ADIR - L'altro diritto

Nuove intese tra Italia e Libia e salvaguardia dei diritti umani

Fulvio Vassallo Paleologo, 2008

1. Alla fine del 2007, tra la Libia e l'Italia si è giocata una partita diplomatica che ha finalmente prodotto i risultati da tempo auspicati dai governi italiani, prima da Berlusconi e da Pisanu, poi da Prodi, D'Alema e Amato. Otto anni dopo l'avvio delle prime trattative con il colonnello Gheddafi, l'Italia ha finalmente siglato un accordo con la Libia per combattere l'immigrazione clandestina. Finora si era trattato solo di intese operative, a livello di forze di polizia, adesso quelle stesse forze di polizia ottengono dai politici la formalizzazione e la legittimazione delle prassi “riservate” seguite fin qui, con l'aggiunta di mezzi e personale che dovrebbero migliorare “l'efficienza” degli interventi di contrasto. La firma congiunta sul protocollo è stata apposta dal ministro degli Esteri Abdurrahman Mohamed Shalgam e dal titolare del Viminale Giuliano Amato, accompagnato dal responsabile del suo gabinetto Gianni De Gennaro, vero elemento di continuità di tutta la trattativa, e dal capo della polizia Antonio Manganelli (1).

Un accordo importante, che coincide con l'insediamento della Libia in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dopo che gli Stati Uniti d'America sono diventati i principali sponsor di un paese che fino a pochi anni fa era ancora incluso nella lista degli “stati canaglia”. Ma l'impegno (e i timori soprattutto) di Gheddafi nella lotta contro il terrorismo internazionale (almeno stando alle sue più recenti dichiarazioni) hanno convinto gli americani, a corto di alleati nella “crociata contro il male”, ad allearsi con la Libia ed a sancire definitivamente la riabilitazione internazionale del regime libico. Poco importa se Gheddafi respinge con durezza la istituzione di un Tribunale penale internazionale o qualunque accenno di critica nei confronti del mancato rispetto dei diritti umani in Libia, materia che ritiene di esclusiva competenza interna. Anche i paesi europei, l'Italia in testa, stanno facendo da tempo la fila per guadagnarsi i favori (economici) del potente vicino e la sua collaborazione nella “guerra contro l'immigrazione illegale”, senza preoccuparsi troppo del rispetto dei diritti umani dei migranti bloccati in Libia o delle vite dei tanti che, pur di fuggire da quel paese, sfidano la morte nelle acque del Mediterraneo (2).

L'Italia si era preparata da anni, passo dopo passo, per offrire sostegno al governo libico nel contrasto dell'immigrazione irregolare. Nel 2004 veniva promulgata la legge n. 271, che attribuiva al Ministero dell'Interno la possibilità di finanziare la realizzazione, in paesi terzi, di “strutture utili ai fini del contrasto di flussi irregolari di popolazione migratoria verso il territorio italiano”. I finanziamenti elargiti dall'Italia non sono stati finora legati al rispetto dei diritti dei migranti o alla ratifica della Convenzione di Ginevra sul diritto d'asilo, né alla conformità delle strutture di trattenimento agli standard minimi internazionali per la detenzione. Con i fondi stanziati grazie a questa legge, in Libia, sono stati finanziati almeno tre centri di trattenimento per migranti irregolari, dove le violazioni dei diritti umani sono sistematiche.

