ADIR - L'altro diritto

Minori stranieri non accompagnati bloccati a Lampedusa

Fulvio Vassallo Paleologo, 2011

1. Si segnala da anni all'interno dei cd. flussi misti di migranti che arrivano via mare alle frontiere italiane, un numero crescente di minori non accompagnati (MNA), molti dei quali provenienti da aree geografiche interessate da situazioni di guerra e violenza generalizzata. Già nel 2006 il governo italiano adottava una specifica direttiva che stabiliva precisi doveri in capo agli agenti istituzionali che fossero entrati in contatto con questi soggetti, nel corso di attività di contrasto dell'immigrazione irregolare e dopo gli sbarchi, generalmente assistiti con l'intervento delle forze di polizia, per ragioni di soccorso e salvataggio.

In base alla Direttiva Amato del 7 dicembre 2006 (registrata alla Corte dei Conti il 7 marzo 2007, a differenza di altri provvedimenti ministeriali adottati di recente nella stessa materia), “i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio, gli enti che svolgono attività sanitaria o di assistenza, i quali vengono a conoscenza dell'ingresso o della presenza sul territorio dello Stato di un minorenne straniero non accompagnato sono tenuti a fornirgli, in forma adeguata all'età e alla comprensione del minore, le pertinenti informazioni sulla sua facoltà di chiedere asilo e ad invitarlo ad esprimere la propria opinione al riguardo, a tali fini garantendo al minore l'assistenza di mediatore culturale o di un'interprete che parli la sua lingua d'origine o quella da lui conosciuta”. Inoltre “gli Uffici di Polizia di Frontiera, gli Uffici Interforze dei Centri di accoglienza e le Questure garantiscono, inoltre, al minore straniero non accompagnato, presente in frontiera o sul territorio nazionale, l'effettivo accesso alla procedura di presentazione della domanda di asilo, agevolando, per quanto di loro competenza e in collaborazione con l'alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) e gli altri organismi che operano nell'ambito della protezione dei richiedenti asilo, una tempestiva e completa informazione sulla normativa di riferimento, utilizzando allo scopo anche l'opuscolo informativo, di cui l'art. 2, comma 6, del DPR 16/9/2004, n. 303, redatto in più lingue straniere dalla Commissione nazionale per il diritto d'asilo”.

L'art. 343 del Codice Civile (Apertura della tutela) stabilisce poi che “se entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la potestà dei genitori, si apre la tutela presso il tribunale del circondario dove è la sede principale degli affari e interessi del minore. Se il tutore è domiciliato o trasferisce il domicilio in altro circondario, la tutela può essere ivi trasferita con decreto del tribunale”.

Nel sistema prefigurato dalla direttiva Amato del 7 dicembre 2006, la Questura affidava temporaneamente il minore straniero non accompagnato, che avesse espresso la volontà di chiedere asilo, come risultante dal relativo verbale, ai Servizi Sociali del Comune in cui si trovava il medesimo, dandone comunicazione al Tribunale per i minorenni e al Giudice tutelare competente per il territorio, ai fini dell'apertura della tutela e della nomina del tutore (art. 343 -346 c. c.) e dell'adozione dei provvedimenti conseguenti (art. 371, comma 1, n. 1 c.c.).

Il Comune, a sua volta, segnalava immediatamente il minore al Servizio centrale del Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ai fini del tempestivo avvio dell'attività di protezione nell'ambito dei servizi del Sistema di protezione cofinanziati dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. Il servizio centrale del Sistema di protezione provvedeva ad indirizzare l'inserimento del minore presso l'Ente Locale segnalante o presso l'Ente locale più vicino che abbia disponibilità di posti d'accoglienza, specificamente ai minori, nell'ambito di strutture per minori, cofinanziati dal Fondo per le politiche e i servizi dell'asilo.

L'Ente locale inserito nel sistema di protezione informava il Giudice tutelare o il Tribunale per i minorenni, e per conoscenza il servizio centrale, dell'avvenuta presa in carico del minore.

Il Giudice tutelare o il Tribunale per i minorenni, sentito il minore, confermavano, qualora risulti conforme al suo interesse, il suo inserimento nelle strutture di accoglienza.

Le procedure di identificazione avvenivano comunque con una certa rapidità, ed il passaggio dall'isola di Lampedusa ad altre strutture di prima accoglienza si verificava al massimo nell'arco delle 3-4 giorni, al punto che in diverse occasioni, anche in sedi internazionali, il Prefetto Morcone del Ministero dell'interno, parlava di un vero e proprio “Sistema Lampedusa”. Molti minori non accompagnati, tuttavia, lasciavano dopo pochi giorni le strutture di accoglienza e si rendevano irreperibili e, trattandosi di soggetti particolarmente vulnerabili, era forte il sospetto che potessero ricadere nel giro di organizzazioni criminali. I problemi non nascevano tanto dalle direttive impartite dal governo, che andavano nella direzione di una maggiore tutela dei diritti dei minori, quanto dalle disfunzioni verificabili nei rapporti tra enti di accoglienza, comuni e Prefetture.

Secondo un rapporto dell'organizzazione Save The Children del 2009 le criticità erano dunque evidenti già allora. Si trattava, di una “situazione particolarmente complessa che coinvolge diversi livelli di responsabilità”. Le Prefetture, spinte dalla necessità di collocare i minori in arrivo via mare, hanno avviato convenzioni con gli enti gestori delle comunità per un numero di posti 4 o 5 volte superiore rispetto al limite di 10 posti previsto dal DPCM 308/2001, non hanno verificato sistematicamente i requisiti delle comunità (tra cui l'iscrizione all'Albo Regionale) e non sempre hanno verificato le capacità e disponibilità finanziarie degli enti locali sui cui territori sono state avviate le comunità convenzionate. I Comuni, a loro volta, pur avendo dirette responsabilità in materia di accoglienza dei minori (sia in base a quanto stabilito dalla legge 328/2000, sia perché spesso affidatari dei minori accolti) non hanno attivato, attraverso i meccanismi previsti dalla normativa (Piani di zona 18, ecc.) le richieste di finanziamento necessarie alla copertura degli oneri derivanti dall'accoglienza dei minori e non hanno effettuato una ricognizione delle strutture già esistenti sul territorio (in alcuni casi da anni) e dei relativi requisiti e costi.

