurro fine estate '87, ha certamente scosso l'istituzione carceraria. Il timore più grosso da parte dei detenuti, espressamente dissociatisi dall'azione di forza dei sei ribelli, era quello di vedersi togliere o diminuire alcune libertà conquistate con fatica nel corso degli anni. La paura, come si è detto, di vedere scomparire in un istante tutti gli anni di duro lavoro, tutti i passi in avanti compiuti nella giusta direzione; l'ombra di Porto Longone è in agguato e l'incubo potrebbe tornare a fare capolino. Solo il suo nome, una quarantina di anni fa, metteva paura ai condannati. Era il carcere più duro e sicuro d'Italia e i detenuti spiegavano così la loro pena: "Oggi, domani e sempre". Indossavano la classica casacca a strisce, potevano scorgere uno spicchio di cielo e ricevere un raggio di luce solo attraverso le finestre a bocca di lupo. Era attiva anche la 'polveriera', una costruzione staccata dalle sezioni, nella quale venivano sistemati i detenuti in punizione. Dalla 'polveriera' è passato anche Mario Rossi, il suo nome è indicato sul registro insieme a molti altri personaggi noti come Giuliano Naria (accusato dell'omicidio del procuratore generale di Genova, Francesco Coco e poi assolto), Augusto Viel della banda XXII ottobre, e Antonio Sansone, bandito specialista in evasioni, realizzandone ben cinque). È evidente che ormai tutto questo è solo un antico e brutto ricordo per Porto Azzurro, il carcere che successivamente ha intrapreso invece tutt'altra strada seguendo un percorso di apertura e di rieducazione. E anche dopo l'episodio dell'agosto 1987 il carcere ha continuato per la sua strada, senza restrizioni o drastici cambiamenti. Certamente, niente a che vedere con gli anni di Cosimo Giordano, ma più che altro è una scelta nella gestione, un modo diverso di intendere il detenuto e l'organizzazione. Porto Azzurro insomma è cambiato perché è cambiata la gestione, quel penitenziario è cambiato nella misura in cui è cambiato il suo direttore. Per analizzare i cambiamenti intervenuti è necessario riportare in particolare le dichiarazione di tre persone le quali hanno conosciuto e vissuto il carcere nei due diversi momenti, cioè prima e dopo la rivolta. L'autorevole opinione di Margara dà lo spunto iniziale: "Giordano era molto appassionato al suo lavoro, Nucci è più distaccato, come lo sono la maggior parte dei direttori; Giordano del resto era particolarmente partecipe, incisivo, era un direttore che stava molto dietro all'istituto e alle sue attività; non è facile trovare una persona stile Giordano. Tuttavia, anche se la gestione è diversa, l'istituto ha conservato le proprie caratteristiche ed è rimasto un penitenziario aperto e impegnato. Sono state organizzate altre conferenze al suo interno, anche con gli stessi studenti della Facoltà di Giurisprudenza, e altre iniziative. Direi che rispetto agli altri penitenziari italiani quello di Porto Azzurro è apertissimo e dotato di grande libertà interna".

Non molto distante dal pensiero del presidente della Magistratura di sorveglianza è l'altra figura chiave per quanto riguarda l'argomento cambiamenti. È dalle parole del dottor Sergio Carlotti che è possibile attingere altri particolari e altre notizie. Egli infatti, oltre a essere stato tenuto in ostaggio durante i giorni del sequestro, ricopre tuttora il ruolo di medico del carcere: "Al tempo di Giordano si respirava all'interno della Casa di Reclusione un'aria di grande disponibilità, egli voleva dare una faccia nuova al carcere, voleva tendere al reinserimento e alla socializzazione del detenuto. Era un carcere molto permissivo che dava fin troppe chance a detenuti. Forse il merito di ciò che stava realizzando Giordano, va anche attribuito al presidente degli istituti di pena e prevenzione, il dottor Nicolò Amato, il quale aveva idee liberali e lasciava agire il direttore di Porto Azzurro nella direzione in cui voleva. Adesso ci sono meno iniziative, ora è un carcere normale. Questo non vuol dire che fosse meglio prima, anzi, secondo la mia opinione è preferibile la gestione attuale di Nucci. In carcere non serve disponibilità; quella dei detenuti del resto è una scelta e hanno scelto la illegalità. Condivido l'operato di Nucci". Infine l'opinione dell'educatore Zottola. Anche lui infatti lavora all'interno del penitenziario da prima della rivolta e può raccontare cosa e se è cambiato qualcosa: "All'interno non ci sono state assolutamente ripercussioni e addirittura i corsi formativi e le attività sono aumentate in questi anni. Il fatto è che sono cambiati anche i tempi e le cose plateali sono ormai anacronistiche. Semmai, subito dopo quell'episodio, era aumentata ulteriormente la diffidenza da parte della società in generale e del paese di Porto Azzurro in particolare. La gente magari si stupiva a vedere un detenuto in permesso, ma la "Legge Gozzini" deve essere applicata sempre, non è una scelta, è una legge e va applicata a tutti coloro che sono nella situazione di essere beneficiati". Nessuna differenza quindi, o parecchia differenza. Dipende. Può darsi, ma questa è soltanto un'opinione personale, che l'amministrazione abbia scelto il nome di Nucci assolutamente non a caso, ma dopo attenta riflessione. Mandare a Porto Azzurro un direttore con idee ampiamente diverse dal precedente voleva dire cambiare inevitabilmente e automaticamente gestione senza operare grosse rivoluzioni. Il modo più facile per cambiare senza mostrare di voler cambiare.

Note

1. Non distante da questa posizione è l'attuale direttore Nucci.

2. Marco di Maggio, firma dell'articolo pp. 28-34 de "La Grande Promessa".

3. Dal quotidiano "La Repubblica", 3 settembre 1987.

4. Iniziative del genere continuano comunque a fiorire: ad esempio il carcere di Sollicciano ha ospitato, a fine marzo, il concerto di Daniele Silvestri.

5. In Editoriale de "La Grande Promessa" n.515-516, aprile - maggio 1994.

6. Vedi "La Grande Promessa", Gennaio - Febbraio 1995.