A confermare gli abusi non sono state solo le organizzazioni che difendono i diritti umani o i giornalisti che hanno potuto visitare la Libia, ma i vertici dei servizi segreti italiani, come l'ex direttore del SISDE Prefetto Mario Mori. Nel 2005, durante una audizione del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, Mori dichiarava come in Libia “i clandestini vengono accalappiati come cani, messi su furgoncini pick-up e liberati in centri di accoglienza dove i sorveglianti per entrare devono mettere i fazzoletti intorno alla bocca per gli odori nauseabondi...”. Mori parlava anche del centro di accoglienza finanziato dagli italiani in Libia, nella località di Seba, al confine con il deserto, uno di quei centri di detenzione dove venivano trasferiti anche i “clandestini” respinti dai centri di permanenza temporanea italiani. «Il centro - dichiarava Mori - prevede di ospitare cento persone ma ce ne sono 650, una ammassata sull´altra senza il rispetto di alcuna norma igienica e in condizioni terribili». Mori aveva effettuato una visita nel Centro di Seba intorno alla metà di gennaio del 2005, cinque giorni prima dell´incontro del ministro Giuseppe Pisanu con il colonnello Gheddafi. Già in quell'anno cominciavano a confondersi le questioni dell'immigrazione irregolare con il tema della sicurezza internazionale e della lotta al terrorismo. “In questi campi”, concludeva il prefetto, “è alto il rischio di infiltrazione terroristica. Prima di Natale un gruppo ha confessato un progetto di attentato in un hotel di Bengasi frequentato da occidentali”.

2. Nel 2006, mentre cresceva in maniera esponenziale il numero delle vittime dell'emigrazione clandestina, continuavano i contatti tra la Libia e l'Italia per superare l'antico contenzioso post-coloniale ed instaurare più proficui rapporti commerciali, ridefinendo le frontiere meridionali dell'Unione Europea con la esternalizzazione dei centri di detenzione amministrativa e delle pratiche di espulsione collettiva. L'Italia è stato il paese europeo che si è maggiormente impegnato per la rimozione dell'embargo contro la Libia, dimostrando da questo punto di vista una totale continuità di politica estera, dal Governo D'Alema nel 1999, al Governo Berlusconi ed al Governo Prodi, poi, malgrado i dibattiti parlamentari evidenzino contrapposizioni che appaiono più rivolte alla ricerca del consenso elettorale in nome della “sicurezza”, che ad una diversa impostazione dei problemi (3).

La vicenda della liberazione delle infermiere bulgare e del medico palestinese, nell'estate del 2007, aveva segnato un punto in favore del “concorrente” governo francese, scandito anche dalla visita di Gheddafi a Parigi, ma adesso il nuovo accordo sottoscritto da Amato con il suo omologo libico, con la “benedizione” del commissario europeo Frattini, rimette in corsa la diplomazia italiana ed apre nuovi scenari per una più intensa collaborazione economica. con il regime libico. Altro che maggiori prospettive di salvare la vita ai clandestini, come sostiene adesso il ministro Amato! È documentato da dati inoppugnabili come in tutte le parti del mondo, e nel Mediterraneo in particolare, ogni intensificazione delle misure di contrasto dell'immigrazione clandestina, senza il riconoscimento dei diritti fondamentali dei migranti, come il diritto di asilo, e senza l'apertura di canali di ingresso legali, produca una crescita esponenziale di vittime.

La stipula dell'accordo tra Italia e Libia, giunta pochi giorni la conclusione del vertice europeo di Lisbona, non stupisce. Malgrado il progetto francese di una unione euromediterranea, sta tramontando l'idea di un “approccio globale” dell'Unione Europea (a 27 stati) sul piano delle politiche migratorie, e tutti i paesi comunitari stanno intensificando le iniziative tendenti alla stipula di accordi bilaterali. I diritti umani vengono evocati come un orpello formale di intese che nei fatti ratificano sfruttamento ed abusi. Sembra che questo sia ormai un prezzo da pagare alle esigenze della concorrenza internazionale e della sicurezza.

La globalizzazione economica si affida sempre più spesso alle armi, alla etnicizzazione dei conflitti e quindi ai regimi dittatoriali, alle carceri ed alla tortura, piuttosto che alla emancipazione economica e sociale delle popolazioni autoctone, spesso costrette alle migrazioni - se non dalla guerra - proprio per la desertificazione sociale, politica ed ambientale dei territori che abitano (4).