Save The Children operava (ed opera) nell'ambito del progetto “Praesidium III”, svolgendo anche attività di monitoraggio all'interno del Centro di Soccorso e Prima Accoglienza (CSPA) di Lampedusa, al fine di verificare la conformità delle procedure di accoglienza dei minori in esso applicate agli standard previsti dalla normativa nazionale ed internazionale vigente in materia. La situazione verificata allora appare ancora più grave oggi, dopo la ripresa degli sbarchi di minori non accompagnati provenienti non solo dalla Libia, non solo subsahariani, ma originari anche dai paesi nordafricani, quindi con una maggiore incidenza di egiziani e tunisini.

Come sempre, tutto parte dalla incerta natura giuridica del trattenimento nei centri di diversa (e variabile) denominazione ubicati nell'isola di Lampedusa. Secondo Save The Children, “il CSPA in questione dal 2006, è finalizzato a garantire un'assistenza immediata ai migranti in arrivo a Lampedusa, prima che si proceda al loro trasferimento presso gli altri centri per migranti. Pertanto, i migranti dovrebbero essere trattenuti in questo centro per un periodo di tempo limitato ad un massimo di 48 ore, tale cioè da consentire le attività di soccorso e di prima accoglienza”. In particolare, secondo quanto dichiarato da questa organizzazione, “il periodo di permanenza dei minori all'interno del suddetto CSPA - registrato nel periodo tra maggio e dicembre 2008 - è stato in media di 5 giorni; alcuni minori sono stati trattenuti nel centro per periodi superiori ai 20 giorni”. Già allora, ma ancora di più oggi, come si dirà, la permanenza dei minori nelle strutture di prima accoglienza di Lampedusa risultava assai più lunga.

Dopo il 2008 il sistema di accoglienza dei minori stranieri aveva già funzionato dunque con numerosi aspetti critici legati ai tempi delle procedure, alla mancanza di informazioni ed all'elevato tasso di abbandono dei minori che lasciavano le strutture di accoglienza, ma si era almeno interrotta la prassi delle forze di polizia, invalsa sino a quel tempo, di rinchiudere i minori vicini alla maggiore età negli stessi centri di detenzione amministrativa nei quali venivano rinchiusi gli adulti, come rilevato dalla Commissione de Mistura nelle attività ispettive svolte nel corso del 2007. Nel corso di ogni visita effettuata da parlamentari ed associazioni al centro di detenzione Vulpitta di Trapani fino a quell'anno si era sempre riscontrata la presenza di minori stranieri indebitamente trattenuti.

Nel 2010, il blocco apparente degli arrivi, conseguenza degli accordi di respingimento conclusi tra Italia e Libia, aveva fatto ritenere che il problema dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, e più in generale dei richiedenti protezione internazionale, fosse ormai risolto, con la esternalizzazione dei controlli di frontiera nei paesi nordafricani, oltre che con la prassi dei respingimenti collettivi alle frontiere portuali dell'Adriatico. Il sistema di accoglienza previsto per i minori stranieri non accompagnati veniva di fatto smantellato, e persino lo SPRAR (sistema di accoglienza e protezione per rifugiati e richiedenti asilo) risultava ridimensionato.

La recente “emergenza Nord-Africa”, ha riproposto la questione dell'arrivo di un numero elevato di minori non accompagnati dalle coste nord-africane, prima con l'arrivo di numerosi giovani tunisini, a partire dai primi giorni di febbraio di quest'anno, poi con la ripresa degli arrivi dalla Libia, qualche tempo dopo. La situazione diventava così sempre più difficile perchè per effetto della situazione di guerra in Libia e della fuga di centinaia di migliaia di persone da questo paese verso l'Egitto e la Tunisia, la composizione dei minori non accompagnati risultava sempre più eterogenea, per età, nazionalità e progetti migratori. In molti casi questi minori, soprattutto dalla Tunisia e dall'Egitto, fuggivano in Europa per aiutare le famiglie in gravi difficoltà economica dopo la crisi sociale e politica che aveva colpito i loro paesi. Molti volevano soltanto raggiungere i loro parenti regolarmente residenti in Italia o in altri paesi europei. E quindi una lunga permanenza in strutture di trattenimento ed identificazione, senza alcun provvedimento da potere almeno impugnare, risultava ancora più penosa, soprattutto per l'assenza di prospettive offerte dallo stato italiano e per i gravi ritardi delle autorità preposte al successivo trasferimento e all'assistenza di questi minori. Inoltre, soprattutto nel caso di minori vicini al compimento della maggiore età, il protrarsi del trattenimento ai fini della identificazione veniva avvertito (come in effetti era) finalizzato alla successiva detenzione ed espulsione, non appena compiuta la maggiore età.

Come segnalato in un recente rapporto dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il monitoraggio della Convenzione a protezione dei diritti dell'infanzia, ancora nel 2011 in Italia, anche nei casi di minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo, le garanzie previste dal Dlgs. 25/2008, e segnalate nel Rapporto governativo, spesso risultano nella pratica inevase, in particolare rispetto alle prassi segnalate in merito alla determinazione dell'età, all'apertura della tutela e conseguente nomina del tutore.

All'esigenza generalmente avvertita di un maggiore coordinamento delle iniziative a protezione dei minori stranieri non accompagnati si è poi risposto con una trasformazione radicale del sistema di prima e di seconda accoglienza, con gli ennesimi provvedimenti di protezione civile, che nella loro intempestività e per la mancanza di adeguate risorse, stanno determinando problemi ancora più gravi di quelli che si intendeva risolvere. Non sembra ancora seriamente affrontato il problema di una equa distribuzione dei minori non accompagnati su tutto il territorio nazionale, e il coordinamento richiesto ad una pletora di organi burocratici, di nuova o di antica istituzione, rischia di tradursi in una clamorosa violazione degli obblighi di protezione ed assistenza fissati dalla legge. Alla fine, compare sempre lo spauracchio della detenzione e dell'espulsione, senza alternative possibili nella legalità, al compimento della maggiore età, e questo sembra destinato ad alimentare una crescente propensione alla fuga dai centri di accoglienza. Il trattamento assai pesante riservato dalla polizia ai minori stranieri non accompagnati, soprattutto tunisini ed egiziani, non costituisce certo la premessa per una mediazione e per la costruzione di un rapporto basato sul rispetto reciproco di diritti e doveri.

