ADIR - L'altro diritto

La disciplina dell'esecuzione delle pene pecuniarie
e la delicata questione del ricorso all'istituto del pignoramento del quinto dello stipendio

Leonardo Bresci, 2006

1. La disciplina esecutiva: il pagamento spontaneo, il procedimento di esazione e di conversione della multa e dell'ammenda

La normativa vigente individua tre diverse modalità attraverso cui eseguire la pena pecuniaria. Il condannato ha la possibilità di pagare spontaneamente; se ciò non avviene è attuata la procedura di recupero delle pene pecuniarie, il cui esito negativo introduce la terza possibilità di estinzione che prevede l'emissione di un provvedimento del magistrato di sorveglianza con cui ordina la conversione/rateizzazione.

Possibilità di pagamento spontaneo (art. 212 T.U.)

Anzitutto il condannato ha la possibilità di adempiere spontaneamente al pagamento di quanto dovuto allo Stato a titolo di multa o ammenda.

Passata in giudicato la sentenza penale di condanna, il Campione Penale (1) deve notificare al debitore l'invito al pagamento con l'espressa avvertenza che si procederà ad iscrizione a ruolo in caso di mancato pagamento nei termini stabiliti. Nell'invito è fissato il termine di un mese per il pagamento ed è richiesto al debitore di depositare la ricevuta di versamento entro dieci giorni dall'avvenuto pagamento (art. 212 T.U.).

Scaduto il termine per l'adempimento e decorsi i 10 giorni per il deposito della ricevuta di versamento, il Campione Penale provvede all'iscrizione a ruolo ed alla consegna del medesimo al concessionario (l'art. 213 del T.U.). In questa fase non è possibile né chiedere una dilazione o rateizzazione al Campione penale, né presentare istanze al Magistrato di Sorveglianza. Il Testo Unico autorizza infatti il Concessionario alla rateizzazione delle sole spese processuali e di mantenimento; mentre il magistrato non può pronunciarsi finché è in corso la procedura di recupero della pena pecuniaria. Quindi l'eventuale presentazione, in questa fase, di un'istanza di rateizzazione viene ritenuta inammissibile da parte del magistrato di sorveglianza.

Possibilità di riscossione mediante ruolo (art. 223 T.U)

In caso di mancato spontaneo pagamento viene dunque aperto il ruolo esattoriale che è disciplinato dal D.P.R. 602/1973, così come modificato dal D.lvo 46 del 1999 (2).

Il Campione penale deve pertanto consegnare il ruolo al concessionario territorialmente competente secondo le modalità stabilite dal decreto del Ministero delle Finanze (3). Entro l'ultimo giorno del quarto mese successivo alla consegna del ruolo, il concessionario deve poi notificare la cartella di pagamento al condannato intimandolo a pagare entro 60 giorni dall'avvenuta notifica (artt. 24 e 25 del sopraccitato D.P.R.).

Inutilmente decorso tale ultimo termine il Concessionario autorizzato può procedere alla riscossione coattiva (art. 224 T.U.) mediante esecuzione forzata secondo le norme previste per la riscossione esattoriale (D.P.R 602/1973 così come modificato dal D.lvo 46 del 1999). È possibile pertanto procedere all'esecuzione forzata mobiliare, immobiliare e presso terzi. (4)

Se anche la procedura di riscossione coattiva rimane infruttuosa, il concessionario provvede a darne comunicazione alla cancelleria del giudice di esecuzione chiedendo, al contempo, il discarico per inesigibilità del credito ai sensi dell'art. 19 D.lvo 112 del 1999. Inizia così la procedura di conversione della pena pecuniaria, ossia la terza e ultima possibilità di modalità di esecuzione della pena pecuniaria.

Possibilità di esecuzione mediante intervento del magistrato (conversione o rateizzazione)

Sul procedimento di conversione della pena pecuniaria è intervenuta una recente sentenza della Corte costituzionale. La materia era stata riformata dal Testo Unico Spese di Giustizia il quale aveva soppresso gli artt. 660 c.p.p. e 182 disp. att.