Da una parte all'altra del mondo, si continua a puntare su regimi privi di una qualsiasi legittimazione democratica, per “garantire la pace” nelle relazioni internazionali e la sicurezza interna, oltre, naturalmente, i profitti delle multinazionali. Con quali risultati è possibile per tutti, oggi, verificare. L'allarme terrorismo si è da tempo esteso all'Africa settentrionale e ovunque si registra una alleanza di fatto (malgrado dichiarino di combattersi a vicenda) tra le organizzazioni terroristiche e i fondamentalismi di stato, a danno della società civile, degli studenti, dei docenti universitari, degli operatori dell'informazione, degli avvocati, dei magistrati e di tutti coloro (anche esponenti politici) che in quei paesi lottano per la pace e la democrazia, attraverso la giustizia sociale, senza aspettare che siano le armi e le divise ad imporle (5).

Le pratiche poliziesche di extraordinary rendition, con la esternalizzazione della tortura, e l'arresto indiscriminato di migranti irregolari, sono altra merce di scambio che alcuni paesi di transito, dal Marocco all'Egitto in Africa, ma anche altrove, utilizzano per accreditarsi come partner affidabili. Il regime libico, che gode evidentemente di simpatizzanti anche in Italia, presenta poi aspetti del tutto particolari, ancora da verificare sotto questo punto di vista perché la collaborazione con gli Stati Uniti è assai recente. Le pratiche di contrasto, tanto del terrorismo che dell'immigrazione clandestina, rischiano comunque di confondersi sempre di più. Ma la Libia presenta altre particolarità, che non andrebbero trascurate, perché non si tratta di un paese di emigrazione, ma soltanto di transito, ricco di risorse naturali e finanziarie, uno stato che in certi periodi ha bisogno dell'immigrazione, che poi riduce con la pratica delle espulsioni sommarie, uno stato che, dopo la rimozione dell'embargo, e le promettenti offerte della diplomazia europea, può permettersi di negoziare da posizioni di forza con qualunque interlocutore.

La legittimazione globale del colonnello Gheddafi dopo il vertice di Lisbona ed il suo viaggio in Francia e in Spagna, come gendarme di un'area ad alto rischio, facevano facilmente prevedere una intensificazione dei rapporti già esistenti di collaborazione con i paesi europei nel contrasto dell'immigrazione clandestina, senza troppo riguardo per quei principi consolidati proprio a livello europeo, che dovrebbero imporre standard più elevati per la protezione dei diritti umani (6). Già dal 2003, peraltro, l'Italia aveva concluso e praticato con la Libia intese operative, come quelle che tra il 2004 e il 2005 avevano supportato le operazioni di rimpatrio dalla Libia verso numerosi paesi di origine dei migranti e, tra le altre, le deportazioni collettive da Lampedusa, malgrado la condanna del Parlamento Europeo e della Corte Europea dei diritti dell'Uomo. E sono noti da tempo casi (ancora) isolati di respingimento in mare di imbarcazioni cariche di migranti, praticato da unità militari italiane, verso i porti libici (7).

3. Dopo mesi di trattative riservate condotte dai più alti vertici del ministero dell'Interno, sulle quali si è taciuto persino in Parlamento, di fronte a diverse interrogazioni parlamentari che chiedevano di fare chiarezza sui rapporti tra la Libia e l'Italia, alla fine del 2007 si è così giunti alla firma di un “protocollo d'intesa” che dovrebbe stabilire una più stretta collaborazione tra la polizia libica e quella italiana nel contrasto dell'immigrazione clandestina. Si istituiscono centrali operative e sistemi di monitoraggio comuni per contrastare l'immigrazione clandestina, con il dispiegamento di unità militari italiane in acque libiche a ridosso della costa, per adesso sei imbarcazioni della Guardia di Finanza, tra le più avanzate tecnologicamente, che opereranno con equipaggi misti per respingere i migranti verso i porti di partenza.