2. Sulla base dei diversi decreti, e delle ordinanze di protezione civile (OPCM), adottate dal Presidente del consiglio dei ministri e dal ministro dell'interno a partire dal 12 febbraio 2011, sono state stabilite le nuove Procedure per il collocamento dei minori stranieri non accompagnati. La circolare con le procedure operative è stata definita dal Comitato di coordinamento nella riunione del 17 maggio E' quindi seguito il Decreto del Commissario Delegato Emergenza Nord Africa del 18 maggio 2011 che ha nominato Soggetto attuatore per l'assistenza dei minori non accompagnati il Direttore generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Come riferito dall'agenzia AGI il 23 giugno scorso si è svolto un incontro a Roma al quale hanno partecipato i rappresentanti della Protezione Civile, del ministero del Lavoro, del dipartimento per le Libertà civili e l'Immigrazione del ministero dell'Interno, del ministero degli Esteri, dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), dell'Unicef oltre oltre a deputati e senatori e ad attivisti delle principali ong impegnate nel settore. Le organizzazioni non governative hanno rilanciato il loro allarme. Secondo Save The Children, con un comunicato successivo all'incontro, “occorre dare subito accoglienza a circa 450 minori non accompagnati che dopo settimane sono ancora a Lampedusa e nei centri temporanei di transito sulla terraferma, non idonei a garantire sicurezza e protezione, e dare piena attuazione alle procedure per l'accoglienza dei minori non accompagnati approvata dal Comitato di Coordinamento per l'emergenza umanitaria”. Secondo l'organizzazione umanitaria, come riferisce anche l'ANSA, va rafforzata la vigilanza, da parte di tutti gli organi competenti, sul reclutamento dei minori arrivati via mare da parte di organizzazioni illegali per lavoro nero e altre forme di sfruttamento.

La situazione dei minori non accompagnati trattenuti nei centri dell'isola di Lampedusa è diventata, intanto, sempre più drammatica, e si ha notizia persino di un minore tredicenne trattenuto con altre decine di migranti nord-africani nell'isola di Linosa, in un campo di calcio, dove sembrerebbe che abbia pure tentato di impiccarsi utilizzando la rete della porta. I minori stranieri non accompagnati trattenuti a Lampedusa hanno tra i 14 e 17 anni di età. Alcuni di loro sono trattenuti presso il Cpsa di Contradab Imbriacola (87) e gli altri all'ex base militare Loran (classificata nel sito del Ministero degli Interni come Cie dal 2009, ma di fatto centro di prima accoglienza e appendice del Cpsa di contrada Imbriacola).

Alla ex base Loran risulterebbero trasferiti solo i minori già identificati. Alcuni dei minori trattenuti durante il mese di giugno nei centri di Lampedusani erano arrivati con gli sbarchi del 13 maggio, Altri con gli sbarchi successivi, ovvero il 13, 14, 19 e 26 maggio. Tutti avrebbero dovuto lasciare Lampedusa verso un centro di accoglienza per minori già da settimane. E dovrebbe essere chiaro a tutti che non può essere solo la Sicilia l'unica regione a farsi carico dell'accoglienza di minori non accompagnati.

Da parte di chi si sarebbe dovuto occupare di questi minori, ad oltre un mese dalla sua designazione, soltanto parole. “L'emergenza non è finita - ha avvertito in una dichiarazione riportata dall'ANSA- Natale Forlani, direttore generale per l'immigrazione del Ministero del lavoro e soggetto attuatore per l'assistenza ai minori stranieri non accompagnati provenienti dal Nord Africa - e il problema non sarà di breve durata ma si protrarrà nei prossimi anni. Il problema è complesso, alcuni di questi minori arrivano con una precisa strategia e spesso identificarli è difficile. E questo è vero soprattutto a Lampedusa, dove tutti i giovani che arrivano dichiarano di essere minorenni per poter usufruire della protezione garantita ai minori nel nostro Paese. Va perfezionato il sistema di identificazione”. Forlani ha spiegato che è previsto, ma non ancora attivato, un nuovo sistema di case-ponte per la prima accoglienza dei minori stranieri, per toglierli da situazioni di promiscuità. E c'é il problema delle risorse: per l'accoglienza dei minori non accompagnati servono 45-50 miliardi di euro, ha detto, e non sarà facile reperirli alla vigilia di una manovra finanziaria che ha definito “da brividi”. Il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, ha definito quella dei minori stranieri “un'emergenza nell'emergenza” e ha annunciato di aver deciso di istituire un team di monitoraggio sulla qualità dell'accoglienza nelle strutture adibite in Italia a ricevere minori non accompagnati, chiedendo a Save the Children di farne parte.

Nelle dichiarazioni di Forlani si riscontra un evidente “capovolgimento” della Direttiva Amato del 2007., si introduce di fatto una vera e propria “presunzione di maggiore età” fino a prova contraria, assoggettando i minori alle stesse misure restrittive in attesa di identificazione adottate per gli adulti. Secondo Forlani, “a Lampedusa, tutti i giovani che arrivano dichiarano di essere minorenni per poter usufruire della protezione garantita ai minori nel nostro Paese”. L'esigenza di “perfezionare il sistema di identificazione” appare certamente plausibile, a fronte della imprecisione dei sistemi adottati attualmente, ma non può costituire un alibi per il trattenimento a tempo indeterminato di ragazzi che dovrebbero essere identificati con la maggiore tempestività, al fine di attivare il giudice tutelare, la procura del competente Tribunale dei minori ed i servizi sociali e che, per la legge vigente (art. 19 del T.U. sull'immigrazione n. 286 del 1998), da interpretare anche alla luce della direttiva Amato, se si vuole rispettare il “superiore interesse del minore”, non possono essere respinti o espulsi.

