ADIR - L'altro diritto

Il controllo dell'immigrazione sul Canale di Sicilia
Politica estera italiana e problemi etico-giuridici

Paolo Cuttitta, 2004

1. I flussi nel Canale di Sicilia

Ogni anno migliaia di persone si mettono in viaggio dalle coste libiche e tunisine verso l'Italia, cercando di aggirare controlli sempre più severi e rischiando la vita su imbarcazioni spesso sovraffollate e inadatte al viaggio. In centinaia (più di quattrocento soltanto nel 2003) (1) muoiono durante la traversata del Canale di Sicilia. I più fortunati riescono a raggiungere la Sicilia o le isole minori (Lampedusa, Pantelleria, le Egadi).

Le regioni d'origine sono per lo più il Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia), il Medio Oriente (Egitto, Palestina) e - in misura crescente - l'Africa subsahariana (tra i tanti paesi: Somalia, Eritrea, Sudan, Sierra Leone). Tra coloro i quali provengono dall'Africa centrale e dal Corno d'Africa, un numero imprecisato - impossibile anche solo stimarlo - non riesce neanche a raggiungere la costa africana perché muore durante la traversata del deserto.

Molte di queste persone vorrebbero cercare lavoro, asilo o protezione in Italia, o raggiungervi i loro familiari. Per tante altre, invece, l'Italia è solo una tappa di avvicinamento verso altri paesi dell'Europa occidentale. Le coste italiane costituiscono infatti una porzione considerevole delle frontiere esterne meridionali dell'Unione Europea e dello spazio Schengen. Viste dall'Africa, Lampedusa e Pozzallo, Pantelleria e Licata, Marsala e Porto Palo rappresentano teste di ponte non solo verso l'Italia ma verso l'Europa intera.

La tabella 1 mostra come, negli ultimi cinque anni, il fenomeno - quantificato sulla base dell'unico indicatore certo disponibile (2) - risulti in crescita, con un aumento vertiginoso nel 2002 e una lieve flessione di assestamento nel 2003.

Tabella 1. Fermi di persone sbarcate illegalmente o intercettate prima del loro sbarco
Tratto di costa 1999 2000 2001 2002 2003
Puglia 46.481 92,96% 18.990 70,81% 8.546 42,43% 3.372 14,21% 137 0,95%
Calabria 1.545 3,09% 5.045 18,81% 6.093 30,25% 2.122 8,95% 177 1,24%
Sicilia 1.973 3,95% 2.782 10,38% 5.504 27,32% 18.225 76,84% 14.017 97,81%
Totale 49.999 100% 26.817 100% 20.143 100% 23.719 100% 14.331 100%

Nello stesso periodo, invece, l'accresciuta collaborazione con l'Italia da parte delle autorità di alcuni paesi di origine e di transito dei flussi migratori (in particolare Sri Lanka, Albania, Turchia ed Egitto), insieme ad altri fattori congiunturali (calo naturale del potenziale migratorio albanese, sviluppi della questione curda e del conflitto iracheno, processo di pace nello Sri Lanka etc.), ha fatto diminuire sensibilmente gli sbarchi sulle coste pugliesi e calabresi. (3) È così che il Canale di Sicilia rappresenta ormai, tra le frontiere di mare italiane, quella maggiormente percorsa da flussi migratori.

2. La politica estera italiana

Lungo l'arco degli anni Novanta e in questo primo scorcio di secolo la politica italiana in materia di controllo dell'immigrazione illegale si è tradotta in misure interne sempre più restrittive: inasprimento delle normative sull'ingresso e il soggiorno degli stranieri, applicazione sempre più restrittiva del diritto d'asilo, perfezionamento delle tecniche di controllo poliziesco e militare alle frontiere e all'interno del territorio nazionale. A tali misure interne i diversi governi italiani hanno affiancato una politica estera che, partendo dalla progressiva introduzione dell'obbligo del visto di ingresso per i cittadini di quasi tutti i paesi non appartenenti all'Unione Europea, ha poi via via cercato di spingere i paesi di origine e di transito dei flussi migratori a esercitare un maggiore controllo sulle loro frontiere, di indurli a collaborare con l'Italia nella lotta contro ogni forma di immigrazione indesiderata, senza peraltro distinguere, di fatto, tra i veri e propri immigranti illegali e coloro i quali - in quanto profughi da zone di guerra, o rifugiati da persecuzioni - avrebbero titolo a chiedere il riconoscimento dell'asilo o di altre forme di protezione umanitaria. A quest'ultima categoria di persone l'Italia non potrebbe negare l'ingresso nel paese senza violare gli obblighi internazionali in materia (4) e la stessa costituzione della repubblica. (5)

Ma i paesi di origine e transito dei flussi ai quali l'Italia cerca di delegare le funzioni di sorveglianza non hanno i mezzi economici per garantire un regime di controllo delle frontiere di terra e di mare rispondente alle aspettative. E oltre ai mezzi manca loro, generalmente, anche l'interesse. Le rimesse dei propri emigrati all'estero rappresentano una tra le principali risorse economiche per i paesi d'origine (secondo i calcoli della Banca Centrale della Tunisia gli emigrati tunisini avrebbero inviato in patria, nel 2001, un totale di novecentotrenta milioni di dollari USA, ma la cifra reale potrebbe essere assai superiore - addirittura il doppio - secondo alcune stime), (6) mentre le migrazioni di transito, cioè i passaggi di cittadini di altri paesi attraverso il proprio territorio nazionale, non hanno in sé, generalmente, alcuna ricaduta negativa per il paese interessato.