La sentenza n. 212/2003 ha dichiarato l'incostituzionalità del Testo Unico nella parte in cui statuiva la competenza del giudice dell'esecuzione nella conversione delle pene pecuniarie. A seguito di tale intervento il procedimento trova quindi nuovamente la sua disciplina nel codice di procedura del 1988.

Ai sensi dell'art. 182 disp. att., I comma, il campione penale quando "la procedura esecutiva per il recupero della pena pecuniaria o di una rata di essa ha esito negativo [...] trasmette copia degli atti al pubblico ministero".

Il passaggio successivo è regolato dall'art. 660 c.p.p che recita:

"2. Quando è accertata l'impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa, il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente per la conversione, il quale provvede previo accertamento dell'effettiva insolvibilità del condannato e, se ne è il caso, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Se la pena è stata rateizzata, è convertita la parte ancora pagata.

3. In presenza di situazioni di insolvenza, il magistrato di sorveglianza può disporre la rateizzazione della pena a norma dell'art. 133- ter del c.p., se essa non è stata disposta con sentenza di condana ovvero può differire la conversione per un tempo non superiore a sei mesi. Alla scadenza del termine fissato, se lo stato di insolvenza perdura, è disposto un nuovo differimento, altrimenti è ordinata la conversione. ai fini dell'estinzione della pena per decorso del tempo, non si tiene conto del periodo durante il quale l'esecuzione è stata differita."

Si può concludere che mentre il Campione penale e il pubblico ministero svolgono un'attività marginale, limitandosi al formale controllo dell'attività svolta dal concessionario, il magistrato di sorveglianza è, invece, investito del compito di provvedere nuovamente ad un nuovo accertamento della situazione economica e patrimoniale del condannato. Usando le stesse parole del legislatore, di può dire che spetta a questo magistrato l'accertamento dell'effettiva insolvibilità del condannato.

Inoltre, le necessarie indagini del magistrato di sorveglianza possono concludersi in tre modi diversi da cui derivano, a sua volta, tre differenti situazioni legislativamente disciplinate:

  1. Viene accertata la solvibilità del condannato In tale ipotesi il magistrato di sorveglianza deve sia informare la cancelleria competente alla tenuta del registro del recupero dei crediti ed il concessionario, sia restituire gli atti al pubblico ministero (art. 239 D.P.R. 115/2002). Di conseguenza il concessionario riprende la riscossione coattiva sul bene individuato dal magistrato.
  2. Viene accertata l'insolvenza (temporanea e contingente situazione di precarietà economica). Di fronte all'insolvenza sono previste due possibilità alternative rimesse alla discrezionalità del magistrato di sorveglianza, il quale può: 1) disporre la rateizzazione della pena pecuniaria ex art. 133- ter c.p. (dilazionando la somma dovuta in rate da un minimo di tre ad un massimo di trenta); 2) differire la conversione per un tempo non superiore a sei mesi. Riguardo al differimento, sebbene la dottrina non sia unanime, sembra che la corrente maggioritaria interpreti l'art. 660 nel senso di consentire il differimento per più volte quando persista la situazione di insolvenza. In tale senso è intervenuta anche la Corte costituzionale con sentenza n. 331 del 1994. Occorre comunque sottolineare che le ipotesi in cui la dottrina ammette il differimento per una pluralità di volte, riguardano sempre la condizione di fallito del condannato a pena pecuniaria.
  3. Viene accertata l'effettiva insolvibilità del condannato. In tal caso il magistrato di sorveglianza procede alla conversione della pena pecuniaria nella libertà controllata o nel lavoro sostitutivo. Nonostante la prassi seguita dagli uffici giudiziari, tra le due sanzioni da conversione dovrebbe essere preferita il lavoro sostitutivo, poiché come ha rilevato la Corte costituzionale (sent. 21 giugno 1996, n. 206) "lasciare inalterata l'equivalenza economica tra il denaro e l'attività che lo produce, permette di mantenere il rapporto di congruità tra reato e pena pecuniaria".