Malgrado i provvedimenti più recenti, adottati dal governo, affermino che i minori stranieri non accompagnati entrati in Italia clandestinamente non possono essere allontanati e sono titolari di tutti i diritti garantiti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, le nuove procedure amministrative che sono state stabilite sulla base di una proclamazione dello stato di emergenza, appaiono di una tale lunghezza e farraginosità da esporre concretamente il minore, soprattutto se prossimo al compimento della maggiore età, come nella maggioranza dei casi, al rischio della fuga nella clandestinità e ad un successivo rimpatrio forzato. Si procrastina persino l'avviso della presenza del minore non accompagnato al tribunale per la nomina del tutore ed alla Procura del tribunale dei minori. E' sempre più necessario invece che la procedura di nomina del tutore venga avviata a partire dalla segnalazione immediata da parte dell'autorità di polizia della presenza di persone che si ha motivo di ritenere di minore età, e non già dalla comunicazione della comunità di accoglienza o della struttura ponte di transito, peraltro non ancora costituita, come sembrerebbe prevedere la nuova selva di ordinanze di protezione civile con la quale si sta affrontando questa ennesima “emergenza”.

Secondo le nuove procedure già in vigore, sulla carta, ma ancora bloccate di fatto, il minore non accompagnato che arriva in territorio italiano dovrebbe essere identificato dalle Autorità di pubblica sicurezza, che fanno un “primo accertamento” dell'età e ne segnalano la presenza al Soggetto attuatore, al Comitato per i minori stranieri, al Tribunale per i minorenni e al Giudice Tutelare. Se non riescono ad individuare una struttura per l'accoglienza nel “distretto di appartenenza”, le Autorità di pubblica sicurezza dovrebbero richiedere al Comitato per i minori stranieri, tramite il Soggetto attuatore, di indicare le strutture (ponte) alle quali possono rivolgersi per una prima accoglienza. Queste “strutture ponte” saranno state preventivamente censite su tutto il territorio nazionale dal Soggetto attuatore in accordo con Anci. Si tratta di strutture che si dovrebbero fare carico solo della prima fase dell'accoglienza, in attesa di trasferire i minori nelle strutture che li ospiteranno successivamente fino al raggiungimento della maggiore età.

Una volta individuata la “struttura ponte” le Autorità di pubblica sicurezza si dovrebbero occupare del trasferimento dei minori segnalandone i nominativi ai Servizi sociali territoriali del Comune dove si trova la struttura, al Tribunale dei minorenni e al Giudice tutelare.

Entro un massimo di 30 giorni il Sindaco, o un suo delegato, deve procedere a:

  • richiedere alle Autorità di pubblica sicurezza di perfezionare l'identificazione e accertare la minore età;
  • verificare l'effettivo status di non accompagnato;
  • raccogliere le informazioni su eventuali parenti presenti in Italia;
  • informare il minore sull'opportunità di chiedere protezione internazionale;
  • assicurare uno screening sanitario, attraverso le strutture sanitarie locali. Una volta ultimate le procedure il Sindaco, o un delegato, segnala i minori al Comitato per i minori stranieri, tramite il Soggetto attuatore.

Il Comitato per i minori stranieri deve indicare quindi le comunità di accoglienza che hanno disponibilità di posti. E' la “struttura ponte” ad assicurare il trasferimento nei tempi e modi concordati con i Comuni di destinazione. Una volta arrivato il minore viene preso in carico dai servizi sociali che avviano tutte le procedure previste dalla legge, aggiornano il Comitato per i minori stranieri, il Soggetto attuatore, il Tribunale per i minorenni e il Giudice tutelare territorialmente competenti. I costi dell'accoglienza, sia nelle “strutture ponte” sia nelle strutture definitive vengono rendicontati dal Soggetto attuatore al Commissario delegato e sono coperti con le risorse stanziate dall'ordinanza di protezione civile n. 3933 del 13 aprile 2011.

Si tratta dunque di verificare se siano stati tempestivamente assolti i compiti del Comitato per i minori stranieri:

  • individuazione, tramite il Soggetto attuatore, in accordo con Anci, delle “strutture ponte” disponibili e delle comunità di accoglienza che ospiteranno il minore fino alla maggiore età;
  • censimento dei minori non accompagnati giunti sul territorio nazionale e loro localizzazione;
  • gestione dei flussi dei minori dalle “strutture ponte” verso le comunità di accoglienza, tramite il Soggetto attuatore.

Occorre pure verificare il rispetto tempestivo ed ormai improcrastinabile dei compiti affidati al Soggetto attuatore

  • definizione delle linee guida per il rimborso delle spese sostenute dai Comuni per l'accoglienza dei minori, di concerto con Anci;
  • verifica dell'ammissibilità delle voci di spesa presentate dai Comuni;
  • erogazione dei contributi ai Comuni che hanno sostenuto o autorizzato spese per l'accoglienza di minori;
  • rendicontazione mensile al Commissario delegato dei costi complessivi sostenuti per l'accoglienza ai fini del relativo rimborso;
  • invio al Commissario delegato di report periodici sull'attività svolta.

Non risulta che - alla data del 27 giugno- queste “strutture ponte” siano state attivate, né che siano stati disposti i trasferimenti dei numerosi minori non accompagnati, presenti da settimane a Lampedusa, o in altre strutture improvvisate, sulla base delle nuove disposizioni. la condizione dei minori stranieri non accompagnati rimane segnata da una incertezza totale, che si traduce nell'applicazione di misure detentive a tempo indeterminato e nell'uso della forza con modalità non conformi alle prescrizioni della legge nazionale (art. 13 costituzione) e delle convenzioni internazionali.