Per questi motivi le richieste italiane di collaborazione sono state e sono all'origine di trattative quasi mai facili. A tal proposito, nei paragrafi seguenti si ripercorrono gli ultimi sviluppi delle relazioni tra l'Italia e i due paesi - la Tunisia e la Libia - che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, rappresentano il collettore di quei flussi - provenienti da varie regioni, tra cui la stessa Tunisia - che utilizzano il Canale di Sicilia come via per raggiungere l'Italia e l'Europa. Si cerca così di illustrare gli obiettivi della politica estera italiana, mostrando altresì con quale spirito e con quali strumenti essi vengano perseguiti. Un cenno è dedicato anche al ruolo dell'Italia nello sviluppo di una politica europea comune per il controllo del basso Mediterraneo.

3. Quote flussi in cambio di cooperazione nei controlli

Nel 1998 il governo di centro-sinistra introdusse il sistema delle quote di ingresso legale per lavoratori stranieri, fissate di anno in anno con i cosiddetti decreti-flussi. Da allora una parte degli ingressi previsti ogni anno viene riservata a determinati paesi. Un'ulteriore porzione viene riservata ad alcune categorie di paesi, senza che vi sia una preliminare ripartizione tra i singoli stati appartenenti alle categorie in questione. La parte rimanente costituisce la quota libera, che non soggiace ad alcuna condizione legata al paese d'origine. (v. Tabella 2).

Tabella 2. (7) Distribuzione delle quote d'ingresso annuali di lavoratori stranieri
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Albania 3.000 4.000 6.000 6.000 3.000 1.000 3.000
Tunisia 1.500 2.000 3.000 3.000 2.000 600 3.000
Marocco 1.500 2.000 3.000 1.500 2.000 500 2.500
Sri Lanka - - - - 1.000 500 1.500
Egitto - - - - 1.000 300 1.500
Nigeria - - - - 500 200 2.000
Moldova - - - - 500 200 1.500
Bangladesh - - - - - 300 1.500
Pakistan - - - - - - 1.000
Somalia - - - 500 - - -
America Latina* - - - - 4.000 200 400
Altre categorie di paesi** - - 6.000 4.000 33.000 68.500 72.500
Quote riservate 6.000 8.000 18.000 15.000 47.000 72.300 90.400
Quota libera*** 52.000 50.000 65.000 74.400 32.500 7.200 9.100
Totale immigrazione legale 58.000 58.000 83.000 89.400 79.500 79.500 99.500

* La quota si riferisce per il 2002 e per il 2003 a cittadini argentini di origine italiana, per il 2004 a cittadini argentini, uruguayani o venezuelani di origine italiana.
** Di volta in volta si tratta dei futuri nuovi paesi membri della UE e/o di quei paesi che abbiano concluso o siano in trattative per concludere accordi con l'Italia in relazione al controllo dei movimenti migratori. La distribuzione di tale quota tra i vari paesi è libera.
*** Quota destinata a cittadini di qualsiasi paese extracomunitario.

Il fatto che la quota libera stia progressivamente diminuendo - sia in percentuale che in assoluto - indica come le quote riservate vengano intese sempre più come un efficace strumento di persuasione nei confronti dei paesi d'origine e di transito dei flussi affinché tali paesi si adoperino per bloccare i movimenti migratori indesiderati dall'Italia. Aumentando o diminuendo la quota riservata per un determinato paese, questo viene premiato per la sua collaborazione o sanzionato per la sua cattiva condotta. Aumentando la quota riservata non a determinati paesi ma, in generale, alla categoria dei paesi disposti a collaborare si ottiene uno strumento tanto più efficace quanto più flessibile, capace cioè di essere adattato nel corso dell'anno all'evoluzione della situazione riguardo ai paesi più diversi.

La Tunisia costituisce un caso esemplare. Nel 1998 fu principalmente grazie alla promessa del governo italiano di introdurre quote riservate a beneficio dei cittadini tunisini che il paese nordafricano acconsentì alla firma di un accordo di riammissione. Con lo "Scambio di Note tra l'Italia e la Tunisia concernente l'ingresso e la riammissione delle persone in posizione irregolare" del 6 agosto 1998 l'Italia si impegnò a garantire alla Tunisia un "trattamento preferenziale in materia di contingenti annuali di ingresso per motivi di lavoro".

Due mesi più tardi il decreto flussi relativo al 1998 veniva integrato con l'introduzione delle quote riservate. L'Italia manteneva la parola data, destinando tali quote a soli tre paesi: la Tunisia, l'Albania (allora al primo posto tra i paesi d'origine dei flussi verso l'Italia, e firmataria già nel 1997 di un accordo di riammissione con l'Italia) e il Marocco (che aveva anch'esso firmato da pochi mesi un accordo di riammissione).