2. Ricorso al pignoramento dello stipendio: termini del problema e opzione interpretativa

Tra i numerosi problemi che l'esecuzione delle pene pecuniarie pone, affrontiamo qui una questione particolare attinente l'attività di recupero da parte dei Concessionari autorizzati.

Mi riferisco in particolare alla possibilità da parte dei Concessionari di riscuotere quanto dovuto dal condannato tramite l'istituto del pignoramento presso terzi e, in particolare, il pignoramento del quinto dello stipendio.

La possibilità che l'esecuzione della multa, con particolare riferimento alle somme ingenti, avvenga in modo dilazionato nel tempo, attraverso la detrazione del quinto dello stipendio può costituire nei confronti del condannato un rilevante ostacolo nella strada del reinserimento sociale che è notoriamente uno degli aspetti della concezione polifunzionale della pena (5).

Si pensi che l'esecuzione della pena pecuniaria avviene solitamente dopo l'espiazione della pena detentiva e all'ipotesi, non infrequente, che il condannato abbia concluso tale pena in ambiente libero, con il buon esito dell'affidamento in prova. Questa è la ricorrente ipotesi del condannato che, avendo percorso tutte le tappe istituzionalmente previste nella strada della rieducazione (osservazione scientifica; trattamento intramurario- permessi premio- semilibertà- affidamento in prova), è ritenuto pronto all'integrale reinserimento nel tessuto sociale.

La pena pecuniaria, col suo effetto di ridurre la capacità economica, rappresenta in questo momento un ostacolo all'integrale reinserimento del soggetto e rompe con la logica legislativa del trattamento progressivo. Si pone come un ulteriore elemento affittivo della sentenza di condanna che si ripropone inesorabilmente a distanza di tempo e che è capace di rompere quelle spinte risocializzative eventualmente messe in moto durante l'esecuzione della pena detentiva.

Tuttavia la multa e l'ammenda essendo pene principali non risentono degli effetti estintivi di cui all'art. 47 O.P., XII, comma. Nonostante qualche isolata pronuncia dei giudici di merito, la giurisprudenza di legittimità si è infatti arrestata nell'affermare che l'esito positivo dell'affidamento non estingue le pene pecuniarie, che avendo pari dignità delle pene detentive, devono pertanto essere riscosse dallo Stato

La situazione è particolarmente delicata laddove il recupero del debito penale è effettuato tramite la detrazione del quinto dello stipendio che, con particolare riferimento alle pene pecuniarie ingenti, rischia di trasformasi per il condannato in un peso da trascinarsi dietro per gran parte (se non tutta) la vita. Si pensi all'esempio di una pena di € 20.000 (frequente nei reati di droga): se la pena pecuniaria viene convertita il condannato la estingue dopo un anno di libertà controllata; se viene pignorato il quinto dello stipendio (ipotizzando uno stipendio di 1000 euro) saranno invece necessari oltre 8 anni!! Nei casi di multe particolarmente ingenti (per i reati di droga il massimo edittale arriva oltre i 300.000 euro), può non bastare addirittura l'intera esistenza della persona.

Questa situazione ha dei riflessi anche rispetto all'istituto della riabilitazione Com'è noto la pena pecuniaria è, in quanto pena principale, pre-condizione per ottenere la riabilitazione ex 178 c.p. Contrariamente al nullatenente, la condizione di lavoratore del condannato a pena pecuniaria potrebbe pertanto procrastinare l'ottenimento della riabilitazione.