Il Protocollo firmato a Tripoli prevede inoltre che l'Italia assuma ulteriori iniziative a livello europeo per rinforzare i dispositivi di “guerra all'immigrazione illegale” come l'agenzia FRONTEX (8). Secondo quanto si apprende dai giornali che hanno fedelmente riportato le veline dei comunicati ufficiali, “la direzione e il coordinamento delle attività addestrative ed operative di pattugliamento marittimo vengono affidati ad un Comando operativo interforze che sarà istituito presso una «idonea struttura» individuata dalla Libia. Il responsabile sarà un «qualificato rappresentante» designato dalle autorità libiche, mentre il vice comandante (con un suo staff) verrà nominato dal Governo italiano. Tra i compiti del Comando interforze quello di organizzare l'attività quotidiana di addestramento e pattugliamento; di «impartire le direttive di servizio necessarie in caso di avvistamento e/o fermo di natanti con clandestini a bordo»; di interfacciarsì con le «omologhe strutture italiane», potendo anche richiedere l'intervento o l'ausilio dei mezzi schierati a Lampedusa per le attività anti-immigrazione”. I termini dell'accordo, malgrado il riserbo ufficiale appaiono molto chiari. Il Protocollo affida alle forze di polizia “congiunte” il potere di stabilire le modalità di ingaggio nei confronti delle imbarcazioni cariche di migranti, senza regole prestabilite, come pure si tentava di fare nel famigerato decreto emanato dal governo Berlusconi il 14 luglio 2003. Sappiamo già cosa significa il “fermo di natanti” in mare, migliaia di morti e ancora processi per i comandanti delle imbarcazioni non militari, autori di interventi di salvataggio. Ed è ben nota la condizione dei migranti restituiti alla polizia libica dopo il respingimento da parte delle autorità italiane (9).

L'accordo sottoscritto da Amato e dal ministro degli interni libico dovrebbe rientrare tra gli accordi che sono previsti già nel Testo Unico sull'immigrazione agli articoli 2, 3 e 21 (che in verità si riferiscono agli accordi con i paesi di origine e non di transito come la Libia), modificati dalla legge Bossi-Fini, con disposizioni che, per come sono state finora applicate, suscitano ancora gravi sospetti di incostituzionalità perché si tratta di accordi internazionali di indubbia valenza politica e di ingente portata economica che sono sottratti alla ratifica parlamentare prevista dall'art. 80 della nostra Costituzione. Gli stessi accordi, a seconda del loro contenuto, o delle intese operative che ne seguono, possono violare principi consolidati di diritto internazionale, soprattutto quando riguardano migranti allontanati verso paesi diversi da quelli di origine. La riammissione, o il respingimento, collettivo, a mare, di migranti verso stati che non garantiscano il rispetto dei diritti umani fondamentali, ovvero nei quali gli interessati possano essere vittime di trattamenti disumani o degradanti, sono tassativamente proibiti dall'art. 3 della stessa Convenzione Europea (10). Analogamente è vietato il rinvio verso stati nei quali non vi è l'effettiva possibilità di accedere alla protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, convenzione che la Libia non ha ancora sottoscritto, macigno che non può essere rimosso dal consueto argomento che lo stesso paese è parte dell'Organizzazione degli stati africani (OUA) il cui statuto richiama quella Convenzione. Del resto è sufficiente verificare la impossibilità per l'ACNUR e le altre organizzazioni umanitarie di assolvere le proprie funzioni di assistenza in favore dei richiedenti asilo, come in tutti i paesi firmatari della Convenzione di Ginevra, per cogliere il cinismo di chi sostiene gli accordi con la Libia. Rimane ancora molto concreto il rischio - se non la certezza - che dopo gli interventi di pattugliamento congiunto praticato dalle unità miste italo-libiche si possano verificare vere e proprie espulsioni o respingimenti collettivi, anche a danno di potenziali richiedenti asilo, come eritrei, somali, sudanesi, verso la Libia e da qui verso i paesi di provenienza (11).