Nell'accordo con la Tunisia l'Italia si obbligava inoltre a fornire al paese nordafricano "supporto in mezzi tecnici ed operativi". A tal fine si stanziava un contributo economico di 15 miliardi di lire per un periodo di tre anni. (8) L'accordo stabiliva infine un contributo da parte dell'Italia di 500 milioni di lire per "la realizzazione in Tunisia di centri di permanenza". Da allora ben tredici centri di detenzione per stranieri venivano costruiti in territorio tunisino: uno di essi nei dintorni di Tunisi, un altro tra Gabès e il confine libico, mentre l'ubicazione degli altri undici è mantenuta segreta dalle autorità.

La cooperazione di polizia italo-tunisina prevedeva anche operazioni di pattugliamento congiunto in acque territoriali tunisine e la presenza stabile (dal luglio del 2000) di un ufficiale di collegamento della polizia italiana di stanza a Tunisi. (9)

Nel 2001, scaduti i contributi italiani previsti dall'accordo del 1998, si registrò una crescita dei flussi in arrivo sulle coste siciliane. Dopo essere cresciuta da 1.500 a 3.000 unità, la quota riservata alla Tunisia fu ridotta nel 2002 a 2.000 e nel 2003 a sole 600 unità l'anno. Si rendeva necessaria una rinegoziazione dei termini dell'accordo, la quale condusse, il 13 dicembre 2003, alla firma, da parte dei ministri degli interni Giuseppe Pisanu e Hedi M'Henni, di un nuovo accordo italo-tunisino riguardante riammissione e cooperazione di polizia. Sulla base di tale intesa riprendevano le forniture di equipaggiamenti da parte italiana, ai quali si aggiungevano anche corsi di formazione per la polizia tunisina. L'Italia si impegnava anche ad innalzare nuovamente la quota riservata alla Tunisia nell'ambito dei flussi di immigrazione legale. In effetti, solo sei giorni dopo la firma dell'accordo, il governo italiano emanava i due decreti flussi per il 2004, riportando la quota riservata alla Tunisia da 600 al massimo storico di 3.000 unità.

Un ulteriore segnale di risposta alle sollecitazioni italiane va considerata la legge approvata dal parlamento tunisino nel mese di febbraio del 2004. (10) La legge, in linea con le normative in vigore nei paesi europei, prevede pene severe per le organizzazioni che gestiscono i flussi migratori illegali e per chiunque, anche a titolo gratuito, favorisca tali attività. La particolarità più singolare è l'introduzione dell'obbligo di delazione: è soggetto a pena detentiva e a sanzione pecuniaria chiunque si astenga dal riferire alle autorità qualunque informazione riguardante movimenti migratori illegali della quale sia venuto a conoscenza.

La nuova legge testimonia di un cambiamento di clima che si evidenzia anche nella quantità crescente dei controlli per le strade e delle perquisizioni domiciliari, con conseguente allargamento dell'azione repressiva dalle aree di frontiera all'intero territorio nazionale. Ciò corrisponde, del resto, all'evoluzione che sta vivendo il fenomeno dell'immigrazione in Tunisia negli ultimi anni. Pure in assenza di dati ufficiali, appare infatti in continua crescita il numero di immigrati regolari che soggiornano in Tunisia per motivi di studio o di lavoro e che, venuto meno il presupposto per il permesso di soggiorno, vi restano in clandestinità, spesso in attesa dell'opportunità per tentare la traversata verso l'Europa. (11)

4. Libia: controlli migratori e riabilitazione internazionale

La Libia, unico tra gli stati nordafricani, non è un paese di emigrazione (12) ma di immigrazione. Pertanto le quote-flussi non possono essere adoperate come strumento di pressione nei suoi confronti. Inoltre la Libia non ha interesse a rinunciare ai vantaggi della manodopera straniera a buon mercato, (13) e ha perciò perseguito, sinora, una politica migratoria di sostanziale apertura che non prevedeva particolari misure di controllo alle frontiere terrestri. D'altra parte le relazioni tra Italia e Libia sono ancora condizionate dalle richieste libiche di risarcimento per i danni provocati dall'Italia durante il periodo coloniale. La questione resta insoluta anche dopo gli ultimi due incontri tra Berlusconi e Gheddafi, (14) ed è stata utilizzata dalla Libia proprio per bilanciare le richieste italiane di cooperazione in materia di controllo delle frontiere. Infine, la Libia è ancora sottoposta a embargo militare da parte dell'Unione Europea, e l'Italia non può perciò offrire o finanziare attrezzature e formazione professionale a beneficio della polizia libica, come invece fa con quella tunisina.