Nella pratica capita però che i Concessionari "spingano" la procedura di recupero delle pene pecuniarie fino alla fase del pignoramento del quinto dello stipendio. Questo avviene non solo perchè concessionari erroneamente confondono (a mio avviso) le pene pecuniarie con le altre sanzioni amministrative, ma perchè legittimati dalle norme contenute nel Testo unico Spese di giustizia. Infatti, l'art. 224 fa espresso rinvio, in materia di riscossione coattiva, alla disciplina della riscossione dei tributi contenuta nel Titolo II del D.P.R. 602/1973 che ammette l'applicazione delle regole del c.p.c. in quanto compatibili. (6)

La circostanza che l'atteggiamento dei concessionari trovi giustificazione nel testo normativo non deve tuttavia impedirci un ulteriore riflessione che potrebbe portare a sostenere la non necessità, perfino, l'illegittimità del pignoramento dello stipendio in ordine al recupero delle multe ed ammende.

Anzitutto, occorre rilevare una incoerenza normativa in relazione ai concetti di insolvenza e insolvibilità. Mentre col primo si indica una situazione transitoria di impossibilità di pagamento, col secondo invece si esprime l'impossibilità presente e futura di adempiere a quanto dovuto.

Come abbiamo visto, da una parte il Testo Unico autorizza i concessionari al pignoramento in tutte le sue forme anche allorquando i beni e i crediti attuali del condannato non siano in grado di soddisfare per intero il credito vantato dallo Stato a titolo di sanzione penale; siamo pertanto di fronte a situazioni di insolvenza che le norme ordinarie tentano di fronteggiare dilazionando nel tempo il recupero del credito (il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri!!)

Dall'altra parte le norme del codice di procedura penale, ispirate da una diversa ratio, assumono l'insolvibilità quale presupposto necessario per la conversione della pena pecuniaria e l'insolvenza come requisito per la rateizzazione o dilazione. Il Magistrato di Sorveglianza è, pertanto, chiamato ad accertare quelle stesse situazioni di insolvenza rispetto alle quali il Concessionario ha potere d'intervento ma secondo uno schema completamente diverso, non potendo quest'ultimo rateizzare e convertire il residuo di pena pecuniaria non pagata.

Alla luce di quanto esposto è necessario interpretare la disposizione di cui all'art. 182 disp. att. che stabilisce l'obbligo del Campione Penale di trasmettere gli atti al p.m qualora la procedura di recupero della pena pecuniaria o di una rata di essa ha esisto negativo. Cosa si deve intendere con esito negativo? Necessariamente l'infruttuoso esperimento di ogni atto della procedura esecutiva, ivi compreso il pignoramento del quinto dello stipendio?

Leggiamo l'art. 660 c.p.p. Una volta che al magistrato torna il fascicolo della pena pecuniaria ha di fronte a sè due strade:

  1. converte in libertà controllata o lavoro sostitutivo se accerta l'effettiva insolvibilità (la persona non ha niente e mai potrà pagare)
  2. rateizza/differisce se accerta situazioni di insolvenza (impossibilità attuale a pagare l'intera somma dovuta)

A mio avviso, l'accennata distinzione sottesa all'art. 660 c.p.p. (insolvibilità e insolvenza), da cui il legislatore fa derivare un diverso trattamento giuridico (conversione e rateizzazione), può essere argomento per interpretare l'art. 182 disp. att. in senso restrittivo. Ossia nel senso che l'esito negativo è dato dal solo accertamento della situazione di insolvenza, intesa come mancanza attuale di beni idonei a soddisfare per intero la pena pecuniaria dovuta.

A conforto della tesi restrittiva giocano, inoltre, anche principi costituzionali e principi generali dell'ordinamento.