In questi anni si è avuta notizia di migliaia di casi di respingimento di potenziali richiedenti asilo da parte delle autorità libiche, anche con voli di rimpatrio finanziati dal governo Berlusconi, come evidenziato dalla relazione della Corte dei Conti per il 2004 e dalle missioni del Parlamento Europeo, senza un effettivo controllo di una autorità giurisdizionale, senza alcuna possibilità di difesa. Ma la situazione non è migliorata negli ultimi anni.. Migliaia di persone, tra le quali donne e minori, sono trattenuti ancora oggi in condizioni disumane, come si è verificato nel caso degli eritrei e degli altri migranti irregolari detenuti nel carcere di Misurata ed in altri luoghi di detenzione, anche fosse scavate nel deserto. Gli stupri delle donne migranti, soprattutto eritree, da parte della polizia libica e dei trafficanti sono sistematici, come la prostituzione forzata. I migranti irregolari, anche quelli giunti in Libia per lavorare, attratti dagli inviti del colonnello Gheddafi ai tempi dell'embargo, sono stati poi rastrellati e, utilizzati come merce di scambio. Chi è riuscito a fuggire ha dovuto pagare somme sempre più elevate alla polizia libica. Con questo leader politico e con queste forze di polizia adesso l'Italia ha firmato un protocollo per la “cooperazione contro l'immigrazione clandestina”.

Al di là del giudizio negativo che si può formulare su un accordo concluso sulla pelle dei migranti, senza alcun riguardo per le categorie più vulnerabili, viene forte il dubbio che i paesi, come la Francia e l'Italia, che stanno investendo risorse ingenti attribuendo a regimi dittatoriali compiti sempre più importanti per bloccare l'immigrazione e per combattere il terrorismo, possano avere fatto male i propri conti, per la inaffidabilità dei partner che non sembrano certo in grado di garantire quanto hanno millantato, ma che intanto prosperano sugli aiuti economici e sulle forniture militari che gli vengono generosamente elargite. Continuando a governare con la violenza clandestina dei servizi segreti e con la repressione di qualunque forma di dissenso. Violenza militare e repressione che possono alimentare la base di consenso verso le organizzazioni terroristiche.

Gli inviti finora rivolti alla Libia di assicurare un maggior rispetto per i diritti umani, non solo dei migranti, sono finora caduti nel vuoto. Nel corso dei suoi incontri a Parigi, Gheddafi ha immediatamente smentito Sarkozy quando questi ha affermato di avere trattato, nel suo colloquio con il leader libico, il dossier sul rispetto dei diritti umani in Libia, questione sollevata ancora di recente da Human Rights Watch, e lo stesso atteggiamento infastidito è stato opposto all'amministrazione americana (12).

Sulla base della esperienza maturata in questi ultimi anni è ben difficile che i nuovi accordi possano produrre gli effetti auspicati dal governo italiano, contrastare l'immigrazione clandestina gestita dalle organizzazioni criminali salvaguardando al contempo. la vita ed i diritti fondamentali dei migranti irregolari. Come è ricordato in un recente documento dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione “l'accordo italo-libico, per quanto è dato desumere dalle notizie ufficiali diramate dal governo, mancherebbe di ogni effettivo elemento di controllo e di garanzia sulla sorte dei migranti che verranno intercettati e rinviati in Libia. In tal modo, al di là delle dichiarazioni espresse dal Governo italiano relative alle finalità meritorie del contrasto del tragico traffico degli esseri umani, l'accordo pone oggettivamente l'Italia in un pericolosissimo vortice di gravi responsabilità dirette per le violazioni dei diritti fondamentali della persona che in territorio libico potranno essere commesse a danno dei migranti che saranno respinti o arrestati in quel paese” (13).