Per tutte queste ragioni hanno sinora ottenuto scarso successo i tentativi del governo italiano di coinvolgere il regime libico nella lotta ai movimenti migratori indesiderati. L'accordo su criminalità e immigrazione clandestina del dicembre 2000 non aveva contenuti concreti in relazione al controllo delle frontiere e alla riammissione delle persone entrate in Italia illegalmente. Successivamente, il 3 luglio 2003, i capi delle polizie italiana e libica firmavano una "intesa operativa per definire le modalità pratiche della collaborazione bilaterale per la prevenzione del fenomeno dell'immigrazione clandestina via mare, con l'obiettivo di contrastare le organizzazioni criminali che sfruttano i migranti clandestini". (15) Sinora il contenuto di tale accordo è stato tenuto segreto. Certo è tuttavia che non è stato possibile avviare azioni di controllo congiunte tra forze dei due paesi in territorio libico, (16) mentre la conclusione delle trattative per un accordo di riammissione continua ad apparire lontana, e dalle coste libiche, un anno dopo la firma dell'accordo, continuano a partire imbarcazioni cariche di migranti.

Non si sa, invece, se abbia avuto seguito l'intenzione del governo italiano di partecipare alla costruzione e alla gestione di centri di detenzione per l'identificazione e l'espulsione dal territorio libico dei profughi provenienti da altri paesi africani e diretti in Italia. (17)

Certo è che i migranti hanno finito di fatto per costituire, nel corso degli ultimi anni, una delle poche armi diplomatiche a disposizione della Libia per esercitare pressione sull'Italia e sull'Unione Europea, con l'obiettivo diretto della revoca delle sanzioni europee e l'obiettivo indiretto della revoca delle sanzioni ONU e dell'embargo commerciale statunitense. Alcune forti oscillazioni del numero degli sbarchi sulle coste siciliane nella seconda metà del 2003 potrebbero giustificare il sospetto che il paese nordafricano abbia regolato frequenza e intensità dei flussi in transito verso l'Italia a seconda dei propri interessi.

Intanto, però, il contesto internazionale appare in rapida trasformazione. Nel 2003 la Libia si è assunta la responsabilità degli attentati esplosivi del 1988 a un aereo statunitense nei cieli di Lockerbie e del 1989 a un aereo francese. Alla decisione del governo libico di risarcire le famiglie delle vittime è seguita, nel settembre del 2003, la revoca delle sanzioni ONU. Nel dicembre successivo Gheddafi, dopo lunghe trattative con il premier britannico Blair, ha inoltre annunciato la rinuncia della Libia a qualsiasi arma di distruzione di massa, e nel marzo del 2004 ha anche firmato il protocollo aggiuntivo al trattato per la non proliferazione delle armi nucleari. (18) Tutto ciò ha portato a una distensione dei rapporti con il Regno Unito e con gli Stati Uniti. Questi ultimi hanno quindi revocato la maggior parte delle sanzioni economiche nel mese di aprile e annunciato ufficialmente, a fine giugno, la ripresa di regolari relazioni diplomatiche con la Libia.

Restano ancora da sciogliere i nodi dell'embargo europeo e dell'ammissione della Libia alla cooperazione euro-mediterranea. (19) Difficile immaginare la risoluzione di tali questioni senza che la Libia vada incontro alle richieste europee in tema di controllo migratorio. E in effetti, ormai da qualche tempo, non mancano segnali di disponibilità in tal senso. Nell'autunno del 2003 la polizia libica ha eseguito un ordine di arresto internazionale emesso dalla procura di Agrigento a carico di una donna eritrea, capo di un'organizzazione che ormai da tempo, dal porto libico di Zuwārah, gestiva un ingente traffico di migranti eritrei e somali, aiutandoli a raggiungere le coste italiane. Nel febbraio del 2004 la donna è stata estradata in Italia. Inoltre le autorità libiche hanno proceduto, tra l'ottobre del 2003 e il giugno del 2004, a respingere 127 cittadini ghanesi, un centinaio di cittadini del Niger, decine di marocchini e oltre 500 egiziani, tutti fermati in diverse occasioni in territorio libico mentre preparavano la traversata del Canale di Sicilia. (20) Nel marzo del 2004, infine, il Congresso del Popolo ha ratificato nuove leggi restrittive dell'immigrazione, che prevedono l'espulsione dei cittadini stranieri privi di un lavoro stabile. L'introduzione della nuova normativa sul soggiorno degli stranieri potrebbe segnare la svolta che pone fine, anche in tema di migrazioni, all'era della Libia panafricana e panaraba per sostituirla con quella della Libia filo-occidentale. Davanti alla prospettiva concreta dell'abolizione dell'embargo europeo è lecito attendersi che la disponibilità della Libia alla collaborazione nel controllo delle frontiere possa crescere ulteriormente. Meno credibile appare invece un'evoluzione positiva della situazione interna libica in tema di diritti fondamentali.