In base ai dati contenuti in un dossier dell'organizzazione Save The Children, come riferiti dall'agenzia Redattore Sociale del 17 giugno scorso, “da gennaio ad oggi sono circa 1.500 i minori giunti a Lampedusa, di cui 544 nell'ultimo mese: il 10% sono bambini piccoli arrivati insieme a uno o entrambi i genitori, gli altri sono minori non accompagnati, ragazzi adolescenti arrivati dal Nord Africa, soprattutto da Tunisia e Libia, da cui sono fuggiti a causa della guerra, affrontando viaggi rischiosissimi - quale quello dall'esito drammatico avvenuto a largo della Tunisia tra martedì e mercoledì - in cui hanno anche visto morire familiari o amici”. Save the Children sottolinea come “sul totale dei minori non accompagnati approdati sull'isola, 425, in prevalenza sedicenni e originari del Mali (84), del Ghana (42) e della Costa d'Avorio (37), sono ancora in attesa di essere collocati nelle comunità alloggio per minori sul territorio nazionale”.

Secondo l'organizzazione, “nonostante la legge italiana garantisca ai minori stranieri non accompagnati il diritto all'accoglienza presso questo tipo di strutture, la maggior parte si trova da più di 15 giorni in strutture diverse, inadeguate alla loro accoglienza per un tempo così prolungato. In particolare, a Lampedusa sono 219 i minori non accompagnati presenti (in parte alla Base Loran e in parte al CPSA), 61 dei quali arrivati tra il 12 e il 14 maggio; la maggior parte (38) sono originari del Mali; 102 hanno 16 anni, ma ci sono anche 10 ragazzi che hanno tra gli 11 e i 13 anni. Nei giorni scorsi alcuni minori hanno compiuto atti di autolesionismo per manifestare la loro insofferenza rispetto alla situazione in cui si trovano”.

Savethe Children sottolinea poi che presso la tensostruttura di Porto Empedocle (AG) la situazione è ancora più allarmante: sono ancora in attesa di collocamento 109 minori non accompagnati trasferiti il 13 maggio da Lampedusa, dove erano arrivati una settimana prima (tra il 5 e l'8 maggio). La maggior parte ha 16 anni ed è originaria del Mali e del Ghana. Gli altri sono: 13 a Pozzallo (RG), 43 al Cara di Mineo (CT), 41 al CARA di Pian del Lago (CL).

“A questi occorre aggiungere quanti sono arrivati sulle coste siciliane e pugliesi negli ultimi giorni e che sono ancor in attesa di identificazione”. Pur riconoscendo gli sforzi posti in essere dalle istituzioni a vario titolo coinvolte nell'adozione della procedura per il collocamento dei minori stranieri non accompagnati, Save the Children rileva con preoccupazione la mancata attuazione operativa della stessa.

Per questo motivo Save the Children raccomanda che si provveda con urgenza a individuare una soluzione all'attuale grave situazione, che pone in serio pericolo la sicurezza e la protezione dei minori. L'organizzazione chiede, in particolare, che: si proceda in tempi rapidi all'individuazione sul territorio nazionale di “strutture ponte” in cui vengano temporaneamente trasferiti i minori in attesa di collocamento in comunità alloggio; a livello centrale, siano reperiti e aggiornati i posti disponibili in comunità alloggio per minori, ivi inclusi i minori richiedenti protezione internazionale, e che, sulla base di tale disponibilità, venga organizzato il collocamento dei minori; a livello centrale, si provveda a dare chiare indicazioni alle frontiere rispetto alle necessità di trasferimento dei minori non accompagnati.

Considerata la costante presenza dei minori nel flusso migratorio in arrivo dal Nord Africa, Save the Children sia valutata l'opportunità di “ampliare la disponibilità dei posti in accoglienza e delle risorse stanziate, secondo la previsione dell'art. 5 OPCM 3933/2011, al fine di un'assistenza, accoglienza e protezione adeguata per i minori stranieri non accompagnati in arrivo via mare”. Non sembra che a distanza di settimane da questo pressante appello la situazione sia sostanzialmente cambiata ed i minori stranieri non accompagnati rimangono ancora indebitamente bloccati nelle stesse strutture e con le stesse modalità riscontrate all'inizio del mese di giugno.

3. A partire dal mese di aprile 2011, appare dunque incontestabile come alcune centinaia di minori stranieri non accompagnati, per la maggior parte di origine nordafricana, siano stati trattenuti presso il Centro di prima accoglienza e soccorso (CPSA) di Contrada Imbriacola e nel centro, che si suppone di prima accoglienza (CPA), ubicato nella vecchia base Loran nell'isola di Lampedusa. In entrambi i casi si tratta di strutture recintate con reti, mura e cancelli che inibiscono la libera circolazione nell'area. Nelle stesse strutture sono pure trattenuti immigrati di età adulta. Situazioni altrettanto gravi si riscontravano alla fine di giugno ancora a Mineo (Catania) dove- nello stesso mese, tra decine di migranti provenienti da Lampedusa, vi erano ancora oltre 40 minori non accompagnati, di fatto in condizioni di detenzione amministrativa, poiché sembra che manchi la possibilità d'accoglienza a Catania per esaurimento di posti. Altri minori non accompagnati sembra che si trovino ancora all'interno dei centri di transito di Pozzallo e di Porto Empedocle vicino Agrigento. Per nessuno di loro, per quanto risulta, sono state rispettate le direttive impartite dal Ministero dell'interno nel 2007, e non sono avviate neppure le procedure per la nomina immediata di un tutore o per l'invio verso centri di accoglienza specializzati e convenzionati.

I minori stranieri non accompagnati rinchiusi in queste strutture, al pari degli adulti, si trovano in condizione di estrema limitazione della libertà personale essendogli inibita l'uscita dal centro ed essendo, a tal fine, sottoposti a continua sorveglianza, senza che nei loro confronti sia stato emesso e notificato alcun provvedimento limitativo della libertà personale e senza che i provvedimenti stessi siano stati sottoposti al vaglio giurisdizionale, garanzie previste in primo luogo dalla Costituzione, dalla normativa europea e internazionale e dal diritto interno, non da ultimo il D.Lgs. 286/98.