Note

1. Il Corriere della Sera, 30 dicembre 2007 - Dietro le quinte la mediazione di De Gennaro.
ROMA - Si è mossa su un doppio binario la trattativa dell'Italia con la Libia. Ma alla fine l'uomo della svolta è stato Gianni De Gennaro, l'ex capo della polizia attuale responsabile del gabinetto del ministro Giuliano Amato. È stato lui a tessere la tela con le autorità di Tripoli sin dal giugno scorso e a ottenere il via libera definitivo all'accordo. Il resto lo hanno fatto i diplomatici che in questi ultimi mesi hanno assicurato a Gheddafi l'impegno formale per sanare i vecchi conti del passato, cioè i danni causati dal colonialismo che il colonnello non ha mai smesso di pretendere. E così il titolare della Farnesina Massimo D'Alema agli inizi di novembre ha potuto dichiarare pubblicamente: «Abbiamo raggiunto un'intesa di massima che dovrà essere perfezionata». Un patto che prevede l'impegno dell'Italia alla costruzione dell'autostrada che attraversa tutto il Paese, visto che parte dal confine con la Tunisia e arriva a quello con l'Egitto. È il «grande gesto» più volte promesso da Silvio Berlusconi quando era a capo del governo e mai realizzato. È stato il nodo da sciogliere per riuscire a convincere il governo della Giamahiria a consentire il pattugliamento delle sue coste. Ma non è stato l'unico. Perché De Gennaro ha mostrato concretamente quale potesse essere l'apporto che l'Italia era disposta a fornire per aiutare i libici a presidiare le proprie frontiere interne. E così sono stati consegnati «cinque veicoli fuoristrada completamente allestiti per il deserto e dotati di apparecchiature satellitari gps e impianti radio; gli strumenti per l'individuazione del falso documentale; sette computer e altrettanti sistemi di comunicazione satellitare». Ma è stato soprattutto messo a disposizione un finanziamento di due milioni di euro dell'Unione Europea al quale l'Italia ha partecipato con 700.000 euro, per mettere a punto il progetto di rimpatrio volontario per gli extracomunitari entrati in Libia dai Paesi limitrofi. Segnali forti che, uniti all'organizzazione dei voli interni per riportare a casa i clandestini affidata proprio agli italiani, hanno alla fine convinto il colonnello Gheddafi. Il negoziato, come del resto avviene da anni, ha avuto anche nell'ultimo periodo fasi alterne. Avviato quando al Viminale c'era ancora Giuseppe Pisanu, è stato più volte interrotto dal governo libico. E gli analisti sono stati concordi nel valutare come nei momenti di crisi tra i due Paesi gli sbarchi di persone provenienti dai porti che guardano l'Italia si siano intensificati. Del resto, basta allentare i controlli e consentire alle carrette del mare di salpare per far sì che sulle coste siciliane arrivino migliaia di clandestini. Persone che dovrebbero essere riportare in patria, ma che molto spesso si è costretti a trattenere visto che con alcuni Stati non esistono accordi di riammissione. Nel giugno scorso è stato consegnato il centro di accasermamento per la polizia libica a Gharyan, costruito con fondi italiani, e il Viminale ha messo a disposizione sette milioni di euro per creare il sistema informatico di registrazione dei dati anagrafici dei cittadini. L'Italia si è fatta carico della formazione del personale di polizia e dell'addestramento dei piloti e degli ufficiali che a bordo di elicotteri e motovedette si occupano della ricerca in mare. L'impegno a concedere altri fondi e farsi garante nei confronti dell'Unione Europea per la consegna di mezzi e ulteriori soldi alla fine ha sbloccato la trattativa. Ieri mattina il ministro Amato, accompagnato da De Gennaro, è volato a Tripoli per la firma definitiva. L'incontro con Gheddafi è saltato all'ultimo minuto, ma ci sarà tempo per rivedersi. Anche perché il premier Romano Prodi sembra intenzionato a tornare in Libia entro la fine di gennaio.

2. Si rinvia al dossier “Fuga da Tripoli” ed agli altri documenti sulla situazione dei migranti in Libia, di Human Righs Watch e dell'Agenzia Europea Frontex, nel sito Fortress Europe.

3. Si veda il Resoconto stenografico dell'Assemblea Seduta n. 37 del 19/9/2006.

4. Si rinvia a S. Palidda, Polizia postmoderna, Etnografia del nuovo controllo sociale, Feltrinelli, Milano, 2000; A. Dal Lago, Polizia globale. Guerra e conflitti dopo l'11 settembre. Ombre corte, Verona, 2003, con ampi riferimenti bibliografici sul tema.