5. Aiuti allo sviluppo e altre strategie comunitarie

Nell'estate del 1998, contestualmente alla firma dell'accordo tra Italia e Tunisia, l'Italia deliberava lo stanziamento di 150 miliardi di aiuti allo sviluppo a favore della Tunisia. Ciò contribuiva verosimilmente alla decisione del governo di Ben Alì di accettare i termini dell'accordo di riammissione. (21) In tal modo l'Italia applicava il principio della cooperazione condizionata, secondo il quale la concessione di aiuti allo sviluppo deve essere condizionata alla disponibilità dei paesi beneficiari a contrastare i movimenti migratori indesiderati. Tale principio sarebbe stato formalizzato, quattro anni più tardi, a livello comunitario. In occasione del Consiglio dei ministri della UE di Siviglia, nel giugno del 2002, l'Italia propose infatti - insieme a Spagna e Danimarca - l'imposizione di sanzioni a carico dei paesi terzi poco collaborativi nella lotta ai movimenti migratori illegali. Pur bocciando la proposta delle sanzioni, il Consiglio di fatto fece proprio il concetto della cooperazione condizionata, come emerge esplicitamente dalle conclusioni della Presidenza: "Il Consiglio europeo insiste affinché in qualsiasi futuro accordo di cooperazione, accordo di associazione o accordo equivalente che l'Unione europea o la Comunità europea concluderà con qualsiasi paese sia inserita una clausola sulla gestione comune dei flussi migratori, nonché sulla riammissione obbligatoria in caso di immigrazione clandestina. (...) Il Consiglio europeo reputa necessario procedere a una valutazione sistematica delle relazioni con i paesi terzi che non cooperano nella lotta all'immigrazione clandestina. Di questa valutazione si terrà conto nelle relazioni fra l'Unione europea e i suoi Stati membri e i paesi interessati, in tutti i settori pertinenti. Una cooperazione insufficiente da parte di un paese potrebbe rendere più difficile l'approfondimento delle relazioni tra il paese in questione e l'Unione". (22)

E in Italia la stessa legge Bossi-Fini, approvata un mese dopo Siviglia ed entrata in vigore nel settembre 2002, trasformava in norma positiva il medesimo principio. (23)

La questione dei movimenti migratori indesiderati nel Mediterraneo è oggetto del dibattito euro-mediterraneo sin dall'avvio del processo di Barcellona (v. nota 19). Anche i vari vertici dei "5+5" (24) hanno ripetutamente affrontato questo tema. Nelle ultime riunioni dei ministri degli esteri euro-mediterranei e negli ultimi incontri tematici sulle migrazioni nel Mediterraneo occidentale del gruppo "5+5" (25) è stata espressa l'intenzione di promuovere l'immigrazione legale e l'integrazione degli immigrati e di combattere l'immigrazione illegale tramite conclusione di accordi di riammissione tra l'Unione Europea (o i singoli stati membri) e i partner nordafricani. (26)

Recentemente l'Unione Europea ha varato il nuovo programma AENEAS, valido per il periodo 2004-2008, con l'obiettivo di fornire "assistenza finanziaria e tecnica ai paesi terzi in materia di migrazione e asilo". (27) Il programma è destinato essenzialmente a quei paesi che abbiano già concluso accordi di riammissione o avviato trattative al riguardo. Sinora l'Unione Europea non ha concluso alcun simile accordo con paesi nordafricani ma ha già avviato trattative con il Marocco. Per il nuovo programma pluriennale sono stati stanziati 250 milioni di euro. (28)

Nel corso del suo turno di presidenza del Consiglio dell'Unione Europea (luglio-dicembre 2003) il governo italiano ha inoltre proposto la trasposizione a livello comunitario del sistema italiano delle quote di immigrazione legale, proprio al fine di favorire la conclusione di accordi di riammissione tra UE e paesi terzi. La proposta non è stata finora accolta a causa della perplessità di alcuni paesi, timorosi che le quote europee possano limitare la loro autonomia decisionale in materia di immigrazione. (29)

Intanto, mentre si sta ancora valutando la creazione di un corpo europeo di guardie di frontiera, è stata già istituita un'agenzia europea delle frontiere, che coordinerà - a partire dal gennaio 2005 - il lavoro delle polizie di frontiera nazionali alle frontiere esterne. È stato poi approvato, su proposta italiana, un progetto che prevede la ripartizione dei costi e dei compiti tra gli stati membri per la vigilanza comune delle frontiere del Mediterraneo centrale e orientale. Il progetto, entrato già a settembre 2003 nella sua prima fase operativa, prevede pattugliamenti congiunti, con mezzi navali e aerei, ai quali partecipano Cipro, Francia, Germania, Grecia, Italia, Malta e Regno Unito.

6. Questioni etiche, problemi giuridici

Obiettivo esplicito dell'Italia è espandere il proprio regime di controllo delle frontiere al di là degli stessi confini nazionali, convincendo i paesi limitrofi ad adottare un'analoga politica di chiusura agli stranieri e analoghi standard di sorveglianza alle loro frontiere. È quanto altri stati europei - la Germania in testa - hanno già fatto, con successo, nei confronti dei paesi dell'Europa centro-orientale candidati all'adesione all'Unione Europea, attraverso la cooperazione di polizia, gli accordi di riammissione, la creazione nei paesi di transito di centri di detenzione per stranieri. (30) Ma se nei confronti di questi paesi era possibile porre tale adeguamento come condizione per la futura ammissione nell'Europa "dei ricchi", nei confronti di Libia e Tunisia, che nell'Unione Europea non sono destinate a entrare, è stato ed è necessario fare ricorso ad altri argomenti. Ad esempio condizionando, come abbiamo visto, la concessione di aiuti economici e di quote flussi all'impegno, da parte dei paesi di transito e origine dell'immigrazione, a contrastare i movimenti migratori indesiderati.