Anzitutto, la possibilità di agire coattivamente sul reddito del condannato- lavoratore ammette, a mio avviso, una inaccettabile sperequazione tra i soggetti. È ormai pacifico che il legislatore può operare discriminazioni normative, salvo il limite della ragionevolezza (7). Non sembra tuttavia ragionevole una simile disparità di trattamento nei confronti di chi ha una fonte di reddito da lavoro che si trasforma, paradossalmente, da elemento di integrazione ad elemento di ostacolo al totale inserimento (8). Come accennato, se lavoro e mi pignorano lo stipendio estinguo più tardi la pena pecuniaria e ottengo gli effetti della riabilitazione molto più tardi di chi ha avuto la conversione (magari in lavoro sostitutivo!!!). Si potrebbe obiettare, richiamando i vecchi dubbi di costituzionalità della conversione, che anche la libertà controllata attua una discriminazione tra soggetti sulla sola base delle condizioni economiche. Tale argomentazione prova troppo: anzitutto alla libertà controllata è affiancato il lavoro sostitutivo che deve, almeno teoricamente, essere preferito; in secondo luogo, la conversione in libertà controllata è finalizzata a realizzare l'inderogabilità ossia un principio generali dell'ordinamento che il pignoramento del quinto non garantisce.

Infatti, una altro principio cardine del nostro ordinamento è proprio quello dell'indifferibilità della pena che trova deroghe soltanto in presenza dell'esigenza di un suo bilanciamento di altrettanti principi costituzionali (diritto alla salute; principio rieducativo).

Il pignoramento del quinto, oltre a porre probabilmente problemi in relazione alla prescrizione, non dovrebbe ritenersi quindi opportuno in tutti quei casi in cui la conversione meglio soddisferebbe il principio dell'indifferibilità, ossia quando l'entità del debito è tale da non potersi far fronte neanche con i beni futuri Né può essere ammesse deroghe al principio di indifferibilità per un suo bilanciamento con l'interesse (non espressivo di un principio né costituzionale né generale dell'ordinamento) economico dello Stato al recupero della somma.

Alla luce dell'interpretazione offerta dell'art. 182 disp. att. il Campione penale e il pubblico ministero non violerebbero alcun dovere inerente l'ufficio se dessero impulso al procedimento di conversione sul mero accertamento dell'insolvenza da parte del Concessionario, costituento proprio quest'ultima condizione il presupposto necessario della rateizzazione o dilazione che possono essere disposte soltanto dal magistrato di sorveglianza.

Gli stessi uffici dovrebbero altresì astenersi dall'eccepire il discarico automatico previsto dal D.lvo 49 del 1999 nel caso in cui i Concessionari arrestino la procedura esattoriale al solo pignoramento mobiliare e immobiliare.

3. Una nuova ipotesi di estinzione della pena pecuniaria

Il decreto legge 30 dicembre 2005 è intervenuto sull'impianto normativo dell'ordinamento penitenziario prevedendo che l'esito positivo dell'affidamento in prova (al servizio sociale e terapeutico) estingue la pena pecuniaria (v. artt. 47 ord. pen. e 94 D.P.R. 309/1990).

In particolare, si è rimessa alla discrezionalità del giudice di sorveglianza la valutazione non solo del buon esito della misura alternativa ma anche delle condizioni economiche del condannato, al fine di pervenire alla declaratoria di fine affidamento e di estinzione della pena pecuniaria.

Infatti, i requisiti normativi richiesti per l'estinzione della multa e dell'ammenda sono il regolare svolgimento dell'affidamento in prova e le disagiate condizioni economiche del condannato.

Le problematiche poc'anzi prospettate circa la pignorabilità del quinto dello stipendio vengono dunque ridimensionate da questa novella; anche se non del tutto eliminate riproponendosi infatti nei confronti di coloro che terminano la pena in una diversa misura alternativa.

In ogni caso il legislatore pare aver preso coscienza dei profili di contraddittorietà che la pena pecuniaria assume nel nostro ordinamento punitivo informato com'è dal principio rieducativo

Certo è ancora presto per valutare il reale impatto di questa importante novità, e in particolare se riuscirà ad alleviare i competenti uffici giudiziari del carico di lavoro relativo alle numerose pratiche prodotte dall'esecuzione delle pene pecuniarie.