5. Si veda Amnesty International, Libyan Arab Jamahiriya - Briefing to the UN Human Rights Committee, June 2007, AI Index: MDE 19/008/2007.

6. Si veda il resoconto stenografico di una audizione delle Commissioni riunite, martedì 17 luglio 2007.

7. Sulle operazioni di respingimento a mare di imbarcazioni provenienti dalla Tunisia e dalla Libia, si veda F. Vassallo Paleologo, “Obblighi di protezione e controlli delle frontiere marittime”, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, FrancoAngeli, 2007, fascicolo n.3, p. 13.

8. L'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea è stata istituita con il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004 (GU L 349 del 25.11.2004).

9. Le condizioni di detenzione dei migranti in Libia, oltre che dai report di Amnesty International e di Human Rights Watch, nei rispettivi siti, sono documentate da numerosi studi, tra i quali si segnala H. De Haas, The myth of invasion. Irregular migration from West African to the Maghreb and the European Union, International Migration Institute, Oxford, ottobre 2007.

10. Sulla applicazione dell'art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo si rinvia alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo nella rivista Diritto, Immigrazione e cittadinanza, varie annate, Franco Angeli, Milano. Si deve osservare, in particolare, che l'art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani (C.E.D.U.) sancisce il diritto a non subire torture o maltrattamenti disumani o degradanti. Si tratta di un diritto che deve essere garantito dagli Stati membri attraverso tutti i propri organi e, in particolare, attraverso la giurisdizione. L'articolo 3 è stato ampiamente interpretato dalla Corte europea dei diritti umani come limite all'espulsione degli stranieri ogni qual volta l'allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato ospite possa esporlo al rischio grave di subire un tale trattamento o tortura (Cruz Varas and Others, 20 marzo 1991, ricorso n. 15576/89). Si tratta quindi di una fattispecie diversa da quella contemplata dalla Convenzione di Ginevra o dalla Costituzione, volta a comprendere ipotesi non rientranti né nell'una né nell'altra e tuttavia tale da impedire, l'allontanamento di uno straniero che incorra in un tale rischio. Si consideri che le norme della Convenzione sono direttamente applicabili nell'ordinamento giuridico italiano e riguardano anche l'attività degli agenti di polizia italiani, ovunque esercitino la loro giurisdizione. I migranti che dovessero subire abusi dopo il loro respingimento verso la Libia da parte delle nuove pattuglie miste previste dal protocollo firmato alla fine del 2007 a Tripoli, potrebbero dunque convenire il governo italiano davanti alla Corte Europea dei diritti dell'uomo per violazione degli art. 3, 5 e 6 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell'uomo, sempre che siano ancora nelle condizioni di fare arrivare a Strasburgo i loro ricorsi. Perché ciò sia possibile, e perché tutte le violazioni della CEDU compiute da stati firmatari (o con il loro concorso) siano sanzionate, occorrerà uno sforzo straordinario delle associazioni che difendono i diritti dei migranti per assistere i migranti, dopo il loro allontanamento forzato, e per aiutarli nella individuazione degli avvocati e dei mezzi di ricorso. In alcuni paesi di emigrazione, come in Marocco, si sono già costituite associazioni dei parenti delle vittime dell'immigrazione clandestina (AFVIC).

11. Sul divieto di refoulement affermato dall'art. 33 della Convenzione di Ginevra, e sulla sua applicazione extraterritoriale, si richiama un recente studio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati Parere consultivo sull'applicazione extraterritoriale degli obblighi di non-refoulement derivanti dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dal suo Protocollo del 1967.

12. Per informazioni aggiornate sulla situazione dei diritti umani in Libia con riferimento alla corruzione diffusa in diversi ambiti si rinvia al report di Human Rights Watch del 4 gennaio 2008 Human Rights Conditions Required.

13. ASGI, Accordo Italia Libia sui migranti - Estrema preoccupazione per l'annunciato accordo italo-libico espressa dall'Associaizone Studi Giuridici sull'Immigrazione, 31 dicembre 2007.