Gli aiuti allo sviluppo, nell'uso strumentale che ne viene fatto, perdono ogni legame con qualsiasi principio di solidarietà tra popoli e nazioni o con obiettivi quali la riduzione del divario tra paesi ricchi e paesi poveri, riducendosi a moneta di scambio per ottenere dai paesi poveri prestazioni a beneficio esclusivo dei paesi ricchi.

Anche la decisione di consentire ogni anno l'ingresso di un certo quantitativo di lavoratori stranieri, in sé indicativa di un atteggiamento di parziale apertura nei confronti delle esigenze del mercato del lavoro, appare in una luce diversa nel momento in cui i criteri con i quali vengono selezionate le persone non sono legati, per esempio, al tipo di formazione professionale del potenziale immigrato ma al possesso, da parte dello stesso, della cittadinanza di un determinato paese.

In entrambi i casi - cooperazione condizionata e quote riservate - il problema che si pone è dunque, in primo luogo, di natura etico-politica.

Altre considerazioni su altri aspetti e altre pratiche della politica migratoria italiana fanno emergere con altrettanta gravità, accanto a interrogativi morali, anche questioni di natura propriamente giuridica.

L'Italia stringe (nel caso della Tunisia) o cerca di stringere (nel caso della Libia) accordi di riammissione con regimi dittatoriali, nei quali diritti civili fondamentali - come la libertà di opinione, di espressione, di associazione - sono negati, e nei quali viene praticata la tortura ed è in vigore la pena di morte. (31) Nessun cenno viene però fatto alla necessità di un adeguamento dei paesi in questione agli standard occidentali in tema di diritti fondamentali: ciò guasterebbe inevitabilmente il clima delle trattative e rischierebbe di compromettere il raggiungimento dello scopo, che è solo quello di ottenere la partecipazione attiva ai controlli da parte dei paesi nordafricani. A tal proposito, è utile ripetere il richiamo già fatto al processo di adeguamento dei paesi dell'Europa centro-orientale. Mentre negli accordi tra Germania e Polonia e tra Germania e Repubblica Ceca conclusi nel corso degli anni Novanta erano previsti contributi tedeschi anche per la formazione di personale destinato a valutare le richieste di asilo e per la costruzione di strutture di accoglienza per rifugiati, qualsiasi riferimento ai temi dell'asilo e della protezione umanitaria è stato sinora del tutto assente non solo dagli accordi effettivamente conclusi ma - per quanto è dato sapere - anche da qualsiasi trattativa o confronto in materia di controllo dell'immigrazione tra Italia e Tunisia e tra Italia e Libia.

Vale la pena ricordare al proposito che, mentre la Libia non è neanche tra i paesi firmatari della convenzione di Ginevra sul riconoscimento dello status di rifugiato, la Tunisia, pur avendo firmato la convenzione, non ha mai legiferato in materia, e pertanto ai cittadini stranieri vittime di persecuzione o in fuga da regioni colpite da guerre o calamità naturali è di fatto negata qualsiasi forma di protezione. Benché dal 2001 sia presente a Tunisi un rappresentante dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il quale - in assenza di istituzioni statali ad hoc - funge da responsabile della procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato nei confronti degli stranieri che ne facciano domanda, si deve purtroppo rilevare che il suo margine d'azione risulta del tutto insufficiente, come dimostrano tanto il numero bassissimo di richieste di riconoscimento presentate (37) e accolte (7) nell'anno 2002 quanto il fatto che la maggior parte dei rifugiati riconosciuti come tali non riceve - o riceve solo sporadicamente e parzialmente - il contributo economico che spetterebbe loro. (32)

Ciò nonostante, l'Italia applica prassi discutibili come quella del trasbordo immediato dalle motovedette italiane a quelle tunisine delle persone fermate prima dello sbarco. (33) Difficile immaginare come simili operazioni possano consentire procedure complesse come la verifica dell'identità e dell'origine degli interessati, e garantire il diritto degli eventuali profughi ad essere informati sulle modalità per la richiesta di asilo o di altre forme di protezione in Italia. (34)

Alla luce di tutte queste considerazioni sulla situazione in Libia e in Tunisia, il respingimento di esseri umani verso questi paesi - che si tratti di cittadini di tali stati o di stati terzi - non suscita solo perplessità di carattere morale ma sembra porsi in contrasto con obblighi di diritto internazionale quali il divieto di respingimento di un rifugiato "verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche" (art. 33 della convenzione di Ginevra) e il divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 della convenzione europea dei diritti dell'uomo), oltre che con il diritto di asilo politico riconosciuto allo straniero "al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana" (art. 10, comma 3 della costituzione). Considerando poi che, nel caso di cittadini di paesi terzi, al respingimento dall'Italia verso il paese di transito segue la reclusione in centri di detenzione segreti e inaccessibili e l'ulteriore respingimento verso il paese d'origine o verso il paese di transito precedentemente attraversato dal migrante, tali perplessità acquistano un peso ancor maggiore.