Tuttavia alcuni elementi farebbero protendere per una certa cautela.

Anzitutto, l'effetto istintivo è collegato all'esito positivo di una sola misura alternativa: l'affidamento in prova che a causa della sua struttura è difficilmente accessibile per tutta una categoria di soggetti (immigrati irregolari, senza fissa dimora).

In secondo luogo, il numero effettivo delle "estinzioni" dichiarate dal Tribunale di Sorveglianza dipenderà dal concetto che verrà attribuito in sede applicativa al requisito delle disagiate condizioni economiche. Sarà disagiata economicamente la condizione di chi, ad esempio, avendo un normale reddito da lavoro dipendente è proprietario dell'unico immobile in cui vive? Lo stesso si dica di chi, a fronte di una multa di minor entità, sia proprietario di un mezzo di trasporto che serve per il lavoro.

Anche dalle risposte che arriveranno dalla giurisprudenza sarà dunque possibile apprezzare il valore effettivo della novità introdotta.

Infine, merita anche riflettere sulla valenza della novella alla luce della riforma operata dalla L. 251 del 2005 (c.d. legge ex Cirielli). Tale legge introduce infatti un rigoroso regime esecutivo nei confronti dei recidivi che consiste nella limitazione dei benefici penitenziari. In particolare il nuovo comma 7- bis dell'art. 58-quater prevede che nei confronti del recidivo reiterato possa essere concessa un'unica misura alternativa. Sull'interpretazione di questo nuova comma la discussione è aperta. Ma alla luce delle prime applicazioni della giurisprudenza, già emerge che i recidivi reiterati avranno una sola possibilità di accesso alla misura dell'affidamento in prova in tutto l'arco della loro vita.

Considerando il numero dei recidivi reiterati, destinato peraltro ad aumentare grazie all'inserimento di nuove ipotesi di obbligatorietà di recidiva, possiamo concludere che la questione prima prospettata (della pignorabilità del quinto dello stipendio) si riproporrà nei confronti di questi soggetti che per il loro status di recidivi, non potranno imboccare la strada del reinserimento attraverso l'affidamento e, quindi, usufruire dell'estinzione della multa e della ammenda.

Note

1. Il Campione penale è l'ufficio strumentale della cancelleria del giudice dell'esecuzione competente per il recupero delle pene pecuniarie e le altre spese di giustizia.

2. Si veda, in particolare, gli articoli 24, 25, 26, 28 e 29 D.P.R 602/1973.

3. La circolare DAG del. 26.06.2002 contiene l'elenco dei concessionari a cui gli uffici giudiziari possono riferirsi.

4. In base al D.M. 16.11.2000 è prevista la possibilità per i concessionari di acquisire telematicamente le notizie utili ai fini dell'accertamento tramite l'accesso diretto al sistema informativo del Ministero dell'economia e delle finanze.

5. La Corte costituzionale con la sentenza n. 313/1990 ha infatti affermato che anche la pena pecuniaria ha una natura polifunzionale: retribuzione, intimidazione e rieducazione rappresentano dunque le tre finalità di ogni sanzione penale.

6. Si veda, in proposito, l'art. 49 del D.P.R. 602/1973 (così come novellato dall'art. 16 del D.lvo 46/1999).

7. V. Corte cost., sent. 15 luglio 1959, n.46; Corte cost., sent. 11 luglio, n. 42.

8. Il principio di ragionevolezza è inteso come limite esterno alla volontà del legislatore, costituendo il parametro di riferimento per la Corte costituzionale nella valutazione delle discriminazione normative. Secondo la consolidata interpretazione della Consulta le discriminazioni normative sono ragionevoli (e quindi conformi al principio di uguaglianza) quando sono dirette a tutelare un interesse sia costituzionalmente protetto che espressivo di un principio generale dell'ordinamento.