Per i minori stranieri non accompagnati si pone ovunque il problema della identificazione e dell'attribuzione dell'età, procedure che secondo gli organi di polizia legittimerebbero il trattenimento all'interno di centri chiusi almeno nella fase di prima identificazione anche al fine di evitare che la falsa dichiarazione di minore età potesse costituire un “espediente” per sottrarsi all'applicazione delle procedure di respingimento e di espulsione. Particolarmente critica, in questa fase, anche la condizione dei minori che intendono proporre istanza di asilo o di altra forma di protezione internazionale. E' noto che i minori stranieri non accompagnati non sono espellibili fino al compimento della maggiore età e che nei loro confronti qualunque pubblico ufficiale ha precisi obblighi di assistenza immediata e di denuncia, alle competenti autorità giudiziarie.

Sulla questione, da sempre controversa, della identificazione dei minori migranti, il 9 luglio 2007, veniva emanata una direttiva firmata dal ministro Amato e inviata ai questori, che introduceva nuovi criteri per accertarne le generalità, fissando la presunzione di minore età in tutti i casi in cui il dubbio sull'accertamento dell'età effettiva non superasse i due anni. Ed è peraltro noto che l'esame radiografico del polso, l'unico condotto per accertare l'età dei giovani che raggiungono irregolarmente le frontiere italiane offre un ambito di incertezza di almeno due anni. Ad oggi non sembra che la circolare sia stata espressamente revocata, anche se nella prassi non risulta che sia generalmente osservata. Come spiegava nel 2007 il sottosegretario Lucidi, in occasione della presentazione della circolare, “in caso d'età incerta per evitare il rischio di adottare erroneamente provvedimenti gravemente lesivi dei diritti dei minori, quali l'espulsione, il respingimento o il trattenimento in un Centro di Permanenza Temporanea, il migrante è sottoposto all'esame per l'accertamento dell'età. L'esame consiste nella misurazione del polso e ha un margine di errore fino a due anni”.

Con questa direttiva si introduceva così la presunzione della minore età in caso di perizia incerta. In tal modo, a detta del sottosegretario Lucidi nel 2007, “il giovane veniva subito inserito in un percorso di tutela e protezione, riducendo così il rischio che, nelle more di ulteriori accertamenti, finisse in una rete di sfruttamento”.

Le nuove disposizioni adottate oggi dal governo italiano, in assenza dei mezzi e delle strutture che ne avrebbero dovuto consentire una immediata attuazione, si traducono invece in provvedimenti restrittivi gravemente lesivi dei diritti dei minori stranieri non accompagnati, peraltro privati dell'unica possibilità di regolarizzazione loro concessa al raggiungimento della maggiore età, nell'ipotesi di una apertura tempestiva della tutela e di una procedura di affidamento.

Non si possono certo utilizzare provvedimenti come le Ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri (OPCM), o i Decreti emergenziali adottati dai ministri, per derogare norme di rango gerarchico sicuramente superiore o Convenzioni internazionali, anche in base al sistema gerarchico delle fonti segnato dall'art. 10 della Costituzione in materia di condizione giuridica degli stranieri. Quando sono in gioco i diritti di libertà delle persone ed il “superiore interesse del minore” non si può consentire che provvedimenti da “stato di emergenza” trasformino le esigenze di accoglienza in una condizione di detenzione a tempo indeterminato, con la condizione di clandestinità o il rimpatrio forzato, come unica conseguenza possibile. Questa situazione di incertezza e di blocco nei luoghi chiusi di prima accoglienza, come i centri di Lampedusa, o altre strutture provvisorie in Sicilia, si riflette anche sui ritardi nelle strutture di seconda accoglienza. In assenza dello smistamento da parte delle “strutture ponte”, ad oggi non ancora esistenti, e delle relative convenzioni, molte comunità per minori sono costrette a chiudere i battenti. Un guasto irreparabile ad un sistema di accoglienza già sottodimensionato e adesso stravolto dai provvedimenti di natura emergenziale adottati dal governo.

Si devono altresì segnalare i gravi ritardi di alcuni uffici di Tribunale preposti all'apertura delle tutele, che ritardano al di là di ogni giustificabile termine le procedure richieste dalla legge, con il risultato che in caso di raggiungimento della maggiore età da parte del minore, questi si ritrova irrimediabilmente nella condizione di immigrato irregolare, a meno che non abbia proposto una istanza di protezione internazionale.

4. Il mantenimento dei minori stranieri non accompagnati, al di là del tempo strettamente necessario per fare fronte alle esigenze di primo soccorso ed accoglienza, dunque il trattenimento in strutture definite come CPSA, oppure in altri centri deputati all'accoglienza delle persone subito dopo lo sbarco (come in Sicilia a Porto Empedocle ed a Pozzallo, in hangar ubicati all'interno del porto) può costituire occasione di gravi violazioni dei diritti loro riconosciuti a livello internazionale.

In base alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 e, si prevede che qualunque provvedimento dell'autorità amministrativa sia adottato “nel superiore interesse del minore” (art. 3) ed in particolare, si prevede l'obbligo per lo Stato di adottare misure adeguate affinché un fanciullo il quale cerca di ottenere lo statuto di rifugiato, solo o accompagnato dal padre o dalla madre o da ogni altra persona, possa beneficiare della protezione e dell'assistenza umanitarie necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti dalla medesima Convenzione e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell'uomo o di natura umanitaria. I provvedimenti adottati dalle autorità italiane, anche nelle prassi informali che ne sono seguite, vanno esclusivamente nella direzione del contrasto della cd. immigrazione clandestina, come emerge anche dalla titolazione e dalla portata delle Ordinanze di protezione civile (in particolare le n. 3933 e 3935) che confondono la questione dell'accoglienza con le esigenze di contrasto dell'immigrazione irregolare. Ma per quanto riguarda il “superiore interesse dei minori” non è neppure chiaro quali siano ad oggi le autorità, o gli enti privati, che decidano effettivamente sulla loro condizione e rimangono altrettanto oscuri i criteri che nella pratica quotidiana vengono adottati, a Lampedusa, come nelle altre strutture provvisorie nelle quali risultano rinchiusi minori stranieri non accompagnati.