Note

1. Fonte: rassegna stampa curata dall'autore.

2. La tabella raccoglie i dati relativi soltanto ai fermi effettuati dalle forze dell'ordine italiane in mare (prima dello sbarco) o sulla costa (subito dopo lo sbarco). Per potere avere il dato quantitativo completo delle persone che ogni anno provano a raggiungere le coste siciliane bisognerebbe aggiungere a queste cifre quelle relative a: a) gli immigrati che sono riusciti a eludere i controlli; b) i fermi effettuati dalle guardie di frontiera dei paesi di transito e origine dei flussi; c) le persone morte durante la traversata del Canale di Sicilia o durante precedenti tappe del viaggio; d) le persone che interrompono la traversata del Canale di Sicilia o del deserto e sono costrette a tornare indietro (per es. dalle avverse condizioni meteorologiche). Si tratta di dati non rilevabili o - nel caso b) - di dati che, se rilevati, non vengono resi pubblici dalle autorità dei paesi interessati.

3. I dati relativi alle coste pugliesi si riferiscono a imbarcazioni provenienti dall'Albania; quelli relativi alle coste calabresi si riferiscono a imbarcazioni provenienti dalla Turchia o dal Canale di Suez. Le cifre relative alle coste siciliane comprendono, oltre alle imbarcazioni provenienti dal Nord-Africa, anche quella porzione - non quantificabile esattamente - dei flussi provenienti dalla Turchia e dal Canale di Suez che non si dirige verso le coste calabresi.

4. Segnatamente l'art. 33 della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e l'art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguarda dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

5. Art. 10, comma 3.

6. H. Boubakri, Migrations irrégulières au Maghreb: associer, développer; bien gouverner...pour prévenir, relazione al convegno "Migrants clandestins et réfugiés en Méditerranée: rôle des villes et des régions", Conseil de l'Europe/ Commission de la Cohésion Sociale/ Congrès des pouvoirs Locaux et Régionaux & Mairie de Rome, Rome, 13 octobre 2003.

7. Tabella elaborata dall'autore sulla base dei dati tratti dai decreti-flussi (decreti ministeriali 24.12.1997, 16.10.1998, 8.2.2000, 8.6.2000, 9.4.2001, 12.7.2001, 4.2.2002, 12.3.2002, 22.5.2002, 16.7.2002, 15.10.2002, 20.12.2002, 6.6.2003, 19.12.2003, 20.4.2004, circolare della direzione generale per l'impiego 24.3.1999; direttiva ministeriale 4.8.1999).

8. F. Pastore, Relazioni euromediterranee e migrazioni, in A. Stocchiero (a cura di), Politiche migratorie e di cooperazione nel Mediterraneo, Centro Studi Politica Internazionale (CESPI) - Fondazione Friedrich Ebert - Ministero Affari Esteri, Roma 2001.

9. Nel 2003 l'Italia aveva ufficiali di collegamento operanti nei seguenti paesi extracomunitari: Egitto, Albania, Bulgaria, Cina, Georgia, Croazia, Romania, Serbia - Montenegro, Slovenia, Tunisia, Ungheria.

10. Loi organique nº 2004-6 du 3 février 2004.

11. H. Boubakri, Migrations irrégulières au Maghreb..., cit.

12. In Italia risiedono solo un migliaio di cittadini libici, contro i 18.000 algerini, i 46.000 egiziani, i 61.000 tunisini e i 227.000 marocchini (dati tratti dalle stime della Caritas, elaborate dopo l'ultima sanatoria).

13. Al censimento del 1995 risultavano residenti in Libia oltre 400.000 cittadini stranieri, che corrispondono a un dato percentuale doppio (8,5% della popolazione complessiva) rispetto a quello degli stranieri presenti oggi in Italia. Tuttavia, secondo stime non ufficiali, il numero effettivo degli stranieri presenti in territorio libico supererebbe addirittura i due milioni. La maggior parte di essi proviene dall'Egitto, dalla Tunisia e da altri paesi dell'Africa occidentale e centrale.

14. Il 28 ottobre 2002 a Tripoli e il 10 febbraio 2004 a Sirte.

15. Ministero dell'Interno, Lo stato della sicurezza in Italia, Roma 2003, p. 212.

16. Il 16 giugno 2003 - poco prima della firma dell'accordo - il capo del governo italiano dichiarò che le forze dell'ordine italiane avrebbero presto pattugliato i porti libici. La notizia venne immediatamente e seccamente smentita dal colonnello Gheddafi.

17. Cfr. L'Italia vuole aprire un CPT in Libia, "Il manifesto", 25.10.2003.

18. Il protocollo aggiuntivo consente ispezioni senza preavviso da parte dell'autorità internazionale competente (IAEA - International Atomic Energy Agency).

19. La cooperazione euro-mediterranea, creata a Barcellona nel 1995 e chiamata anche "processo di Barcellona", ha come obiettivo l'approfondimento delle relazioni politiche, economiche e culturali tra gli stati membri della UE e i paesi della riva meridionale e orientale del Mediterraneo, in funzione della creazione di un'area euro-mediterranea di libero scambio entro il 2010. I membri del partenariato sono Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Israele, i Territori Autonomi Palestinesi, Giordania, Libano, Siria, Turchia e i venticinque membri della UE. La Libia ha lo status di osservatore. Il 27.4.2004 Gheddafi ha reso visita al presidente della Commissione UE Prodi e ha formalizzato la richiesta di piena adesione della Libia al processo di Barcellona.

20. Dati tratti da comunicati ANSA.

21. F. Pastore, cit.

22. Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Siviglia, 21 e 22 giugno 2002.

23. L'art. 1 della Legge 30 luglio 2002, n. 189, ai commi 2 e 3, recita: "2. Nella elaborazione e nella eventuale revisione dei programmi bilaterali di cooperazione e di aiuto per interventi non a scopo umanitario nei confronti dei Paesi non appartenenti all'Unione europea, con esclusione delle iniziative a carattere umanitario, il Governo tiene conto anche della collaborazione prestata dai Paesi interessati alla prevenzione dei flussi migratori illegali e al contrasto delle organizzazioni criminali operanti nell'immigrazione clandestina, nel traffico di esseri umani, nello sfruttamento della prostituzione, nel traffico di stupefacenti, di armamenti, nonché in materia di cooperazione giudiziaria e penitenziaria e nella applicazione della normativa internazionale in materia di sicurezza della navigazione. 3. Si può procedere alla revisione dei programmi di cooperazione e di aiuto di cui al comma 2 qualora i Governi degli Stati interessati non adottino misure di prevenzione e vigilanza atte a prevenire il rientro illegale sul territorio italiano di cittadini espulsi".

24. Gruppo informale costituito da cinque paesi nordafricani (Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia) e cinque paesi europei (Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Malta).

25. Dopo le prime due sedute di Tunisi (2002) e Rabat (2003) ne è prevista una terza ad Algeri nel 2004.

26. Cfr. Conclusions of the Euro-Mediterranean Mid-Term Meeting of Foreign Ministers, Crete, 26-27 May, 2003; Conclusions of the Euro-Mediterranean Conference of Ministers of Foreign Affairs, Naples, 2-3 December, 2003; Relevé des conclusions de la Présidence e Proposition de mise en œuvre de la Déclaration de Tunis della 2ème Conférence Ministérielle sur la Migration en Méditerranée Occidentale (Rabat, les 22 et 23 Octobre 2003).

27. Regolamento (CE) N. 491/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 10 marzo 2004 (Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea L 80/1 del 18.3.2004).

28. Altri strumenti comunitari perseguono vari obiettivi nel campo dell'immigrazione. Tra essi la linea di bilancio B7-667 e i programmi ARGO, INTI e MEDA riguardano i paesi extraeuropei.

29. Si tratta in particolare della Germania e della Francia. Uno studio di fattibilità commissionato dai ministri degli interni della UE e completato a fine maggio 2004 esprime peraltro un giudizio favorevole sulla proposta italiana.

30. P. Cuttitta, Frontiere e controlli migratori tra Germania, Polonia e Repubblica Ceca, in "Diritto, immigrazione e cittadinanza", 4, 2003.

31. Al proposito si rimanda ai siti: FIDH, Conseil National Pour Les Libertés en Tunisie.

32. Solo il neonato programma comunitario AENEAS ricomprende tra i propri obiettivi quello dello "sviluppo della normativa e delle prassi nazionali per quanto riguarda la protezione internazionale, al fine di rispettare le disposizioni della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati e del protocollo del 1967 e di altri strumenti internazionali pertinenti, di garantire il rispetto del principio del non refoulement e di migliorare la capacità dei paesi terzi interessati che ricevono richiedenti asilo e profughi" (v. nota 27). Le dichiarazioni di intenti dei programmi europei, però, non sono da sole garanzia sufficiente della loro realizzazione. Lo dimostra, ad esempio, l'esperienza del programma MEDA (operativo nel periodo 1998-2006), tra i cui obiettivi vi era quello del "rafforzamento della democrazia e del rispetto dei diritti dell'uomo" nei paesi a sud del Mediterraneo, come recita il Regolamento (CE) n. 1488/96 del Consiglio del 23 luglio 1996 relativo a misure d'accompagnamento finanziarie e tecniche (MEDA) a sostegno della riforma delle strutture economiche e sociali nel quadro del partenariato euromediterraneo (Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea n. L 189 del 30/07/1996).

33. Clandestini in Tunisia, accordo col Viminale e Centinaia di disperati verso le coste italiane, nel sito La Repubblica, 21 ottobre 2003.

34. L'Italia e Malta stanno predisponendo con la Tunisia e la Libia "un piano di pattugliamento congiunto del Mediterraneo centrale" nell'ambito del quale, "oltre alla vigilanza in mare, saranno definite le procedure per la gestione in comune degli eventuali emigranti individuati a bordo delle imbarcazioni intercettate" (Le proposte del governo italiano a livello comunitario in materia di immigrazione, relazione del Prefetto Alessandro Pansa, direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere, al Convegno SIDI "Le migrazioni: una sfida per il diritto internazionale, comunitario e interno", Scuola Superiore Amministrazione dell'Interno, 18 giugno 2004).