Secondo la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti del fanciullo di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, gli articoli. 3 e 11 riconoscono al minore il diritto di ricevere ogni informazione pertinente, di essere consultato ed esprimere la propria opinione, di essere informato delle eventuali conseguenze di tale opinione e quelle di qualunque decisione, sia nei provvedimenti dinanzi ad un'autorità giudiziaria sia in quelli dinanzi ad altri organi o nelle problematiche relative ai minori indipendentemente da qualunque procedimento. Nel caso dei minori trattenuti a Lampedusa, soprattutto se di provenienza tunisina, non risulta che questi doveri di informazione siano stati puntualmente adempiuti e che sia stata presa in considerazione l'opinione del minore. La domanda più insistente che è stata rivolta alle poche persone che hanno potuto visitarli è stata sempre la stessa: che fine faremo?

La Direttiva 2003/9/CE, recante “norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri”, agli artt. 17 e 18 impone agli Stati membri, in sede di attuazione delle disposizioni relative alle condizioni materiali di accoglienza, di tenere conto della specificità della situazione del minore straniero e del minore non accompagnato, fra gli altri soggetti vulnerabili, e di informarsi al criterio fondamentale del prevalente interesse del minore. Non risulta che i minori trattenuti per lunghe settimane abbiano potuto presentare una domanda formale di asilo, con la tempestiva compilazione del modello C 3, e la mancata nomina dei tutori ha aggravato questa situazione. Se la scelta fatta dall'amministrazione sembra quella di non consentire ai minori trattenuti a Lampedusa un accesso immediato alla procedura di protezione internazionale, il protrarsi del loro trattenimento ai supposti fini dell'identificazione, nei due centri dell'isola, priva queste persone di un diritto fondamentale loro riconosciuto dalle Convenzioni internazionali. In ogni caso appare eccessivamente lungo e troppo rimesso alla discrezionalità dell'autorità di polizia, il lasso di tempo intercorrente tra la manifestazione di volontà rivolta al riconoscimento di una forma di protezione e la formalizzazione di detta volontà, mentre la persona è mantenuta in una condizione di totale privazione della propria libertà personale.

Il D.Lg 30 maggio 2005, n. 140 recante “Attuazione della direttiva 2003/9/CE stabilisce norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri”, ed in particolare l'art. 8 commi 3 e 4 che prevede l'attivazione di servizi speciali di accoglienza per i richiedenti asilo portatori di esigenze particolari e di specifici programmi di accoglienza riservati ai minori non accompagnati richiedenti asilo e rifugiati. Qualcuno sarà mai responsabile per il mancato avvio di questi programmi? Quali specifici programmi di accoglienza per minori non accompagnati sono stati predisposti nell'isola di Lampedusa e nelle altre località dove questi minori si trovano in una conizione di totale limitazione della loro libertà personale ? La mancata istituzione dei centri ponte ed il mancato avvio dei minori non accompagnati verso queste strutture, non configura forse una eclatante omissione?

Il D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535, che reca il “Regolamento concernente i compiti del comitato per i minori stranieri, a norma dell'art. 33, commi 2 e 2 bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”, detta norme specifiche sul censimento e l'accoglienza dei minori presenti non accompagnati. Altri compiti specifici in materia di collocazione in strutture apposite dei minori non accompagnati sono state adesso impartire con i recenti provvedimenti basati sulla proclamazione dello stato di emergenza del 12 febbraio scorso. Che cosa hanno fatto concretamente il Comitato per i minori stranieri (e l'ANCI con la quale si sarebbe dovuto attivare un coordinamento) nel caso dei minori giunti negli ultimi mesi nell'isola di Lampedusa ed in varie parti della Sicilia?.

Le linee guida dettate dall'UNHCR, a partire dal maggio 2006 fino ai documenti più recenti, fissano obblighi di comportamento assai precisi in relazione alla determinazione formale dell'interesse prevalente del minore, e dei potenziali richiedenti asilo, con riferimento agli obblighi degli Stati. Si tratta di obblighi di protezione che garantiscono i diritti di difesa e vietano il trattenimento dei minori non accompagnati, sia pure in attesa di identificazione, in strutture promiscue con gli adulti. Eppure proprio questa forma di trattenimento si è realizzata a più riprese nei centri di contrada Imbriacola e nella ex base Loran nell'isola di Lampedusa. Come osservava Save the Children in un dossier del 2009, ancora assai attuale, sulla situazione dei minori non accompagnati, “nelle aree di arrivo della Sicilia, al momento dello sbarco, le Forze dell'ordine non procedono a fornire informazioni di base aipmigranti sulle fasi successive all'arrivo, sulle procedure applicate e sull'opportunità di fornire dati anagrafici corretti”. nello stesso rapporto si segnalava che, “in diversi casi, le organizzazioni partner del progetto Praesidium, incaricate di effettuare attività di informazione e supporto agli sbarchi non sono state allertate e non hanno dunque potuto monitorare e intervenire sulle prassi adottate”. Ancora oggi queste considerazioni possono ritenersi valide se si rammentano le difficoltà frapposte ad operatori di diverse organizzazioni di accedere alle strutture di transito ubicate nei porti di Pozzallo e di Porto Empedocle ed il clima assai pesante che caratterizza le strutture di Lampedusa dove sono rinchiusi da settimane centinaia di minori stranieri non accompagnati, con frequenti atti di autolesionismo e gesti di insubordinazione duramente repressi.

5. Qualora poi si sostenga che si tratti di “giovani adulti” che si fingono minori, comunque in attesa di identificazione, dovrebbe essere data la possibilità di ricorso contro il provvedimento che stabilisce l'età maggiore. Non si può continuare ad utilizzare la (asserita) identificazione come maggiorenne come uno strumento di pressione o di punizione che legittima le condizioni di detenzione più dure. Inoltre, gli artt. 10, 13 e 14 del D.Lgs. 286/98 prevedono che il cittadino straniero possa essere privato della libertà personale con provvedimento amministrativo, unicamente nei casi in cui venga nei suoi confronti adottato un provvedimento di respingimento alla frontiera, definito come respingimento differito del Questore (art. 10, comma 2), ovvero un provvedimento di espulsione (art. 13), ovvero un provvedimento di trattenimento presso un centro di permanenza temporanea e assistenza (art. 14). Tali provvedimenti, inoltre, hanno natura recettizia: essi acquistano, cioè efficacia solo dal momento della loro notifica al destinatario. Non si possono utilizzare le esigenze di primo soccorso ed accoglienza per protrarre a tempo indeterminato una condizione di detenzione amministrativa in assenza di provvedimenti formali. In questo senso, anche con riferimento a persone “transitate” da Lampedusa, di nazionalità tunisina, si stanno cominciando ad orientare i giudici, come emerge in una recente sentenza adottata presso il Tribunale di Torino, e come sta emergendo anche nel caso dei tunisini rinchiusi a Santa Maria Capua Vetere, dopo essere stati trasferiti da Lampedusa a bordo di una nave nella quale sono rimasti rinchiusi per sei giorni. Non certo per loro libera scelta, come qualcuno vorrebbe ancora asserire.

Il decreto di trattenimento dello straniero deve essere necessariamente comunicato al Giudice di Pace entro 48 ore dalla applicazione della misura restrittiva della libertà personale. Il Giudice di Pace, verificati i requisiti formali, convalida il detto provvedimento entro le successive 48 ore (artt. 13, co. 5 bis e 14, co. 4, D.Lgs. 286/98). La mancata convalida rende inefficace l'ordine di trattenimento emesso dal Questore. Non si comprende, al di là delle procedure di primo soccorso ed assistenza, come questi obblighi di legge possano essere elusi a distanza di oltre un mese, e comunque diverse settimane dopo l'arrivo, o lo sbarco assistito, nell'isola di Lampedusa ed in altre località siciliane.

Le disposizioni di fonte regolamentare, contenute nel regolamento di attuazione n.394 del 1999, agli art. 20-23, in ossequio alla legge - né potrebbe essere altrimenti, stante la riserva assoluta prevista dall'art. 13 della Costituzione - prevedono che la privazione della libertà personale dello straniero può avvenire unicamente presso i CIE, mentre al di fuori di tali centri (e dunque anche nei CPA e nei CPSA) possono svolgersi unicamente attività di accoglienza, assistenza e igienico-sanitarie, ma entro termini ben precisi.

Secondo l'art. 23 del Regolamento di attuazione n.394 del 1999 (Attività di prima assistenza e soccorso) “le attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per le esigenze igienico-sanitarie, connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei centri di cui all'articolo 22 (CIE), per il tempo strettamente necessario all'avvio dello stesso ai predetti centri o all'adozione dei provvedimenti occorrenti per l'erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato”. In base alla stessa disposizione, “gli interventi di cui al comma 1 sono effettuati a cura del prefetto con le modalità e con l'imputazione degli oneri a norma delle disposizioni di legge in vigore, comprese quelle del decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563 (legge Puglia)”.

Il “tempo strettamente necessario”, individuato nei rapporti di Save The Children in 48-72 ore, per l'avvio ad altri centri non può certo protrarsi per intere settimane, anche perché a fronte del ritmo costante degli sbarchi assistiti, e della crescente presenza di minori stranieri non accompagnati sulle imbarcazioni che giungono dalle coste nordafricane, un ulteriore blocco di questi minori nell'isola di Lampedusa rischia di fare esplodere una nuova emergenza, con conseguenze incalcolabili per le vite di soggetti particolarmente vulnerabili che per effetto di una prolungata condizione di abbandono nei centri dell'isola di Lampedusa, si vedono preclusa qualsiasi possibilità di accoglienza in linea con gli standard comunitari e di successiva regolarizzazione al compimento della maggiore età. E la recentissima tragedia di Sciacca, del 22 giugno scorso, dove un minore straniero è morto in occasione dello sbarco sulla spiaggia, probabilmente colpito dall'elica dell'imbarcazione che lo trasportava, conferma che gli arrivi di minori stranieri non accompagnati non sono di certo cessati, come vorrebbe fare ritenere chi preferisce tenere sotto segreto militare gli arrivi e la presenza di questi soggetti particolarmente vulnerabili.

Dal momento della entrata sul territorio nazionale, la maggior parte dei minori stranieri non ha alcuna possibilità di comunicare con un avvocato, né i contatti con associazioni di tutela dei rifugiati e migranti convenzionate con il Ministero dell'interno hanno consentito di adempiere ai precisi obblighi di informazione ed assistenza sanciti dalla legge. Uno dei minori attualmente detenuto a Lampedusa, orfano di madre, non ha avuto neppure la possibilità di comunicare al padre il suo arrivo a Lampedusa. Un altro minore, un ragazzino tunisino di appena tredici anni, trattenuto nel campo di calcio dell'isola di Linosa avrebbe tentato di impiccarsi con la rete della porta.

6. In virtù delle ragioni e delle basi normative sopra richiamate sarebbe opportuno che le competenti autorità di vigilanza aprano un'indagine al fine di verificare quanto sopra esposto e accertare se ricorrano ipotesi di reato; in particolare, se i minori stranieri trattenuti presso il centro di Contrada Imbriacola, o alla ex base Loran a Lampedusa, o in altre strutture provvisorie siciliane, si siano trovati, ovvero si trovino, in una condizione di illecita limitazione della libertà personale; se nei loro confronti, ancorché in corso di identificazione, siano stati mai adottati e notificati provvedimenti amministrativi che giustifichino tale privazione della libertà personale da parte delle autorità di polizia e se tali provvedimenti restrittivi siano stati sottoposti tempestivamente al vaglio giurisdizionale nei termini imposti dalla vigente normativa interna e europea; se siano stati tempestivamente assolti i doveri di informazione della presenza di minori stranieri non accompagnati al Giudice tutelare competente per territorio, alla Procura del competente Tribunale dei minori ed al Comitato per i minori stranieri; se sussistano ipotesi di reato in relazione alle condotte poste in essere da privati o da pubblici ufficiali in aperto contrasto con l'esercizio del diritto di difesa e del diritto alla libertà personale, manifestamente limitati quando non del tutto negati; se siano state rispettate le procedure per le nomine d'ufficio delle figure tutoriali previste dalla legge; se ricorrano ipotesi di reato per l'omissione di atti di ufficio da parte delle autorità preposte all'assistenza ed ai successivi trasferimenti dei minori stranieri non accompagnati verso i centri di accoglienza.